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SALVINI NON PAGA LA MULTA E SI INVENTA UNA BALLA: “COLPA DELL’AUTOVELOX, VANNO SRADICATI”

Maggio 17th, 2016 Riccardo Fucile

PECCATO CHE NEL RICORSO NON LO DICA, MA SI APPELLI AL SUO “RUOLO POLITICO”

Matteo Salvini viene beccato a farsi annullare una multa per eccesso di velocità  come i politicanti della peggior specie e per uscire dall’imbarazzo che fa?
S’improvvisa paladino della disobbedienza civile, invitando tutti i milanesi — chiamati per altro a votarlo come capolista alle prossime amministrative — a fare altrettanto.
E chi non vorrebbe? Solo che i milanesi non hanno a disposizione due avvocati di partito e gli argomenti di Salvini.
“Quegli autovelox sono demenziali, pericolosi. Sono una truffa e ho detto a Parisi di toglierli, anzi vado io stesso a sradicarli personalmente”.
Il ricorso però, caso strano, non verte sui dispositivi sanzionatori, certo poco amati da tutti, quanto sul fatto che l’auto trasportava un politico che svolge “compiti istituzionali”, sottoposto per di più a “misure di sicurezza”.
La balla col buco è però perfetta per evitare le punture della Zanzara (Radio24). Cruciani e Parenzo sono tornati sulla notizia riportata dal Fatto Quotidiano.
Salvini lamenta tanta attenzione a quel ricorso e in un baleno lo rivendica come strumento di difesa dalle pretese predatorie del Comune.
Sostiene anche di saperne poco o nulla perchè presentato dall’autista Aurelio Locatelli e non da lui, autista che per altro Salvini avrebbe candidato a sua insaputa.
“Non sapevo, davvero, che fosse stato candidato. Mica faccio le liste, io”, è la risposta usata per uscire da un vicolo che sembrava cieco.
Le carte depositate dai legali Claudia Eccher e Christian Gecele però allegano la procura di Salvini, che non è mai andato a “sradicare” l’autovelox, mettendosi alla testa del popolo dei multati.
In silenzio ha dato mandato ai legali del partito di chiedere l’annullamento.
Giusto per evitare i 165 euro di sanzione e la perdita di tre punti per l’autista-candidato (a sua insaputa)

(da “il Fatto Quotidiano”)

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PIZZAROTTI, IN CASO DI ESPULSIONE, PREPARA IL RICORSO AL TAR

Maggio 17th, 2016 Riccardo Fucile

INTERVISTA AL BRACCIO DESTRO MARCO BOSI: “VOGLIAMO DARE UNA LEZIONE POLITICA”

