Aprile 8th, 2018 Riccardo Fucile
IL VERTICE CON CASALEGGIO E GRILLO SULLE PREALPI VEDONO DI MAIO SEMPRE PIU’ IRRITATO, NESSUNO VUOLE INCORONARLO COME SALVATORE DELLA PATRIA
È la giornata dei due vertici. Quello tutto politico che riunisce il centrodestra a Arcore e quello molto più informale che vede i vertici del Movimento 5 stelle sedersi attorno a una grigliata nel buen retiro che fu di Gianroberto Casaleggio – e oggi del figlio Davide – a Settimo Vittone, sulle Prealpi al confine tra Piemonte e Val D’Aosta.
E va tutto talmente storto che dal fronte M5s si esclude, sic stantibus rebus, la possibilità di un incontro con il leader della Lega: mancano le condizioni politiche, al momento.
Attorno al biliardino posto nel cortile vista valle, si riunisce intorno a Luigi Di Maio il giro strettissimo, e nessun altro.
C’è Davide, ovviamente, padrone di casa. E il triunvirato che con lui ha in mano le chiavi di Rousseau: Massimo Bugani, Enrica Sabatini e Pietro Dettori.
Un’ora, ed ecco materializzarsi Beppe Grillo, planato da Zurigo dove la sera prima ha messo in scena il suo ultimo spettacolo, accompagnato dai fedeli amici di sempre, Giampaolo e Umberto.
Quest’ultimo si lamenta, 5 ore dalla Svizzera per i rigidissimi divieti di velocità , il primo è impegnato in una laboriosa ricerca delle sigarette perdute. Il comico riesce a evitare i giornalisti, e si infila nella casa che fu del compagno di tante battaglie, con Dettori che mulina la mano, incitandolo a fare presto e a evitare i cronisti.
Ai lati del cancello due cartelli. Iconici. Da un lato “Proprietà privata, divieto di accesso”. Dall’altro una trombetta sotto un cartello di divieto: “Evitate rumori molesti”.
Tra la colonna sonora anni ’90 che si diffonde nella piccola stradina che si inerpica sul costone della montagna e il profumo della carne che arde, gli unici suoni sgradevoli arrivano da Arcore.
Dove un comunicato diramato da Salvini, Berlusconi e Meloni rinsalda la triplice alleanza, pone come condizioni il premierato per il centrodestra e l’unità della coalizione. E viene seguito da varie forzature (Meloni e fonti azzurre che dicono di voler tentare di andare a cercarsi una maggioranza direttamente in Parlamento) e parziali correzioni di rotta (il segretario del Carroccio che smentisce gli alleati, Giorgetti che riapre alla soluzione di un presidente del Consiglio che sia terzo).
“A che gioco stanno giocando?”, chiede il capo politico ai suoi.
L’irritazione è palpabile. Verso le 16 Di Maio si infila in un pullmino e plana su Torino, dove un Frecciarossa lo riporta a Roma.
In stazione non si cura di cercare il bagno di folla. Volto teso, concentrato, si sgancia dai suoi e va in solitaria a cercare un bancomat. Torna e si imbocca la porta del treno. Il tempo per metabolizzare. E tirare fuori una durissima risposta: “Salvini dimostri come possa governare, da noi la grande ammucchiata non avrà un voto. Si vuole tenere Berlusconi e condannarsi all’irrilevanza. Quando vorrà governare per il bene dell’Italia ci faccia uno squillo”.
I due leader non si sentono per tutto il giorno. Quasi una notizia di questi tempi. Ma gli sherpa del Carroccio fanno arrivare un messaggio: è solo un gioco a prender tempo.
Gli strattoni però sono troppi. “Devono smettere di pensare che noi possiamo fare la quarta gamba del centrodestra – è il ragionamento di Di Maio e di quelli che lo circondano – si stanno illudendo alla grande”.
L’irritazione è tanta, forse mai è stata così forte. Nemmeno nei giorni della gran confusione sui presidenti delle Camere, quando al quartier generale 5 stelle si è sempre avuta la sensazione di tenere la situazione sotto controllo. Oggi non più.
“A che gioco sta giocando Salvini – ci si chiede – Vuole andare al governo o semplicemente mangiarsi tutto il centrodestra? Perchè in questo secondo caso faccia pure, a noi le elezioni non ci spaventano”.
