Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
IL MOVIMENTO DI PISAPIA ATTIRA SIMPATIE TRA I DISSIDENTI GRILLINI
È un esodo cominciato da almeno due anni, ma che adesso sembra trovare un approdo. 
A Genova, La Spezia, Livorno, Lucca, come in alcuni comuni della Lombardia e in parte dell’Emilia Romagna, centinaia di attivisti dei 5 stelle stanno lasciando il Movimento dando vita a gruppi che emulano l'”Effetto Parma” di Federico Pizzarotti.
E che convergeranno presto in un coordinamento nazionale di liste civiche pronto a dialogare con il campo progressista di Giuliano Pisapia e con tutto quel che si muove a sinistra sui territori.
La fuga più evidente è in Liguria, dove gli iscritti che stanno abbandonando sono 200.
A Genova, quattro consiglieri comunali su cinque sono fuoriusciti dal Movimento lamentando scelte calate dall’alto.
A guidarli è Paolo Putti: uno della vecchia guardia, un ecologista stimato e riconosciuto in città anche al di fuori della base grillina.
Sotto la Lanterna sono in corso le grandi manovre per presentarsi alle prossime amministrative appoggiando un candidato di peso, magari l’ex editore di Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio e Dario Fo, cioè Lorenzo Fazio di Chiarelettere.
Che ha un background di sinistra, è legato al mondo ambientalista e a don Andrea Gallo. L’ipotesi è che alla fine lo sostengano Effetto Genova e Rete a Sinistra, che a livello regionale tiene insieme Sinistra Italiana e Rifondazione.
“Valuteremo nei prossimi giorni – dice l’ex grillino Mauro Muscarà – siamo aperti alla prospettiva, ma discuteremo al nostro interno, cosa che nel Movimento era impossibile fare “.
Come per contagio, a La Spezia accade qualcosa di simile, con il consigliere comunale M5S Fabio Vistori che annuncerà nei prossimi giorni la sua fuoriuscita dal partito di Grillo e Casaleggio e l’adesione a Effetto Spezia:
“Per me Pizzarotti è sempre stato un punto di riferimento – spiega – un amministratore capace di coniugare i nostri valori con il realismo di governo. Oggi invece nel Movimento siamo al libro dei sogni e alla fedeltà assoluta a chi detta le regole”.
Nella sua città gli attivisti avevano eletto candidato sindaco Marco Grondacci, che però negli anni ’80 era stato consigliere di frazione e poi provinciale (in tutto 4 anni e 7 mesi) per i Verdi. Così, è stato estromesso.
“A volte si danno deroghe e a volte no. Chi decide? Guarda un po’ alla fine hanno nominato la persona da sempre sostenuta dai vertici”, continua Vistori.
Sempre in Liguria, al Palazzo della Regione si dice abbia le settimane contate il consigliere regionale Francesco Battistini, reo di aver solidarizzato con Putti e compagni in un’intervista a Repubblica. Il blog ha già comunicato che la sua condotta è stata messa sotto esame dai probiviri.
Scendendo a sud, c’è un altro consigliere comunale, Marco Valiani, pronto a creare Effetto Livorno in antitesi al sindaco Filippo Nogarin.
Mentre è già nata Effetto Lucca. Dove un grillino della prima ora come Pietro Bernicchi ha lanciato l’associazione omonima: “Cinque anni fa il M5S era fatto di quattro gatti. A sorpresa prendemmo l’8 per cento qui. Poi c’è stato l’assalto alla diligenza. Pochissimo di quelli delle origini sono rimasti. La famosa Carta di Firenze, se la rileggo ora, sembra una barzelletta”.
Un altro “effetto” dovrebbe nascere a Comacchio, dove il sindaco Marco Fabbri era stato cacciato dal Movimento per aver osato proporre di correre alle provinciali.
“Ci stanno pensando – assicurano da Parma – un asse in Emilia Romagna sarebbe importante “.
