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DI MAIO ABBANDONATO IN ALTO MARE, AFFONDA LA STRATEGIA M5S

Aprile 6th, 2018 Riccardo Fucile

SI RICAMBIA SCHEMA, SALVINI ORA PENSA AL VOTO ANTICIPATO

C’è un motivo se, nelle stanze che contano, sono ricominciati i ragionamenti anche attorno all’ipotesi di un ritorno al voto.
L’eventualità  che il capo dello Stato vuole scongiurare.
È una eventualità  discussa in vari gabinetti di guerra tra Matteo Salvini e i suoi fedelissimi: “Di Maio sta esagerando, la deve piantare di fare il furbetto giocando con noi e col Pd, con la pretesa di andare a palazzo Chigi. Dopo il Friuli tiriamo dritti e puntiamo alle urne”.
Ma evidentemente non è solo una minaccia a giudicare da quel che sta accadendo a Mediaset, dove nelle prossime settimane si materializzerà  un cambio radicale di linea nei programmi: chiusura anticipata del programma di Paolo Del Debbio e di quello di Maurizio Belpietro, considerati la traduzione televisiva del salvinismo: “Il Dottore (così chiamano in azienda Silvio Berlusconi) imputa a quei programmi la perdita di quattro punti a favore di Salvini nella scorsa campagna elettorale. E adesso che possono esserci nuove elezioni, si cambia”.
È uno “state pronti” che rivela un cambio drastico di clima.
E il ritorno dell’ipotesi di un ritorno immediato alle urne nel novero delle possibilità . Un cambio di clima di cui fa parte la decisione di andare al Quirinale tutti assieme, al secondo giro di consultazioni. Ecco la scena.
Alla Vetrata del Quirinale, dopo il colloquio con Mattarella, si presentano assieme i tre leader del centrodestra, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Dettaglio, non irrilevante: saranno gli ultimi ad essere ricevuti perchè le consultazioni procedono, come da prassi, in ordine di grandezza, dalle delegazioni dei partiti più piccoli a quelle più grandi. E i più grandi, diciamo così, hanno l’onere della proposta
È la fotografia del naufragio di Luigi Di Maio. O quantomeno del suo tentativo, improvvisato e velleitario fondato su tre elementi: il veto, insormontabile, su Silvio Berlusconi; la richiesta non negoziabile di andare a palazzo Chigi; l’offerta di un contratto “politico” che assomiglia a un contatto di locazione, in cui non è importante chi sia l’inquilino — se la Lega o il Pd — ma l’importante è che paghi l’affitto.
Senza alcuna “costruzione politica” in termini di valori, programmi.
Impianto franato, perchè Matteo Salvini si presenterà  come leader del centrodestra, ma con Berlusconi al suo fianco. Difficile leggere questa mossa come una “neutralizzazione” del Caimano, come accaduto con i presidenti delle Camere
Il che non significa che sia scoppiato l’idillio tra Berlusconi e Salvini, ma la politica è questa: ogni azione determina nuove condizioni e nuovi equilibri.
È successo questo nelle ultime 24 ore.
Silvio Berlusconi, con grande abilità , ha trasformato un veto subito in un veto imposto con una certa durezza.
In sostanza ha detto a Salvini: “Se vuoi fare la stampella di Di Maio col tuo 17 per cento, accomodati. Se vuoi fare il leader del centrodestra nel suo insieme non si possono non fare i conti con me”.
E Salvini, che vuole fare il leader del centrodestra, ha rilanciato proponendo una delegazione unitaria. Ciò che, inascoltata, disse Giorgia Meloni qualche giorno fa. Se ne parlerà  in un vertice ad Arcore nel fine settimana: composizione, linea comune, proposte da fare al capo dello Stato, atteggiamento da tenere in relazione a un eventuale pre-incarico.
Sia come sia, è una mossa che cambia, e non poco, il quadro.
Perchè è evidente che avvia un processo nuovo, tra tre leader che in una campagna elettorale da separati in casa faticarono (e non poco) anche solo a concedersi per una foto assieme. E anche a livello sistemico.
Spiega una fonte leghista di alto livello: “Matteo si presenta come leader di tutto il centrodestra, il che significa che non si parla più di governi del presidente e robe del genere. Adesso Di Maio farà  un tentativo col Pd e andrà  a sbattere. A quel punto se vuole trattare con noi, si tratta su un nome terzo e con Forza Italia dentro, altrimenti si vota”.
Ragionamenti e calcoli che non tengono conto del Quirinale.
Perchè il potere di scioglimento è prerogativa assoluta del capo dello Stato che, come noto, non è propenso all’idea di riportare in tempi brevi il paese al voto.
Però l’ipotesi che sembrava remota qualche giorno fa è tornata al centro delle strategie dei leader. Anche Berlusconi si sta preparando all’eventualità , perchè tra un governo ostile con i Cinque stelle e le urne sono meglio le urne.
Si chiariscono così meglio i contorni del “parricidio” che ha in mente Salvini, uno che conosce la politica intesa come ruvidi rapporti di forza: non regalare a Di Maio una passerella a palazzo Chigi, ma tirare dritto al voto trasformando l’Italia in un grande Friuli con la Lega che raccoglie le spoglie di Forza Italia dando vita a un partito unico. Perchè dopo la “delegazione unica” il passo è breve.
E Di Maio, specularmente, che rosicchia punti percentuali a danno del Pd, approfittando della crisi e della confusione di un partito senza leader, identità , energia vitale e ancora sotto shock.
Ecco, nel giorno in cui sembra franare un possibile patto di governo, tutto parla di una oggettiva convenienza a un patto per il non governo.
E per una nuova ordalia elettorale.

