Giugno 24th, 2016 Riccardo Fucile
I RAGAZZI DOVRANNO ANCHE FARE I CONTI CON VISTI E PERMESSI… L’ANALISI DEL PRORETTORE DELLA BOCCONI
Londra. La prima meta, fino ad oggi, per decine di migliaia di universitari italiani. Primo impiego per i 110 in Economia e Finanza, per gli ingegneri del Politecnico come per i geometri delle scuole superiori.
Soprattutto in atenei come la Bocconi, l’università privata milanese, in alcuni master il primo stage è all’estero per il 50 per cento degli iscritti. E Londra, è in testa a ogni lista.
Ma adesso, dopo la Brexit? «Siamo molto preoccupati», dice Stefano Caselli, prorettore agli Affari Internazionali dell’ateneo, che parla di una diaspora che si farà sempre più ampia e difficile.
«Dobbiamo ribadire però subito quanto ha detto anche Mario Draghi – il governatore della Banca centrale europea – ovvero che siamo di fronte a un fenomeno mai accaduto prima. Tutto ciò che possiamo prevedere è solo una supposizione. Entriamo in acque inesplorate, e già questa incertezza, da sola, farà del male a tutti».
Per questo, specifica: «L’unica strada sarebbe almeno quella di concludere l’accordo nei tempi più stretti possibili. Di evitare un limbo di due anni. Sarebbe un disastro». Intanto, con le dimissioni del premier David Cameron, la confusione nei rapporti Uk-Europa si amplia velocemente.
E ci sono in particolare due aspetti preoccupanti, per gli studenti, spiega Caselli. «Il primo, e più grave, riguarderà gli sbocchi lavorativi. Non è ancora chiaro cosa farà la Gran Bretagna per tenersi stretta la City e l’alta finanza, come lo farà e se riuscirà a preservare il ruolo che ha oggi, centrale per la vita del paese. Uno scenario possibile però è che comunque Londra perderà pezzi a vantaggio di New York e della Cina, che non aspettava altro che diventare la piazza finanziaria del mondo. Dubito che finiscano in Europa».
Di conseguenza, i neolaureati italiani dovranno seguire quelle stesse fughe di capitali: e allontanarsi oltreoceano o a Pechino. Anche solo per lo stage. Un caos.
«Con un doppio problema poi», spiega Caselli: «gli Stati Uniti sono molto protezionisti sul mercato del lavoro – trovare impiego è e sarà molto più difficile che in Gran Bretagna. Lo stesso in Cina: Pechino è diventata sempre più protettiva dell’offerta interna. Bisogna avere una laurea cinese per lavorare: noi ci salviamo perchè abbiamo dei rapporti per la doppia-laurea con l’università di Fudan. Ma non tutti hanno questa possibilità ».
Una diaspora. Schiacciata dal protezionismo.
Francesca Sironi
(da “L’Espresso”)
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Giugno 24th, 2016 Riccardo Fucile
CHI INNEGGIA NEL NOSTRO PAESE AL BREXIT INGLESE VUOLE PIU’ DISOCCUPATI ITALIANI
Mezzo milione di italiani vivono nella capitale britannica e nel resto dell’Inghilterra: la più grande
comunità di nostri connazionali all’estero.
Finora si sentivano — ci sentivamo — a casa: il passaporto dell’Unione Europea consentiva libertà di movimento e di lavoro in questo paese, come negli altri 27 stati membri della Ue. Ora cambia o potrebbe cambiare tutto.
Stamattina tanti nostri compatrioti si sono svegliati gridando “oh no!”: pensando al lavoro che hanno qui, pensando alla casa che hanno acquistando, pensando al futuro di figli che qui sono nati o cresciuti e andati a scuola e all’università .
Cosa accadrà a tutti loro? Nessuno lo sa con certezza, ma si possono fare previsioni, come l’ambasciatore italiano a Londra, Pasquale Terracciano, aveva spiegato a “Repubblica” durante la campagna referendaria.
Quelli che sono già qui.