Una “lezione politica”.
Ormai convinto che nessuno del direttorio arriverà  a Parma per un confronto faccia a faccia e che l’espulsione prevista arrivi dopo la scadenza di domenica (o al massimo lunedì), Federico Pizzarotti affila gli artigli e nell’eventualità  si prepara ad un ricorso al Tar, certo che nel caso di espulsione sarà  riabilitato.
Già , potrebbe accadere così: se il direttorio dovesse bocciare le controdeduzioni che il sindaco di Parma sta impostando in sua difesa dopo la sospensione per mancata trasparenza, scatterebbe l’espulsione e un successivo ricorso al Tribunale del Riesame che, sostengono avvocati vicini alla causa di Pizzarotti, secondo la legge dovrebbe riammettere il sindaco dentro il MoVimento.
E allora che accadrebbe?
“Per un anno almeno si vivrebbe da separati in casa” racconta Marco Bosi, capogruppo M5s in Consiglio comunale a Parma e strettissimo collaboratore del sindaco. Con Pizzarotti a Corfù (tornerà  giovedì) è lui che lo sta aiutando a raccogliere le controdeduzioni.
In che cosa consistono le controdeduzioni di Pizzarotti? E quando saranno presentate?
“Sono una serie di documenti per dimostrare che noi non abbiamo violato nessuna regola. Sto aiutando a raccogliergli insieme agli avvocati e dovremmo discuterne giovedì con il sindaco e poi inviarle penso per venerdì. Abbiamo spulciato tutte le regole, statuti, regolamentini del M5s e pensiamo di non aver violato alcuna procedura. Anzi, dimostreremo anche che sono loro ad aver detto il falso”.
Si spieghi meglio. Chi avrebbe mentito?
“Le faccio un esempio. Dopo Pizzarotti un altro sindaco M5s, Fucci di Pomezia, ha raccontato di essere stato indagato (poi archiviato) ma non aver detto nulla. Di Battista e Di Maio hanno dichiarato che il caso Fucci era minore, perchè si trattava solo di una querela. Falso, se si leggono le carte Fucci oltre a una querela era imputato per omissione di atti di ufficio (328 c.p). Perchè loro hanno mentito su questo? Oppure dobbiamo pensare che quelli del direttorio, che vorrebbero fare le leggi e le riforme di un Paese, non sappiano nemmeno leggere le carte? Con rispetto per Fucci, che ammiriamo e difenderemo a spada tratta se ci fossero problemi, io credo che qui ci sia un doppio pesismo non più ignorabile”.
Con questo clima l’espulsione, anche se a meno di un mese dalle amministrative, appare inevitabile.
“Al momento la tendenza di rimanere dentro credo sia pari allo zero. Se Di Maio venisse a Parma a parlare sarei felicissimo, ma dubito lo farà . Per ora noi lavoriamo solo alle controdeduzioni e poi, se ci sarà  l’espulsione, agiremo di conseguenza”.
Facendo causa?
“Con un ricorso al Tar (anche se in realtà  dovrebbe trattarsi del tribunale civile, ndr). Federico vuole restare nel MoVimento, quello degli inizi, quello in cui crede. Non vuole essere cacciato per regole che non esistono. Ci siamo confrontati anche con altri avvocati che ci dicono che l’obbligo o la richiesta di pubblicare documenti o informare associazioni dell’informazione di garanzia non è scritto da nessuna parte. Anzi, è anticostituzionale perchè si tratta di un documento privato, che informa solo la persona. E su questo pensiamo che il tribunale del Riesame ci darebbe ragione”.
Però Nogarin ha pubblicato. E poi il sindaco che farebbe, dentro al MoVimento anche se espulso?
“Nogarin non ha pubblicato l’informazione di garanzia, ma il 335, un altro modulo. Eppure se si leggono i suoi post precedenti lui stesso, per “trasparenza”, cita un passaggio dell’informazione di garanzia. Allora perchè non l’ha pubblicata? E perchè è stata omessa la data? Sinceramente non penso male di lui, anzi, credo sia un ottimo amministratore. Ma anche quella pubblicazione non rientra in nessuna regola. E come sono stati poi trattati lui e Federico dimostra che Roma non trattano tutti allo stesso modo. Come ho detto, se sarà  espulso, chiederemo il reintegro. Poi si vedrà , c’è da continuare ad amministrare Parma. Rimmarà  un separato in casa. Ma almeno avrà  dato una lezione politica”.
Una lezione politica?
“Sì, dimostrando di aver agito correttamente e che le regole non possono essere ad personam. Come ha detto lui, in tutta questa vicenda io reputo Grillo in buona fede, ma davvero mal consigliato. Una lezione politica che per amministrare, che sia una città  o un Paese, ci vogliono incontri di persona fra i membri del M5s, ci vogliono regole chiare. Lo sa, a che mi risulti è ancora in vigore la regola di non partecipare ai talk show. Quanti parlamentari M5s dovrebbero essere espulsi allora?”.
Diversi attivisti e anche qualche parlamentare, oltre che sindaci, si sono schierati dalla parte di Pizzarotti. Pensa che se dovesse essere espulso ci sarà  una scissione nel MoVimento?
“Non lo so. Ci sono tanti “puristi” del MoVimento che tempo fa ci guardavano male per via delle incomprensioni con Grillo ma ora ci dimostrano vicinanza perchè hanno capito che Federico, così come molti in Emilia, Toscana e Liguria, è rimasto fedele ai primi principi del Movimento. Lo seguiranno? Io non so dirlo. Ai tempi anche dopo il caso Favia si parlò di scissione. Ma M5s, nonostante i vari espulsi, è andato avanti comunque. Certo, dovesse essere cacciato un sindaco di una città  importante forse le cose cambierebbero e se si parla di scissione si arriverebbe forse a un “ora o mai più”. Ma chi può dirlo?”.

(da “Huffingtonpost”)

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IL CASO DEL SINDACO M5S DI MIRA A PROCESSO: “IL CRITERIO PER LE ESPULSIONI E’ LA FEDELTA’ A GRILLO”

