Giugno 28th, 2017 Riccardo Fucile
LE PLURIPATOLOGIE CARDIACHE NON SONO PIU’ CURABILI IN CARCERE
«Il medico del carcere di Rebibbia in una relazione del 10 maggio su Marcello Dell’Utri ha descritto un quadro clinico grave per le pluripatologie diagnosticate, tanto da ritenere la sua situazione “non compatibile” con il regime carcerario».
Lo ha detto ieri il Garante dei detenuti, Stefano Anastasia.
«Ciò nonostante – prosegue Anastasia –il 31 maggio il Magistrato di sorveglianza ha rigettato in via provvisoria l’istanza di sospensione della pena per motivi di salute. L’udienza di trattazione del caso è stata fissata per il 21 settembre, a oltre cinque mesi dal deposito dell’istanza di sospensione pena per motivi di salute».
Dell’Utri è detenuto dal 13 luglio 2014.
Scrive Il Fatto Quotidiano in un articolo a firma di Giuseppe Lo Bianco che una relazione del 10 maggio stilata dal medico di Rebibbia ha ritenuto le pluripatologie cardiache dell’ex braccio destro di Silvio Berlusconi non più curabili in carcere.
La relazione non ha, però, convinto il magistrato di sorveglianza che il 31 maggio scorso ha respinto in via provvisoria l’istanza di sospensione della pena presentata dai legali di Dell’Utri, fissando l’udienza dimerito per il 21 settembre prossimo.
Una data che il garante ritiene troppo lontana, e per questo ieri ha auspicato che “la decisione non sia dilazionata e che siano debitamente acquisiti tutti gli elementi dell’indagine sanitaria svolta, per una valutazione completa che certamente non si limiterà a mere sintesi conclusive”.
Dell’Utri è stato condannato a sette anni per associazione mafiosa in via definitiva in Cassazione.
“Per diciotto anni, dal 1974 al 1992, Marcello Dell’Utri è stato garante dell’accordo tra Berlusconi e Cosa nostra”, aveva sostenuto il pg Galasso davanti alla Corte.
“In quel lasso di tempo”, aveva osservato il pg, “siamo in presenza di un reato permanente”. “Infatti, la Cassazione, con la sentenza del 2012 con cui aveva disposto un processo d’appello-bis per Dell’Utri, aveva precisato che l’accordo tra Berlusconi e Cosa nostra, con la mediazione di Dell’Utri”, ha aggiunto Galasso, “c’è stato, si è formato nel 1974 ed è stato attuato volontariamente e consapevolmente”.
Di fronte a un aggravarsi delle condizioni cliniche non è comprensibile “rinviare” una decisione a settembre: occorre assumersi una responsabilità , in un senso o nell’altro.
(da agenzie)
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Giugno 28th, 2017 Riccardo Fucile
FAMOSA LA SUA FOTO DIETRO AL GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA DUE ANNI FA AL CONVEGNO SULLA “FAMIGLIA TRADIZIONALE”
Il Papa ha deciso di dimettere Don Mauro Inzoli dallo stato clericale.
Il prete condannato nel giugno 2016 per pedofilia è stato ridotto allo stato laicale e il vescovo di Crema Daniele Gianotti ha comunicato la decisione del Papa ai fedeli attraverso una lettera pubblicata sul sito internet della diocesi.
Inzoli è diventato celebre quando nel gennaio 2015 la Regione Lombardia ha ospitato un convegno sulla «famiglia tradizionale» organizzato da Alleanza Cattolica e Fondazione Tempi.
Nel giorno successivo è cominciata a circolare una foto sui social network che segnalava la presenza tra il pubblico di Don Mauro Inzoli, all’epoca sospeso dallo stato clericale per ordine di Papa Francesco dopo alcune accuse di violenza su minori. Il sacerdote non era un «imbucato», ma era invece stato regolarmente accreditato da una famiglia, come disse lui stesso.