C’è un’oca dall’altra parte della stretta strada che costeggia la siepe di casa Casaleggio (se si prova ad attraversare la linea di confine tra l’asfalto e il mattonato si viene duramente redarguiti da Davide). Il suo starnazzare rompe il silenzio, e si infila tra i rami secchi degli alberi appena gemmati, fino al colloquio che va in scena tra Grillo e il suo delfino, Bugani testimone.
Il fondatore è rimasto fuori da tutta la partita. Ma il segnale politico che dà è forte. Tutti riuniti, lui, il figlio del cofondatore, il capo politico, nel momento più complicato. “Mi fido di te, vai avanti Luigi”. Un breve dialogo, prima di gettarsi in una sfida a biliardino.
Le telecamere si inerpicano, cercano buchi nel fogliame, tentano aggiramenti. Ma la barriera naturale architettata da Gianroberto per la sua casa di campagna è un buon paradigma della gelosia con cui coltivava la propria privacy.
A Ivrea si è appena chiusa Sum, la kermesse sul futuro in onore del co-fondatore. Futuro che oggi i vertici 5 stelle guardano con maggiore preoccupazione.
Al punto che a sera una fonte autorevole, spiega: “A questo punto, se il Pd continua a darci segnali importanti come sta facendo in questi giorni, che motivo abbiamo per non provarci con loro?”.
Il secondo forno, ancora, che cuoce e cuoce e cuoce senza mai sfornare nulla. Anche se è ancora in quello della Lega la pagnotta che vorrebbe addentare il Movimento.
A poche decine di metri dalla casa di Settimo Vittone c’è un hotel abbandonato. Si chiama “Caney”. C’è ancora l’insegna sopra la porta.
Una struttura brutta e fatiscente, attorniata da casolari e malghe di mezza montagna. Sul terrazzo al primo piano ancora qualche sdraio arrugginita. Vecchio, vetusto, desolato, abbandonato.
Proprio come i 5 stelle vorrebbero che fosse il centrodestra. Per poter abbracciare finalmente il Carroccio. Ma Salvini a che gioco sta giocando?
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 8th, 2018 Riccardo Fucile
“IL PREMIER SPETTA A NOI, CERCHIAMO I VOTI IN PARLAMENTO”… “NO, DIALOGO A PARTIRE DAL M5S”… MELONI: “INCARICO A SALVINI”, SALVINI: “NO A INCARICO SENZA MAGGIORANZA CERTA”
Una riunione ad Arcore tra Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, nel tentativo di trovare una linea comune da portare al Colle. Ma la compattezza sembra sia solo di facciata.
E Salvini, a un’ora dalla fine del vertice, prende le distanze dalla nota ufficiale.
Nel comunicato finale, il centrodestra rivendica la premiership. “Quasi il 40 per cento degli italiani ha scelto di dare la propria fiducia ai partiti del centrodestra ai quali oggi spetta, indubbiamente, il compito di formare il governo”.
E ancora: “Gli elementi dai quali i tre leader non intendono prescindere sono un presidente del Consiglio espressione dei partiti di centrodestra, l’unità della coalizione e il rispetto dei principali punti del programma sottoscritto prima del voto”.
E fonti della coalizione fanno sapere che la coalizione proporrà a Mattarella di presentarsi in Parlamento a “chiedere i voti necessari alla fiducia”.
La versione ufficiale del vertice è dunque che il centrodestra si presenterà al secondo giro di consultazioni al Quirinale rivendicando la premiership per poi presentarsi in Parlamento a chiedere i voti necessari alla fiducia su una base programmatica definita. In pratica, uno schiaffo in faccia ai 5Stelle.
Ma poco dopo la conclusione del vertice, arriva un post su Facebook di Matteo Salvini: “Si parte dal centrodestra ma continua il dialogo a partire dal Movimento 5 Stelle”.
Anzi, più tardi aggiunge: “Sono fiducioso in un governo con i 5Stelle”. E ancora: “L’unica cosa che escludo è di fare un governo insieme al Pd, che ha fatto disastri negli ultimi sei anni”
E poi fonti leghiste fanno conoscere un altro passaggio essenziale: Salvini non è disponibile a ricevere un incarico senza essere certo di avere prima una maggioranza chiara in Parlamento.
Salvini, insomma, non intende andare alle Camere alla ricerca di voti. “I voti non si cercano come i funghi”, dice il leader leghista.
Quindi, nessun governo di minoranza. E Salvini non è disponibile a farsi bruciare. Lo scontro si manifesta plasticamente quando, negli stessi minuti, una nota di Meloni insiste sulla versione del vertice: “Cerchiamo una maggioranza in Parlamento”.