Gli uomini di Federico Pizzarotti tengono i contatti con tutti. “Ci chiamano in molti – racconta il sindaco di Parma – ma noi restiamo coi piedi per terra: prima di tutto vengono le prossime amministrative. Senza la forza di una ricandidatura, non andiamo da nessuna parte”. Nel frattempo, però, ha preparato un manifesto: “Una carta dei valori cui aderire, perchè non vogliamo imbarcare chiunque”. E un logo, una rete (fisica), simbolo di diverse esperienze che si tengono insieme.
Mentre a lui guardano anche i parlamentari fuoriusciti dai 5 stelle che hanno fondato Alternativa Libera:
“La nostra costituente – dice Massimo Artini – è il 18 marzo a Roma. Abbiamo creato 50 associazioni in 13 regioni. Con Parma c’è un dialogo molto molto stretto”.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
IL PIANO DI COLOMBAN RIGUARDA 24.000 LAVORATORI… IN CAMPAGNA ELETTORALE LA RAGGI NON NE AVEVA PARLATO
Machete alla mano, l’assessore alle Partecipate di Roma Massimo Colomban è quasi arrivato alla fine della giungla di società che fanno capo al Campidoglio.
Sul suo tavolo, come annuncia lo stesso assessore veneto, c’è il piano «per l’accorpamento e la dismissione delle 32 partecipate comunali, con l’obiettivo di portarle a una decina circa nell’arco di uno o due anni».
Una rivoluzione in cui entreranno, giocoforza, i 24mila lavoratori delle aziende partecipate, ma Colomban promette: «Faremo tutto, probabilmente, senza licenziare nessuno».
Un «probabilmente» che, con certezza assoluta, farà correre dei brividi lungo la schiena dei dipendenti delle società interessate.
Le aziende «saranno riorganizzate e efficientate» e di questo lavoro si occuperà «un gruppo di dieci persone», equamente divise tra il riassetto organizzativo e il controllo dei bilanci.
Nella fortunata dozzina di società da salvare, entreranno Atac e Ama, così come Roma Metropolitane, ripescata in extremis dalla liquidazione annunciata un mese fa da Virginia Raggi, mentre sono a rischio molte altre realtà , come quella di Farmacap, della Multiservizi o del Centro agroalimentare di Roma, da sempre considerato un fardello all’interno del Campidoglio pentastellato.
Sulle aziende da salvare, il lavoro di riorganizzazione non sarà comunque semplice.
Per quanto riguarda Ama, l’azienda dello smaltimento rifiuti, Colomban chiede da tempo un cambio di posizione: «La società ha un numero di inabili al lavoro di quasi duemila persone su 8mila totali. Una percentuale sballata. Per questo, credo ci siano posizioni di rendita. Non vogliamo forzare nulla e coinvolgeremo i sindacati, ma si deve tornare a una situazione di normalità ».
L’azienda del trasporto pubblico Atac, se possibile, sta anche peggio, lontana anni luce da un auspicabile pareggio di bilancio.
L’estensione di Roma non aiuta – è la difesa d’ufficio dell’assessore – con 8.500 chilometri di strade da percorrere.
«Per i trasporti – dice -, comporta dei costi incredibili. In passato, questi costi non sono nemmeno stati affrontati in maniera razionale, visto che si è preferito spendere in personale piuttosto che in investimenti per cambiare gli autobus, che hanno una media di 11-12 anni. Anche questo aiuta a spiegare perchè Atac ha un bilancio sempre in deficit». Dunque, c’è un problema di personale, come testimoniato anche da Colomban, che però rischia di risolversi in una tarantella di spostamenti all’interno delle dieci mega-società in divenire. Nell’operazione, poi, rientreranno anche le partecipazioni comunali di una cinquantina di fondazioni e associazioni, valutandone caso per caso l’utilità per i cittadini e per l’amministrazione comunale.
In campagna elettorale, di dismissioni e liquidazioni delle partecipate Virginia Raggi aveva preferito non parlarne.