Qualche tempo dopo rivelò di essere stato invitato da amici di Costanza Miriano, l’autrice di “Sposati e sii sottomessa”.
Inzoli è stato condannato a 4 anni e 9 mesi di galera dal tribunale di Cremona per abusi sessuali nei confronti di cinque ragazzini che avevano dai 12 ai 16 anni al momento dei fatti.
Don Inzoli, detto Don Mercedes per il suo amore per le auto di lusso, ha risarcito ai cinque i danni scucendo la cifra di 125mila euro, 25mila a testa.
Il procuratore del tribunale di Cremona Roberto Di Martino aveva chiesto sei anni considerando il rito abbreviato e i risarcimenti, che gli hanno scontato un terzo della pena. Per lui c’è anche il divieto di avvicinarsi a luoghi frequentati da minori.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 28th, 2017 Riccardo Fucile
IL GIORNALISTA DEL “FATTO” PARLA DI DUE TELEFONATE CON LA SCIARELLI ALLA BASE DELL’ACCUSA MA LA PROCURA POTREBBE AVERE IN MANO ALTRI ELEMENTI
Il giorno dopo la storia che coinvolge Henry John Woodcock, Federica Sciarelli e Marco Lillo del Fatto continua a non essere per niente chiara.
Ieri Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera ha scritto per primo che il pubblico ministero di Napoli è indagato per violazione del segreto d’ufficio insieme alla sua compagna Sciarelli in relazione all’inchiesta CONSIP.
È utile fare chiarezza partendo dal percorso della notizia.
Sul Corriere ieri Bianconi ha scritto dell’indagine rivelando alcuni particolari di cui bisogna tenere conto: nel suo racconto il giornalista del Corriere ha segnalato un indizio interessante sulla fuga di notizie e sulle possibili accuse ai responsabili.
Nel dicembre scorso, non appena il fascicolo è passato per competenza da Napoli a Roma, con i nomi del comandante dei carabinieri Tullio Del Sette e del ministro Luca Lotti iscritti sul registro degli indagati per rivelazione di segreto e favoreggiamento nell’ambito dell’indagine sugli appalti Consip, la notizia è finita sulla prima pagina del quotidiano Il Fatto. Completa del particolare sul trasferimento degli atti nella Capitale.
Un sincronismo che ha indispettito non poco gli inquirenti romani, anche perchè foriero delle abituali polemiche su ogni indagine che sfiora la politica (e in questo caso si andava dritti sull’entourage di Matteo Renzi, oltre che sul padre Tiziano), con gli inquisiti pronti a correre in Procura per smentire ogni coinvolgimento.
Non appena è uscito l’articolo sul Corriere della Sera, il giornalista Marco Lillo sul Fatto ha difeso Sciarelli e Woodcock dicendo che la procura di Roma ha preso un granchio.
La tesi dell’accusa è probabilmente fondata, da quel che si legge, sui tabulati telefonici del mio cellulare e di quelli dei due indagati. Ebbene, non c’è grigio in questo caso, ma solo bianco o nero: Woodcock e Sciarelli sono innocenti e la Procura si è sbagliata. Le telefonate sospette dovrebbero essere quelle fatte da me il 20 dicembre. Quel giorno ho scritto il primo articolo sulle perquisizioni in Consip e sul ruolo di Tiziano Renzi nell’inchiesta, articolo uscito sull ‘edizione cartacea del 21 dicembre (“L’amico di Tiziano,il Giglio Magico e la gara da 2,7 mld”). Dopo avere ricevuto (con altra modalità che ovviamente tengo per me) le notizie sul pezzo, ho chiamato Federica Sciarelli solo per sapere dove si trovasse Henry John Woodcock.