Maggio 17th, 2016 Riccardo Fucile

E’ STATO RINVIATO A GIUDIZIO   DUE ANNI FA MA NON E’ MAI STATO SOSPESO

Dopo Federico Pizzarotti e Filippo Nogarin, un terzo sindaco M5s finisce al centro delle polemiche.
Alvise Maniero, il primo cittadino 5 stelle di Mira (Venezia), è a processo per lesioni colpose per l’incidente avvenuto a un ragazzo nel 2012 che si era arrampicato sul tetto della piscina comunale in ristrutturazione.
A ritirare fuori il caso è stato il Partito democratico, che ora attacca i grillini di usare due pesi e due misure a seconda dei proprio amministratori.
Pizzarotti è stato sospeso dal M5s con l’accusa di aver tenuto nascosto per quasi 3 mesi l’avviso di garanzia per abuso d’ufficio nell’inchiesta che riguarda le nomine del teatro cittadino.
Al tempo stesso il primo cittadino di Livorno Nogarin, indagato per bancarotta pre-fallimentare nella vicenda della gestione del’azienda rifiuti Aamps, è ancora nel Movimento in attesa di vedere le evoluzioni della storia.
Secondo i grillini si tratta di due casi diversi, perchè a Parma il primo cittadino “non è stato trasparente” con i suoi e con il M5s.
Una versione contro cui si schierano i democratici: “Gratta gratta e scopri”, ha detto la deputata Silvia Fregolent (Pd), “che nel M5s non solo la quantità  di indagati sfiora lo stesso numero dei comuni amministrati, ma che soprattutto le regole non esistono. O, meglio, che il criterio utilizzato dallo ‘staff di Beppe Grillo’ è esclusivamente quello della fedeltà  al comico autonominatosi anche ‘Responsabile per le espulsioni”.
La vicenda giudiziaria che coinvolge il sindaco ‘grillino’ di Mira trae origine da un incidente avvenuto la sera del 20 luglio 2012, quando un ragazzo che si era arrampicato sul tetto della piscina comunale, chiusa per ristrutturazione, precipitò per il cedimento di un lucernario.
Riportò lesioni che l’hanno reso tetraplegico e bisognoso di cure quotidiane.
Per quell’episodio vennero indagati per lesioni colpose oltre al Maniero — uno dei primi 4 sindaci del Movimento 5 Stelle, eletti nel 2012 — altre sei persone: due dirigenti comunali, il gestore della piscina, e tre tecnici.
A conclusione delle indagini, nel 2014, la Procura di Venezia aveva chiesto l’archiviazione, ritenendo che la colpa della caduta fosse da addebitare al ragazzo, entrato in un cantiere vietato ai non addetti ai lavori.
Ma i familiari si opposero, e il gip ordinò la formulazione del capo d’imputazione, ravvisando carenze nella sicurezza.
Maniero e gli altri sei vennero quindi rinviati a giudizio, per lesioni colpose aggravate dal mancato rispetto delle regole antinfortunistiche.
Il processo ha avuto inizio nel gennaio 2015, ed è tuttora in corso.
I legali della famiglia del giovane rimasto paralizzato hanno chiesto un risarcimento danni di circa 12 milioni di euro.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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FINANCIAL TIMES: “GRILLO, UNA ZAVORRA PER I CINQUESTELLE”

Maggio 17th, 2016 Riccardo Fucile

DURISSIMO COMMENTO DEL GIORNALE DELLA CITY SUL PARAGONE   TRA IL   SINDACO DI LONDRA E UN TERRORISTA

“E se Beppe Grillo si stesse trasformando nella zavorra del Movimento 5 Stelle?”.
Se lo chiede in Financial Times in un articolo del commentatore di affari europei Tony Barber, che arriva a corollario della numerose reazioni negative da parte della stampa britannica sull’uscita del leader del movimento sul neo eletto sindaco di Londra, Sadiq Khan.
A lui sabato sera – davanti al pubblico di 2500 persone accorse a vedere il suo show al Gran Teatro Geox di Padova – il comico aveva dedicato l’unica battutaccia politica dello spettacolo.
Commentando la straordinarietà  dell’elezione del primo sindaco musulmano ingese (definito a torto “bangladesciano” nonostante Khan sia nato in Gran Bretagna da genitori pachistani) dimostrazione, secondo Grillo, che non si deve smettere mai di sognare, aveva concluso: “voglio poi vedere quando si fa saltare in aria a Westminster…”.
Una battutaccia che non era sfuggita alla stampa britannica, secondo cui paragonare Sadiq Khan a un terrorista è una caduta così grave da poter creare problemi alla candidata del M5s nella corsa a sindaco di Roma e al vicepresidente della Camera Luigi Di Maio “a caccia di credibilità  internazionale”. E anche al suo alleato a Strasburgo   Nigel Farage, leader del partito anti-europeo britannico Ukip.
L’editoriale di Barber sul Ft, rincara la dose: non solo attaccando le qualità  artistiche di Grillo “che a 67 anni sembra un uomo stanco della vita pubblica e sempre più fuori dal mondo. Un comico che sembra aver perso il suo istinto del comico”.
Ma anche sottolineando come la sua esuberanza getti un ombra “sugli sforzi dei giovani attivisti 5 stelle che cercano di trasformare il movimento in un partito più maturo, saggio ed elettoralmente credibile”
Una zavorra insomma: che rischia di affondare il movimento.
Barber nota infatti che “fino ad ora il Movimento si era astenuto da scherzi fatui e insulti razzisti, tipici invece dei partiti populisti di destra”.
L’incidente di Padova potrebbe ora cambiare tutto, secondo il quotidiano inglese. Mettendo in crisi chi, nel movimento “sta lottando per trovare un messaggio politico più ampio che raggiunga un elettorato ancora in deciso”.
La sfida delle comunali del 5 giugno in questo senso è importantissima, visto che il secondo partito italiano è a pochi punti dal Pd di Renzi.
Intanto arrivano le prime reazioni anche dal Labour britannico: se infatti fino ad ora l’ufficio del sindaco di Londra non aveva voluto commentare la “battuta” di Grillo, oggi a parlare è Ivana Bartoletti,unica italiana nella lista di Sadiq Khan.
“Una frase del genere – ha detto- non dovrebbe avere diritto di cittadinanza nel mondo in cui viviamo e mi auguro che i membri del movimento, alcuni dei quali aspirano a ruoli di guida nelle città , se ne dissocino al più presto”.

