Giugno 13th, 2015 Riccardo Fucile
IL 4,01% DEI CONTRIBUENTI PAGA IL 32,6% DELL’IRPEF, MENTRE 10 MILIONI PAGANO IN MEDIA 55 EURO L’ANNO… MA TUTTI PENSANO A TAGLIARE I SERVIZI, NON A RECUPERARE L’EVASIONE
La fotografia che arriva dalle dichiarazioni Irpef 2013, presentate lo scorso anno, ritrae un Paese
che difficilmente potrebbe identificarsi nell’Italia, membro del club del G7.
Vediamo in sintesi qualche dato: su 60,782 milioni di abitanti il numero di contribuenti, cioè di quelli che presentano la dichiarazione dei redditi, è di circa 41 milioni (500 mila in meno rispetto all’anno precedente); i contribuenti effettivi (che pagano almeno un euro di tasse) sono circa 31 milioni.
In altre parole, quasi la metà degli italiani non ha redditi e quindi vive a carico di qualcuno.
Per valutare poi l’Irpef media versata, occorre fare il rapporto tra il numero dei dichiaranti e il numero di abitanti: a ogni dichiarante corrispondono 1,48 abitanti.
Analizzando in dettaglio le dichiarazioni, si arriva alle seguenti considerazioni:
1) Tra i contribuenti i primi 799.815 dichiarano redditi nulli o negativi.
2) Il totale di coloro che dichiarano redditi (compresi quelli con reddito nullo o negativo) fino a 7.500 euro annui sono 10.338.712 contribuenti, cioè il 25,23% del totale, e corrispondono a 15.331.084 abitanti.
L’Irpef media dichiarata pro capite è pari a 55 euro l’anno.
Per queste persone, oltre agli altri servizi, lo Stato deve provvedere a pagare circa 1.790 euro a testa per la sanità (109 miliardi il totale 2013).
Per cui occorre reperire dagli altri contribuenti, per il solo servizio sanitario, circa 27 miliardi.
3) Tra i 7.500 e i 15.000 euro di reddito annuo contiamo 8.740.989 contribuenti (circa 13 milioni di abitanti) che pagano una Irpef media di 649 euro.
Anche qui per la sola sanità dobbiamo reperire altri 15 miliardi circa.
In totale, con i 27 miliardi di prima, sono 42 miliardi in totale.
4) Tra i 15.000 e i 20.000 euro di reddito dichiarato troviamo 6,2 milioni di contribuenti (9,31 milioni di abitanti) che pagano un’imposta media di 1.765 euro, quasi sufficiente per pagarsi la sanità .
Ricapitolando, i primi 19.079.701 di contribuenti (pari al 46,56% del totale), di cui 7.187.273 pensionati, dichiarano redditi da zero a 15.000 euro e quindi vivono con un reddito medio mensile inferiore ai 600 euro: meno di quello dei circa 6 milioni di pensionati che, come dice in modo errato l’Istat, hanno pensioni inferiori a mille euro al mese (per la metà sono superstiti).
Questi primi 19.079.701 di contribuenti a cui corrispondono 28,3 milioni di abitanti, anche per via delle detrazioni, pagano in media circa 300 euro l’anno e si suppone pochissimi contributi sociali, con gravissime ripercussioni sia sull’attuale sistema pensionistico sia sulla futura coesione sociale.
Chi avrà i soldi per pagare le pensioni agli oltre 10 milioni di soggetti privi di contribuzione?
Il 61,88% dei contribuenti, pari a 37.613.497 abitanti, non supera i 20.000 euro di reddito lordo dichiarato l’anno (cioè poco più di 1.100 euro netti al mese).
Oltre i 55.000 euro di reddito lordo troviamo solo 1,64 milioni di contribuenti (il 4,01%); tra i 100.000 e i 200.000 euro, 339.217 (lo 0,83%), e sopra i 200.000 euro lordi sono 106.356.
Siamo proprio un Paese povero!
Alcuni stati in via di sviluppo o emergenti hanno percentuali ben più alte.
Rovesciando la descrizione possiamo riassumerla anche così: Lo 0,19% dei cittadini paga il 6,9% dell’Irpef, il che ovviamente è clamoroso.
L’1,02% dei contribuenti paga il 16,3% dell’Irpef, oppure il 4,01% paga il 32,6%, oppure ancora il 10,91% paga il 51,2% di tutta l’Irpef (il 38,1% paga quasi l’86% di tutta l’Irpef)
Impressionante la progressione delle imposte medie pagata.