(da “Huffingtonpost”)

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DI MAIO DISORIENTATO: IL CENTRODESTRA UNITO AL COLLE “CHIUDE LA POSSIBILITA’ DI DIALOGO CON NOI”

Aprile 6th, 2018 Riccardo Fucile

MA ANCHE LE APERTURE AL PD PER ORA SBATTONO CONTRO UN MURO

Manda messaggi, guarda continuamente le agenzie di stampa che scorrono sul suo telefonino, riflette e studia le prossime mosse quasi spiazzato dalla compattezza, almeno in apparenza, ritrovata dal centrodestra.
Luigi Di Maio, all’indomani delle consultazioni si allontana da Roma su un treno direzione Ivrea, dove sabato si terrà  la seconda edizione del ‘Sum’ dedicato a Gianroberto Casaleggio, consapevole che per il momento i rapporti con Matteo Salvini si sono raffreddati: “Andando al Quirinale con Silvio Berlusconi, chiude alle possibilità  di dialogo con noi”, ragionano i vertici pentastellati.
La giornata è di quelle difficili. Luigi Di Maio è stato isolato.
Dai microfoni del Tg1 all’ora di pranzo arriva il primo schiaffone ai 5 Stelle. ”
L’unico governo che vedo possibile è quello del centrodestra unito con i 5 Stelle”, dice il leader leghista quando sa bene che la condizione che pone Di Maio è sempre la stessa, ovvero un governo senza Silvio Berlusconi.
Subito dopo arriva un’altra botta. Sempre Salvini invita il leader azzurro e Giorgia Meloni a salire insieme al Colle per le consultazioni della prossima settimana, a differenza di giovedì quando è andata in scena un’immagione di centrodestra spaccato che ha fatto ben sperare Di Maio.
L’aspirante premier pentastellato attende quindi di capire cosa succede nel centrodestra, quale sarà  la risposta che il leader di Forza Italia darà  a quello leghista. Le persone a lui più vicine parlano di “classico gioco delle parti”. Si dicono ottimiste: “Aspettiamo, aspettiamo. Salvini troverà  il modo per mettere da parte Berlusconi”.
E invece passano pochissimi minuti ed ecco che da Forza Italia arriva l’ok. I 5 Stelle si ritrovano disorientati, adesso formalmente c’è una porta chiusa davanti a loro, difficile per il momento da riaprire se le condizioni restano queste.
“Come facciamo a parlare di ‘contratto’ con Salvini se lui porta con sè Berlusconi davanti Mattarella?”, si chiedono alcuni esponenti di spicco del mondo pentastellato. Quindi i vertici M5S decidono di reagire affidando all’agenzia Ansa un sorta di ultimatum: “Salvini deve scegliere tra il cambiamento e il riportare indietro l’Italia con Berlusconi”.
La mossa di portare al Colle il centrodestra unito, spiegano i vertici del Movimento, “ha messo Salvini e tutto il centrodestra all’angolo”. In realtà  nell’angolo si sente anche Di Maio alla luce anche delle dichiarazioni del capogruppo dei deputati leghisti Giancarlo Giorgetti che sottolinea: “Non entreremo al governo senza Forza Italia”.
Il primo banco di prova saranno gli incontri tra i leader e i capigruppo chiesti sia dal leader leghista sia da Di Maio.
Ma la condizione posta da quest’ultimo è che Berlusconi non si segga al tavolo: “Parlo con Salvini e Martina”, ha detto provando a rompere il centrodestra. Se il forno con la Lega sembra si stia spegnendo, dall’altro lato M5Ss sta provando ad accendere quello con il Pd nonostante il segretario reggente abbia già  detto che a quel tavolo non si siederà .
Ed è così che gli incontri, da fare prima del secondo giro di consultazioni, appaiono in alto mare perchè essi stessi fanno parte di una trattativa in corso e in evoluzione.
L’aspirante premier grillino già  nelle prossime ore, con ogni probabilità , proverà  a lanciare un nuovo appello al “Pd unito”, nella speranza che si possa almeno avviare un dialogo: quasi unica speranza per il capo politico pentastallato di arrivare a Palazzo Chigi da premier.
Lo dicono anche le parole del capogruppo al Senato Danilo Toninelli: “Per il bene del paese il M5S chiede sinceramente al Pd di metterci intorno a un tavolo a cercare i punti di convergenza per risolvere i problemi dei cittadini”.
Un segnale potrebbe arrivare martedì quando sarà  eletto il presidente della commissione speciale della Camera.
Se gli uomini di Di Maio favoriranno Francesco Boccia del Pd sarà  un chiaro segnale che qualcosa si muove, se invece sarà  eletto un deputato di centrodestra sarà  la dimostrazione che sul piano parlamentare c’è ancora un’intesa Lega-M5S.
Ma su Palazzo Chigi la condizione che pone Di Maio è sempre la stessa, ovvero che sia lui il premier poichè, viene ripetuto, i parlamentari pentastellati non appoggeranno un governo non guidato dal loro leader. E lo ribadiscono proprio in queste ore che tra le ipotesi circola anche quella di un esecutivo guidato da un tecnico.
Ipotesi che mette paura ai 5 Stelle.

(da “Huffingtonpost”)

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COSI’ IL M5S SI E’ IMPROVVISAMENTE INNAMORATO DELLA NATO E DELL’UE

Aprile 6th, 2018 Riccardo Fucile

PICCOLA RASSEGNA DI TUTTO QUELLO CHE I GRILLINI HANNO DETTO IN QUESTI ANNI SULLA NATO E SULL’EUROPA E DI COME SI STANNO RIMANGIANDO TUTTO

