Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile
“NON POSSO SEDERMI CON BERLUSCONI”, MA INTANTO HA PUBBLICAMENTE ACCETTATO I VOTI DEL CAV
Quando Luigi Di Maio esce dal Salone degli specchi di Palazzo Giustiniani e si infila con i suoi nell’ennesimo vertice di giornata, prende in mano lo smartphone.
Il numero di Salvini è fra quelli chiamati in giornata. Lo pigia.
E gli spiega chiaro e tondo che le condizioni poste per iniziare un percorso di governo sono inaccettabili.
Poco prima, davanti alle telecamere, aveva declinato l’ennesimo no a un esecutivo con Silvio Berlusconi. Sciorinando una frase, fra tutte, che segnalava il profondo travaglio di questi giorni: “Non possiamo andare oltre. Per la tenuta di una forza politica come la nostra ci sono passi che non possiamo fare”.
Il ragionamento è semplice e ha una sua logica: il Movimento 5 stelle è partito dalle barricate, dal rifiuto tout court di trattare con chicchessia, dai “Rodotà Rodotà “, ed è arrivato a proporre un patto di governo a due acerrimi nemici come Pd e Lega. Più in là di così il leader politico stellato non può andare.
Messa così non fa una piega. Ma occorre riavvolgere il nastro di una lunga giornata per cogliere la frustrazione di un traguardo che sembrava a un passo ed è sfumato in poche ore.
E ripartire dalla prima telefonata fra i due leader, a metà mattina. Quando i 5 stelle hanno intravisto aprirsi un portone. “Sediamoci a un tavolo, io e te – il ragionamento dei vincitori delle elezioni – e facciamo partire la macchina del contratto”.
L’idea era quella di accantonare in un primo momento il nodo Forza Italia e quello della premiership, intavolare una discussione che non mandasse a gambe all’aria il tentativo di Elisabetta Casellati, e prendere qualche altro giorno di tempo per trovare un punto di caduta accettabile per tutti.
Con la prima vera apertura del Movimento a Berlusconi, che per il momento si fermava al non rifiuto di un appoggio esterno.
Quando intorno alle 15.00 il segretario del Carroccio è uscito dall’incontro con la presidente del Senato, la war room di Di Maio ha capito che qualcosa non andava. Perchè, Giorgia Meloni alla sua destra e Silvio Berlusconi alla sua sinistra, Salvini ha sì menzionato il tavolo programmatico da far partire, ma non non ha esplicitato l’esclusività dei due capi politici nel potercisi sedere.
La fibrillazione è stata tale che l’incontro con l’esploratrice quirinalizia è slittato di quasi un’ora.
Il gelo quando la Casellati ha esplicitato le condizioni poste dal centrodestra: tavolo del programma a quattro, presidente del Consiglio indicato dalla coalizione avversaria, nessun veto a ministri di Forza Italia.
Una doccia fredda. Tutt’altro film da quello passato sugli schermi stellati fino all’ora di pranzo.
Che ha costretto Di Maio a un discorso piuttosto sulla difensiva: “Non ci si può chiedere di ricominciare su piani che non abbiamo mai condiviso – ha spiegato – Per noi è molto complicato sederci con gli altri tre interlocutori, ci siamo sempre detti disponibili a farlo con Salvini”. Si è spinto fino alla “non ostilità ” ai voti di Fi e Fdi, “ma il rapporto deve essere tra noi e la Lega”.
Poi il riferimento soffertissimo alla tenuta del Movimento. E la chiosa: “Nulla si chiude, andremo avanti”.
Verso dove, non è chiaro.
Si rincorrono i boatos che vogliono tutte le carte puntate sul Pd. Ma se era difficile oggi, da domani diventa ancora più complicata dopo la frana che si è abbattuta al fotofinish sulla strada di un governo gialloverde.
Tuttavia è l’ultima puntata disponibile nel lotto delle scommesse a 5 stelle. Una scommessa vera. Tanto che c’è ancora chi sottolinea: “L’ultimatum di Luigi a Salvini scade domenica, c’è ancora tempo”. Un altro film. Quello precedente e superato.
Ora serviranno gli effetti speciali.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile
BERLUSCONI FURIOSO CON IL LEADER LEGHISTA CHE AVEVA PROMESSO IL FALSO A DI MAIO, A SUA VOLTA VITTIMA DEL SUO DELIRIO DI ONNIPOTENZA… “SALVINI VUOLE SOLO NUOVE ELEZIONI, NON GLI INTERESSA DARE UN GOVERNO AL PAESE”
Deve essere apparso uno spettacolo ai limiti della commedia, agli occhi del capo dello Stato, quello andato in scena oggi nel secondo giro di consultazioni.
Che non solo ha certificato che è franato del tutto lo schema di una trattativa tra centrodestra e Cinque Stelle, ma è franato nell’ambito di una sceneggiata, a tratti quasi incomprensibile, certamente foriera di uno strascico di polemiche e di confusione.
Dopo che la Casellati riferirà al capo dello Stato lo stato dell’arte, saranno necessari almeno un paio di giorni di riflessione prima di immaginare un nuovo schema, sia esso una nuova esplorazione da affidare a un’altra figura sia esso il conferimento del pre-incarico.
Perchè, a ricostruire i fatti, è andato in scena il secondo capitolo di una commedia, il cui primo atto è è stato proiettato una settimana fa, al secondo giro di consultazioni davanti al capo dello Stato.