Chi paga le tasse da più di 5 anni in Gran Bretagna può richiedere un permesso di residenza e la cittadinanza. Molti lo hanno già fatto, prendendo la doppia cittadinanza, britannica oltre che italiana, come consente la legge.
Molti di più verosimilmente lo faranno ora, ingolfando la burocrazia del ministero degli Interni britannico: il procedimento, attualmente, richiede tempo e denaro, un anno e almeno mille sterline.
Chi non intende restare per sempre, o comunque non ha fatto piani precisi per il domani, potrà probabilmente ottenere un visto di lavoro, da rinnovare ogni due-tre o anche cinque anni, presentando una richiesta da parte del proprio datore di lavoro: come si fa, per esempio, per lavorare negli Stati Uniti.
Quelli che non ci sono ancora.
Per chi vuole emigrare nel Regno Unito, in futuro, le cose saranno più complicate. Tanti ragazzi italiani non potranno più venire a Londra, trovare una sistemazione provvisoria e mettersi a cercare un lavoro. Il lavoro bisognerà cercarlo e ottenerlo prima di partire.
Fare il free-lance in Inghilterra, in qualunque campo, diventerà più difficile. Molti che lo stanno facendo saranno costretti a tornare in patria.
Altri rinunceranno a partire, preferendo altre mete in Europa. Magari, se vogliono parlare inglese e rimanere in Europa, andranno in Scozia — se la Scozia abbandonerà la Gran Bretagna per restare nella Ue, come è possibile.
Quelli che ci vengono per turismo.
Non cambierà niente: in vacanza a Londra si continuerà a venire. Sembra inconcepibile che, almeno per paesi come l’Italia, la Gran Bretagna richieda un visto turistico, anche perchè altrimenti pure gli inglesi avrebbero bisogno di un visto per andare in vacanza in Italia.
Molti paesi al di fuori dell’Unione Europea, del resto, possono visitare per turismo la Gran Bretagna senza un visto. Gli italiani andranno in vacanza a Londra come vanno negli Stati Uniti e in tanti altri posti: senza visto.
Sarà anzi questo il mezzo, per alcuni, per fermarsi più a lungo: entrare da turisti, probabilmente con la possibilità di rimanere fino a tre mesi, cercare lavoro e quindi, trovatolo, trasformare il proprio visto turistico in visto di lavoro.
Ma è una trafila molto più complicata del regime attuale.
Quelli che non ne vorranno sapere.
Uno scienziato italiano che lavora da un quarto di secolo a Londra confidava, nei giorni scorsi: “Se non mi vogliono, non chiederò la cittadinanza britannica, me ne andrò in Olanda o da qualche altra parte, in un paese che si sente europeo”.
Ci sarà anche chi non sopporta questo schiaffo e preferirà trasferirsi altrove, o magari tornare in patria.
O come ha raccontato a “Repubblica” qualche giorno or sono la ragazza che fa la cameriera in una pizzeria di Londra, decidere che, se proprio devi avere un visto per lavorare qui, tanto vale chiederlo per luoghi con un clima migliore: “Me ne andrò da questa isola piovosa e coronerò il mio sogno di vivere in Australia”.
Quelli che studiano.
Gli studenti universitari potranno ottenere un visto di studio. Ma non potranno più ottenere il prestito che al momento è esteso a tutti gli europei, in grado di coprire interamente le 9 mila sterline annue di retta universitaria, da restituire solo dopo la laurea, a rate e soltanto se si ha un lavoro. Fare l’università a Londra, per un italiano, diventerà ancora più caro.
(da “La Repubblica“)
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Giugno 24th, 2016 Riccardo Fucile
VENERDI’ NERO PER I MERCATI DI TUTTO IL MONDO…PAGHERANNO I PIU’ POVERI
Notte drammatica e venerdì nero per i mercati internazionali con la vittoria di Brexit che porterà la Gran Bretagna fuori dall’Unione europea.