Non è un mistero che il pm Woodcock e Federica Sciarelli siano legati sentimentalmente. Il mio obiettivo era sapere se Henry John Woodcock fosse a Roma, perchè sarebbe stato un riscontro alla notizia, da me già ottenuta ma che volevo ulteriormente verificare: cioè che fosse in corso una perquisizione alla Consip. Non dissi a Federica perchè volevo sapere dove fosse Woodcock e lei, solo per cortesia, mi rispose una cosa tipo: “Marco, se lo sento ti richiamo e ti dico”. Poi mi richiamò e mi disse una frase tipo: “Marco alla fine l’ho sentito e mi ha detto che non sta a Roma. Aveva un tono sbrigativo e ha attaccato”. Il giorno dopo, letto quello che avevo scritto, sempre al telefono Federica ha commentato con me ridendo: “Vedi come fa? Quello mi dice un sacco di cazzate quando deve coprire il segreto su una sua indagine”. Questo è tutto quello che è accaduto.
Ora, come è possibile notare a prima vista, nell’articolo del 21 dicembre non si parla di Tullio Del Sette e Luca Lotti iscritti nel registro degli indagati.
A Del Sette tocca l’onore di arrivare in prima pagina il giorno successivo, 22 dicembre. Quell’articolo si conclude così: «La soffiata a Roma ha avuto un effetto a Rignano? E chi andava in giro a svelare notizie riservate voleva favorire e salvare solo la Consip o qualcun altro? A queste domande dovrà rispondere la Procura di Napoli. O quella di Roma se, come appare probabile, il fascicolo sarà trasferito per ragioni di competenza territoriale».
La notizia del trasferimento dell’indagine viene data per certa il giorno successivo, quando compare sul quotidiano anche l’iscrizione nel registro degli indagati di Luca Lotti, il vero grande nome dell’inchiesta CONSIP. Proprio il 23 dicembre Marco Lillo scrive “E l’inchiesta passa a Pignatone”.
Scrive ancora Bianconi:
È come se stavolta, tentando di andare a fondo sull’origine della falla, la Procura di Roma avesse provato a svelare una trappola di cui si è sentita vittima; anche sfidando il rischio di essere accusati di fare un favore a Renzi, il quale di certo non ha mostrato simpatia per Woodcock e le sue indagini. Ora Pignatone e colleghi ritengono di avere elementi sufficienti per considerare Woodcock un protagonista del reato, anzichè una vittima come loro, e hanno deciso di contestarglieli. Sebbene indagini di questo tipo non siano mai semplici, e non sembra che sia stata trovata la cosiddetta «pistola fumante» per attribuire concertezza le responsabilità
Non solo.
La Stampa scrive che l’indagine riguarda anche quanto scritto dal Fatto il 27 dicembre, ovvero nel giorno in cui il quotidiano apre con la testimonianza di Filippo Vannoni, renziano di ferro e presidente di Publiacque a Firenze, il quale sostiene che Matteo Renzi sapesse dell’inchiesta CONSIP.
La Sciarelli verrà sentita il 30 giugno dai PM e intanto le è stato sequestrato il cellulare per controllare le conversazioni su Whatsapp.
Segno che, appunto, la telefonata di Lillo alla Sciarelli del 20 e quella del giorno dopo non sono i punti centrali dell’indagine.
Maria Elena Vincenzi su Repubblica fa sapere che Woodcock è indagato insieme a Marco Lillo dall’aprile scorso (quest’ultimo per pubblicazione arbitraria di atti, secondo il Messaggero), e poi spiega il punto che avvalora i sospetti del PM di Roma:
Due articoli in cui si dava conto dell’iscrizione per favoreggiamento e rivelazione del segreto del comandante generale dell’Arma, Tullio Del Sette (il 22), e del ministro dello Sport, Luca Lotti (il giorno successivo). In quelle ore una parte del fascicolo fu inviata a Roma per competenza. E, sempre in quelle ore, per la precisione il 20 dicembre a notte fonda, Luigi Ferrara, presidente di Consip, disse a Woodcock di aver saputo delle indagini dal numero uno dei carabinieri. Meno di 24 ore dopo, quella notizia finiva in prima pagina sul Fatto Quotidiano.