Detta in maniera un po’ tranchant: è accaduto che, per la seconda volta, nell’ambito dei fitti contatti tra Salvini e Di Maio, il leader leghista ha dato ampie assicurazioni sul passo indietro di Berlusconi.
E sulla sua disponibilità ad accettare lo schema di un “appoggio esterno”.
È sulla base di questa assicurazione che Di Maio si spinge, rinnegando ogni dogma di purezza, ai limiti dell’eresia, dichiarando la sua disponibilità ad accettare i voti del Condannato, come lo chiamano nel suo mondo.
Più di così, dice col volto teso di chi si sta giocando l’ultima chances, non posso fare. È mossa goffa e disperata, propria di chi è ossessionato dall’idea di dover rinunciare a palazzo Chigi — occasione di una vita — e che produce la prevedibile reazione di Berlusconi.
È chiaro che ciò che per Di Maio è un’eresia per il Cavaliere è una umiliazione perchè non si può chiedere a un leader di sostenere un governo e nascondersi, dare i voti senza avere un riconoscimento politico, coronare il sogno della vita altrui senza avere ministri.
Ed è prevedibile, quanto comprensibile, l’altrettanto dura reazione di Giorgia Meloni che parla di un paese “ostaggio” del “disperato bisogno di Di Maio di sedere sulla poltrona di palazzo Chigi”.
Ma la rabbia di Berlusconi che filtra dalle stanza di Palazzo Grazioli, questo il punto, in serata è rivolta più all’alleato che all’avversario.
Alleato che lo ha esposto a una figuraccia, tenendolo silente nel corso dell’incontro con i giornalisti ed esponendolo all’inaccettabile richiesta del leader pentastellato. Ecco, di qui sorge una domanda per l’oggi e per il dopo, che rimbalza nei palazzi che contano: “Ma perchè Salvini ogni volta dice che ‘è fatta’ e poi lascia Di Maio col cerino in mano, addossandogli poi la responsabilità dello stallo?”.
E chissà se una risposta sta in quel che in serata dice a Isernia: “Il governo lo metto in piedi io, sennò si vota”.
Parole pronunciate in un crescendo propagandistico che occupa l’etere e la scena, con un leader che rivendica l’incarico, senza paura di “bruciarsi”, senza indicare numeri, strategia, interlocutori, anzi appena sono franati numeri, strategia e interlocutori.
Tra i frequentatori del Colle la parola magica che spiega tutto è il riferimento alle urne, più che la richiesta di un incarico, perchè, su questi basi, non si capisce come gli possa essere affidato.
La sensazione è che Salvini, protagonista di una campagna elettorale permanente, non voglia fare alcun governo. E si prepari all’opposizione di un governo qualunque esso sia fondato su asse Pd-Cinque Stelle, per poi presentarsi alle elezioni, quando sarà da leader che nel frattempo ha prosciugato il centrodestra.
Analisi per nulla irrilevanti, ora che il capo dello Stato dovrà sbrogliare la complicata matassa, perchè il mandato della Casellati è fallito.
E assieme alla certificazione del fallimento non c’è l’abbozzo di una traccia di lavoro alternativa. Perchè l’ambizioso Di Maio, nel mettere tutta la legna possibile nel forno del centrodestra, ha lasciato molto a secco quello del Pd: non un segnale degno di questo nome, non uno schema accettabile neanche per la parte più disponibile dei dem.
È evidente che non andrà a palazzo Chigi così come che Salvini gioca più all’opposizione che al governo.
Ma qui finiscono i punti fermi. E ora la palla passa, di nuovo, nelle mani del capo dello Stato.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile
UNA FONDAZIONE PRESIEDUTA DA UN LEGHISTA HA INVESTITO MILIONI SUI TITOLI DI PICCOLE SOCIETA’ CON BASE SULL’ISOLA
È una miniera di sorprese l’ultima pagina della millenaria storia del castello medievale di Collalto Sabino, 70 chilometri da Roma sulla strada per L’Aquila.
Tra investimenti milionari, intrighi politici e conflitti d’interessi assortiti, si arriva nell’isola di Malta, dopo una sosta a Mauritius, paradiso vacanziero nell’Oceano Indiano. Niente più papi e cardinali, nobili e briganti, che per secoli hanno popolato le stanze della fortezza nel reatino.
La trama che L’Espresso è in grado di svelare racconta i sorprendenti affari di un ente benefico con sede a Varese sostenuto e finanziato dalla potente Fondazione Cariplo. Dietro le quinte si muovono professionisti con solidi agganci politici.
Come per esempio Luca Galli, targato Lega per un decennio e più fino all’espulsione dal partito, l’estate scorsa.
E poi Andrea Gemma, consigliere di amministrazione dell’Eni, avvocato dalle mille relazioni nei palazzi del potere romano, in primis con Angelino Alfano, ministro degli Esteri dimissionario.
Per tirare le fila di questa vicenda conviene partire da Malta, piattaforma d’affari nel Mediterraneo ad alta densità di investitori internazionali, attratti dai generosi sconti fiscali del governo di La Valletta.
Batte bandiera maltese il gruppo Global Capital, una piccola compagnia di assicurazioni che una quindicina di anni fa ha investito circa 3 milioni di euro per comprare il castello di Collalto Sabino, con le sue alte mura merlate che cingono un palazzo nobiliare con nove camere da letto, saloni, sala da ballo e biblioteca.