Decifrare la linea politica del MoVimento 5 Stelle è un enigma che mette alla prova anche i solutori più abili. «Con noi al Governo ci tengo a ribadire, come detto per tutta la campagna elettorale, che l’Italia manterrà  gli impegni internazionali già  assunti. Resterà  alleata dell’occidente, resterà  nella Nato, nell’Unione europea e nell’unione monetaria» ha detto ieri Luigi Di Maio dopo il colloquio con Mattarella al Quirinale. Possiamo tirare un sospiro di sollievo se è la dimostrazione che il M5S non è più il movimento rivoluzionario nato per “cambiare le cose” e abbattere la casta di qualche anno (a volte mese) fa.
Per il M5S l’importante è andare a governare
È il postideologico bellezza, anything goes avrebbe detto Cole Porter un ottantina d’anni fa.
Ma se l’euro, la Nato e la permanenza nell’Unione Europea non sono in discussione perchè dirlo proprio al Quirinale? Qualche mese fa al campus della Link University il Capo Politico del MoVimento aveva tenuto un discorso dove aveva completamente stravolto la linea della politica estera del M5S.
Le posizioni su Euro, Nato e quant’altro erano quindi già  state “chiarite”. A voler pensare male sembra quasi che Di Maio ieri abbia voluto rassicurare l’Unione Europea.
Quell’Europa dei banchieri e dei burocrati che il MoVimento ha sempre accusato di interferire negli affari interni del nostro Paese.
Di Maio a quanto pare ritiene che per la formazione di un governo sia fondamentale l’assenso implicito della UE. Dirlo ora non cambia le cose per gli elettori — ammesso che se ne accorgano — soprattutto per quelli che hanno votato i pentastellati nella speranza che governi “non eletti dal popolo” come quello guidato da Mario Monti (che Di Battista definì «suddito della BCE e dei suoi diktat») non avessero più a ripetersi. A loro tocca ingoiare il rospo.
A qualcuno potrà  forse venire il dubbio di aver votato davvero lo stesso partito che ieri se ne è uscito con la trovata del “contratto” di governo e che ritiene indifferente poter formare un esecutivo con l’appoggio della Lega o del Partito Democratico.
Due formazioni politiche che non sono proprio identiche.
Il primo è quel partito che voleva tagliare l’Italia in due, quello che Alessandro Di Battista accusava nel 2015 di aver rubato milioni e milioni di euro dei contribuenti. Beppe Grillo nel 2014 disse che la Lega aveva rubato e che Salvini «era stato messo lì per togliere noi dal contesto del dialogo politico».
Il PD invece è il partito del Patto del Nazareno, del Jobs Act, della Buona Scuola, della Legge Lorenzin, della riforma della costituzione bocciata dal popoo e del salvataggio di Banca Etruria e delle banche venete.
Quando il M5S voleva un referendum sulla NATO
L’importante è rimanere vaghi. Ad esempio nel programma esteri del M5S si parla invece di “superamento della NATO“. Un’espressione che oltre al ritiro dei nostri soldati impegnati all’estero non si sa bene cosa voglia dire. Ora a quanto pare la NATO va bene così com’è.
