Aprile 24th, 2018 Riccardo Fucile
LA VIA IMPERVIA DEL GOVERNO M5S-PD
È evidente che giovedì al Quirinale Roberto Fico non riuscirà a portare un accordo di governo. Ma, almeno così pare, non si troverà nemmeno nella condizione della precedente esploratrice che, al termine di una complicata due giorni, ha allargato le braccia ammettendo che “non ci sono le condizioni” per andare avanti.
Se riferirà , come pare, che i segnali raccolti in questo avvio di confronto tra Pd e Cinque Stelle rappresentano un “concreto innesco di trattativa”, Sergio Mattarella sarà disponibile ad concedere altro tempo.
Del resto, dopo una cinquantina di giorni di confronto nell’altra metà del campo, tra centrodestra e 5 Stelle, non si può pretendere un miracolo in due giorni.
Ed è sensato comunque attendere che il travaglio democratico produca il parto di una decisione.
In fondo, il senso dell’esplorazione affidata a Fico con un “perimetro stretto” è proprio questo: obbligare il Pd al confronto con i 5 Stelle e i 5 Stelle al confronto col Pd.
E obbligare entrambi a una faticosa elaborazione interna. Perchè la verità è che al Quirinale al momento non si prendono in considerazione “piani B”, anche se viene dato per certo che, una volta consumati tutti i tentativi, ma proprio tutti, Sergio Mattarella dovrà necessariamente calare l’asso.
L’asso di un governo — si chiami “del presidente”, di “transizione”, di “garanzia” — da lui nominato e spedito alle Camere per incassare la fiducia da chi ci sta ed evitare il ritorno al voto.
Adesso che si è chiusa di fatto la finestra elettorale di giugno (e questo è un primo successo del Quirinale), resta il problema di evitare il voto a ottobre, in piena sessione di bilancio, con una delicata manovra delicata da approvare.
Visti i tempi per la formazione del governo si correrebbe il rischio di lasciare il paese senza manovra, il che sarebbe, tecnicamente, una pura follia.
Il problema — non di poco conto — è che l’asso, al momento, sembra essere una carta pesante come il due di coppe quando regna bastoni.
Perchè l’operazione è tutt’altro che scontata, in questo contesto, e in questo clima.
Al momento non c’è un Parlamento pronto ad accogliere un nome del presidente, in un rigurgito, si sarebbe detto una volta, di “responsabilità nazionale”.
Anzi, al momento un governo del genere rischierebbe di essere figlio di nessuno. È già evidente che Salvini si è posto, sin da ora, all’opposizione di un governo calato dall’alto.
E anche Di Maio che pur ha dimostrato un atteggiamento più istituzionale, compiendo audaci piroette politiche rispetto a ciò che il Movimento era solo poche settimane fa e non è più, ha messo a verbale il suo no senza se e senza ma a un governo “tecnico, istituzionale o del presidente”, perchè non può permettersi il lusso di sostenere un governo di questo tipo, consegnando al leader leghista le praterie dell’opposizione demagogica, almeno così spiegano fonti degne di questo nome. Piuttosto, meglio le urne.
Ecco il punto, ben presente nei ragionamenti degli esperti frequentatori del Colle. La situazione che ha di fronte il capo dello Stato è infinitamente più complessa rispetto a quella del suo predecessore, ad esempio.
Perchè allora (ricordate i tempi di Napolitano?) c’era una forza — il Pd — che politicamente e numericamente rappresentava il baricentro della “responsabilità nazionale”, spesso pagata a caro prezzo nelle urne; e c’era come alleato, diciamo così, il “vincolo esterno”, inteso come Europa, mercati, spread che alimentava la retorica dell’emergenza, creando pressione politica e ambientale.
Due elementi venuti meno che mettono Mattarella, e non per sue responsabilità , di fronte a una situazione inedita e straordinariamente più complicata: la situazione in cui più che il governissimo, inteso come “governo di tutti”, l’opzione realistica è un governino, che pare già il governo di nessuno.
Parliamoci chiaro: una volta avremmo assistito, in un crescendo di drammatizzazione, a un grande appello al paese, col presidente che inchioda i partiti alle loro responsabilità in nome del primato dell’interesse generale sull’avventurismo, e a una difficile e sofferta adesione delle forze “responsabili” all’alto richiamo.
Questo film, stavolta, non lo vedremo. E ne sono consapevoli tutti, a partire dai consiglieri attorno al capo dello Stato che già stanno ragionando sulle varie eventualità .