L’ipotesi dei pm capitolini è semplice: visto che a nessuno degli indagati erano arrivati avvisi di garanzia o inviti a comparire, soltanto chi gestiva l’indagine poteva sapere di quelle accuse.
Cioè Woodcock che tramite Sciarelli avrebbe passato le informazioni al giornalista del Fatto Marco Lillo. Agli atti del fascicolo sulla fuga di notizie, in cui Lillo e Woodcock sono stati iscritti ad aprile, ci sarebbero anche una serie di tabulati telefonici. Elementi che confermerebbero l’ipotesi della procura di Roma.
Quello che non torna
Ora, è evidente che se la procura accusa Federica Sciarelli di fuga di notizie in base a due tabulati telefonici che risalgono al 20 e al 21 dicembre per due telefonate con Marco Lillo, ha davvero preso un granchio.
Perchè il punto è quanto scritto dal giornalista del Fatto nei giorni successivi. Si può pensare che Lillo avesse acquisito notizie prima per poi centellinarle?
Possibile, ma se si è trattato di due telefonate, la storia ancora non torna. Così come non torna il dettaglio dello spostamento dell’inchiesta e il verbale di Vannoni che accusa Renzi.
Tutti particolari pubblicati successivamente a quelle date. La procura insomma deve avere qualcosa di più a supporto delle accuse nei confronti di Woodcock, Lillo e Sciarelli. Oppure ha preso un granchio colossale.
Intanto c’è da segnalare che sul Fatto di ieri Lillo ha raccontato questo particolare a proposito della notizia:
«Il giornalista del Corriere della Sera Giovanni Bianconi ha svelato per primo oggi l’indagine per rivelazione di segreto su Woodcock per l’inchiesta Consip. Io lo conosco bene. Mi ha incontrato proprio negli uffici della Procura di Roma una ventina di minuti prima dell’uscita del suo scoop. Nè lui nè l’Ansa che ha ripreso e ampliato la notizia aggiungendo il particolare di Federica Sciarelli indagata hanno ritenuto utile chiedere la mia versione su questa notizia.
Dopo l’uscita del pezzo sul Corriere.it ho chiamato il collega per dirgli: “Giovanni, scusa perchè quando mi hai incontrato non mi hai chiesto la mia versione come avresti fatto con un indagato per fuga di notizie qualsiasi come Luca Lotti?”. La risposta è stata: “Perchè non ho messo il tuo nome e tu non sei una notizia”
Gli ho detto: “Hai messo la testata e tutti sanno che sono io. E poi scusa, sono un collega. Mi conosci. Ti avrei potuto spiegare come sono andate le cose e avresti fatto un pezzo più completo per il tuo lettore”. Mi ha risposto che gli avrei potuto mentire e quindi non era interessato alla mia versione».
Una giornata particolare, ieri, in procura.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 28th, 2017 Riccardo Fucile
PERCHE’ I GRILLINI VOGLIONO QUELLA POLTRONA… LA RAGGI CHE FARA’?
Luca Bergamo sarà il prossimo a salutare la Giunta Raggi?
I giornali romani oggi danno il vicesindaco prossimo alla revoca per quel posto, che ha preso all’epoca dello scoppio della grana Marra da Daniele Frongia, rimasto assessore allo sport.
Bergamo rimarrebbe comunque assessore alla Cultura nello schema proposto dal MoVimento 5 Stelle Roma, che vorrebbe però quel ruolo per il capogruppo in Campidoglio Paolo Ferrara.
Scrive oggi Lorenzo De Cicco sul Messaggero:
Il messaggio che arriva dalla pattuglia grillina è chiaro: finora nella squadra di governo di Roma c’è stato «troppo Pd». Il capofila degli «stranieri» è ovviamente Bergamo, che a marzo ha portato in giunta il suo ex capostaff Luca Montuori, ma anche l’assessore al Bilancio Andrea Mazzillo, la responsabile dell’Ambiente Pinuccia Montanari, con un passato nelle giunte di centrosinistra prima a Reggio Emilia (con Graziano Delrio sindaco) e poi a Genova. Insomma, «tanti che vengono dai dem, pochi che hanno cominciato con i meetup», per dirla con una battuta che viene rilanciata nelle chat interne.