In avvio a Milano solo il titolo Recordati riesce a fare prezzo e perde oltre il 9%, mentre tutti gli altri restano a lungo bloccati per l’eccesso di vendite. Con il passare di minuti iniziano le contrattazioni e il rosso a Piazza Affari si allarga fino all’11% con nessuna banca che ancora riesce a fare prezzo: per Bpm il rosso teorico è del 35%, mentre Unicredit e Intesa sono vicine al -25%, come tutti i titoli del credito del Vecchio continente.
Francoforte perde il 7% in linea con Londra (-5%) e Parigi (-8%). In mattinata Tokyo ha perso il 7,92% archiviando la peggior seduta dall’incidente nucleare di Fukishima. Per evitare danni maggiorni, il Giappone ha deciso l’applicazione del ‘circuit breaker’, il dispositivo che inibisce le funzioni di immissione e modifica degli ordini, limitando i ribassi troppo elevati. Un meccanismo che potrebbe essere utilizzato anche da Borsa italiana che sarebbe pronta a restringere la forchetta di oscillazione dei titoli, per contenere il flusso di vendite.
A terrorizzare gli analisti è anche il percorso travagliato che sancirà il divorzio tra Londra e Bruxelles perchè serviranno almeno due anni di negoziati che alimenteranno solo le incertezze.
“Brexit può essere la nuova Lehman” dice Vincenzo Longo, analista di Ig Markets.
A soffrire sono soprattutto le valute con la sterlina che dopo un avvio iniziale trionfante sulla scia dei sondaggi (volata ai massimi dal 2015, sfiorando gli 1,50 dollari), è crollata nella notte man mano che arrivavano i dati del vantaggio del “leave” dalla Ue, segnando un calo del 5% sul dollaro e arrivando a sfiorare 1,33: un crollo che ha superato quello del 1985.
Le fluttuazioni della sterlina andranno negli archivi come le più forti di sempre. La perdita nel giorno del referendum aveva già superato quella del “mercoledì nero” del 1992, quando la crisi valutaria spinse la Gran Bretagna fuori dal Sistema monetario europeo.
Debole anche l’euro che segue in negativo l’uscita dall’Ue di Londra. La moneta unica scende sotto quota 1,10 (1,0984) e a 111,56 contro lo yen, altra moneta rifugio in questi momenti.
Tempesta anche sui titoli di Stato: lo spread, la differenza di rendimento, tra Btp e Bund tedeschi si è ampliato fino a 185 punti base dalla chiusura a quota 130 punti per poi ritracciare a quota 150 con il decennale italiano che rende poco meno dell’1,5%, mentre il tasso del bund è piombato al minimo record di -0,17% per poi risalire a -0,15%.
Immediato l’effetto sulle materie prime: mentre il petrolio è in calo e cede oltre il 6% a 47 dollari per il barile Wti e il Brent perde poco meno (il 5,95%) a 47,88 dollari, corre l’oro, considerato il bene rifugio per eccellenza.
Le quotazioni del metallo giallo, forti da giorni, salgono del 7,8% ai massimi dal 2008.
(da agenzie)
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Giugno 24th, 2016 Riccardo Fucile
“NOI SIAMO EUROPEI, VOGLIAMO RIMANERE NELL’UNIONE, REFERENDUM PER STACCARCI DA LONDRA”…EDIMBURGO E BELFAST VOGLIONO RESTARE IN EUROPA
Il Regno Unito ha deciso: via dall’Ue. Una decisione che spacca l’Europa, ma che potrebbe avere
risultati ancora più nefasti: la disgregazione del Regno Unito stesso, lacerato dai sentimenti pro o contro Unione che ora potrebbero esplodere in nuove richieste di referendum, indipendenza o secessione.
Le prime richieste sono già arrivate, a caldo, dalla Scozia e anche dall’Irlanda del Nord.
Edimburgo: “Ora un nuovo referendum”.
Paradossale la situazione della Scozia, che fa parte del Regno Unito insieme a Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord e dove proprio oggi arriva il candidato repubblicano alla Casa Bianca, Donald Trump.