Sempre nel programma votato dagli attivisti si faceva riferimento al taglio della spesa militare per l’acquisto dei famigerati F35. Nella stesura finale del programma ogni accenno ai caccia da combattimento è scomparsa.
Curiosamente l’ex esperto di politica estera del MoVimento 5 Stelle, il deputato Manlio Di Stefano, tace e preferisce far notare l’incoerenza di Salvini che pochi anni fa dichiarava “mai più con Berlusconi”.
Eppure Di Stefano è quello che ha scritto sul Blog delle Stelle un duro attacco all’Alleanza Atlantica: «Da tempo la Nato (tanto per non dire gli Stati Uniti…) sta giocando con le nostre vite. Vite che hanno già  conosciuto due guerre mondiali e sanno cosa si provi ad essere un vaso di coccio tra due d’acciaio. Il M5S si oppone da sempre a questa immonda strategia della tensione e chiede, con una proposta di legge in discussione alla Camera, che la partecipazione italiana sia ridiscussa nei termini e sottoposta al giudizio degli italiani».
A gennaio 2017 Di Stefano ha sostanzialmente proposto di tenere un referendum per chiedere agli italiani se volevano rimanere o meno nella NATO. Poi si è parlato di “superamento” della NATO ed oggi Di Maio si scopre più atlantista di Donald Trump ( uno che aveva iniziato il mandato dicendo che voleva rottamare il Patto Atlantico).
E il referendum? Scomparso, come quello sulle Olimpiadi e sul nuovo stadio della Roma. E come quello per l’uscita dall’euro
La grande confusione del M5S sull’euro
A fine febbraio Il Post ha pubblicato un video che riassume tutti i cambi di posizione del M5S sull’euro e su un’eventuale uscita dalla moneta unica. In questi ultimi anni il MoVimento è passato con disinvoltura dall’essere ferocemente anti-euro a dire che la permanenza dell’Italia nella moneta unica non sarà  messa in discussione.
Nel mezzo c’è il solito Di Maio che inverte la rotta spiegando che l’ipotesi del referendum non viene cestinata ma nel cassetto pronta ad essere usata come arma finale per convincere l’Europa a fare quello che vogliamo.
Certo, ci sono personaggi come Laura Castelli che una volta messi alle strette dimostrano di non avere la più pallida idea di quale sia davvero la linea ufficiale del M5S, ma sono dettagli.
Qualcuno potrebbe erroneamente pensare che si tratta di mancanza di strategia politica. In realtà  ce n’è una, anche se non molto raffinata.
Ogni elettore sentirà  solo la parte del messaggio che gli interessa di sentire.
Nell’era del postideologico à  la Grillo non è obbligatorio essere coerenti e due concetti antitetici possono coesistere.
Ecco quindi che come il gatto di Schrà¶dinger il M5S è contemporaneamente contro l’euro e a favore dell’euro, contro la NATO e dalla parte di Putin e a favore della NATO, contro i governi non eletti dal popolo e a favore di un’alleanza tra partiti che alle elezioni si sono presentati come avversari.
Piccoli dettagli che mostrano come nel M5S sia sempre in atto una costante operazione di riposizionamento.
Resta da vedere quando tutte queste piccole “aggiustatine” finiranno per diventare una valanga. Finchè gli attivisti crederanno che il “contratto” non è nè un inciucio nè un’allenza i parlamentari a 5 Stelle sono in una botte di ferro.