Dove si citano insistentemente le ultime mosse di Chiara Appendino che, all’indomani degli incidenti di piazza San Carlo, ha varato un mini-rimpasto con l’obiettivo di allontanare dalla giunta torinese una figura tecnica (l’assessore all’Ambiente Stefania Giannuzzi), nominando al suo posto il capogruppo del M5S in consiglio comunale.
Una manovra che i grillini romani vorrebbero copiare e incollare in Campidoglio, assegnando però al capogruppo Ferrara i galloni di vicesindaco.
Giovanna Vitale su Repubblica Roma non parla invece della possibile defenestrazione di Luca Bergamo, ma racconta che in questi giorni sta andando in scena un contrasto sul alcune nomine proposte proprio dal vicesindaco:
È il caso di Zetema, l’azienda che gestisce i musei comunali: per la successione di Albino Ruberti, al comando da ben 19 anni, Bergamo vorrebbe Pietro Barrera, ex city manager ai tempi di Rutelli sindaco e attuale segretario generale della Fondazione Maxxi, il museo dell’arte contemporanea presieduto da Giovanna Melandri, nonchè docente di diritto amministrativo alla Sapienza. Un professionista che però l’ala ortodossa dei 5S ritiene troppo vicino al Pd e perciò da fermare a ogni costo. Anche per poter continuare a spingere il “loro” uomo, ovvero Roberto Diacetti, attuale presidente di Eur spa, manager trasversale e perciò politicamente meno targato.
Più agevole sembra invece la corsa dell’avvocato di Anzio Alessio Mauro: dopo molte esitazioni, la sua nomina come ad di Risorse per Roma, a questo punto, non dovrebbe incontrare ostacoli.
Mentre al posto dell’uscente Carlo Medaglia alla guida dell’Agenzia della Mobilità dovrebbe andare l’attuale amministratore unico dell’azienda dei trasporti napoletana Ciro Maglione.
Già deliberata, infine, la nomina del direttore del Sistema Biblioteche: si tratta di Valerio Nardo, che arriverà in comando dal Dipartimento Cultura della Città Metropolitana. Stessa formula utilizzata per il Ragioniere generale: dal Comune di Rimini approderà a Roma, intanto per sei mesi, Luigi Botteghi.
Andrea Arzilli sul Corriere Roma invece segnala che il tema dell’addio alla carica per Bergamo è stato affrontato anche nel pranzo tra Raggi, Davide Casaleggio e i due tutor, Fraccaro e Bonafede. E forse qualcosa c’entra pure l’addio promesso di Massimo Colomban, uomo inviato da Milano, che i vertici pentastellati stanno cercando di evitare o, almeno, di congelare.
Perchè con l’uscita dell’imprenditore veneto il coefficiente grillino nella squadra si abbassa, si rischia di viaggiare troppo a trazione dem.
Del resto Bergamo ha un pregresso noto, e pure Andrea Mazzillo, l’uomo del Bilancio, ha nel cv una candidatura con Veltroni.
Così la maggioranza non ci sta e chiede a Raggi di inserire un uomo del Movimento (Paolo Farrara?) per lanciare un doppio segnale forte: ai vertici, ma anche alla base che protesta perchè si sente esclusa dalle scelte strategiche.
Ma viene da pensare anche altro. Ovvero che in caso di sospensione o autosospensione della sindaca a farne le veci è proprio il vicesindaco. E siccome magari questa ipotesi si profila all’orizzonte, meglio avere un grillino che uno del PD in quel ruolo.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 28th, 2017 Riccardo Fucile
LA SOCIETA’ DEL CAMPIDOGLIO CONTROLLATA DA AMA HA PERSO L’APPALTO ATAC PER LA PULIZIA… QUANDO IL M5S ERA ALLL’OPPOSIZIONE TANTE PROMESSE, ORA CHE GOVERNANO LI HANNO ABBANDONATI AL LORO DESTINO
Roma Multiservizi, società del Campidoglio controllata da Ama, licenzia 669 dipendenti dopo avere perso l’appalto ATAC per la pulizia.