L’affare italiano non sembra aver portato molta fortuna a Global Capital.
Le cronache finanziarie danno conto della storia piuttosto travagliata della società , che fino al 2015 era controllata dal miliardario mauriziano Dawood Rawat, a capo della British American Investment company (Bai) con base a Mauritius.
Il cambio di governo nel minuscolo Paese africano, un milione e duecentomila abitanti, è stato fatale al finanziere, molto vicino al primo ministro uscente Navinchandra Ramgoolam. Accusato di una gigantesca truffa da oltre 600 milioni di dollari, tre anni fa Rawat è stato costretto a fuggire all’estero per non essere arrestato, mentre le sue proprietà venivano commissariate.
Arrivano gli italiani
Gli effetti del ribaltone si sono fatti sentire anche a Malta. Global Capital esce dall’orbita del gruppo Rawat e a metà del 2015 compare all’orizzonte un nuovo socio forte, l’italiano Paolo Catalfamo, 55 anni, una lunga carriera alle spalle come gestore di fondi e investitore in proprio.
Catalfamo non è entrato in scena per caso. È stato console onorario in Italia di Mauritius, dove risulta residente, e gli vengono anche attribuiti buoni rapporti con Navinchandra Ramgoolam, l’ex primo ministro che fu a suo tempo sponsor di Rawat, il miliardario caduto in disgrazia. Tramite la Investar, una holding con base a Malta, il nuovo arrivato mette sul piatto una manciata di milioni e prende il controllo della compagnia di assicurazioni di La Valletta.
Ad aprile 2016 su Global Capital sventola il tricolore italiano.
Nel consiglio di amministrazione presieduto da Catalfamo troviamo l’avvocato quarantenne Andrea Gemma, protagonista di una rapidissima carriera. Insieme a Gemma, nel board maltese siede anche il leghista Luca Galli, che in passato ha collezionato poltrone in Cariplo, nel gruppo bancario Intesa e in Finlombarda, controllata dalla regione Lombardia.
I due amministratori di Global Capital hanno condiviso almeno un altro incarico: entrambi sono stati consiglieri di Serenissima sgr, la società di gestione di fondi immobiliari che fa capo alla Centrale Finanziaria presieduta da Giancarlo Elia Valori, un altro nome che ricorre da decenni nel mondo di mezzo tra la politica e gli affari.
Soldi dalla Onlus
Torniamo a Malta. Una volta in sella, Catalfamo fa il pieno di capitali freschi. Nel corso dei primi mesi del 2016 Global Capital e la holding Investar piazzano sul mercato obbligazioni per un totale di 15 milioni di euro.
Chi ha sottoscritto quei titoli? La Fondazione comunitaria del Varesotto sborsa circa 2,5 milioni. I documenti ufficiali che L’Espresso ha potuto consultare rivelano che 720 mila euro sono andati a Global Capital, mentre 1,8 milioni hanno preso il volo verso la Investar di Catalfamo.
In altre parole, il piccolo ente con sede a Varese ha investito quasi il 20 per cento del proprio portafoglio titoli puntando sulle obbligazioni di due società maltesi, praticamente sconosciute fuori dall’isola.
Una scelta sorprendente per un’istituzione benefica nata 20 anni fa per «migliorare la qualità della vita della comunità e promuovere la cultura della donazione», finanziando tra l’altro la ricerca scientifica, le attività culturali, l’assistenza sociale e sanitaria.
La Fondazione comunitaria del Varesotto opera di fatto come un satellite di Cariplo, che oltre ad avere voce in capitolo nella nomina del consiglio di amministrazione è anche di gran lunga il principale finanziatore.
Bilanci alla mano, ora si scopre che la onlus varesina è diventata uno sponsor importante della Investar di Catalfamo, che ha come unica attività in bilancio la partecipazione azionaria in Global Capital.
I conti della holding maltese segnalano che la quota di controllo nel capitale della compagnia di assicurazioni vale 4,4 milioni finanziati per intero con il prestito da 5 milioni emesso all’inizio del 2016.
Lo stesso prestito che è stato sottoscritto per 1,8 milioni (il 36 per cento del totale) dalla Fondazione comunitaria del Varesotto.
Le obbligazioni sono convertibili in azioni Global Capital nel settembre di ogni anno a partire dal 2017 e in prospettiva potrebbero rivelarsi molto difficili da liquidare, visto che sono trattate soltanto in un piccolo listino alternativo maltese.
Interessi in conflitto
Per quale motivo un ente benefico, che dovrebbe evitare speculazioni finanziarie, si è avventurato fino a Malta per investire in una piccola compagnia di assicurazioni e in una holding come la Investar che a fine 2016, data dell’ultimo bilancio disponibile, vantava mezzi propri per soli 139 mila euro?
Dalle carte emerge che la rotta di Global Capital si incrocia almeno in un’altra occasione con la onlus varesina.
Come detto, infatti, tra gli amministratori della società maltese compare il nome di Luca Galli. Proprio lui, il consulente finanziario nonchè piccolo imprenditore di Castellanza (ramo costruzioni), a lungo esponente di punta della Lega in provincia di Varese. Galli fino all’estate scorsa sedeva sulla poltrona di presidente della Fondazione comunitaria del Varesotto.
Ricapitoliamo: nel 2016 l’ente guidato da Galli investe 2,5 milioni di euro nelle obbligazioni Global Capital e della controllante Investar.