E la leader di Fratelli d’Italia insiste: “Chiederemo un incarico per Salvini. Fa testo il comunicato ufficiale”. In pratica un cortocircuito difficile da nascondere.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 8th, 2018 Riccardo Fucile
“IL M5S HA DEMOLITO QUANTO NOI ABBIAMO FATTO”
“Noi non facciamo da ‘piano B’ ad altre forze, siamo coerenti con gli italiani. Risolvano gli altri partiti le loro ambiguità di fondo”.
Lo ha detto il reggente del Pd Maurizio Martina a Che Tempo che fa, su Rai1, a proposito di un possibile governo tra M5s e Pd.
“Dobbiamo essere coerenti con la sconfitta – ha detto Martina – Se avessimo avuto un consenso diverso lo scenario sarebbe stato altrettanto diverso. Ma la sconfitta è stata tremenda. Confermo l’indisponibilità a fare da soggetto protagonista a una vicenda tutta interna al M5s e centrodestra”.
Alla domanda se le cose cambierebbero se M5s si rivolgesse in via esclusiva al Pd, Martina ha replicato: “contano programmi, ideali. In campagna elettorale da parte di M5s c’è stata la totale sistematica demolizione di ciò che abbiamo fatto. Certamente noi abbiamo fatto errori, e dobbiamo rifletterci su, ma non possiamo essere incoerenti e dimenticare le grandi differenze che ci sono tra noi”.
Esclusa anche una alleanza con il centrodestra: “Non possiamo sostenere governi di altri. Se la distanza con M5s è grande, con Salvini è maggiore. Con Salvini mai, stia sereno”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 8th, 2018 Riccardo Fucile
“MARTINA HA L’ONERE DI APRIRE LA FASE CONGRESSUALE”
“Anche se l’assemblea del Pd dovesse decidere di eleggere un nuovo segretario con pieni poteri, questo avrebbe l’onere di aprire una fase congressuale”.
Lo ha detto Matteo Richetti a Mezz’ora in più annunciando la sua candidatura alle primarie.
“Il 21 aprile all’assemblea se il Pd decide che le primarie si fanno, noi saremo in campo”.
Ma, avverte Richetti, “sarebbe da irresponsabili spaccare l’assemblea, spero che gruppo dirigente arrivi con proposta unitaria”. Quello che immagina il deputato Pd è “una scadenza in autunno con le primarie”.
Nell’intervista di Di Maio “c’è un passo avanti nei toni perchè non ci definisce più come ‘idioti mafiosi disonesti’, ma poi dice che lui non governa perchè il Pd gli ha fatto una legge elettorale contro. Lui che voleva il proporzionale puro con il quale non avrebbe mai governato. Con questa disonestà intellettuale non si va da nessuna parte”.
Quanto al Pd, “uno dei principali fallimenti di questi ultimi anni è stato annunciare il lanciafiamme e non portare neanche il consorzio di bonifica”, ha detto Richetti.
“Se Renzi tornasse indietro sarebbe per lui, per lui personalmente e sarebbe un elemento di incoerenza. Se uno si ritira e poi non si ritira è come dire ‘lascio la politica’, poi fa un percorso in cui si dimette da tutto e alla fine si presenta alle elezioni. E’ successo che ha pagato questa cosa”.
“Questo non vuol dire Richetti attacca Renzi- insiste – Richetti gli vuole un tale bene che quando Matteo fa una cavolata glielo dice. Io lo ritengo una delle menti più brillanti della politica”. Insomma, conclude, “non può essere comprensibile un immediato ritorno in campo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 8th, 2018 Riccardo Fucile
“SPERO NON CI SIANO MOTIVI POLITICI DIETRO LA CHIUSURA DELLE TRASMISSIONI DI DEL DEBBIO E DI QUELLA DI BELPIETRO”… CERTO, LA LOGICA DIREBBE CHE CI SIANO MOTIVI GIUDIZIARI, MA LUI NON HA FINITO GLI STUDI IN GIURISPRUDENZA, NON PUO’ SAPERLO
Non sia mai detto che Luigi Di Maio non apprezzi Quinta Colonna: “Mi auguro di no, spero siano solo delle voci, se fosse vero sarebbe clamoroso”, ha detto il leader del M5S Luigi Di Maio rispondendo a chi gli chiedeva dell’annunciata chiusura del programma di Mediaset, finito nel mirino perchè, secondo alcuni resoconti, era accusato di aver favorito il M5S e la Lega.