L’amministratrice delegata Rossana Trenti ai sindacati ha inviato lo scorso venerdì una lettera: «La scrivente società – si legge nella missiva – avvia la procedura di riduzione di personale per 669 dipendenti». La ragione della decisione è la possibilità che Roma Multiservizi non si aggiudichi neanche uno dei 14 lotti del bando per il servizio di pulizia e manutenzione ordinaria di sedi e uffici dell’ATAC, in scadenza il 31 luglio. Per otto dei 14 lotti RM è già fuori gioco.
Repubblica Roma oggi ricorda che nel 2017, dopo aver perso il subappalto delle pulizie per le scuole statali e i centri di formazione, Roma Multiservizi a causa «dell’erosione dei ricavi» ha già mandato a casa 303 dipendenti e ridotto orari e paga a 429 persone.
Ma la brutta fine che potrebbero fare i lavoratori di Roma Multiservizi — di cui neXt ha parlato qui nel febbraio scorso — è lo specchio del brutto, pessimo rapporto tra la Giunta Raggi e la realtà non da oggi.
Un video pubblicato a metà giugno da Maurizio Gaibisso su Youtube mette insieme alcune dichiarazioni di Virginia Raggi e altre di Marcello De Vito a proposito di una delle aziende che divenne terreno da caccia di voti da parte dei grillini negli anni in cui erano all’opposizione ma su cui oggi tutte le promesse del M5S Roma si stanno infrangendo piano piano.
I lavoratori di Roma Multiservizi hanno ripetutamente protestato in questi anni durante i consigli comunali e hanno subito anche le espulsioni dall’Aula, soprattutto dopo che l’amministrazione ha promesso con Paola Muraro l’internalizzazione dei lavoratori e poi se l’è rimangiata.
Roma Multiservizi è l’emblema di cosa succede quando le promesse della politica si vanno a scontrare con la realtà . E non è un bello spettacolo.
Il M5S romano durante la campagna elettorale aveva promesso ai lavoratori di Roma Multiservizi che sarebbero stati assunti in AMA.
Nell’agosto scorso anche un ordine del giorno approvato dalla maggioranza grillina in Assemblea Capitolina ricordava alla sindaca che era necessario assorbirli nella municipalizzata dei rifiuti.
Poi la Raggi e la Muraro cambiarono idea: Roma Multiservizi sarebbe stata acquistata al 100% dal Comune
All’epoca c’era chi faceva notare che in questo modo si violava il piano di rientro del debito del Comune di Roma, ma chissenefrega. A dicembre era arrivata la protesta dei lavoratori in Consiglio comunale al grido di “Buffoni buffoni”: «Te lo ricordi quando stavi all’opposizione e stavi in mezzo a noi?», gridavano all’indirizzo di Marcello De Vito quella sera i lavoratori, quando avevano scoperto che era andata deserta la gara in 5 lotti per l’affidamento in global service dei servizi necessari al funzionamento delle scuole di Roma Capitale. Cosa è successo dopo?
È successo che alla fine il TAR ha annullato quel bando e l’assessore Colomban ha spiegato cosa intendeva fare il Comune: «Su Multiservizi stiamo lavorando con gli avvocati a fronte della sentenza del Tar di due tre giorni fa che ci ha chiesto uno spezzettamento della società . Il nostro obiettivo è salvaguardare l’occupazione. Abbiamo la legge Madia arrivata tra capo e collo, dobbiamo ottemperare a questa legge, quindi una serie di società saranno accorpate, altre dismesse, spero recuperando tutti i lavoratori».