(da “NextQuotidiano”)

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SALVINI NON HA NEANCHE LE PALLE PER COMMISSARIARE I VERTICI DELLA LEGA IN SICILIA COINVOLTI NEL VOTO DI SCAMBIO

Aprile 6th, 2018 Riccardo Fucile

INCONTRA I DUE COORDINATORI INDAGATI PAGANO E ATTAGUILE MA NON SI PUO’ PERMETTERE I PROVVEDIMENTI CHE CHIEDE SOLITAMENTE AGLI ALTRI PARTITI CHE HANNO INDAGATI

Nessun commissariamento, almeno per il momento.
Matteo Salvini, all’indomani dell’inchiesta che ha travolto la Lega in Sicilia, s ela cava con le tipiche frasi di cirocstanza: “Voglio leggere le carte, ci sono delle cose che non mi convincono”.
Il leader del Carroccio, per ora, si limita a timide bacchettate ai suoi dirigenti:   “Ho dato indicazione a tutti di scegliere ovunque volti nuovi, quanto al pregresso… ma da domani si cambia, staremo più attenti. Quando si cresce – dice Salvini – bisogna stare attenti e saremo sempre più attenti ma questo ovunque, da Varese a Catania. E’ chiaro che quando rappresenti milioni di italiani devi essere doppiamente attento”, ha aggiunto Salvini.
Come se questi dirigenti non li avesse scelti lui.
L’inchiesta di Termini Imerese per voto di scambio e attentato ai diritti politici ha mandato ai domiciliari l’ex deputato regionale Salvino Caputo e il fratello Mario, che si candidò al suo posto alle Regionali 2017.
Indagati i due coordinatori regionali Alessandro Pagano e Angelo Attaguile, che restano nei loro incarichi.
La decisione presa   al termine di un incontro a   Roma durato circa un’ora.
“C’è serenità  – afferma Pagano dopo l’incontro – e non esiste alcuna ipotesi di commissariamento. Abbiamo dimostrato che noi siamo stati più che fedeli”
Conta la fedeltà  o l’onestà ?