L’ipotesi realistica è un accrocco, da mettere in piedi con un mandato “limitato”, “non sfiducie” e altre diavolerie del genere per provare a tornare al voto in modo ordinato. Più che un “piano B”, è una specie dell’emergenza nell’emergenza.
Ed è per questo che la prima opzione resta continuare ad esplorare l’unica opzione possibile.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: elezioni | Commenta »
Aprile 24th, 2018 Riccardo Fucile
IL LEADER M5S PROVA A SMUSSARE IL MALCONTENTO: “VOTERETE SU ROUSSEAU”
È una sorta di all inn quello che Luigi Di Maio piazza sul tavolo di chi si gioca il montepremi del governo: “Per me qualsiasi discorso con la Lega si chiude qui”. Quando esce dall’incontro con Roberto Fico, esploratore incaricato dal Quirinale di sondare l’ipotesi di un governo tra M5s e Pd, il capo politico del Movimento usa parole nette.
La sala stampa, prospiciente la sala della Lupa dove è avvenuto il faccia a faccia, è gravida di storia.
Tra quelle quattro mura i deputati socialisti protestarono nel 1924 contro il governo fascista. E sotto la medesima volta affrescata i delegati della Corte di Cassazione proclamarono l’esito del referendum del 1946 che trasformò la monarchia italiana in Repubblica.
Il passaggio di un martedì d’aprile quasi qualunque della storia italica impallidisce di fronte a tali monumenti di storia patria.
Eppure segna una svolta non indifferente sulla strada che conduce al prossimo esecutivo. Di Maio, sollecitato dal reggente del Pd Maurizio Martina qualche ora prima, si posiziona dietro i microfoni e da un podio istituzionale chiude definitivamente il forno con il Carroccio.
L’atmosfera è scarica, l’afflusso di telecamere e giornalisti scarno rispetto ai pienoni dei giorni scorsi. Perchè il leader M5s ha incontrato il compagno di tante battaglie Fico, non ci si aspettano novità rilevanti.
Ma Di Maio più che riferire del colloquio parla al Pd. Che poco dopo l’ora di pranzo aveva aperto a una possibilità di dialogo, sia pur dopo essere passato per una Direzione che definisse i se, i come e i cosa di un’eventuale trattativa.
Indicando il programma presentato in campagna elettorale come ineludibile punto di partenza di qualsiasi dialogo, e i sigilli sulla porta di un esecutivo gialloverde come precondizione essenziale.
Ottenendo un via libera sulla seconda questione, quella qualificante, si sono aperte le danze.
I 5 stelle non nascondono di puntare forte su un governo politico che pur comprenda l’appoggio del tanto vituperato Matteo Renzi e dei suoi.
È forse l’ultima possibilità di partecipare a un governo politico. Probabilmente a un governo tout court. Il capo politico stellato lo mette in chiaro: “Voglio chiarire una cosa: non esiste per noi alcuna fiducia a governi tecnici, istituzionali, di scopo, di garanzia, del Presidente o altro. Quindi se fallisce anche questo tentativo, il paese dovrà affrontare nuove elezioni”.
Un suo fedelissimo spiega anche che “in quel caso si riproporrebbe una maggioranza tra noi e il Pd o tra noi e il centrodestra, ma con un esecutivo che ci vedrebbe fuori. Ma siamo matti?”.
La strada è impervia. Per le oggettive condizioni politiche. Un dialogo con il Pd non è mai veramente decollato. E nonostante le concrete aperture di Martina la macchina fatica a carburare.
Con il timore che Matteo Renzi butti acqua nel serbatoio per farla sbiellare. Una paura che lo stato maggiore grillino ha ben chiara: “In questa fase ci sono poche alternative. Ma chi ci dice che l’ex premier non mandi avanti il segretario reggente, ci faccia credere che ci siano margini d’intesa, e che poi invece non saboti tutto?”.
In questa fase a prevalere è tuttavia l’ottimismo della volontà .
Insieme alla convinzione che sia proprio il Colle a esercitare quella moral suasion sui Dem che potrebbe essere il discrimine tra un successo e un fallimento.
Certo, Di Maio ha ribadito che non svilirà i “valori e le più grandi battaglie” del Movimento. Elencandoli: “Costi della politica, ambiente, reddito di cittadinanza, lotta al business dell’immigrazione, pensioni e aiuti alle imprese, lotta alla corruzione”. Facendo capire che sull’eventuale programma ci sarà molto da discutere. Glissando, fra l’altro, sul nodo della sua premiership.