Ora, inutile star lì a ricordare che la Madia è stata approvata nel dicembre scorso e quindi il Comune avrebbe dovuto o velocizzare al massimo le procedure per evitare di finirci dentro (ma sarebbe stato possibile?) oppure regolarsi di conseguenza.
Oppure che la Madia stessa ha smentito la Raggi sulla questione. Meglio segnalare la replica sul punto di CGIL, CISL e UIL: «La legge Madia non è ‘arrivata tra capo e collo’. Esisteva già quando l’assessore Colomban ci ha ricevuti in Campidoglio. Il Comune di Roma inizi ad assumersi le sue responsabilità e non faccia lo scaricabarile».
Meglio segnalare che il terreno di caccia di Roma Multiservizi, fatto di lavoratori che guadagnano anche solo 500 euro al mese, si è improvvisamente risvegliato nelle settimane scorse, quando uno di questi, Massimiliano, ha parlato con Repubblica Roma della vicenda:
«Nel 2014, sindaco Marino, abbiamo fatto di peggio, abbiamo occupato l’aula per una settimana, ma mai nessuno si era sognato di prendere un provvedimento così. Siamo delusi».
Cosa vi ha deluso?
«Nel 2014 c’era anche Marcello ad occupare l’aula insieme a noi. Da semplice consigliere di opposizione si era schierato dalla parte degli operai, ma ora che governa fa la voce grossa e se ne frega. Tra l’altro ha cercato pure di mettere zizzania tra noi e i cittadini che erano lì per i piani di zona. Ci ha messi l’uno contro l’altro».
Ma le tensioni non si potevano evitare? Le istituzioni vanno rispettate.
«La tensione degli operai scaturisce dal fatto che per troppe volte l’amministrazione ha rimandato i tavoli per risolvere la vicenda. Quando erano in campagna elettorale i 5S hanno fatto delle promesse e adesso non solo non le mantengono, ma sembrano non dare la giusta importanza alla questione. Neppure il consiglio straordinario chiesto da mesi è stato calendarizzato».
Cosa vi fa più male?
«La maggior parte degli operai li ha votati, ora molti si sono ricreduti. Si sentono presi in giro»
Cosa chiedete esattamente?
«Che Multiservizi diventi pubblica al 100%. Il parere legale che ci siamo fatti fare da un avvocato privato dice che è possibile. Il problema è che l’avvocato Lanzalone, che ha partecipato a uno dei tavoli tra noi e il Comune, sostiene il contrario. Qualche giorno dopo quell’incontro, però, abbiamo saputo che Lanzalone è diventato presidente di Acea. Ma uno che ottiene una nomina del genere direbbe pure che il cielo è verde, se glielo chiedono».
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 28th, 2017 Riccardo Fucile
UNA SOCIETA’ SPONSORIZZATA DALLA REGIONE PER FORMARE OPERATORI SANITARI FALLISCE… I CORSISTI HANNO PAGATO 2.000 EURO, FUGA CON LA CASSA… CHI HA ACCREDITATO QUESTA DITTA IN REGIONE?
Corsi falliti, porte sbarrate e fuga con l’intera cassa. Finisce miseramente la breve storia di Euroform, società accreditata presso la Regione, messa in piedi per formare operatori socio-sanitari.
“Scuola” che dopo aver incassato gli acconti, ha chiuso i battenti a 250 corsisti.
Tanto che la Procura della Repubblica ha indagato di truffa il presidente Antonio Signorini (assistito dall’avvocato Nicola Scodnik) e il direttore Fabrizio Pinna.
Questa intricata e paradossale vicenda, però, ha un versante alquanto incredibile: Fabrizio Pinna e Sarah Antonelli (pure questa nell’amministrazione dell’ente di formazione) sono stati candidati alle recenti elezioni amministrative proprio nelle liste del centrodestra, con Bucci.
Lui per il municipio Medio-Levante, lei per il Centro Ovest.
«Io lo le mie idee politiche e faccio quello che ritengo opportuno», ripete Pinna.
I due non sono stati eletti. Ma questa è un’altra storia.