Troppo pericoloso, in una città che conta un dipendente comunale ogni 110 residenti. Meno rischi, invece, si corrono affrontando il tema della «rinegoziazione del debito di Roma», sparito dopo la vittoria elettorale dai radar delle priorità capitoline.
La ricetta utilizzata, alla fine, diventa quella meno fantasiosa, che non accarezza argomentazioni anti-casta, e che piace di meno ai dipendenti capitolini.
Federico Capurso
(da “La Stampa”)
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Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
LA RICERCA COMMUNITY MEDIA RESEARCH: PER META’ DEGLI ITALIANI LA LIBERA COMPETIZIONE ACCRESCE LE DISEGUAGLIANZE
La Stampa pubblica oggi i risultati di una ricerca Community Media Research il collaborazione con
Intesa San Paolo in cui si sonda la popolazione italiana su come sia meglio agire per uscire dalla crisi, se fare leva sulla libera iniziativa (mercato), sulle risorse della società civile (sussidiarietà ) o sull’intervento pubblico (stato).
La libera competizione divide nettamente gli orientamenti.
Per il 49,1% è il modo migliore per avviare lo sviluppo, ma per l’altra metà (50,9%) aumenta le disuguaglianze.
La competizione sembra associata più alla «perdita», che al «merito».
Prevale l’idea del più forte che schiaccia il più debole, rispetto a una prospettiva dove i talenti si sfidano e sollecitano a un miglioramento progressivo.
Potrebbe essere diversamente leggendo le cronache quotidiane degli intrecci di interesse, delle corruttele di politici, imprenditori e professionisti?
Quando l’umore prevalente è che per accedere a posizioni di rilievo (e non solo) siano necessarie le raccomandazioni, più che i meriti?
Forse non è un caso, allora, che ad associare la competizione a un aumento delle diseguaglianze siano proprio i dipendenti, mentre chi propende per una maggiore libertà d’azione sia al di fuori del mercato del lavoro (giovanissimi e ultra 65enni).
Nel dettaglio alla domanda “Per ridurre le diseguaglianze sociali in Italia sarebbe necessario soprattutto…” il 65% degli intervistati risponde “Incrementare le politiche pubbliche dello Stato”, mentre soltanto il 35% replica “promuovere la libera collaborazione tra i cittadini”.
C’è però da segnalare che la risposta alla domanda “lasciare più spazio alla competizione in tutti gli ambiti” è più combattuta: il 49% dice che sarebbe il modo migliore per uscire dalla crisi mentre il 51% sostiene che farebbe aumentare le diseguaglianze nel paese. Forse questa contraddizione tra la prima e la seconda questione nasce dal fatto che lo Stato viene — correttamente, secondo l’articolo 3 della Costituzione e il principio di eguaglianza sostanziale — individuato come il primo soggetto che deve agire per le diseguaglianze sociali, mentre nella seconda questione si parla più generalmente di “situazione italiana”.
La Stampa opera anche una distinzione tra quattro gruppi in base all’atteggiamento degli italiani nei confronti di Stato, mercato e società : il gruppo più cospicuo è quello degli «statalisti» (39,1%), particolarmente diffuso fra i 30enni, gli operai e chi vive nel Mezzogiorno: ritengono la competizione apportatrice di disuguaglianze e per combatterla è necessario incrementare l’intervento statale.
Segue quello dei «riformisti» (26,3%) costituito da chi vede nell’aumento della competizione lo strumento migliore per uscire dalla crisi, ma contemperato dall’intervento pubblico nel calmierare le disuguaglianze.
Il terzo gruppo è rappresentato dai «liberisti» (22,9%): la libera competizione e la collaborazione fra i cittadini sono le risorse principali per far ripartire il paese.
Infine, i «sussidiari» (11,7%): temono la competizione per le disuguaglianze che può generare, ma ritengono la mobilitazione della società civile la risposta migliore per ridurle.