A luglio di quell’anno, lo stesso Galli entra anche nel consiglio della compagnia di assicurazioni di La Valletta. «Conosco Galli da una decina di anni», ha spiegato Catalfamo a L’Espresso. «Gli ho chiesto di entrare in consiglio proprio per poter sorvegliare da vicino la gestione della compagnia in cui aveva investito la Fondazione che presiedeva».
Ribaltone a metà
Per un po’ tutto fila liscio, a Varese. L’ente benefico approva il bilancio dove vengono segnalati gli investimenti a Malta e il 1° giugno del 2017 i 14 amministratori votano all’unanimità la riconferma del presidente uscente Galli, designato da Cariplo.
Nel board della fondazione varesina siedono importanti esponenti delle professioni e dell’imprenditoria locale, come l’avvocato leghista Andrea Mascetti, l’ex presidente dell’Unione industriali, Michele Graglia, il banchiere Giorgio Papa, già direttore generale della finanziaria regionale Finlombarda e dal 2015 alla guida della Popolare Bari.
Un primo stop a Galli arriva il 13 luglio 2017. Quel giorno il presidente si presenta dimissionario davanti al consiglio della fondazione varesina, che prende atto del passo indietro. È una svolta sorprendente, visto che solo 40 giorni prima Galli era stato riconfermato all’unanimità .
Nel frattempo la Lega aveva scaricato il suo dirigente, espulso poche ore prima di lasciare l’incarico di vertice nella onlus con le obbligazioni a Malta. L
a decisione non è mai stata motivata, ma non è difficile metterla in relazione con il coinvolgimento di Galli in un’indagine della procura di Varese sulla gestione della casa di riposo cittadina.
L’ex leghista, però, ha fatto un passo indietro solo a metà : è infatti ancora amministratore della Fondazione, ora presieduta da Maurizio Ampollini, legato al mondo del volontariato.
«Stiamo cercando di vendere i titoli maltesi un po’ alla volta», spiega Ampollini , «ma serve tempo».
Intanto la società Quaestio, partecipata da Cariplo, ha completato la sua verifica sulla consistenza e i rischi legati agli investimenti dell’ente benefico varesino.
Le sorprese non mancano. E ancora una volta si corre sul filo del conflitto d’interessi. Galli, in questo caso insieme all’avvocato Gemma, compare tra gli amministratori di Serenissima sgr, a cui fa capo il fondo Real Energy. Ebbene, dai documenti ufficiali risulta che la Fondazione Varesina ha investito 520 mila euro proprio nel fondo Real Energy.
Tra il 2016 e il 2017 sono inoltre state comprate obbligazioni e una garanzia ipotecaria per un totale di 1,5 milioni collocate dalla società Mata, a cui fanno capo alcune operazioni immobiliari tra Milano e Pavia. Fino all’estate del 2016 uno dei tre amministratori di Mata era il leghista Galli. Ancora lui.
(da “L’Espresso”)
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Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile
LA DRAMMATICA TESTIMONIANZA DEL TUNISINO AL PARLAMENTO UE: “CAPISCO LE FRONTIERE, MA DI PIU’ GLI ESSERI UMANI”
Chamseddine Marzoug è un pescatore. Vive a Zarzis, un villaggio della costa tunisina, tra Djerba e il confine con la Libia.
Quando esce in barca per pescare si imbatte sempre più spesso in qualcosa che non vorrebbe. Corpi di migranti di tutte le età che galleggiano, alla deriva.
A volte sono ancora vivi, aggrappati a pezzi di legno, e riesce a salvarli. Altre volte no. Sono i senza nome, gli sconosciuti di cui non si ha notizia, che non fanno più notizia. Migliaia di persone che tentano la traversata e non ce la fanno. Lui li raccoglie, li porta a riva, e gli dà una degna sepoltura
In dieci anni ne ha trovati centinaia. Tanto che ha dovuto costruire un cimitero apposito. “Ho raccolto oltre 400 corpi”, spiega Chamseddine. La sua storia è il simbolo di quella tragedia quotidiana che avviene nel Mediterraneo: donne, uomini e bambini che vengono inghiottiti dal mare, durante quel viaggio della speranza che solo per pochi diventa realtà .
Il Parlamento Ue di Strasburgo ha ascoltato ieri la sua testimonianza.
Ai deputati europei Marzoug ha raccontato di quei bambini che è riuscito a sottrarre all’abisso, e di quelli per i quali non ha potuto fare altro che costruire una piccola bara bianca.
“Che colpa aveva?”, ha chiesto Chamseddine ai rappresentanti Ue, mostrando la foto del corpo di un bambino di cinque anni raccolto in mezzo al mare. “La vita li ha rifiutati. Noi non possiamo farlo. Dobbiamo dargli una sepoltura dignitosa”, ha sottolineato il pescatore.
Sul canale che bagna la sede del Parlamento Ue a Strasburgo, Marzoug ha ripetuto i gesti che compie quando si imbatte nel corpo di un migrante in mare.
Ha raccolto dall’acqua il pupazzo di un bambino, lo ha pulito e preparato, come vuole la tradizione in Tunisia, e poi lo ha deposto in una piccola bara bianca, per dare ai parlamentari un’immagine concreta di quello che avviene.
Dopo l’inferno dei centri di detenzione libici, i migranti vengono caricati sulle più disparate catapecchie del mare, poco più che relitti galleggiati.