Il 7 febbraio scorso la Città Metropolitana ha tolto l’accreditamento ad Euroform. Poi, il 2 marzo, Alfa (Agenzia Regionale per il Lavoro, la Formazione e l’Accreditamento) ha revocato tutte le autorizzazioni
Le Asl liguri avevano lamentato la carenza di queste figure professionali all’interno delle strutture sanitarie e la mancanza (da tempo) di corsi all’interno degli ospedali.
Qualcuno ha fiutato il business.
Ha ottenuto il patrocinio della Regione (da chi?), tanto che i corsi erano pubblicizzati sul sito della Regione. «Abbiamo lavorato bene con l’allora Provincia, che gestiva la formazione – spiega Pinna – poi, quando tutto è passato alla Regione, è saltato tutto». Ieri notte sul suo profilo Facebook l’ex direttore ha pubblicato un post, con il quale attribuisce il fallimento a tre funzionari regionali
Per capire, però, occorre partire dall’esposto presentato da 23 studenti che lo scorso ottobre (insieme ad altri 200) si erano iscritti ai corsi di Osa: costo circa 2000 euro, per 1200 ore di lezioni e di formazione. Sede via XX Settembre numero 1.
Una parte di loro si è rivolta allo Sportello del Consumatore, all’avvocato Stefano Vignolo. L’inchiesta è in mano al pm Giovanni Arena.
«Abbiamo pagato gli acconti: chi ha versato 500 euro, chi 1000, chi ha fatto il finanziamento, chi ha firmato le rate – racconta Manuel Pusceddu, uno dei corsisti che si ritengono truffati – poi, tra gennaio e febbraio, abbiamo visto che Sarah Antonelli un bel giorno ha preso la roba dal suo ufficio ed è sparita; Pinna è rimasto, ma quando ha saputo che andavamo a protestare in Regione, non l’abbiamo più visto».
Da quel giorno i corsisti hanno trovato la porta chiusa. Di Pinna, Antonelli e Signorini neppure l’ombra.
Pinna (difeso dall’avvocato Daniele Pomata) ribatte: «Io svolgevo le funzioni di direttore, ma non avevo potere di firma – ripete – avevo l’incarico di professionista esterno, l’amministrazione era nelle mani del presidente, Antonio Signorini e del figlio, Alberto».
Che, a sua volta, dice di non poter dichiarare nulla: «C’è un’inchiesta in corso”
(da “La Repubblica”)
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Giugno 28th, 2017 Riccardo Fucile
ALTRO CHE VENDITORI ABUSIVI, I PRIMI A NON RISPETTARE LE REGOLE SONO I LEGHISTI… MA NESSUNO HA DATO LORO LA MULTA, GUAI A DISTURBARE SALVINI QUANDO FA IL BAGNETTO
La visita di Salvini a Genova per celebrare la vittoria di Marco Bucci, si è conclusa in Corso Italia, e con un tuffo in mare.
A molti, però, non è sfuggito il dettaglio dell’invasione di auto, parcheggiate alla “bell’e meglio” proprio sul marciapiede storico del lungo mare, considerato il salotto di Genova.
La cosa, ovviamente ha scatenato la polemica sui social: le regole sono regole, soprattutto per chi delle regole si è fatto paladino.
E c’è chi ricorda le polemiche di qualche mese fa sulla “preziosità e delicatezza” della copertura, in occasione della posa delle mattonelle “diverse”.
Dopo un patetico tentativo di attribuire le auto alle forze dell’ordine, lo staff di Toti cambia versione e afferma che molte auto sono state sistemate sul marcipiede per consiglio della Digos, cosa ovviamente improbabile perchè la Questura non ha l’abitudine a invitare a violare la legge a un così alto numero di auto.
Salvo che, a causa della presenza alla festa di consiglieri regionali leghisti sotto processo per peculato a Genova, la polizia non abbia ritenuto opportuno tutelare cosi quei genovesi che non erano a conoscenza del rischio che correvano.
(da agenzie)
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