(da agenzie)
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Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
UNA VAGA BOUTADE PER RUBARE AL M5S UN TEMA ELETTORALE
A prima vista sembrerebbe una boutade che mira a rubare all’opposizione un tema elettoralmente valido. Ma basta grattare la superficie per scoprire… che è proprio così.
Ieri Matteo Renzi in un’intervista al Messaggero ha lanciato il tema del lavoro di cittadinanza, che dovrebbe sostituire l’idea del reddito di cittadinanza cavallo di battaglia del MoVimento 5 Stelle.
Ma Renzi ha usato parole molto vaghe per definire i contorni della sua proposta: «Contesto la risposta grillina al problema. Garantire uno stipendio a tutti non risponde all’articolo 1 della nostra Costituzione che parla di lavoro non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio, ma anche dignità . II reddito di cittadinanza nega il primo articolo della nostra Costituzione».
«Serve un lavoro di cittadinanza. In questo tempo di forti cambiamenti dobbiamo rivoluzionare il nostro welfare che negli Usa non c’è come da noi in Europa».
Su Raitre, durante l’intervista con Fabio Fazio a Che tempo che fa, è tornato sul tema senza spiegare chiaramente cosa intendesse: «Il discrimine oggi non è la preoccupazione perchè l’innovazione produca una crisi occupazionale ma come la politica risponde. Noi dobbiamo trovare un paracadute per chi non ce la fa, per i più deboli, ma non possiamo dire reddito cittadinanza, che vuol dire ‘tranquillo ci pensa papi’ che è lo Stato. L’Italia muore così. Io dico provaci, non ce la fai? Ti do una mano, ti faccio fare un corso di formazione».
In entrambe le occasioni le parole di Renzi sono vaghe tanto da somigliare a quegli slogan che ha imputato spesso ai suoi oppositori.
L’unico elemento in più che ha aggiunto l’ex premier è il “corso di formazione”, ovvero quello che il nostro disastrato welfare già offre.
A parte i balbettii, va però detto che da tempo il Partito Democratico starebbe elaborando una proposta (affidandola all’ex sottosegretario Tommaso Nannicini) alternativa a quella del reddito di cittadinanza che da sempre è tra i punti centrali della proposta politica del MoVimento 5 Stelle.
«Sono d’accordo che la politica debba dare una risposta al grido d’allarme dell’Alleanza contro la povertà , perchè il costo dell’instabilità politica non sia pagato dai poveri. Ma ci sarebbe un modo semplice per farlo. La delega non è arenata, manca solo l’ultimo miglio: il Senato potrebbe approvare il testo della Camera così com’è e il governo impegnarsi a varare il decreto attuativo sul reddito d’inclusione in un mese», aveva detto il coordinatore del programma della segreteria del PD alla Stampa. Secondo Nannicini «ci sono a disposizione un miliardo e ottocento milioni di euro con i quali possiamo dare sostegno monetario all’85 per cento delle famiglie con redditi al di sotto dei tremila euro l’anno. Poi, con altri 300 milioni possiamo arrivare al 100 per cento di quelle 500 mila famiglie. Un passo fondamentale verso quella misura unica di contrasto alla povertà di cui si parlava da anni».
Anche per decreto, se necessario. Ma c’è un problema: il reddito di inclusione di cui i ministri stanno parlando servirà , sì, ma soltanto a talune delle famiglie in povertà : «Si tratterà di un sostegno finanziario non assistenziale, che dovrà rispettare determinati criteri e che coinvolgerà nella prima fase famiglie con minori. — ha spiegato Martina — Per ampliare poi il bacino con l’aumento delle risorse. In questi anni la sperimentazione del Sia (Sostegno per l’inclusione attiva) è stato un passo importante in alcune città ».
La differenza tra lavoro e reddito di cittadinanza
A dispetto del nome, invece, quello proposto dai 5 Stelle non è un “reddito di cittadinanza”, ma un reddito minimo garantito: che va a chi è sotto la soglia di povertà monetaria dell’Ue 2014 (9.360 euro annui).