La probabilità più alta che li attende è quella di affondare a pochi chilometri dalla costa libica.
Le correnti poi li trascinano verso ovest: a volte qualche naufrago riesce ad attaccarsi a un pezzo di legno, ma spesso sono cadaveri quelli che finiscono nelle reti di Marzoug. “L’anno scorso abbiamo raccolto 66 corpi, quest’anno 6”, racconta il pescatore.
“Ma è ora, in questo periodo, che iniziano ad arrivare. I venti soffiano da sud e portano le barcacce verso le coste della Tunisia, dove spesso non ce la fanno a proseguire”.
Di fronte ai giornalisti e ai deputati, nella conferenza stampa organizzata del gruppo parlamentare della Gue, Marzoug racconta: “A Zarzis ho costruito il cimitero degli ignoti. Adesso è saturo. Non c’è più spazio. Sto chiedendo per una questione di umanità , un cimitero più grande e spazioso”.
“Capisco le frontiere — ha continuato Chamseddine – ma capisco meglio gli esseri umani. Ci vuole umanità nel trattare queste persone. Che scappano per avere un futuro migliore e finiscono in Libia, che è un mercato del bestiame con uomini, donne e bambini venduti: l’intera Africa viene bistrattata in Libia”.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile
E SI SCOPRE CHE IN DIECI ANNI GLI STRANIERI SONO DIMINUITI DI 2.000 UNITA’… IL RAPPORTO DI ANTIGONE SU 89 PENITENZIARI: CELLE SENZA DOCCE, UN DETENUTO SU TRE IN ATTESA DI SENTENZA, IL 40% DI CHI ESCE RIENTRA IN CARCERE
Dalle celle senza doccia alle ristrutturazioni infinite fino agli istituti in cui i corsi di formazione sonouna chimera.
Un tasso di sovraffollamento al 115 per cento, i detenuti che aumentano (6mila in più di due anni fa) mentre i reati diminuiscono e una recidiva che dice che quasi il 40 per cento di coloro che sono usciti dieci anni fa, sono finiti di nuovo in carcere.
I numeri sono quelli del rapporto dell’associazione Antigone che da vent’anni, autorizzata dal ministero della Giustizia, visita i 190 istituti di pena italiani. Un’indagine che smentisce tra l’altro un tema molto presente nell’ultima campagna elettorale: non c’è un’emergenza stranieri, perchè non c’è correlazione tra i flussi di migranti in arrivo in Italia e quelli di migranti che fanno ingresso in carcere.
L’allarme riguarda di sicuro i suicidi, 52 quelli del 2017 (sette in più rispetto al 2016), 11 nei primi tre mesi del 2018.
Sullo sfondo la riforma dell’ordinamento penitenziario, alla quale il Parlamento deve dare il via libera attraverso la commissione speciale.
Il presidente della Camera Roberto Fico, peraltro anche su input del Quirinale, ha chiesto ai gruppi una riflessione per portare il provvedimento in discussione.
“Tra le innovazioni che più riteniamo significative — spiega Antigone — ci sono l’equiparazione ai fini del trattamento medico e giuridico della malattia psichica a quella fisica, il miglioramento e la modernizzazione di alcuni aspetti della vita interna, il richiamo alle regole penitenziarie europee, l’allargamento delle misure alternative, di gran lunga meno costose del carcere e più capaci di ridurre la recidiva e garantire la sicurezza della società ”.
L’indagine su 86 istituti penitenziari
Negli ultimi mesi l’associazione ne ha visitati 86, 36 nel Nord, 20 in Centro e 30 tra il Sud e le isole: da quello più grande di Poggioreale, una cittadina nel centro della città di Napoli che ospita oltre 2.200 detenuti (erano poco più di 2mila un anno fa) a quello più piccolo di Arezzo, con una capienza ufficiale di 101 posti ma in cui da tempo, a causa di interminabili lavori di ristrutturazione, le presenze non superano le 30 unità . Per l’intero sistema il Dap ha previsto un budget per il 2018 di oltre 2 milioni e 800mila euro, per un costo giornaliero per detenuto di 137 euro, in lieve diminuzione rispetto al 2017, a causa dell’aumento del numero dei detenuti. L’80 per cento del budget è destinato a spese per il personale civile e di polizia penitenziaria.
Celle senza doccia, wc vicini al letto
In dieci istituti tra quelli visitati, Antigone ha trovato celle in cui i detenuti non avevano a disposizione tre metri quadrati calpestabili, in cinquanta c’erano celle senza doccia e in quattro in cui il wc non era in un ambiente separato dal resto della cella. Nelle 86 carceri visitate in media esiste un educatore ogni 76 detenuti e un agente ogni 1,7 detenuti, ma in molti istituti questi numeri sono decisamente più alti, come nel caso di Bergamo (un educatore ogni 136 detenuti, un agente ogni 2,8 detenuti).
Nel 43 per cento dei penitenziari al momento della visita non c’erano corsi di formazione professionale attivi e in uno su 3 non c’erano spazi per le lavorazioni. Solo un detenuto su 5 va a scuola in carcere. Il tasso di occupazione è del 30 per cento e appena l’1,7 per cento dei detenuti lavora dentro gli istituti per datori di lavoro diversi dall’amministrazione penitenziaria.
Diminuiscono i reati, aumentano i detenuti
Alla fine del 2012, pochi giorni prima della sentenza Torreggiani con cui la Corte di Strasburgo condannava il nostro Paese per il sovraffollamento carcerario, i detenuti nelle carceri italiane erano 65.701.