(da “La Repubblica”)

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BELPIETRO LICENZIATO PER DIVERGENZE CON L’EDITORE: A “LIBERO” GLI SUBENTRA VITTORIO FELTRI

Maggio 17th, 2016 Riccardo Fucile

CONTRASTI SULLE LINEA EDITORIALE ALL’ORIGINE DEL CAMBIO

E’ stato lui ad annunciarlo durante la riunione di redazione. “L’editore mi ha comunicato che questo è il mio ultimo numero”.
Maurizio Belpietro lascia la direzione di “Libero”, il giornale che guidava da 7 anni. Non dimissioni: di fatto, un licenziamento.
L’editore è Antonio Angelucci, imprenditore nel settore sanitario, senatore di Forza Italia, ma anche grande amico di Denis Verdini, che quel partito lo ha lasciato in ossequio allo spirito del Nazareno.
Alla direzione arriva colui che il quotidiano lo ha fondato, quello stesso Vittorio Feltri che a inizio maggio aveva fatto il suo ritorno come “firma” e aveva subito mandato un segnale netto.
Un editoriale in cui decretava la fine di Berlusconi descrivendolo come una “macchietta” alla mercè del “cerchio magico, una specie di gineceo”.
Perchè questa volta, non si tratterebbe semplicemente di un giro di poltrone tra le testate di area centrodestra, come è accaduto in passato.
Questa volta — dicono i ben informati — si tratta di un cambio di passo, di linea editoriale.
Di certo, la convivenza tra Belpietro e Feltri aveva fatto segnare aria di burrasca sin dal primo momento.
Non era sfuggito agli addetti ai lavori che quel primo editoriale, quello del grande ritorno, non fosse stato messo in pompa magna, ma semplicemente richiamato in prima pagina.
Raccontano inoltre fonti interne alla redazione che nei giorni successivi, Belpietro abbia “boicottato” un altro editoriale con la scusa che era stato inviato ai vice-direttori invece che a lui.
A peggiorare il conflitto era arrivato stato poi un intervento del cdr che aveva chiamato in causa l’editore per chiedere se il ritorno di Feltri fosse stato finanziato con gli stipendi dei giornalisti, che da poco hanno concluso una lunga fase di contratto di solidarietà  e sono ora in cassa integrazione.
Angelucci, che quel ritorno ha fortemente voluto, dietro quel comunicato ci aveva visto anche l’avallo dell’allora direttore. Il quale, peraltro, pare contrastasse anche il progetto di sinergia con ‘Il Tempo’.
Ma ci sono altre motivazioni, oltre alle difficoltà  di coabitazione, dietro questa decisione che ha colto di sorpresa anche buona parte della redazione di ‘Libero’? Come sempre, potrebbe c’entrare anche la politica.
Ad insinuarlo è, per esempio, Augusto Minzolini, che in un tweet si domanda: “Libero cambierà  posizione sul referendum? Sarà  attratto nell’area del Sì? Nell’era renziana può succedere anche questo”.
Le voci si rincorrono da settimane e raccontano che da un po’ di tempo Angelucci chiedeva al direttore, non tanto di cambiare linea, quanto di moderare certi suoi fondi. Soprattutto, viene raccontato, quelli che attaccavano più direttamente gli affari delle famiglie Renzi e Boschi.
Il premier non avrebbe gradito e Denis Verdini, che con il suo partito “Ala” sostiene l’esecutivo, avrebbe fatto presente all’amico-editore.
Fin qui i rumors. Ma ci sono anche i fatti. Uno in particolare, un pranzo.
Circa una settimana fa, infatti, seduti a un tavolo del ristornate “Il moro”, vicino a Fontana di Trevi, si erano ritrovati proprio Maurizio Belpietro, Angelucci e Denis Verdini.
Piatto forte, ca va sans dire, proprio la gestione del quotidiano “Libero”.