Tra i 20 ai 35.000 euro: 3.400 euro; tra i 35 e i 55 mila euro: 7.393 euro; tra i 55 e i 100 mila euro: 15.079 euro; tra i 100 e i 200 mila euro: 31.537 euro; sopra i 200.000 euro: 102.463 euro; oltre i 300.000 euro, la media della sola Irpef ed addizionali regionali e comunali è 163.021 euro, cioè oltre il 50% del reddito lordo a cui si sommano le altre imposte, tasse e accise; in pratica si lavora per i 2/3 per lo Stato e solo per 1/3 per la propria famiglia; si capisce il perchè ogni anno questo numero di «vacche da mungere» diminuisce sempre più, anche perchè a costoro sono precluse quasi tutte le agevolazioni tariffarie e sanitarie.
Nell’immaginario collettivo sono quelli da spremere con patrimoniali e, se pensionati, con blocchi delle indicizzazioni, prelievi forzosi e, secondo alcuni movimenti, da espropriare oltre un certo livello di pensione.
In un Paese normale dove il merito conta ancora qualcosa sarebbero da citare come esempio.
Ci sarebbero molte osservazioni da fare; preferisco che siano i lettori a giudicare: a) se questa fotografia impietosa corrisponde al Paese che ha il record di case in proprietà , telefonini, auto e altro pro capite e una ricchezza pro capite stimata dalla Bundesbank doppia rispetto a quella dei tedeschi; b) se non sia necessario, come peraltro accade nella maggior parte dei Paesi che spesso citiamo a sproposito quali modelli di welfare, che la nostra Agenzia delle entrate e l’Inps – che pure dispongono di tutte le informazioni e codici fiscali – procedano alla convocazione dei soggetti che dichiarano poco o nulla da molti anni per domandare come fanno a vivere. In tanti casi, vista anche la pesante crisi economica, la povertà sarebbe reale ed effettiva.
Ma forse si scoprirebbero anche molti lavoratori irregolari. E in qualche caso associati alla criminalità organizzata .
Alberto Brambilla e Paolo Novati
Comitato tecnico scientifico di Itinerari previdenziali
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Giugno 13th, 2015 Riccardo Fucile
UNA NORMA ABOLISCE LA SOSPENSIONE DELL’ATTIVITà€ PER CHI OCCUPA PERSONALE IRREGOLARE: “UNA ULTERIORE SPINTA ALL’ILLECITO”
Con il Jobs Act si potrà condonare anche il lavoro nero.
Lo stabilisce la norma inserita in uno dei nuovi decreti legislativi varati l’altra sera dal governo e che ora saranno al vaglio delle Camere.
Il decreto riguarda la Semplificazione delle procedure e degli adempimenti e, al punto d) della sintesi pubblicata sul sito di Palazzo Chigi si legge che viene inserita la modifica “alla c.d. maxisanzione per il lavoro ‘nero’ con l’introduzione degli importi sanzionatori ‘per fasce’, anzichè legati alla singola giornata di lavoro irregolare”.
Il termine “per fasce” fa rizzare i capelli alla Fillea, il sindacato degli edili che per prima ha individuato in questa modifica e che, con il suo segretario Walter Schiavella, sottolinea che a una “assoluta emergenza il governo risponde con un’ulteriore spinta de-regolativa”.
“Il provvedimento sulla semplificazione è scritto sotto dettatura delle associazioni imprenditoriali”, commenta Schiavella, perchè “per chi viene scoperto con dipendenti in nero non c’è più la sospensione dell’attività fino alla regolarizzazione, ma l’invito a sanare l’illecito”.
Il testo prevede la reintroduzione della procedura di diffida, che consente la regolarizzazione delle violazioni accertate.
“La regolarizzazione è subordinata al mantenimento al lavoro del personale ‘in nero’ per un determinato periodo di tempo”, precisa il governo mentre viene modificato il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale “favorendo una immediata eliminazione degli effetti della condotta illecita, valorizzando gli istituti di tipo premiale”.
“In un paese in cui le aziende edili subiscono in media un’ispezione ogni 15 anni, eliminare anche il deterrente della sospensione dell’attività è un chiaro incentivo all’utilizzo del lavoro nero e irregolare”, è il giudizio di Schiavella.
Il sindacato degli edili denuncia anche un’altra modifica “grave”: l’eliminazione dell’obbligo, nell’ambito dei cantieri edili, di munire il personale occupato con apposita tessera di riconoscimento”, il cosiddetto cartellino.