Argomento per ora prematuro da affrontare, ma che se le cose procedessero nella direzione sperata si porrà con forza.
C’è un altro terreno che rende il campo di gioco scivolosissimo. Ed è fotografato da una base e da un gruppo parlamentare in gran subbuglio.
Perchè il Pd è stato per cinque anni considerato il nemico da combattere e smontare con tutti i mezzi. E si fatica molto a digerire una partnership con il nemico di sempre. Di Maio ne è consapevole, e ha messo in campo una serie di contromisure.
Per giovedì è stata convocata un’assemblea, nella quale il capo politico darà conto ai parlamentari delle mosse degli ultimi giorni e tratteggerà un orizzonte degli eventi. E ha lanciato un altro segnale preciso: “Sottoporremo anche ai nostri iscritti sulla piattaforma Rosseau” il contratto di governo.
È la prima volta che nei cinquanta giorni della crisi viene tirata in ballo la rete. Non un elemento nostalgico. Nemmeno un modo per rispondere alle critiche su verticismo e accentramento. Ma un segnale di coinvolgimento lanciato alla base, tentando di calmierare, almeno per il momento, il disagio percepito.
“Condivido anche io le perplessità — dice chi ha sentito Di Maio nelle ultime ore — ma che facciamo, ci arrocchiamo nel nostro castello e buttiamo via 11 milioni di voti? La nostra gente deve capire che l’alternativa è l’irrilevanza”.
La via per un governo giallorosso è stretta e accidentata. Si dovrà camminare in equilibrio tra due voragini, rischiando di scivolare al minimo refolo di vento.
E la Lega? Sentite cosa dice uno dei massimi vertici 5 stelle: “Certo che con loro è chiusa; in queste ore è chiusa, in questi giorni è chiusa. Ma tu hai mai visto una cosa definitivamente chiusa in politica?”.
“It ain’t over ‘til it’s over”, amava ripetere il grande allenatore di baseball Yogi Berra. “Non è finita finchè non è finita”.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: elezioni | Commenta »
Aprile 24th, 2018 Riccardo Fucile
#SENZADIME L’HASHTAG DEI FEDELI DI RENZI SCATTATO UN MINUTO DOPO L’APERTURA DEL SEGRETARIO AL M5S
Ai renziani non interessa sedersi al tavolo con Luigi Di Maio.
Sono passati pochi minuti dalla fine del colloquio tra la delegazione del Partito Democratico e il presidente della Camera Roberto Fico per ragionare su una possibile intesa Pd-M5S e su twitter ha subito ripreso a circolare l’hashtag #senzadime.
Prese di distanza nette dall’apertura fatta dal segretario Maurizio Martina che all’uscita dal confronto con Fico – incaricato con un mandato esplorativo dal presidente della Repubblica Mattarella – aveva parlato di una valutazione su “un percorso comune”, di fronte al potenziale “passaggio di fase” dopo la chiusura del forno Lega da parte dei 5 Stelle.
Decisione, l’ipotetica apertura ai grillini, di cui si dovrà discutere negli organismi deputati, in primis la Direzione del partito che verrà convocata nei prossimi giorni. Ma, a leggere i commenti apparsi sui social subito dopo la conferenza stampa di Martina, per gli esponenti dem vicini all’ex segretario Renzi non c’è molto su cui avviare ragionamenti.
Se Martina apre, loro chiudono e sono pronti ad andare alla conta in Direzione. “Secondo i siti, Martina apre. Davvero qualcuno nel Pd pensa di fare il governo con Di Maio e Casaleggio? Messaggio incomprensibile e umiliante per i nostri elettori, che hanno fatto sentire loro voce con #senzadime, ancora in queste ore”, ha commentato Michele Anzaldi, parlamentare di fede renziana.
Per Anna Ascani, “qualora il reggente Martina, come ha annunciato, sottoponesse qualsivoglia ipotesi di governo PD-Cinque Stelle alla direzione del partito, io voterò convintamente, senza esitazioni, contro. Senza di me”.
Secondo Sandro Gozi è giusto che si esprima la Direzione sull’eventuale accordo di programma con il Movimento ma lui ha le idee chiare: “Io voterò contro #senzadime”. Anche Ivan Scalfarotto è dello stesso avviso: “Un accordo con M5S non è pensabile”. A chiudere, il solito hashtag.