(da “Huffingtonpost”)

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ALTRO CAMBIO DI DIRETTORE ALL’UNITA’

Maggio 17th, 2016 Riccardo Fucile

DOPO DE ANGELIS ARRIVERA’ LUNA

Un’altra rivoluzione per salvare l’Unità .
Dal 1° giugno, a meno di colpi di scena, alla direzione del quotidiano fondato da Gramsci arriverà  Riccardo Luna per giocare la carta dell’innovazione tanto cara a Renzi, mentre Erasmo D’Angelis dovrebbe tornare come dirigente a Palazzo Chigi dopo appena un anno dal ritorno in edicola.
Per la redazione si profila un momento durissimo, visto che per contenere i costi l’editore prevede di dimezzare il numero dei giornalisti: da 33 a 16.
L’operazione, con i conti del giornale in profondo rosso, è stata avviata sotto la supervisione diretta di Matteo Renzi, che punta a rilanciare il foglio, di cui il Pd possiede il 20%. In un anno di esercizio, l’editore è arrivato a perdere oltre 250 mila euro al mese, un fardello insostenibile.
Così al Nazareno, prima di rischiare un colpo d’immagine durissimo come quello di una nuova chiusura in un momento politico delicato, hanno deciso di voltare pagina. Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd, ha seguito la vicenda per evitare il disimpegno del gruppo Stefanelli-Pessina, editore con l’80%.
Se si esclude il boom di vendite nei giorni del ritorno in edicola, con tanti vip dem che si scattavano selfie con l’Unità  in mano, i numeri sono poi crollati: 60 mila copie stampate e una media di circa 8 mila vendute.
I tagli partiranno dalla carta: addio al formato «lenzuolo» e ritorno al tabloid.
Il segretario ha affidato a Luna un ruolo chiave per rilanciare il giornale, puntando sull’interazione con i social network ed i video del sito unità .tv, anche per giocare la dura battaglia in vista del referendum di ottobre sulla riforma costituzionale.
Luna, 51 anni, ha lavorato a lungo per Repubblica, poi al Corriere dello Sport e a Il Romanista, che svelò le carte di Calciopoli.
In seguito Luna ha diretto Wired, mensile dedicato all’innovazione, per poi intervenire sul palco della Leopolda raccontando la rivoluzione digitale di cui l’Italia ha bisogno per ripartire.
Un curriculum non proprio da Unità , ma su cui Renzi ha voluto investire per rilanciare l’identità  del foglio gramsciano, attualizzandolo dopo il tentativo fallito di quest’anno.

Claudio Bozza
(da “il Corriere dela Sera”)

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FASSINA RITORNA MA SINISTRA ITALIANA SI SPACCA

Maggio 17th, 2016 Riccardo Fucile

NON CAMBIANO I MALUMORI ALL’INTERNO DEL PARTITO CHE SI PRESENTA DIVISO IN MOLTE CITTA’