“Non siamo mai stati favoriti, chiamerò Del Debbio (conduttore del programma, ndr) per esprimergli la mia solidarietà ”, ha aggiunto Di Maio da Aosta.
Insieme alla trasmissione di Paolo Del Debbio Mediaset ha detto addio anche a Dalla vostra parte, programma condotto da Maurizio Belpietro, attualmente direttore de La Verità .
Quinta Colonna chiuderà il 26 aprile, mentre Belpietro ha già detto addio. I due programmi però avevano soprattutto costi e ascolti insoddisfacenti: per questo a Mediaset si sono convinti a puntare su nuovi format con conduttori interni. Soprattutto il programma Dalla vostra parte non è mai decollato nell’audience e non ha mai superato il competitor Otto e Mezzo di Lilli Gruber su La7; e questo nonostante l’ innesto al fianco di Belpietro di Veronica Gentili, collaboratrice de Il Fatto Quotidiano, che secondo Libero è un volto che piace sì ai piani alti ma meno ai telespettatori di quella fascia.
Belpietro è ancora sotto contratto Mediaset ma non ha trovato ricollocazione; Del Debbio tornerà con una nuova trasmissione a settembre mentre Gentili continuerà con Stasera Italia insieme a Peppino Brindisi.
Ufficialmente le ragioni del palinsesto sembrano prevalere su qualunque altra considerazione, quindi Di Maio può stare tranquillo.
Certo, gli mancheranno le trasmissioni “costruite” apposta per instillare odio verso gli immigrati, ma da un’infame che ha definito le Ong “taxi del mare” salvo poi negare di averlo mai scritto, non ci si poteva aspettare un richiamo alla applicazione della legge Mancino e al reato di istigazione all’odio razziale.
(da agenzie)
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Aprile 8th, 2018 Riccardo Fucile
L’ANNO SCORSO SI E’ ARRIVATI ALLA CIFRA RECORD DI 12,67 MILIARDI PER “SANZIONI E AMMENDE”
I Comuni arrivano a incassare la cifra record di 1,7 miliardi di euro con le multe ma la spesa per la manutenzione delle strade intanto cala.
Questo il risultato di un’analisi pubblicata oggi dal Sole 24 Ore sulle entrate degli enti locali, che spiega che l’anno scorso i Comuni hanno raggiunto la cifra record di 1,67 miliardi per «sanzioni e ammende», come recita la classificazione del ministero dell’Economia in una voce che per il 90% raccoglie le classiche multe stradali e per il resto sanzioni di altro tipo.
Rispetto a 12 mesi prima, l’aumento è del 18%, ma anche nel 2016 la stessa voce aveva registrato un +4% dopo la crescita del 9% dell’anno prima.
Le multe, insomma, sono una delle poche voci in piena salute nella colonna delle entrate comunali. Ma attenzione, la loro geografia è parecchio diversificata.
L’80,3% degli incassi arriva nei Comuni delle Regioni centro-settentrionali
In questa speciale classifica a incassare più soldi pro capite sono i comuni di Firenze, Bologna e Milano, seguiti a sorpresa da Padova, Siena, Treviso e Pisa. Al quindicesimo posto compare anche Roma Capitale. Ma non è tutto oro quello che luccica:
A spingere gli incassi effettivi, accanto all’aumento dei verbali, è intervenuta infatti anche una certa accelerazione delle riscossioni effettive.
La conferma si avrà dopo il 30 aprile, quando saranno approvati i rendiconti dell’anno scorso, ma qualche progresso non è una sfida impossibile visto che fino al 2016 le città hanno mostrato una scarsissima capacità di incassare davvero i verbali: Napoli è riuscita a raccogliere davvero meno di 20 euro ogni 100 di sanzioni scritte nello stesso anno, Roma si è fermata al 25,2% e solo Milano è riuscita ad arrancare fino al 40,6 per cento.
(da agenzie)
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Aprile 8th, 2018 Riccardo Fucile
ERRORI DI TRASCRIZIONE RISPETTO A CENTINAIA DI VERBALI ALLA BASE DEL RICORSO DI UNA CANDIDATA DI FORZA ITALIA CHE AVREBBE OTTENUTO 2700 VOTI IN PIU’… AVENDO GIA’ OPTATO PER IL SEGGIO CALABRESE, SALVINI DOVREBBE FARSI MANTENERE DALLA ISOARDI CHE NON DOVRA’ QUINDI SOLO STIRARGLI LE CAMICIE
Una serie di errori presenti nei verbali della Corte d’Appello di Catanzaro mette a rischio il seggio calabrese di Matteo Salvini, e quindi la sua elezione in Parlamento visto che la procedura di elezione del Rosatellum non prevede “reversibilità ” per le pluricandidature.