(da agenzie)
argomento: elezioni | Commenta »
Aprile 24th, 2018 Riccardo Fucile
ARMANDO SIRI, NEO SENATORE DELLA LEGA, E LA PENA RICEVUTA PER UNA SOCIETA’ SVUOTATA DAI BENI
Nella puntata di Report dedicata alla flat tax ieri ha parlato anche Armando Siri, il senatore della Lega che è l’alfiere della proposta del partito di Salvini.
Siri ha detto la sua sulle coperture della flat tax e parlato anche del patteggiamento per bancarotta fraudolenta che l’ha visto protagonista:
Siri: “Ma guardi io ultimamente sento solo previsioni negative. Se tu non hai un po’ di speranza nel domani, se non hai un po’ di forza nell’intravedere il domani in modo positivo e cosa fai ti arrendi?
Sì, ma voglio dire con la speranza ci facciamo poco. Mi dica qualcosa di più…
“No ma guardi la speranza, l’immaginazione, i sogni e l’ottimismo sono alla base di tutta la crescita evolutiva dell’uomo. Se lei non immagina le cose, le cose non avvengono.”
In estremissima sintesi, possiamo dire che il recupero dei 63 miliardi per voi significa recuperare dall’evasione e stralcio delle cartelle esattoriali.
“Non è evasione, è sommerso, son due cose diverse. Io non mi rivolgo a quello che deve essere ovviamente perseguito, trovato e come dire sanzionato. Mi rivolgo invece a quei migliaia di atteggiamenti che sono forme di difesa fiscale, di difesa verso un fisco aggressivo, fortemente sanzionatorio.”
L’Espresso dice che lei ha avuto, ha patteggiato una pena di un anno e otto mesi per bancarotta fraudolenta, ha lasciato un debito, la sua società , di un milione di euro, e non ha pagato tasse per 162 mila euro. Me la racconta questa storia?
“Ma aver patteggiato non significa aver compiuto atti di bancarotta fraudolenta, io non ho mai compiuto atti di bancarotta fraudolenta.”
Lei ha riconosciuto che c’era il…
“No, io non ho riconosciuto affatto nulla.”
Cioè lei a un certo punto ha detto andiamo a patteggiare perchè così me ne libero.
“No guardi glielo spiego, no, non è che siamo tutti ricchi o siamo tutti Berlusconi che possiamo pagare gli avvocati. Siamo tutti persone normali
L’intervistatore si riferisce a un articolo pubblicato il mese scorso da Giovanni Tizian e Stefano Vergine su L’Espresso, che racconta le vicende in cui è rimasto coinvolto Siri: la condanna è stata comminata tre anni e mezzo fa dal tribunale di Milano in sede di patteggiamento per il fallimento della Mediatalia, società che ha lasciato debiti per oltre 1 milione di euro.
Secondo i magistrati che hanno firmato la sentenza, prima del crack Siri e soci hanno svuotato l’azienda trasferendo il patrimonio a un’altra impresa la cui sede legale è stata poco dopo spostata nel Delaware, paradiso fiscale americano.
Secondo il racconto della vicenda Mediaitalia, società che produceva contenuti editoriali per media e aziende (editava anche la rivista della Air One di Carlo Toto), aveva debiti per un milione di euro quando Siri e gli altri soci hanno trasferito il suo patrimonio alla Mafea Comunication, gratuitamente.
Meno di un anno dopo Siri decide di chiudere la MediaItalia e nomina come liquidatrice Maria Nancy Marte Miniel, immigrata in Italia da Santo Domingo e oggi ufficialmente titolare di un negozio di parrucche e toupet a Perugia.
«Una vera e propria testa di legno», la definiranno i giudici nella sentenza di condanna. Già , perchè la donna non ha le competenze per gestire un’azienda nè i mezzi per pagare i debiti.
E così a rimanere con il cerino in mano sono i creditori della MediaItalia: fornitori, banche e lo Stato italiano.
Lo stesso che adesso Siri vuole rappresentare in qualità di uomo di governo.
La sentenza del tribunale di Milano parla chiaro: l’ideologo della flat tax e i suoi soci, Fabrizio Milan e Andrea Iannuzzi, hanno provocato il fallimento della società con operazioni dolose, svuotando l’azienda e omettendo di pagare alle amministrazioni dello Stato 162 mila euro tra tasse e contributi previdenziali.
Altre due società italiane in cui il guru economico di Salvini ha avuto ruoli di spicco (socio di maggioranza e amministratore unico) hanno trasferito la sede legale nella piazza offshore a stelle e strisce.