Quasi «un miracolo, è finito un incubo». Stefano Fassina è sollevato: «Mi pesava l’enorme responsabilità  nei confronti delle persone che ci avevano dato fiducia».
Non si aspettava che dopo le due bocciature del comitato elettorale e del Tar, la sua corsa per il Campidoglio poteva ricominciare.
Dopo una giornata di passione, sull’orlo della scissione, con reciproche accuse sugli errori che avevano portato all’esclusione della lista di Sinistra Italiana per il Campidoglio, il Consiglio di Stato ha ribaltato tutto
Fassina è riammesso nella corsa. La terribile disavventura, come l’aveva definita, è un ricordo: «Ora si può archiviare ».
Oggi confermato l’incontro con i 400 candidati che pensava di coinvolgere in un’Associazione, e anche questo aveva sollevato polemiche: «Chiederò di serrare le file e fare uno scatto insieme». Riammessa Milano dal Consiglio di Stato anche la lista di Fratelli d’Italia.
Ora a Roma per il dem Roberto Giachetti la strada si fa ancora più in salita. Nella Sinistra comunque è tempo di mini scissioni e di micro separazioni.
A Milano, Sel si è divisa in tre: una parte con il dem Beppe Sala, l’altra con Basilio Rizzo e un’altra in ordine sparso.
A Bologna, una fetta a sostegno di Virginio Merola e del Pd, l’altra con Federico Martelloni. Martelloni è un giuslavorista molto stimato da Sergio Cofferati.
C’era anche Cofferati ieri a Roma alla prima riunione della resa dei conti della Sinistra. Venuto apposta nella Capitale perchè il momento è grave.
A Trieste spaccatura. A Torino quasi tutta la sinistra con Giorgio Airaudo, ma qualcuno anche con Piero Fassino.
E infine a Roma, c’era stata «la tranvata»
Fassina ieri si era fatto una ventina di chilometri di jogging. Per calmarsi.
Aveva denunciato: alcuni dei dirigenti di Sel «guardavano altrove» invece di appoggiarlo.
Non è un’opinione, è cronaca: il feeling con Ignazio Marino, il pressing su Massimo Bray per convincere l’ex ministro della Cultura a candidarsi e contemporaneamente quello su di lui per indurlo a ritirarsi.
Sei mesi a macinare acqua. Sei mesi a vedersela con Massimiliano Smeriglio, vice di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio, molto propenso a mantenere l’alleanza con il Pd.
Questo è il nodo che resta: il rapporto con i Dem, se è possibile ritornare al centrosinistra oppure farne a meno perchè Renzi ne ha decretato il requiem definitivo. Però ora le tensioni potrebbero se non altro essere rinviate.
Un manifesto dei cento di Sel, capitanati da Ciccio Ferrara, è stato rilanciato per dire che «non si può andare avanti se ci si rinfaccia le colpe» e che «c’è di mezzo la nostra credibilità  ».
Paolo Cento aveva inviato una «mitragliata di sms» contro la proposta di Fassina dell’associazione chiedendo chiede di anticipare il congresso della Sinistra: doveva essere a dicembre, ma rischierebbe di essere un congresso senza partito.
Fassina ha schierato molta società  civile, da Michele Dau della Caritas a Dario Vassallo, il fratello del sindaco di Pollica assassinato.
Alfredo D’Attorre, l’altro transfuga del Pd, era pessimista. «Se la sentenza del Consiglio ci è favorevole, le tensioni saranno accantonate, ma non spiavate ragionava Cofferati, poco prima del verdetto – Si deve andare avanti, però finora si era proceduto a tentoni».
Fino a sera tarda, Nicola Fratoianni tocca ferro sperando nel ribaltone. Telefonata a Nichi Vendola in Canada, alle prese con il figlio appena avuto con il compagno Eddy. Finalmente si può trarre un sospiro di sollievo.
Oggi sarà  il giorno della festa e del “serriamo le file”.
Cento commenta: «Non ci sarà  scissione, non c’è lo spazio».

Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)

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RIFORMA DEI PARTITI, STOP AL M5S: CI SARA’ L’OBBLIGO DI DEMOCRAZIA INTERNA