A parlare della curiosissima vicenda è oggi Lucio Musolino sul Fatto Quotidiano. Tutto parte da Michela Caligiuri, candidata al secondo posto nel listino proporzionale di Forza Italia e oggi ricorrente davanti alla presidenza del Senato dopo aver perso il collegio uninominale di Cosenza appannaggio del candidato M5S Nicola Morra.
Le regole del Rosatellum hanno portato alla sua elezione in Calabria, nella circoscrizione in cui la Lega ha ottenuti il quoziente più basso.
Nella regione Forza Italia ha portato a casa un solo senatore
Il secondo non è scattato perchè il riparto dei seggi, “operato dall’ufficio elettorale centrale e dell’ufficio elettorale regionale”, è stato “in favore della Lega”.
Ciò è avvenuto, secondo la candidata Caligiuri, perchè “in Corte d’Appello a Catanzaro sono state invertite le colonne dei voti di Forza Italia con le colonne dei voti di Fratelli d’Italia”.
“In molte sezioni,di cui ho acquisito i verbali —aggiunge — i voti erano riportati al contrario. Questo è avvenuto un po’ in tutta la Regione. Rifacendo i calcoli, in realtà il seggio era scattato per Forza Italia e non per la Lega”.
“Errori marchiani — spiega l’avvocato Oreste Morcavallo che assiste la candidata cosentina di Forza Italia —Credo che sia un dato completamente falsato”.
Ecco perchè, al primo punto, il legale calabrese contesta il “verbale di proclamazione nella parte in cui è stato proclamato eletto nel collegio plurinominale della Calabria per il Senato della Repubblica il candidato Matteo Salvini”.
Gli errori di trascrizione che hanno riguardato centinaia di sezioni hanno portato un divario tra i risultati effettivi e quelli risultanti nei verbali: si parla addirittura di 2700 voti.
La Caligiuri ha chiesto alla Corte d’Appello di annullare la proclamazione in autotutela ma le hanno risposto picche. Per questo adesso si muove verso il Senato. Con una possibile brutta sorpresa in arrivo per Salvini.
(da agenzie)
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Aprile 8th, 2018 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DI CHANTAL, 26 ANNI, CANTANTE E CORISTA CON GABBANI… E’ IL PREZZO CHE SI PAGA AD AVER APERTO TV E PARLAMENTO AGLI ISTIGATORI A DELINQUERE
«Lei non mi tocchi. Mi mandi la sua collega»: bastano queste poche parole per dare un colpo di spugna alle lotte che, nei secoli, hanno lasciato alle spalle dei Paesi civili le forme di razzismo legate al colore della pelle.
Ma i pregiudizi, quelli, non muoiono. E sono più comuni di quanto si possa pensare.
A denunciarlo è la cantante Chantal Saroldi, 26 anni ( è stata corista con Gabbani a Eurovision 2017), che ha pubblicato, sulla propria pagina Facebook, un post in cui ha racconta le reiterate forme di razzismo nei confronti della madre, cinquantasei anni, originaria della Tanzania, operatrice sanitaria.
Razzismo non da parte di colleghi o dei datori di lavoro, ma da parte di alcuni pazienti, nelle corsie dell’ospedale San Paolo di Savona.
IL POST DI CHANTAL
Cena. Mia madre parla del lavoro. Mi racconta dei pazienti che in ospedale suonano il campanello per l’assistenza. Lei è una OSS. Quando si presenta molti pazienti si rifiutano di essere puliti o aiutati da lei perchè è nera. Le chiedono di chiamare l’infermiera. La insultano come se lei non fosse un essere umano. Come se la loro bianchezza in qualche modo li rendesse migliori.
Io mi incazzo. Mi incazzo tanto. Ancora? Nel 2018?
Che se poi parli di razzismo, ti dicono che esageri. Senti dire “Io non sono razzista, ma…”. Ti senti dire che il problema dell’immigrazione non c’entra col razzismo. No, certo.
Pensate proprio che siamo fessi. Lei è educata e non dice nulla. Perchè la gente buona non fa casino, non fa rumore. Si limita a lavorare. Ma ecco. Giusto perchè si sappia che non ci inventiamo cose. Che è un clima che si respira.