Funziona così: chi è a zero prende 780 euro al mese, se invece ha già un reddito riceve un’integrazione. Il sussidio, in realtà , non è individuale ma basato sul nucleo familiare, due esempi:780 euro se composto da un singolo individuo; 1.638 con due adulti e due minori a carico.
L’integrazione non dovrebbe dissuadere dal lavorare, perchè permette di migliorare la propria condizione superando le soglie base.
Per fare un esempio: con un reddito di 250 euro mensili, un singolo avrebbe come integrazione 555 euro (superando i 780 di base), due adulti e due minori 1.443 (1.663).
Le soglie oltre le quali non si ha più diritto al sussidio sono rispettivamente 750, 1.000 e 1.750 euro.
Il sussidio è condizionato ad alcuni obblighi, per esempio non rifiutare più di tre offerte di lavoro, frequentare corsi di formazione e accettare impieghi socialmente utili.
In questo modo i costi sono più contenuti. La stima fatta l’anno scorso dall’Istat è di 14,9 miliardi annui (per 2,79milioni di famiglie).
Il tutto da verificare ovviamente nella pratica.
L’idea non è solo italiana: in Francia Emmanuel Macron ha proposto di modificare la Revenu de solidaritè active (RSA) raddoppiandone l’importo (attualmente è in media di 470 euro), una misura che ammonta a circa 10-12 miliardi di euro, una cifra pari allo 0,5 il debito pubblico e che vale 0,7 punti di TVA (l’IVA francese).
(da “NextQuotidiano”)
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Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
GUAI A DEDICARE UN OSCAR AGLI IMMIGRATI, IL FIGLIO DI PAPA’ FANCAZZISTA CHE SI PULIVA IL CULO CON IL TRICOLORE E FREQUENTAVA IL LEONCAVALLO HA UNA CRISI ISTERICA: “FACILE PARLARE CON IL PORTAFOGLIO PIENO”… MA FORSE SI RIFERIVA AL SUO, BEN GONFIO
Strani personaggetti questi sedicenti sovranisti di buona famiglia che, dopo essere passati dalla
frequentazione del Leoncavallo al comunismo padano, con relativo tricolore da usare come carta igienica, sorvolando dalla secessione al nazionalismo becero, non trovano di meglio che imsultare due italiani che hanno onorato professionalmente il nostro Paese, fino alla vittoria dell’Oscar del cinema per il miglior trucco.
Ritirando l’Oscar, Bertolazzi ha detto: “Sono un immigrato, vengo dall’Italia e lavoro in giro per il mondo. Questo (premio) è per tutti gli immigrati”, rendendo omaggio anche alla moglie Giovanna che lo ha sostenuto “per tutta la vita”.
Bertolazzi, nato a Vercelli, era alla sua prima candidatura ma lavora da anni con i grandi del cinema.
Ha iniziato con il teatro e la sua carriera è decollata con “Malena”, il film di Giuseppe Tornatore con Monica Bellucci uscito nel 2000.
Oggi lavora con la prestigiosa agenzia Milton di Londra e ha truccato star del calibro di Penelope Cruz, Brad Pitt e Leonardo Di Caprio.
Un italiano che ha sempre lavorato, portando nel mondo l’orgoglio di appartenenza al nostro Paese.
E chi poteva insultarlo se non uno che non ha mai fatto un cazzo in vita sua, a parte seminare odio e mantenere una vita agiata grazie ai 13.000 euro al mese del Parlamento europeo da cui a parole vorrebbe uscire, non prima però di aver riscosso ogni mese lo stipendio?
Bertolazzi, reo di aver dedicato la statuetta per il miglior trucco a “tutti gli immigrati” è il bersaglio mattutino di Salvini che sfodera la solita frase che usa da anni: “facile fare i buonisti con il portafoglio pieno”.