Maggio 17th, 2016 Riccardo Fucile

SCONTRO IN COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI ALLA CAMERA

Sulla scia del caso Pizzarotti, il derby fra M5s e Pd si sposta a Montecitorio.
Questa volta lo scontro è sulla riforma dei partiti, che affronta i temi della trasparenza finanziaria ma anche della democrazia interna dei movimenti politici.
Il testo base della nuova legge è all’esame della commissione Affari Costituzionali della Camera che, questa mattina, ha bocciato l’emendamento targato 5S che puntava a eliminare l’obbligo di democrazia interna.
Per i pentastellati, infatti, il vincolo di democrazia interna è un modo per ripristinare l’obbligo di costituirsi come partito, abbandonando lo status distintivo di “movimento”.
Inoltre, accusano i 5S, la norma sull’obbligo di democrazia interna non è contenuta nel testo in discussione predisposto dal relatore Matteo Richetti.
Ma compariva nella prima proposta di legge firmata dal vice segretario del Pd, Lorenzo Guerini, che escludeva dalle elezioni i partiti privi di statuto e poi abbandonata perchè considerata “anti-5stelle”.
Il testo di Richetti non ha fatto propria l’impostazione sanzionatoria proposta da Guerini. Ma sancisce che la vita interna di partiti e movimenti sia “improntata al metodo democratico”.
Nel pomeriggio verrà  votato un emendamento di Stefano Quaranta (Sel)   che impone a partiti e movimenti di avere un organo disciplinare o di garanzia diverso dall’organo esecutivo (il cosiddetto emendamento “Salva-Pizzarotti”).
L’emendamento per abolire l’obbligo di democrazia interna.
Il deputato M5S Danilo Toninelli ha spiegato il senso dell’emendamento dei grillini: “Il metodo democratico interno è già  previsto all’articolo 18 della Costituzione”. Mentre, le norme contenute nel testo base predisposto dal relatore del Pd Matteo Richetti, ha aggiunto, “violano l’articolo 49 della Costituzione. Il metodo democratico può e deve essere solo esterno al partito. Per questo lo abbiamo fatto”.
Il testo Richetti.
Prevede più obblighi per i partiti che vogliono usufruire del due per mille e dei benefici fiscali, mentre per i movimenti che non vogliono ricorrervi , come appunto il M5s, gli oneri sono minori.
Tuttavia anche per loro è obbligatorio avere un sito internet per la “trasparenza”, in cui pubblicare le procedure e gli organi che assicurano la democrazia interna.
Il M5S chiede l’abrogazione anche di questo comma, con un emendamento a prima firma di Federica Dieni.
Mazziotti (Sc): “M5s non trasparente”.
Il presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Andrea Mazziotti (Sc), intervenendo ieri sul caso del sindaco di Parma Federico Pizzarotti, lo ha messo in relazione alla riforma dei partiti.
“Vorrei   sottolineare – ha dichiarato Mazziotti a Repubblica – l’approccio double face alla trasparenza dei 5Stelle: chi si iscrive e chi si candida ha un dovere assoluto di trasparenza. Ma non un diritto alla trasparenza. Da un punto di vista legale, la decisione di sospendere Pizzarotti è probabilmente illegittima. Perchè non si capisce su quali regole, principi e delibere si fondi. Grillo pare abbia il potere assoluto di sospenderti, senza contraddittorio. Casi come questo dimostrano quanto sia urgente una legge sui partiti e movimenti politici”.
Pd: “I 5s preferiscono i diktat del guru”.
È il commento, espresso in un tweet, di Silvia Velo, sottosegretario all’Ambiente e deputata del Pd.

(da “La Repubblica”)

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ROMA, LA METRO PIU’ COSTOSA AL MONDO BLOCCATA DA SCAVI, CAUSE E 45 VARIANTI