(da agenzie)

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IL CNR: “FINO AL 60% DI MORTI IN PIU’ VICINO ALLA CENTRALE TIRRENO POWER DI VADO LIGURE”

Aprile 6th, 2018 Riccardo Fucile

DA NOVE MESI LA REGIONE LIGURIA DI TOTI NON HA RESO NOTA LA RICERCA, TENENDOLA NEL CASSETTO, ALLA FACCIA DELLA TUTELA DELLA SALUTE DEI LIGURI

“Eccessi di mortalità  per entrambi i sessi tra il 30 e il 60% sono emersi per tutte le cause e tutti i tumori” nelle zone esposte agli inquinanti.
“E tra il 40 e il 60% per le malattie dell’apparato circolatorio, in particolare ischemiche cardiache e cerebrali”, è scritto nello studio epidemiologico compiuto dal Cnr per “valutare gli effetti sulla salute dell’inquinamento da centrale a carbone a Savona, Vado Ligure, Quiliano e aree limitrofe”.
Sono 51 pagine frutto di anni di ricerche. Applicando i dati del Cnr — che per la prima volta esamina i decessi dal 2000 al 2013 — le morti in eccesso nelle zone esposte si calcolerebbero in quasi 4mila (2.600 solo nelle aree di massimo rischio).
Finora le perizie chieste dai pm che hanno indagato sulla centrale Tirreno Power di Vado avevano parlato di circa 440 morti: da 251 a 335 per le malattie cardiovascolari e 103 per quelle respiratorie. Poi migliaia di ricoveri.
Sono stime, appunto, non dati certi. La difesa ha negato un legame tra malattie e centrale. Spetterà  ai magistrati valutare se il dossier del Cnr sia attendibile e se le morti in eccesso siano da riferire alla centrale (la ricerca sottolinea la presenza di altri fattori inquinanti).
Ma lo studio apre anche un caso politico: “Vogliamo sapere perchè ci siano voluti quasi dieci anni per avere un’indagine epidemiologica. E perchè i risultati da nove mesi siano chiusi nel cassetto della Regione Liguria”, chiede Andrea Melis, il consigliere regionale (M5S) che finalmente ha ottenuto lo studio e lo ha depositato alla procura di Savona.
L’avvocato Matteo Ceruti che assiste l’associazione ‘Uniti per la salute’ sottolinea: “Abbiamo presentato da mesi istanza di accesso agli atti, ma la Regione ci ha ripetutamente negato lo studio del Cnr”. Il rapporto restava nel cassetto anche se a Savona si celebra l’udienza preliminare sulla centrale e il 12 aprile si deciderà  sul rinvio a giudizio degli imputati.
La ricerca parla “di rischi” ancora maggiori “emersi per le malattie respiratorie, sia acute che croniche del polmone. Emergono un eccesso per le malattie del sistema nervoso tra le donne e un rischio di oltre il doppio per i linfomi non Hodgkin tra gli uomini”.
Lo studio del Cnr copre un’area con 123mila abitanti. Oltre a Savona ci sono località  turistiche come Varazze, Spotorno, Albisola, Bergeggi e Celle Ligure. Per gli uomini, secondo il Cnr, nelle zone di massima esposizione si registrerebbe un eccesso di morti per tumore al polmone del 61%.
Per i linfomi siamo oltre il 200%. Per le leucemie si parla del 68%. Per le donne (sempre nelle zone di massima esposizione) si sarebbe registrato un eccesso del 61% per malattie cardiache. Poi 75% delle malattie cerebrovascolari e 99% dei decessi per malattie respiratorie acute.
I comitati da molti anni chiedevano un’indagine epidemiologica, ma il ministero della Salute bocciò il finanziamento di una ricerca (che sarebbe costata 500mila euro) preferendo uno studio sull’herpes Zoster in Liguria.
E tornano in mente le frasi contenute nelle intercettazioni dell’inchiesta. Come le parole di quel dirigente del ministero dell’Ambiente — non indagato e nel frattempo promosso — che occupandosi delle prescrizioni da prevedere per la centrale disse: “Cerchiamo di fare una porcata… che almeno sia leggibile… C’hai le mani sporche di sangue… mi sputerei in faccia da solo”.
Andrea Melis aggiunge: “Ho consegnato le carte ai pm: bisogna fare chiarezza sull’eventuale nesso tra centrale ed effetti sulla salute. Spero che la ricerca del Cnr sia utile nel processo in corso. Le scelte industriali vanno commisurate con le conseguenze sulle persone. Ricostruire i fatti e informare i cittadini è fondamentale”.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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ASSENTEISMO AL NORD: LA DIRIGENTE DI TRENTO IN VACANZA A HONOLULU E PER IL CAPODANNO A NEW YORK DURANTE I PERMESSI PER LA 104