Nei due anni precedenti, sotto la pressione dell’emergenza penitenziaria, il numero dei detenuti era già diminuito di oltre 2mila unità .
Dopo la sentenza ha continuato a scendere fino alle 52.164 presenze della fine del 2015 e poi ha ripreso a salire. Erano 57.608, per 50.499 posti ufficiali, i detenuti al 31 dicembre 2017.
Il 31 marzo scorso erano arrivati a 58.223, aumentando di oltre 600 unità in tre mesi. Tra il 31 dicembre 2015 e oggi i detenuti sono cresciuti di 6.059 unità .
Il tasso di detenzione (numero di detenuti per numero di residenti in Italia) è pari a circa un detenuto ogni mille abitanti. La verità è che continuano ad aumentare gli ingressi in carcere nonostante un calo del numero di reati denunciati dalle forze di polizia. Nel 2016 gli ingressi erano circa 1.500 in più dell’anno precedente, mentre i reati denunciati erano 200mila in meno.
Gli stranieri in carcere? Duemila in meno in 10 anni
I numeri dicono anche che quello degli stranieri sempre più numerosi nelle carceri italiane è un bluff.
Negli ultimi quindici anni, a partire dal 2003, mentre gli stranieri residenti sono più che triplicati, il tasso di detenzione di stranieri si è ridotta di quasi tre volte.
Se nel 2003 su ogni cento stranieri residenti in Italia (erano circa 1 milione e mezzo) l’1,16 per cento finiva in carcere, oggi (che sono circa 5 milioni) è lo 0,39.
Rispetto al 2008 ci sono 2mila detenuti stranieri in meno.
Uno su 3 è in carcere in attesa di sentenza
Non solo. L’Italia è il quinto Paese dell’Unione Europea per tasso di detenuti in custodia cautelare. Nel 2017 i detenuti ancora in attesa di sentenza definitiva (dunque innocenti fino a prova contraria) erano il 34,4 per cento, mentre la media europea è del 22.
Chi esce dal carcere, invece, troppo spesso ci ritorna. È accaduto al 39 per cento dei detenuti tornati liberi nel 2007: sono tornati dietro le sbarre una o più volte negli ultimi dieci anni. Antigone rileva come “troppo spesso il carcere non aiuta la sicurezza dei cittadini” e che “questo tipo di detenzione non basta a scongiurare la recidiva“.
Affollamento: Larino al top, poi tre penitenziari lombardi
Fino al 31 marzo era il carcere di Larino, in Molise, a presentare il più alto tasso di affollamento. Con una capienza di 107 posti letto, ospitava 217 detenuti (tutti uomini, uno su quattro straniero), con un affollamento del 202,8 per cento. “Nonostante non si tratti di una situazione transitoria ma persistente — spiega Antigone — le condizioni di vivibilità all’interno dell’istituto sono però in linea di massima accettabili”. Si applica infatti la sorveglianza dinamica: circa la metà dei detenuti è impegnata in attività scolastiche e vengono organizzate attività culturali e di intrattenimento. Va meno bene per quanto riguarda la formazione professionale e l’assistenza psichiatrica.
A seguire, le tre carceri più affollate si trovano tutte in Lombardia: in primis quella di Como, con un tasso del 200 per cento (462 detenuti per 231 posti, con 56 donne e 242 stranieri).
“Ci sono detenuti che non avevano neppure 3 metri quadri di spazio a disposizione — racconta nel rapporto l’associazione — le condizioni igienico-sanitarie sono critiche e molte docce sono prive di diffusori, mentre alcune sono inutilizzabili a causa degli scarichi intasati. L’acqua calda in cella non è garantita”.
Poi ci sono il carcere di Brescia-Canton Mombello, affollato al 192 per cento (363 detenuti per una capienza pari a 189 unità , senza presenze femminili e con un’utenza straniera che supera la metà ) e il più piccolo istituto di Lodi (86 persone, di cui 50 stranieri, per 45 posti), con un tasso del 191.
Il quinto carcere per tasso di affollamento è quello di Taranto, dove in 306 posti vivono 583 detenuti (di cui 25 donne e 41 stranieri), per un tasso pari a 190,5%. Nella classifica del sovraffollamento ci sono poi gli istituti Brescia-Verziano (187,5%), Busto Arsizio (186,7), Bergamo (179,8), Chieti (175,9) e Pordenone (173,7).
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile
C’E’ QUALCOSA DI MOLTO ITALIANO IN QUELLA CLASSE MISTA
A Milano Centrale il treno spalanca le porte e nella carrozza irrompe la tanto temuta scolaresca. Decine di ragazzi che travolgono ogni cosa. Riempiono ogni silenzio. Scaricano vita e ormoni e secchiate. Spandono profumi e aromi più o meno gradevoli.
È la scolaresca tanto temuta dal viaggiatore pieno di spirito poetico perchè il suo spazio vitale si riduce. Temuta anche perchè di fronte alla scolaresca deve dire, con Mario Luzi, “quanta vita!”. Insomma, i ragazzi ti fanno sentire vecchio.
In mezzo alla marea diretta con te a Venezia un anziano professore che riesce a mantenere la calma contro ogni aspettativa. Che controlla flemmatico la situazione. Poi una giovane prof che viene dal sud con pantaloni attillati e occhi freschi come gli alunni. Due contro sessanta. Ce la faranno a domare la classe?