Due anni fa, al referendum indipendentista lanciato dall’allora premier nazionalista Alex Salmond, ha votato contro l’addio a Londra. Ora, nonostante ieri tutti i 32 circoscrizioni abbiano scelto in blocco l’Europa e Bruxelles (per un totale di oltre il 60% di voti), si ritrova fuori dall’Unione, contro la sua volontà popolare.
Dopo la notizia della vittoria del Brexit, Salmond in un’intervista a ITV ha subito accennato un altro referendum di indipendenza da Londra “nel giro di due anni”, la cui richiesta scatterà appena il premier britannico David Cameron (o chi per lui, visto che il suo futuro politico appare molto incerto) inizierà i negoziati con Bruxelles per uscire definitivamente dall’Unione.
“Noi vogliamo rimanere in Europa”, ha detto l’ex primo ministro, “anche se questo non significherà che adotteremo l’euro”. E dal suo partito, lo Scottish National Party, filtra “che bisognerà trovare qualche meccanismo per preservare il nostro rapporto con Bruxelles”.
“Noi siamo europei”.
L’attuale primo ministro scozzese, Nicola Sturgeon, colei che è succeduta a Salmond alla guida del governo e dello Scottish National Party, ha rincarato la dose: “La Scozia ha consegnato un voto chiaro, senza equivoci, per la permanenza nella Ue e accolgo con favore questo sostegno al nostro status europeo”.
“Il voto qui chiarisce che il popolo scozzese vede il suo futuro nell’Unione Europea” ha aggiunto Sturgeon, che da tempo solleva l’ipotesi di un nuovo referendum sull’indipendenza scozzese in caso di Brexit. “La Scozia ha parlato. E ha parlato chiaro”.
Torna la tensione in Irlanda?
Ma la Brexit ha riacceso gli animi anche in Irlanda del Nord, che a breve potrebbe diventare un altro fronte caldissimo. Qui si invoca un altro referendum, stavolta per la riunificazione delle due Irlande, dal momento che Dublino appartiene fedelmente all’Unione Europea.
“Con l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, l’Irlanda dovrebbe andare al voto per la propria riunificazione”, ha detto il vicepremier dell’Irlanda del Nord, Martin McGuinness, storico leader del partito nazionalista irlandese Sinn Fèin ed ex affiliato dell’Ira.
Perchè con la Brexit, ha spiegato, ci sono “enormi conseguenze per l’intera isola d’Irlanda, che andrebbero contro le aspettative democratiche del popolo. E l’elettorato dovrebbe avere il diritto di votare per mantenere un ruolo nell’Ue”.
(da “La Repubblica”)
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Giugno 24th, 2016 Riccardo Fucile
I VECCHI HANNO DECISO COME AMMAZZARE IL FUTURO DEI GIOVANI
Lo shock, questa mattina, è forte per tutti, ma soprattutto per loro: i giovani britannici di età compresa tra i 18 e i 24 anni che, secondo il sondaggio finale di YouGov, hanno votato in stragrande maggioranza per restare nell’Ue.
Il trend è significativo: in questa fascia d’età , il 72-75% sarebbe voluto restare nell’Unione, contro uno scarso 19% che sosteneva invece la Brexit.
Come sintetizza il Mirror, i grandi sconfitti in questo referendum sono senza dubbio i giovani.
“I giovani hanno votato con un ampio margine per restare, ma il loro voto è stato surclassato”, ha commentato Tim Farron, leader dei Liberal democratici. “Sono andati a votare per il loro futuro, che però gli è stato portato via”.
Sempre secondo la rilevazione YouGov, a sostenere la Brexit sono stati soprattutto i pensionati: solo il 34% avrebbe votato per il fronte del Remain, almeno il 59% per quello della Brexit.
Alla spaccatura generazionale si aggiunge quella geografica, per cui emerge un Regno sempre meno unito.
Per la vittoria del Leave, infatti, è stato determinante il trionfo nelle contee conservatrici e nel cuore del vecchio Labour in Galles e nel nord dell’Inghilterra. Londra, la Scozia e l’Irlanda del Nord, al contrario, hanno sostenuto con forza il Remain, ma non è bastato.
(da “Huffingtonpost“)
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