È successo negli stessi anni in cui la MediaItalia andava a picco.
Le aziende in questione si chiamano Top Fly Edizioni e Metropolitan Coffee and Food.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: LegaNord | Commenta »
Aprile 24th, 2018 Riccardo Fucile
“SE IMPEDITE AI CLANDESTINI DI ARRIVARE IN FRANCIA RESTANO IN ITALIA” … DOPO LA RIDICOLA MISSIONE IN NAVE, I PATACCARI DELLO SPOT ORA ENTRANO IN COLLISIONE CON I SOVRANISTI NOSTRANI
Durante la campagna elettorale Giorgia Meloni — dopo essere andata a fare visita al primo ministro ungherese Viktor Orbà¡n — ha commentato dicendo che «tra patrioti europei ci si intende subito alla grande». La Meloni però ha accuratamente evitato di dire che l’Ungheria, come gli altri Paesi del gruppo di Visegrad, non sta rispettando le quote europee sulla ripartizione dei richiedenti asilo.
Risultato: quelli che arrivano nel nostro Paese e potrebbero essere trasferiti altrove rimangono in Italia.
Nei giorni scorsi un altro gruppo di “patrioti”, quelli di Defend Europe, ha organizzato un’azione identitaria sul Colle della Scala dove ha allestito un presidio per impedire ai migranti di valicare il confine italo-francese
La missione “Alpi” di Defend Europe è la prosecuzione della fallimentare operazione marittima a bordo della C-Star andata in scena — tra mille polemiche e molti imbarazzi — quest’estate nel Mediterraneo Centrale.
Non contenti di non essere riusciti a difendere il confine meridionale dell’Europa gli “identitari” si sono così trasferiti su quello tra Italia e Francia.
A partecipare a questa missione, che ha fatto grande sfoggio di uomini e mezzi (con elicotteri e droni) che vengono benissimo nei videoclip ma che non ha prodotto alcun risultato concreto, c’erano patrioti francesi, inglesi e italiani.
La sezione italiana di Defend Europe si chiama Generazione Identitaria ed è composta da attivisti convinti che in questo periodo storico sia in atto un’invasione.
Niente di meglio quindi che allearsi con altri patrioti europei. Se non fosse che quella dell’internazionale sovranista è solo una favola, un mito, che non ha alcuna corrispondenza con la realtà .
Perchè i nazionalisti europei hanno lo stesso obiettivo — ovvero tenere alla larga lo straniero — ma interessi contrapposti.
Un patriota francese che difende il suo confine dall’invasione non ha alcun interesse ad aiutare l’Italia ad occuparsi di gestire i flussi migratori e dare accoglienza ai richiedenti asilo.
Generazione Indentitaria di fatto ha collaborato ad un’operazione volta a tenere i migranti all’interno dei nostri confini nazionali.
Nel comunicato Generazione Identitaria prova a spiegare il senso dell’operazione vista dal di qua del confine franco-italiano: «Bloccare le rotte dei clandestini, in questo caso tra la Francia e l’Italia, renderà impossibile per loro raggiungere il nord Europa, tolto questo incentivo, i clandestini non avranno più motivo di voler sbarcare sulle coste della nostra penisola».
Un concetto che ovviamente non ha alcuna attinenza con la realtà . Perchè se è vero che tra stare in Italia e andare in Germania i migranti probabilmente sceglieranno la seconda opzione, è anche vero che in mancanza di alternative migliori l’Italia resta pur sempre un paese del “Primo Mondo” decisamente più appetibile rispetto al paese d’origine per chi scappa dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni religiose o semplicemente vuole tentare la fortuna in un paese ricco come il nostro dove ci sono più possibilità .
Molti sovranisti italiani si sono accorti che la favoletta del “bloccare i confini per togliere l’incentivo” non ha senso.
E sono arrabbiati con Generazione Identitaria che ha fatto il gioco dei francesi.
Molti ricordano che è stata la Francia a bombardare la Libia nel 2011 e a causare la caduta di Gheddafi (mentre Berlusconi, da bravo identitario, si era opposto).
Sempre la Francia la settimana scorsa ha partecipato ai raid della coalizione anglo-americana in Siria contro Assad.
Dopo due giorni passati a incollare lo stesso commento in tutte le risposte Generazione Identitaria si arrende: “con le frontiere chiuse dall’estero, il governo italiano sarà costretto ad adottare le misure necessarie“.