Maggio 17th, 2016 Riccardo Fucile

LA LINEA C, INIZIATA NEL 2016, RISCHIA DI NON FINIRE MAI… SPESE AUMENTATE DEL 23% E LAVORI INDIETRO DI UN ANNO

C’era una caserma. Una grande caserma per i legionari di Roma, a pochi passi da quella che è oggi Porta Metronia.
L’hanno scoperta durante gli scavi per la stazione della linea C della metropolitana. Un ritrovamento sensazionale. Che però, da un altro punto di vista, è solo l’ultimo guaio per quella che si sta profilando come l’opera pubblica più costosa del dopoguerra.
Ci sono le camerate e le stanze degli ufficiali: alcune affrescate, altre con i pavimenti di mosaico. Era stata costruita quando a Roma regnava l’imperatore Adriano, ma un secolo più tardi l’avevano abbattuta, rasandola fino a un metro e mezzo da terra e poi interrandola, perchè nel frattempo avevano tirato su le mura aureliane e quel quartiere militare era rimasto fuori dalla cinta.
Sepolto per quasi 18 secoli, ci è voluta la metro C per farlo venire alla luce.
Ma le sue dimensioni sono così imponenti da chiedersi: com’è stato possibile che nessuno se ne sia accorto prima, quando hanno fatto i carotaggi?
Perchè i carotaggi, ovvero i saggi in profondità  per appurare se nello strato archeologico ci sono dei resti, sono sicuramente stati fatti, vero?
Domanda inevitabile, se si considera che il castro imperiale dell’Amba Aradam, com’è stato battezzato, occupa una superficie pari a metà  di quella della stazione che dev’essere realizzata lì sopra.
Sfortuna, dicono a mezza bocca in cantiere. Avranno bucato dove non c’era niente, chissà . Appunto.
Non può non tornare alla mente quella relazione dell’Autorità  anticorruzione, dove il presidente Raffaele Cantone sostiene che la superficialità  con cui sarebbero state condotte le indagini preliminari avrebbe «determinato una notevole aleatorietà  delle soluzioni progettuali da adottare nella fase di esecuzione e, ad appalto già  in corso di esecuzione, rilevanti modifiche rispetto alle previsioni contrattuali, in particolare l’effetto della nuova tipologia esecutiva delle stazioni»
Ed è qui, con ogni probabilità , il cuore del problema.
C’entrano l’accuratezza delle indagini e la qualità  dei progetti: lo dice l’Anac.
Difficile spiegare solo con la sfortuna le 45 (quarantacinque) varianti in corso d’opera, con un costo lievitato da 3 miliardi e 47 milioni dell’aggiudicazione a 3 miliardi 739 milioni: 692 milioni di differenza, più 22,7 per cento, per un’opera iniziata dieci anni fa e che non è neppure a metà .
Mentre i costi continuano a salire inesorabilmente e i tempi, altrettanto inesorabilmente, ad allungarsi.
C’è un documento di qualche giorno fa nel quale è descritto uno stato di cose che dovrebbe preoccupare assai chiunque si dovesse sedere fra un mesetto sulla poltrona di sindaco della capitale. È la relazione del collegio sindacale di Roma Metropolitane, la società  del Campidoglio che gestisce l’appalto della Metro C con 180 persone.
Lì dentro si racconta che sei mesi fa il general contractor Metro C, di cui fanno parte Astaldi, Vianini del gruppo Caltagirone, il consorzio Cooperative costruzioni e l’Ansaldo Finmeccanica ha fatto causa alla stessa Roma metropolitane chiedendo altri 348 milioni. Il bello è che 71 milioni la società  comunale avrebbe già  dovuto pagarli da tempo, e per altri 152 aveva riconosciuto di doverli pagare.
Per non parlare di un paio di «atti aggiuntivi» a causa dei quali Metro C avanza la pretesa di una ventina di milioni. Non bastasse, lo stesso documento informa che i lavori alla stazione San Giovanni sono stati interrotti il 21 ottobre 2015: «sospensione», c’è scritto, «che ancora oggi impedisce l’avanzamento delle opere».
Ragion per cui, continuano i revisori, «i lavori della tratta dalla stazione San Giovanni fino al Colosseo registrano, al 31 ottobre 2015, un ritardo di 316 giorni rispetto al termine di fine lavori stabilito al 22 settembre 2020 con ingentissime riserve già  iscritte da Metro C».
Il risultato? L’area archeologica fra le più importanti del pianeta, parliamo di quella intorno al Colosseo, è destinata a restare un cantiere con monumenti quali la basilica di Massenzio avvolti dai ponteggi almeno fino al 2022: quando il mandato del prossimo sindaco sarà  già  finito da un pezzo. Per la maggior gioia dei milioni di turisti che nei prossimi sei anni arriveranno a Roma.
E la colpa non è certo di quel clamoroso ritrovamento archeologico, che forse poteva (e doveva) essere previsto.
Quella scoperta, anzi, potrebbe paradossalmente contribuire a dare una scossa a una vicenda dai contorni comunque inaccettabili per qualunque opera pubblica: a maggior ragione se c’è in ballo, come di sicuro in questo caso, una figuraccia planetaria.
La metropolitana più cara del mondo sta naufragando in un delirio di varianti, arbitrati, riserve e contenziosi. Di tutti contro tutti. Roma metropolitane fa causa al proprio azionista, il Comune di Roma, a colpi di decreti ingiuntivi, rivendicando 45 milioni. Il consorzio Metro C porta invece in tribunale Roma Metropolitane, chiedendone quasi 350. E anche all’interno stesso di Roma Metropolitane volano gli stracci: con il presidente Omodeo Salè che denuncia per diffamazione il collegio sindacale e il collegio sindacale che a sua volta denuncia il presidente alla Corte dei conti per danno erariale. Senza dire di alcuni strascichi maleodoranti, puntualmente citati nella relazione dei sindaci che contestano nuovamente, ad esempio, l’affidamento diretto a Metro C dei lavori per la pedonalizzazione dei Fori imperiali, inizialmente previsti in 2,2 milioni e poi ridimensionati a 700 mila euro.
Ce ne sarebbe abbastanza per mandare tutti a casa, chiudere la partita e ricominciare daccapo.
Ma ci vorrebbe la bacchetta magica solo per uscire dal groviglio delle carte bollate. Come sa bene il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, che ha messo l’ex assessore ai Trasporti della Regione Campania Ennio Cascetta al posto di responsabile della struttura di missione per le grandi opere un tempo guidata da Ercole Incalza.
E sta facendo sentire sempre di più il proprio peso sul dossier. Tanto che non ci sarebbe da meravigliarsi se la regia si trasferisse dal Campidoglio al ministero.
Anzi, dopo quello che si è visto finora dovremmo forse augurarcelo.
Peggio di così, certo non potrebbe andare.

Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)

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