“Non è sicuramente solo il tesserino che tiene lontane le irregolarità ”, prosegue Schiavella, “ma certamente aiuta”. E ricorda il caso dei cantieri Expo dove, anche se non si è riusciti a far emergere tutte le irregolarità , ci sono stati comunque controlli costanti e, pochi giorni fa, 200 lavoratori irregolari sono stati allontanati.
“Grazie anche all’istituto del cartellino” che invece ora con il provvedimento del Jobs Act scompare.
Salvatore Cannavò
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 13th, 2015 Riccardo Fucile
ARRESTATE LE GUARDIE, VIVA I LADRI
Da una parte ci sono i giornaloni, cioè il mondo dell’irrealtà . 
Prendete questo titolo del Corriere: “Caso Azzollini, Ncd contro il sì all’arresto. Il Pd frena. Orfini: voteremo a favore. Poi telefona a Quagliariello: saranno valutate le carte”.
L’Ncd è contro il sì, dunque — par di capire — per il no.
Il Pd è per il sì, ma poi parte una chiamata al partito dell’arrestando per dire che nulla è deciso, bisogna valutare le carte, potrebbe uscirne anche un no.
Diciamo che siamo al ni.
In ogni caso il Pd frena. Ma ecco un titolo arrembante di Repubblica: “Azzollini, il Senato accelera”.
E chissà mai chi sarà , ad accelerare, visto che in Senato la maggioranza l’hanno il Pd (che secondo il Corriere frena, dunque pare difficile che possa contemporaneamente accelerare) e l’Ncd (che tutto può fare, fuorchè affrettarsi a far arrestare il suo uomo). Poi c’è il Foglio (lo citiamo per quelli che non lo leggono, cioè per tutti), che staziona direttamente nel surrealismo: non pago di gabellare la gang di Mafia Capitale per un collegio di educande, lancia una nuova “battaglia di civiltà ”.
E lo fa attraverso le sue migliori lingue di ultima generazione: Salvatore Merlo esorta i veneziani a “non votare per Felice Casson”, per impedire a un incensurato, per giunta ex pm, che parla addirittura di legalità , di diventare sindaco di Venezia, al posto del compianto Giorgio Orsoni finito in manette; Claudio Cerasa implora con un altro, straziante appello “Salvate Venezia e l’Italia dai Felice Casson. È una battaglia di civiltà . Tutti insieme Podemos fermarli!”.
Abbasso le guardie, viva i ladri.
Sul Corriere, Pigi Battista assiste affranto, ma mai domo, alla deriva giustizialista di un Parlamento che “decide a prescindere” di “soddisfare la voglia di forca” e ancora una volta “dare in pasto all’opinione pubblica inferocita” un altro, l’ennesimo parlamentare espiatorio, Antonio Azzollini, quello che voleva pisciare in bocca alle suore della Misericordia e per ciò vittima di “quell’impalpabile ma maleodorante fumus persecutionis” della solita “Procura” cattiva (l’arresto l’ha disposto il Gip, ma fa lo stesso).
Il fatto che negli ultimi trent’anni le Camere abbiano autorizzato la cattura di 4 onorevoli arrestati su una cinquantina, non lo tange.
È “l’improvvisa scomparsa dei garantisti”, su cui lacrima La Stampa.
Alessandro Campi, sul Messaggero, dalla Grande Razzia scoperchiata dalle indagini trae questa strepitosa lezione: “La politica comincia a sentirsi sempre più accerchiata dalla magistratura”.
Ma niente paura: Maria Teresa Meli del Corriere ha potuto auscultare l’amato Renzi mentre “spiegava” ma anche “confidava ai fedelissimi” e si “soffermava con i suoi collaboratori” sulle seguenti parole d’ordine, tratte direttamente dal Nerone di Petrolini: “Non sottovalutare la situazione, ma nemmeno drammatizzarla oltre misura” (bravo! grazie!); “Stanno cercando di colpirci con gli scandali, ma noi resisteremo e andremo avanti con maggior decisione di prima” (grazie! bravo!); “Siamo pronti a cominciare a dare risposte e soluzioni alle richieste che ci vengono dagli italiani” (bravograzie!); “l’unica è andare avanti con maggior determinazione di prima” (graziebravograzie!).
Dall’altra parte, a debita distanza, ci sono le notizie, cioè il mondo della realtà (…).
Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)
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