Buona serata.
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Aprile 8th, 2018 Riccardo Fucile
“QUANDO IL CONTRATTO SARA’ SCRITTO CAPIREMO DA CHE PARTE STANNO”
Il primo fu Totò Riina, nel 1994: “Durante una pausa del processo per l’omicidio Scopelliti, nell’aula della Corte d’assise di Reggio Calabria, mi puntò il dito contro e ammonì: ‘State attenti a quel comunista!'”.
Poi, negli anni del berlusconismo arrembante, quando il conflitto tra la politica e la magistratura ogni giorno produceva notizie da prima pagina, quell’etichetta che gli aveva assegnato il capo della mafia siciliana risuonò più volte, anche nella variante: “Toga rossa”
Anni prima, invece, quando indagava sul terrorismo delle Brigate Rosse e di Prima Linea, Gian Carlo Caselli, oggi magistrato in pensione, era stato un “fascista”, “servo sciocco di Dalla Chiesa”: “Ma io, trasferendomi da Torino a Palermo, non mi ero accorto di essere cambiato così tanto”.
L’accusa di essere “fascio” è tornata di moda in anni recenti, quando a prenderlo di mira sono state alcune frange del movimento No-Tav: “Qualsiasi opinione sul costo dell’opera, sulla sua utilità , sull’impatto ambientale, è legittima. Ma chi usa la violenza, a volte anche in maniera assai grave, commette un reato. E un procuratore della Repubblica che riceve sulla sua scrivania la notizia di quel reato non può voltarsi dall’altra parte, come tanti avrebbero voluto che facessi”.
Allora le inchieste proseguirono e sui muri di Torino scrissero anche: “Caselli mafioso”. E poi lo scrissero sulle mura di altre città : “Andai a Palermo dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio; poi, tornato a Torino, con il processo Minotauro sulla ‘ndrangheta in Piemonte, nel 2011, la procura che dirigevo arrestò centocinquanta persone in contemporanea. Ho sperimentato di tutto, ma mafioso mi sembra davvero incredibile e stupido. Volendo scherzare: mancava solo che mi accusassero di essere juventino e poi le avrei provate davvero tutte”.
Perchè tifa il Torino?
“Da ragazzino, un collega di mio padre, un operaio meccanico, mi portava ogni domenica a vedere le partite del Toro. Non era il Grande Torino: era la squadra nata dopo la tragedia di Superga. Tifarla significava avere il coraggio di navigare controcorrente, rimanendo fedeli a se stessi nelle avversità , attraversando i momenti bui, le sofferenze. Non è un’ideologizzazione del calcio, le assicuro: tifare Toro a Torino significava, e significa, mettere alla prova la coerenza e la fermezza delle proprie idee”.
Le servì anche per altro?
“Quest’operaio che mi portava allo stadio, andava ogni mattina in fabbrica con l’Unità in tasca. Era un comunista e un sindacalista in tempi in cui, esserlo, comportava subire l’ostilità dei “padroni”. Io non capivo bene il perchè di questa ostilità , ma ammiravo il modo in cui lui l’affrontava, non arretrando nemmeno un po’ dalle sue idee. Due campi molto diversi, tifo e “militanza”, ma con un elemento in comune: la coerenza. Una strana combinazione di fattori che ha contribuito alla mia formazione e mi ha insegnato l’importanza di fare le cose con passione. Un atteggiamento che ho cercato di conservare anche in magistratura”.
Come si appassionò alla giustizia?
“Quando stavo per finire l’università , cominciai a leggere Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone e il Mondo di Mario Pannunzio, sul quale scriveva di giustizia Marco Ramat, un magistrato. Scoprii nella Costituzione uno strumento di crescita collettiva, un veicolo per l’affermazione dei diritti e dell’uguaglianza. E capii che facendo il magistrato avrei potuto fare qualcosa di utile agli altri, partecipando, come dice l’articolo 3 della Carta, alla rimozione degli “ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Lei ha incontrato ostacoli di questo tipo?
“I miei nonni erano contadini e furono costretti a emigrare negli Stati Uniti (quelli paterni) e in Argentina (quelli materni). Quando tornarono in Italia, la loro condizione economica rimase modesta. E anche la nostra. Mio padre faceva l’autista a tempo pieno del titolare di una fabbrica dell’indotto Fiat. Perciò la mia famiglia viveva in fabbrica, in via Borgone, nel quartiere San Paolo di Torino”.