A parte il fatto che le Defend Europe ha chiuso un piccolo tratto della frontiera e solo temporaneamente questa è una risposta che ricorda un po’ quella del marito che punisce la moglie evirandosi.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Razzismo | Commenta »
Aprile 24th, 2018 Riccardo Fucile
LA EX M5S GRANCIO VOLEVA SEDERSI NEL POSTO IN CUI SEDEVA LA RAGGI QUANDO ERA ALL’OPPOSIZIONE, MA I GRILLINI DICONO CHE DOVE LA POSATO LE CHIAPPE VIRGINIA E’ PARAGONABILE AL N° 10 DI TOTTI E LA POLTRONA DEVE INTENDERSI RITIRATA E NON DISPONIBILE
Nei giorni scorsi la consigliera ex 5 Stelle Cristina Grancio, esclusa dal gruppo M5S in Campidoglio, aveva espresso la volontà di sedersi sullo scranno di Virginia Raggi quando era consigliera di opposizione nella scorsa consiliatura.
Oggi, prima dell’Assemblea capitolina straordinaria sulla crisi di ATAC che era stata convocata per le 13, la maggioranza ha messo ai voti e approvato con 25 favorevoli e 8 contrari una decisione presa dal M5S in conferenza dei capigruppo per vietare alla Grancio di sedersi su quello scranno, ma anche nell’intera ultima fila di poltrone della zona che nella scorsa consiliatura era riservata ai pentastellati.
Successivamente alcuni consiglieri di opposizione, tra cui Giulio Pelonzi (Pd), Svetlana Celli (Rtr) e Giorgia Meloni (Fdi), si sono alzati e hanno ‘scortato’ Grancio sullo scranno della contesa.
Il presidente dell’Aula, Marcello De Vito, è stato costretto a sospendere la seduta per diversi minuti, tra le proteste della minoranza, per ristabilire l’ordine.
“Non partecipiamo a questi giochetti indegni sulle poltrone, state ritardando il dibattito su Atac”, ha risposto il capogruppo M5S, Paolo Ferrara, nonostante sia stato il ‘promotore’ della decisione della capigruppo e aveva paragonato l’ex scranno della sindaca “alla maglia numero 10 di Totti: non si può dare a nessuno”.
Dulcis in fundo, il consigliere Angelo Diario, dopo che il M5S ha votato la decisione in Aula, ha accusato gli altri consiglieri di “battersi” sull’argomento dello scranno, cosa che aveva appena fatto il suo gruppo.
“Lei presidente De Vito continua a sottolineare che è la capigruppo che decide — ha detto la consigliera dem Valeria Baglio — ma è il M5s che decide: decide lei e il consigliere Ferrara, perchè in capigruppo avevamo espresso tutti contrarietà a questa decisione. Se ci sono scranni liberi, e un consigliere vuole sedere in quegli scranni liberi, non capiamo che problemi ci sono ad acconsentire. Voi state impedendo che la consigliera Cristina Grancio si sieda negli scranni che erano occupati dal M5s nel 2013. È una vergogna che ci costringiate a votare questa cosa. Siamo in democrazia, tutti gli eletti vanno trattati alla stessa maniera”.
(da “NextQuotidiano”)
argomento: Roma | Commenta »
Aprile 24th, 2018 Riccardo Fucile
STUDIO FONDAZIONE MORESSA: GLI ALUNNI STRANIERI SONO IL 9,4%, UN AUMENTO DEL 44% IN DIECI ANNI
Cresce il “popolo dello ius soli”, si moltiplicano le nazionalità tra i banchi di scuola. L’Italia si fa sempre più multietnica.
Lo dicono i numeri, al di là dei ritardi della politica e dei vuoti legislativi. Oggi nel nostro Paese, un alunno su dieci è figlio di immigrati. Ma è un esercito di bambini senza cittadinanza.
Sono sempre di più infatti i ragazzi e le ragazze possibili beneficiari della mancata riforma dello ius soli: oggi sarebbero ben 825mila.
Gli alunni stranieri.
A fotografare i “nuovi italiani” è uno studio della Fondazione Leone Moressa. A partire dagli alunni stranieri, che nell’anno scolastico 2016-2017 sono 826.091, pari al 9,4% del totale.
Negli ultimi 10 anni, il loro numero è aumentato di ben il 44%, mentre quello degli italiani è diminuito del 5,7%.