Certo, lui che notoriamente vive in una baraccopoli dove ospita anche altri clochard italiani, è il personaggio adatto a parlare, soprattutto di ipocrisia e di portafogli pieni.
Fino a che una pernacchia lo seppellirà .
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Febbraio 27th, 2017 Riccardo Fucile
NON VINCE IL “TRUMPIANO” E BUONISTA LA LA LAND, MA IL CONTROVERSO AMORE BLACK E GAY DI MOONLIGHT
È stata una serata memorabile, surreale è dir poco, una di quelle che se l’avesse scritta il migliore degli autori, non sarebbe mai riuscita così bene.
L’89esima edizione degli Oscar sarà ricordata per un errore che è arrivato nel finale che in uno show televisivo non è mai stato così “grande”.
Poco dopo le sei del mattino, orario italiano, per celebrare i cinquant’anni di uno dei film più popolari della storia di Hollywood, Bonnie&Clyde (di Arthur Penn), salgono sul palco i protagonisti Warren Beatty e Faye Dunaway per annunciare il vincitore della categoria più importante, il Miglior Film.
È Beatty ad annunciare la vittoria di La La Land, il musical di Damien Chazelle che per questa edizione ha ricevuto quattordici candidature, diventate poi sei statuette. Seguono applausi e lacrime con l’intero cast sul palco e i produttori che ringraziano con tanto di Oscar in mano.
Stiamo per andare a dormire e spegnere la tv, ma all’improvviso c’è qualcuno sul palco che segnala l’errore.
Incredibile, ma vero, il vincitore non è il film di Chazelle, ma Moonlight di Barry Jenkins, gridato al mondo con un vero e proprio colpo di scena.
Come è stato possibile? Presto arriva la spiegazione: Warren Beatty ha ricevuto la busta sbagliata.
Quella precedente, con l’annuncio della migliore attrice sulla quale c’era scritto “Emma Stone, La La Land”.
A confermare il tutto, il presentatore della serata, Jimmy Kimmel, che mostra la busta — quella giusta — con il nome del vero vincitore, e saluta il pubblico dicendo che sapeva che “avrebbe rovinato il tutto prima della fine”.
Promette tra lo stupore generale di “non tornare mai più”.
La serata aveva avuto un inizio dance con Justin Timberlake che si è esibito con Can’t stop the feeling, facendo scatenare tutto il pubblico del Dolby Theatre di Los Angeles, con le battute del presentatore – che ha riservato buona parte del monologo iniziale al presidente americano Donald Trump citando “la sopravvalutata Meryl Streep”, salutata dall’intera sala con una lunga standing ovation.
Niente Oscar per “Fuocoammare”, il toccante film di Gianfranco Rosi che lo scorso anno conquistò l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, ma guai a parlare di delusione, perchè essere lì è stata già una vittoria.
Senza ombra di dubbio, il film è un indiscutibile successo internazionale che ha fatto conoscere al mondo gli sbarchi di Lampedusa e lo straordinario lavoro di Pietro Bartolo, il medico che da oltre venticinque anni accoglie i migranti “nell’isola degli sbarchi” vivendo in prima persona quella che è stata definita la più grande emergenza umanitaria del nostro tempo.
Un grande esempio di coraggio e di impegno civile, uno straordinario monito contro l’indifferenza di chi non vuol vedere, ma l’Oscar per il miglior documentario è andato a “OJ: made in America” di Ezra Edelman, il più lungo mai candidato dagli Academy (dura otto ore), una saga sulla razze, sulla celebrità , i media, la violenza e il sistema della giustizia americana.
L’Italia può però ritenersi a suo modo soddisfatta, perchè è riuscita ad assicurarsi l’ambita statuetta per l’hair & make up: a vincerla, assieme a Christopher Nelson, Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini per il blockbuster “Suicide Squad”.