Lei però è riuscito a studiare.
“Andavo a scuola dai salesiani e, dopo le medie, mi segnalarono come ragazzo “studioso” al loro liceo, il Valsalice di Torino, proponendo di farmi pagare metà della retta: una generosa disponibilità che consentì ai miei genitori di farmi andare avanti”.
Cos’ha imparato dai salesiani?
“Don Bosco aveva una missione: “Creare buoni cristiani e onesti cittadini”. Io mi sono portato dentro soprattutto il secondo aspetto: l’onestà , che è l’altra faccia della legalità “.
Lei non è un buon cristiano?
“Sono credente, ma con molte fragilità “.
La fede c’entra con il suo lavoro?
“I problemi giuridici si devono risolvere osservando il codice, non il Vangelo, ma ciò non significa che nell’educazione religiosa non si possa trovare anche un orientamento. Ad esempio, operando perchè la legge sia al servizio della persona”.
Come si può condannare un uomo e metterlo allo stesso tempo al centro?
“Decidere della libertà e della vita di una persona, è una delle scelte più difficili che si possano prendere. Per questo, fare il magistrato è un compito gravoso. Ci sono in gioco beni fondamentali. Quelli della persona, certo: ma anche quelli della collettività . Poichè la vita degli esseri umani è per sua stessa essenza vita sociale. Ed essa, per essere pacifica, obbliga tutti al rispetto delle regole”.
Se qualcuno non le rispetta, però, il sacrificio si rende necessario. Come l’ha affrontato?
“Rispettando nella maniera più assoluta le regole e le garanzie dello stato democratico, muovendomi sotto l’orientamento dei principi della Costituzione, del bene comune, della pace sociale. E, quando si è trattato di terrorismo e mafia, anche con la consapevolezza che era in gioco la tenuta della democrazia. Ecco: far valere questi principi, anche sacrificando la libertà di una persona (quando vi siano tutti i presupposti in fatto e diritto) significa semplicemente assolvere il proprio dovere.
Dov’era nel 68?
“Ero appena entrato in magistratura e, quando fuori esplose la contestazione, ero tutto preso dal mio apprendistato. Guardai quello che accadeva da lontano. E, anche se avessi avuto voglia di farlo, non avrei avuto il tempo necessario”.
Si fece un’idea?
“Me la feci quando dovetti occuparmi delle Brigate Rosse e di Prima Linea. Mi rendo conto che è una semplificazione e che occorrono analisi più “raffinate”, ma mi consenta di essere un po’ grossolano: studiando l’origine di questi gruppi armati, constatai che una certa linfa la ricavavano da slogan come “compagni che sbagliano”, oppure “nè con lo stato nè con le Br”, nei quali risuonava una cultura e una mentalità che erano proprie del movimento. Oggi sono delle bestemmie, poichè in nessun modo la legittimità di uno stato democratico, pur con tutti i suoi difetti, può essere messa sullo stesso piano di una banda armata. Eppure, allora erano slogan che attecchivano e generavano ambiguità e confusione. A volte, addirittura contiguità , se non proprio complicità , tra certi ambienti del movimento e i terroristi. Quando questa ubriacatura finì, l’acqua intorno alle Brigate Rosse si ridusse, e poi si prosciugò. E una volta isolati politicamente, l’azione investigativa e giudiziaria contro i terroristi divenne automaticamente più efficace”.
La mafia, invece?
“Dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui furono uccisi Falcone, Borsellino e quanti erano con loro, Nino Caponnetto disse : “È tutto finito, non c’è più niente da fare”. Era un sentimento diffuso, in quelle ore, in tutto il popolo italiano. Avevamo paura che la democrazia italiana stesse per scomparire, sostituita da un da un potere criminale stragista, un narco-stato. Tutti, però, superato il momento di smarrimento, ci chiedemmo: “Cosa possiamo fare?”.
Lei come si rispose?
“Dopo che la normalità stava tornando nella mia famiglia, provata da dieci anni di terrorismo e di vita sotto scorta (i miei figli erano cresciuti circondati dai mitra), eccomi proporre a mia moglie di “ricominciare”. Le dissi che avrei voluto fare domanda di trasferimento alla procura di Palermo, ossia il posto più pericoloso in cui si potesse finire in quel momento”.
Come la prese?