L’incidenza dei figli di immigrati è più alta nelle scuole di grado inferiore: nella scuola dell’infanzia e nella primaria supera il 10%. Interessante notare i nati in Italia: mediamente il 61%, ma più numerosi nella scuola dell’infanzia (85%) e nella primaria (73%).
Quasi un alunno straniero ogni cinque proviene dalla Romania (19%). Seguono Albania e Marocco. Quarti si piazzano i ragazzi cinesi.
Il record di Prato
A livello provinciale, in termini assoluti le grandi città sono quelle con più alunni stranieri (Milano, Roma, Torino). Più significativa però l’incidenza sul totale: il massimo si registra a Prato dove uno studente ogni 4 è straniero.
In questa graduatoria rientrano quasi tutte le province della pianura padana, comprese tra Lombardia ed Emilia. A livello regionale, il maggior numero di alunni stranieri si concentra in Lombardia (208mila). Seguono Emilia Romagna e Veneto, con oltre 90mila ciascuno. In genere, quasi tutte le regioni del Centro-Nord presentano un’incidenza superiore all’11%, mentre alcune del Sud scendono sotto il 3%.
Gli “orfani” dello ius soli.
La scorsa legislatura si è conclusa senza che il Senato ratificasse la cosiddetta “riforma in materia di introduzione dello ius soli”, già approvata alla Camera nell’ottobre 2015.
La normativa italiana sulla cittadinanza rimane così una delle più rigide d’Europa, riconoscendo lo status di cittadino ai figli degli emigranti residenti all’estero, ma non ai figli degli immigrati nati in Italia.
La mancata riforma avrebbe ribaltato questo principio, concedendo il passaporto tricolore ai “nuovi italiani”.
La Fondazione Moressa già nel 2017 aveva calcolato i potenziali beneficiari della riforma in circa 800mila. Secondo i dati 2018, quella stessa riforma avrebbe oggi un impatto maggiore: 825mila minori beneficiari immediati, più circa 58mila nuovi beneficiari ogni anno.
(da “La Repubblica“)
argomento: scuola | Commenta »
Aprile 24th, 2018 Riccardo Fucile
“RIVEDENDO IL VIDEO MI SONO SENTITO UNA NULLITA’, NON CHIAMATEMI BULLO, TUTTA LA CLASSE SI COMPORTAVA COSI'”
Iniziano a fioccare provvedimenti per i 6 studenti bulli dell’ITC “Francesco Carrara” di Lucca che hanno offeso e minacciato in classe il professore di italiano e storia.
Tre saranno bocciati, due rientreranno a scuola a fine maggio e uno tra 15 giorni, sostenendo le prove di fine anno in maniera regolare
Nella puntata de Le Iene di domenica, l’inviato Andrea Agresti ha intervistato uno dei colpevoli.
A riportare significativi stralci dell’intervista è Il Tirreno.
“Quando ho visto il video mi sono sentito una nullità . Avevo l’aria di chi vuole fare il bullo, ma io bullo non lo sono.”
Un colloquio di un paio di minuti, quello consumatosi davanti alle telecamere di Italia 1, nel quale il giovane è sembrato pentito e vittima di influenze da branco.
“Mi dicevano “dai, fai casino, tanto verrai bocciato”. Mi incitavano ad andare avanti […] Ho sbagliato scuola. Ho chiesto di trasferirmi ma ormai non potevo più cambiare e allora sono rimasto lì. Sapendo che comunque sarei stato bocciato. Tutta la classe si comportava così. Ce ne erano veramente pochi che non lo facevano. Ed è stato così fin dall’inizio dell’anno.
Insomma, l’episodio incriminato non sarebbe stato un fatto eccezionale, bensì frutto di una malsana quotidianità .
“Cose come queste succedevano quotidianamente. Ci comportavamo male anche con altri professori, ma con questo ce ne siamo approfittati.”
Ora il ragazzo dice di voler chiedere scusa e di avere paura. Paura delle minacce che arrivano via internet.
Su Instagram persone di quarant’anni mi mandano messaggi come “Viene a Lucca, a fare il grosso, che ti si ammazza”. Ora i miei genitori hanno paura e non mi fanno uscire. Al massimo posso andare al campino a giocare a pallone.”
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Costume | Commenta »
Aprile 24th, 2018 Riccardo Fucile
PD SPACCATO, LUNEDI’ LA CONTA IN DIREZIONE… SE QUESTO E’ UNO STATISTA CHE GUARDA ALL’INTERESSE DEL PAESE SIAMO ALLA FRUTTA… L’ITALIA IN BALIA DI TRE MEGALOMANI
No all’accordo con il M5s. E’ questa la linea che i renziani porteranno in direzione nazionale, organo che verrà convocato probabilmente lunedì prossimo.