“Sono un italiano, sono un emigrante e lo dedico a tutti gli emigranti come me”, ha detto Bertolazzi nel suo discorso di ringraziamento. L’italo-americano Alan Barillaro ha vinto l’Oscar per il miglior Cortometraggio d’animazione grazie al sorprendente “Piper”, il corto prodotto dai Pixar Animation Studios che racconta la storia di un piccolo piovanello che deve imparare a procurarsi il cibo e affrontare la propria idrofobia sotto lo sguardo amorevole della sua mamma.
Il miglior film straniero è andato invece a “Il cliente” del regista iraniano Asghar Farhadi, non presente alla serata per protesta contro la legge anti immigrazione di Trump.
Ad annunciare il vincitore, sul palco, Charlize Theron e Shirley MacLaine, accolta con una standing ovation seguita dalla lettura delle parole del regista: “La mia assenza è un atto di rispetto verso i miei concittadini e quelli di altri sei paesi che hanno subito una mancanza di rispetto per una legge disumana. Dividere il mondo in due categorie, noi e i nostri nemici, porta alla paura”.
Il tweet
“Donald Trump, sei sveglio?”, scrive Jimmy Kimmel, il presentatore della 89ma edizione degli Academy Awards, al presidente degli Stati Uniti, un tweet scritto in diretta televisiva e condiviso centinaia di migliaia di volte.
Kimmel si chiedeva infatti come mai Trump non avesse ancora twittato qualcosa sulla notte degli Oscar. Poi scrive un secondo messaggio (“Meryl dice ciao”): si riferisce a Meryl Streep, che ai Golden Globes si era espressa contro il neo-presidente, e che Donald Trump aveva poi definito “attrice sopravvalutata” proprio su Twitter.
Oscar is blac
Dopo le polemiche dello scorso anno sugli Oscar troppo bianchi, la rivincita per gli attori afro-americani è arrivata. Vincono Mahershala Ali per Moonlight (oltre al Miglior Film) e Viola Davis, migliore attrice non protagonista per “Barriere”. Toccanti le parole della Davis: “La nostra è l’unica professione che può celebrare il significato della vita vissuta”.
OSCAR 2017 — Tutti i premiati:
Miglior film – “Moonlight”, Dede Gardner, Adele Romanski, Jeremy Kleiner Moonlight
Miglior attore – Casey Affleck, Manchester by the Sea
Miglior attrice – Emma Stone, La La Land
Miglior regista – Damien Chazelle, La La Land
Miglior attrice non protagonista – Viola Davis, Barriere
Miglior attore non protagonista – Mahershala Ali, Moonlight
Miglior film straniero – Il cliente, Asghar Farhadi
Miglior film d’animazione – Zootropolis, Byron Howard, Rich Moore, Clark Spencer
Migliore sceneggiatura originale – Manchester by the Sea, Kenneth Lonergan
Miglior canzone originale – City Of Stars (La La Land) Justin Hurwitz, Benj Pasek, Justin Paul
Migliore colonna sonora – La La Land, Justin Hurwitz
Miglior sceneggiatura non originale (La La Land) – Barry Jenkins, Tarell Alvin McCraney
Miglior fotografia – Linus Sandgren, La La Land
Miglior montaggio – John Gilbert, Hacksaw Ridge
Migliori effetti speciali – Il libro della giungla, Robert Legato, Dan Lemmon, Adam Valdez,
Miglior cortometraggio d’animazione – Piper, Alan Barillaro, Marc Sondheimer
Migliore scenografia – David Wasco, La La Land
Migliore scenografia – Sandy Reynolds-Wasco, La La Land
Miglior sonoro – Andy Wright, Hacksaw Ridge
Miglior Costumi – Animali Fantastici e dove trovarli
Miglior documentario – O.J.: Made in America
Miglior corto documentario – The White Helmets
Miglior cortometraggio – Sing
Miglior trucco – Alessandro Bertolazzi, Giorgio Gregorini e Christopher Nelson. Suicide Squad
(da “Huffingtonpost”)
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