“Ci fu un confronto difficile, ma approfondito con lei e con i miei figli, con i colleghi, con gli amici, con don Ciotti. Alla fine la decisione, con il costante appoggio della mia famiglia. Le motivazioni di fondo furono tante e complesse. Ne ricordo una: un giorno, mio figlio, magari un po’ stufo di sentirsi domandare sempre la stessa cosa, sbottò: “Papà , forse, se le cose in questo paese non vanno sempre come devono, è anche perchè tutti sono capaci di dire cosa è giusto fare, ma pochi lo fanno”. Anche questa frase ebbe il suo peso.
Sentì lo Stato dalla sua parte?
“Ho ottenuto il massimo della protezione che lo stato poteva garantirmi, e, se ho portato a casa la pelle, lo devo agli uomini dei Nocs e della polizia di Stato”.
Finì con un processo ad Andreotti, sul quale lei ha da poco scritto un libro che annuncia la verità . Qual è questa verità ?
“È contenuta nella sentenza del 2 maggio 2003 della Corte d’appello di Palermo, poi confermata in Cassazione. Nel dispositivo (otto righe) si legge: “In ordine al reato di associazione per delinquere (con Cosa nostra) commesso fino alla primavera del 1980” si decreta “l’estinzione per prescrizione”. Reato commesso! Ecco perchè parlare di assoluzione, per Andreotti, è una bestialità giuridica. Non esiste la formula “assolto per aver commesso il reato”. Tanto più se il reato è ultra-provato.
Perchè il centro-destra berlusconiano scrisse una norma per non farla diventare procuratore antimafia?
“Per punire, appunto, la mia inchiesta su Andreotti”.
Un’intimidazione anche agli altri giudici?
“Nonostante gli attacchi, la magistratura di questo paese ha continuato a fare il suo dovere. Tuttavia, l’aggressione nei confronti di Falcone e Borsellino, e poi delle procure di Milano e Palermo e di tutti i magistrati che hanno condotto inchieste scomode, può essere servita a far balenare nella mente di qualche magistrato il dubbio che fosse meglio essere prudenti, inducendolo a scegliere la strada più tranquilla, soprattutto di fronte a soggetti “forti”.
Si riferisce a qualcuno?
“No, nessuno in particolare. Penso, però, che prospettare delle conseguenze all’azione di un giudice, è un rischio per la sua indipendenza. Guariniello ha fatto inchieste sulla ThyssenKrupp, su Eternit e altri colossi economici, senza porsi il problema delle eventuali conseguenze delle sue indagini. Ma quanti Guariniello ci sono in Italia?”
La questione morale c’è ancora?
“C’è, ma nessuno l’avverte più come prima. Con le inchieste sulla mafia, con Mani Pulite, l’opinione pubblica aveva recuperato una notevole fiducia nella legalità . Poi, gli attacchi ben organizzati contro la magistratura, hanno fatto prevalere l’indifferenza, se non l’ostilità . E la questione morale si è eclissata. I cattivi esempi provenienti dall’alto hanno fatto il resto”.
Tutti l’hanno messa da parte?
“Non le associazioni come Libera, che ancora lottano per l’etica della legalità . Nell’interesse di tutti”.
E la politica?
“Una parte della politica l’ha abbandonata o è rimasta indifferente”.
I 5 stelle?
“Onestà , onestà , onestà è uno slogan promettente. Ma deve tradursi in cifra operativa. Per esempio, con una lotta seria (anche col carcere) contro la grande evasione fiscale”.
Che effetto le fece risultare, nel 2013, una tra le dieci persone più votate nelle Quirinarie del Movimento 5 stelle?
“Mi fece piacere, perchè quelli erano i tempi dei grillini ruspanti, autentici”.
Ora come sono, invece?
“Hanno registrato una clamorosa impennata ed è inevitabile che, prima o poi, toccherà a loro governare. E a quel punto vedremo se, dalla propaganda, che consente di dire tutto, passeranno alle cose concrete”.
Possono passare alle cose concrete, stringendo un patto con alcune delle persone che votarono una legge contro di lei?
“Se dovesse succedere, sono pronto a rilasciarle un’altra intervista”.
Non se lo augura?
“Diciamo che non è in cima alle mie aspettative”.
Sarebbe più saggio, per i 5 stelle, guardare a sinistra?
“Non saggio è lo strabismo. Parlano di un “contratto”. Quando sarà scritto nero su bianco, capiremo finalmente verso quale parte guardano davvero. Prima di allora la cosiddetta “politica dei due forni”, più che la responsabilità , richiama l’opportunismo”.
(da “Huffingtonpost”)
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