Il segretario dimissionario del Pd, Matteo Renzi, oggi è nel suo studio a Palazzo Giustiniani. Era lì quando i quattro delegati del Pd, Maurizio Martina, Matteo Orfini, Andrea Marcucci e Graziano Delrio, hanno incontrato il presidente della Camera Roberto Fico, incaricato dal Quirinale di esplorare la possibilità di una maggioranza di governo nel perimetro Pd-M5s.
Renzi in prima persona ha deciso di non parlare in questi giorni. Manda avanti i suoi, compatti a dire di no. Il partito è spaccato. La direzione si annuncia come resa dei conti interna tra i renziani e i ‘dialoganti’, l’area che va da Dario Franceschini a Maurizio Martina, favorevoli invece ad aprire il tavolo del confronto con i pentastellati.
Del resto, la scelta di chiedere tempo a Fico e convocare la direzione è l’unica via d’uscita in mancanza di accordo interno.
Arriva a monte di discussioni interne funeste: i quattro delegati del Pd sono arrivati dal presidente della Camera senza una posizione comune. Eppure ne hanno discusso fino all’ultimo, in una riunione al Nazareno, finita poco prima del loro incontro con la seconda carica dello Stato, incontro iniziato alle 14.30 e durato circa 45 minuti. Addirittura non sono nemmeno arrivati insieme, che sarebbe cosa normale vista la breve passeggiata dal Nazareno a Montecitorio. Niente.
A quasi due mesi dal voto del 4 marzo, nel Pd si avvicina il momento cruciale: la conta in direzione tra due linee diverse.
I renziani tengono sul no. Che non vuol dire Aventino per sempre. Significa semplicemente che le condizioni per un accordo politico con il M5s non ci sono.
La posizione potrebbe scongelarsi solo di fronte ad un altro schema, un eventuale appello alla responsabilità da parte di Sergio Mattarella o una proposta di governo da parte dello stesso presidente della Repubblica. Potrebbe.
Intanto nell’incontro con Fico, i quattro Dem nemmeno sono arrivati al punto dolente, cioè la premiership di Luigi Di Maio, indigesta a tutti nel Pd.
Si sono fermati prima e hanno chiesto tempo: ma questo non vuol dire che i renziani si preparano a dire sì. Anzi.
Davanti ai giornalisti, nella sala di Montecitorio che ospitò chi aveva scelto l’Aventino contro il fascismo dopo l’omicidio Matteotti, Martina si mantiene sul vago.
“Abbiamo ricordato i nostri cento punti di programma elettorale, ma la direzione approfondirà un possibile percorso con il M5s”.
Un partito spaccato non può permettersi di più, se non rimandare la discussione alla sede deputata: cioè la direzione, l’organo che il 5 marzo scorso ha votato all’unanimità la linea dell’Aventino.
E per Martina è già una sconfitta il fatto di non aver potuto porre a Fico i tre punti di programma lanciati la scorsa settimana: allargare il reddito di inclusione, misure per le famiglie e per il lavoro.
No, per i renziani i punti restano cento, quelli del programma elettorale. Messa così, il confronto inizia in salita, ammesso che inizi.
Dice il capogruppo al Senato Marcucci: “Se il mandato sarà quello di verificare le carte del M5s, saranno i 100 punti del programma del Pd a stabilire le basi di partenza della discussione”.
Tradotto: “Partiamo da distanze molto marcate​ proprio sui temi, oltre che sul concetto della democrazia. A meno che i Cinque stelle non cambino idea sul jobs act, sugli 80 euro, sulle riforme, i punti di contatto sono pochi e superficiali”.
“Non trovo un solo punto di contatto tra noi e loro, abbiamo programmi incompatibili a partire da lavoro, scuola e salute. Troppe cose ci dividono, le distanze sono incolmabili”, dice Alessia Morani, deputata renziana del Pd che stamane alla buvette, di fronte agli occhi increduli dei presenti, si è imbattuta in una discussione accesa con Francesco Boccia, deputato dell’area Emiliano, favorevole al dialogo con il M5s fin dalla notte della debacle elettorale.
Insomma, il Pd si avvia alla conta finale. I renziani sono convinti di avere ancora la maggioranza in direzione.
Il mandato di Fico si avvia al fallimento.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: elezioni | Commenta »