Ma non è soltanto la vita a colpirti. Dei ragazzi di questa scuola milanese, gli “italiani” saranno la metà . Quattro continenti in una classe.
Quanti colori della pelle: bianco — caro al governatore lombardo Fontana — mulatto, nero. E si fa presto poi a dire asiatici guardando le mille curve degli occhi, le virgole dei sorrisi a volte malinconiche altre piene di ironia. E i capelli! Neri opachi, lucidi, a ricci, crespi.
Li guardi — ragazzi e ragazze — e non puoi fare a meno di immaginarti il loro destino, i lineamenti mischiati tra una, due generazioni. Magari con un tuo figlio: “Indovina chi viene a cena”, a casa tua. Per un attimo te lo chiedi anche tu: l’Italia rischia davvero di sparire, come i colori e i lineamenti sui volti dei ragazzi di domani?
Eppure c’è qualcosa di molto italiano in questa classe così mista. C’è la briscola che il professore propone di giocare; “prof, è roba vecchia”, ma poi tutti mettono via gli smartphone e partecipano. Ci sono le canzoni di Tiziano Ferro che sfuggono dagli auricolari. C’è il paesaggio della Pianura oltre il finestrino che diventerà per tutti misura dello spazio, della ricerca di un orizzonte.
C’è soprattutto la lingua, il nostro italiano. La ragazza cantonese e quella albanese con uguale accento lombardo.
Ma le parole sono molto di più: aiutano a mettere insieme i pensieri, ne condizionano la forma. A volte addirittura il contenuto. “Ti voglio bene”, che forse qualche ragazzo si sta dicendo nella carrozza si può dire solo in italiano. Se lo ripeti lentamente ne ritrovi il significato: voglio il tuo bene. Non esiste in altre lingue.
Anche le battute, gli scherzi, l’ironia dipendono dalla lingua. Perfino gli stati d’animo, in fondo.
Ed è italiano lo spirito del professore — giacca, pullover e cravatta di una volta — mentre raccoglie le confidenze del ragazzo ecuadoriano accanto a lui. Sorride, il prof, anche un po’ di se stesso. Non prendersi troppo sul serio per essere rispettati. Forse anche questo tratto è un po’ italiano. Come le battute del capotreno che passa e dopo aver controllato i primi biglietti finge di svenire in braccio a una ragazzina.
Strana sensazione: si vedono pochi “italiani”, ma ritrovi lo stesso l’Italia. E vedi il Paese di domani.
Caro Fontana, vorresti dirgli, per salvare se stessi non serve preservare la Razza Bianca. Bisogna sapere chi siamo. Su questa carrozza di treno si vede l’Italia di domani. Ed è bella.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile
COSA E’ CAMBIATO NEL MERCATO DEI TITOLI DI STATO DAL 2008 AD OGGI
Se si guarda chi detiene i titoli di Stato dei vari Stati si scopre che oggi sono in mani molto più stabili e meno speculative di qualche anno fa.
È vero che i debiti sono aumentati, ma è anche vero che è più difficile che la speculazione li colpisca (come accadde all’Italia nel 2011) o che qualcuno li usi per rappresaglie diplomatiche.
Per una ragione, spiega oggi Il Sole 24 Ore, documentabile nei dati: sui debiti pubblici oggi ci sono più investitori stabili come banche centrali o istituzioni domestiche. Questo non significa che l’iperindebitamento non sia preoccupante. Significa però che questa montagna è meno vulnerabile sui mercati.
Il primo motivo di questo cambio di prospettiva è l’azione delle banche centrali, che con le loro politiche espansive per combattere il credit crunch hanno riempito la loro pancia di debiti pubblici.
Il secondo motivo è che gli investitori stranieri si sono ritirati dagli acquisti. In Italia nel 2008 il 51% del debito era in mano a investitori non italiani: questo ha portato alla maggiore volatilità che ha causato la speculazione del 2011.
Il resto è nelle più stabili mani della Banca d’Italia (19%), banche, assicurazioni e fondi pensione italiani (39,8%) e altri residenti (5,2%). E numeri simili per altri Paesi che in passato hanno attirato speculazione. Nel 2008 solo il 16% del debito pubblico del Portogallo era nelle mani di investitori nazionali, mentre oggi questa quota è salita al 57,2%.
La Spagna nello stesso arco di tempo ha aumentato gli investitori domestici dal dal 52% al 57%, con punte però del 70% nella fase di crisi del debito. «Il caso di scuola è il Giappone, che ha il 90% del debito in mani nazionali — osserva Nathan Sheets, chief economist di Pgim (partner di Ubi Pramerica sgr) ed ex Sottosegretario al Tesoro degli Stati Uniti per gli affari internazionali -. Sebbene il Paese abbia un debito pari al 250% del Pil, questo fatto lo rende più stabile. Semplicemente perchè gli investitori domestici non scappano in caso di difficoltà ».
Infine c’è una terza motivazione: i titoli di Stato non sono in mano a speculatori, ma sono usati in gran quantità da banche centrali estere per costruire riserve valutarie. È il caso, oltre agli Stati Uniti, della Germania. Qualunque banca centrale che voglia avere riserve in euro o che voglia difendere il cambio nei confronti dell’euro acquista infatti Bund tedeschi.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile
“GOVERNO SI FA CON TUTTO IL CENTRODESTRA”… FORZA ITALIA E LA MELONI ATTACCANO IL M5S… A DI MAIO PIACCIONO SOLO I RAZZISTI E I DONATORI DI SANGUE
“Ci proverò fino alla fine, se serve mi metto in campo direttamente io, pur di non perdere altro tempo. Non mi interessano logiche politiche, come ‘non farti avanti se no ti bruci’. Non ho tempo da perdere e l’Italia non ha tempo da perdere”, dice Matteo Salvini da Isernia per poi aggiungere “mi metto in campo, io e o la va o la spacca”.
E ancora: “Non vorrei che qualcuno non avesse la stessa voglia di far partire un governo subito, da tutte le parti. Secondo me c’è qualcuno che tifa a far saltare un accordo politico per inventarsi l’ennesimo governo tecnico che poi spenna gli italiani, a questo la Lega non sarà mai disponibile”.
“Il dubbio mi viene”. Risponde il numero uno del Carroccio a chi gli chiede se il Movimento Cinque Stelle, a suo giudizio, pensa a un “inciucio” con il Pd
Le parole del leader leghista arrivano subito dopo la nota di Forza Italia, che accusa i Cinque Stelle di immaturità per aver nuovamente respinto la prospettiva di sedersi al tavolo con tutti i partiti della coalizione di centrodestra. “Il supplemento di veto pronunciato dal Movimento 5 Stelle dimostra, al di là di ogni ragionevole dubbio, il rifiuto di formare un governo. Si tratta dell’ennesima prova di immaturità consumata a danno degli italiani. Il centrodestra unito e Forza Italia hanno invece dimostrato di essere pronti e compatti nella volontà di dare le risposte che il Paese necessita”, si legge nella nota di Forza Italia.
Anche la leader di Fdi Giorgia Meloni risponde al niet dei Cinque Stelle. “Il Movimento Cinque Stelle che è arrivato secondo pretende di dettare le regole come se avesse vinto le elezioni, il centrodestra non si spacca e rimane compatto e chiede al presidente della Repubblica il rispetto del voto dei cittadini lo scorso 4 marzo. Buona parte di quelli che volevano cambiare le cose si sono dimostrati attaccati alla poltrona peggio dei peggiori politicanti”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 19th, 2018 Riccardo Fucile
DI MAIO NON SI PUO’ PERMETTERE CHE UN APPOGGIO ESTERNO DI FORZA ITALIA, SALVINI NON SI PUO’ PERMETTERE DI MOLLARE BERLUSCONI
“È chiaro che ci sia una disponibilità a discutere di programmi. Stamattina ci siamo sentiti e ci siamo detti che siamo disponibili a parlare di programma. Ma oltre determinate barricate e limiti non possiamo andare. Noi abbiamo detto che eravamo disponibili a firmare un contratto di governo con Matteo Salvini”.
Così Luigi Di Maio al termine dell’incontro con la presidente del Senato Elisabetta Casellati a Palazzo Giustiniani. “Abbiamo anche detto che quel contratto, quel governo, poteva essere sostenuto da FdI e Fi, ma era chiaro ed evidente che oltre non si potesse andare”, aggiunge.
“Siamo disponibili anche a considerare non ostile un sostegno da Fi e Fdi” ma “il governo si forma su contratto firmato da due persone” M5s e Lega, dice Di Maio. “Con molta onestà vi dico che andremo avanti ma senza pensare a colpi di scena che possano immaginare Di Maio al tavolo a 4 o Di Maio in un governo, tra l’altro senza presidenza del Consiglio dei ministri, con dentro altri ministri che vengono da tre forze politiche diverse”.
“Il M5S non può essere disponibile a una cosa del genere. Non lo è mai stato e il capo politico di una forza come la nostra non potrà mai esserlo”, assicura. Per poi aggiungere: “Nulla per me è perduto, nulla si chiude, ma non andiamo oltre. Resta la proposta di un contratto sul modello ‘tedesco’”.
Il leader M5S gela così le speranze del segretario leghista Matteo Salvini. Venerdì mattina la Casellati andrà a riferire al Quirinale sul mandato esplorativo ricevuto per vedere se ci sono possibilità di formare un governo fra centrodestra e M5S.
“Nutriamo la fondata speranza che si riesca finalmente a superare la politica del no che in molti hanno portato avanti fino a oggi”, aveva detto Salvini al termine delle consultazioni con la Casellati.
“Confidiamo che chi verrà dopo di noi accetti di sedersi al tavolo parlando di programmi e non di posti. Per reciproca buona volontà si parli delle cose da fare”. Poi, riferendosi al Pd, Salvini ha affermato: “Per noi è improponibile un governo con chi ha perso”.
Uscendo da Palazzo Giustiniani, il segretario della Lega dice: “Ieri siamo usciti di qua con gli schiaffoni, se oggi invece degli schiaffoni ci sono i sorrisi è stata fatta metà dell’opera. L’altra metà si farà la prossima settimana”. E spiega: “Sì, ci sono dei segnali di novità dal M5S, confidiamo oggi in quel che dirà Di Maio”.
Questa volta Silvio Berlusconi non ha mai parlato, è rimasto con le mani giunte, talvolta chiudendo gli occhi e respirando profondamente. Ma non ha tirato fuori nessuno degli ampi e teatrali gesti che aveva riservato la volta scorsa, al Quirinale.
(da agenzie)
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