Aprile 6th, 2018 Riccardo Fucile

AVREBBE ANCHE USATO LA MACCHINA DI SERVIZIO PER 22 SPOSTAMENTI PRIVATI IN VARIE LOCALITA’ ITALIANE

Viaggiava in Honduras, alle Maldive, e in molte altre località  turistiche, abusando della legge 104.
È finita così agli arresti domiciliari Luisa Zappini, infermiera ed ex dirigente responsabile della centrale unica di emergenza 112 di Trento. L’accusa è di truffa e peculato.
La donna, 53 anni e un passato come caposala all’ospedale policlinico Santa Chiara di Trento, durante l’interrogatorio di garanzia, non ha risposto ai pm.
A rilasciare dichiarazioni è stato invece il legale della donna, Nicola Stolfi, che ha parlato di “sviste ed errori” e della sua “non volontà  di commettere il reato”.
La Procura di Trento ha contestato all’infermiera di aver utilizzato in maniera impropria i permessi previsti dalla legge 104, che consentono di assentarsi dal lavoro per assistere un familiare malato o disabile oppure perchè lo stesso lavoratore è affetto da disabilità  grave, in circa 28 episodi, avvenuti tra il 2013 e il 2018.
Zappini, secondo l’ordinanza, sarebbe andata a New York, alle Hawaii, a Parigi, a Honolulu e in altri posti, nei giorni in cui avrebbe dovuto dedicarsi a un parente malato, truffando la Provincia e l’Ipasvi (Collegio degli infermieri di Trento), di cui era a capo.
I suoi movimenti sono stati documentati sia dai biglietti aerei che dagli agganci alle celle telefoniche. Tra le ipotesi di reato anche il peculato, contro la Provincia, per aver utilizzato, in 22 situazioni, l’auto di servizio per viaggi personali a Milano, Padova e Brescia.
La misura cautelare è stata disposta dal giudice Claudia Miori, su richiesta del pubblico ministero Marco Gallina, per evitare il rischio di reiterazione del reato e l’inquinamento di prove.
L’inchiesta era iniziata a gennaio scorso quando, dopo un’interrogazione del consigliere provinciale del Movimento 5 stelle, Filippo Degasperi, che contestava all’ex dirigente tre viaggi sospetti, la Procura di Trento aveva deciso di aprire un fascicolo. Le vacanze su cui si sono concentrate le indagini sono state, nello specifico, New York per il Capodanno del 2014, Maldive tra febbraio e marzo 2015, due a Parigi tra il 2015 e il 2016, una in Spagna, sempre nel 2016, e l’ultima a Honolulu, nell’agosto del 2017. Il danno economico, stimato in base alle ore di assenza ingiustificate, sarebbe circa di 10mila euro.
Zappini a inizio indagini si era già  dimessa dalla guida della Centrale unica. Intanto anche la Provincia autonoma di Trento l’ha sospesa dal servizio e, se le accuse verranno confermate, sarà  licenziata.

(da agenzie)

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“LO STIPENDIO ERA BASSO”: E IL POSTINO NON CONSEGNA LA CORRISPONDENZA PER TRE ANNI

Aprile 6th, 2018 Riccardo Fucile

NELL’ABITAZIONE DEL 33ENNE DI TORINO TROVATI 400 KG DI LETTERE

Lo stipendio era troppo basso, così per tre anni un corriere non ha consegnato la posta. L’uomo, un 33enne della provincia di Torino, è stato denunciato dai carabinieri, che hanno trovato 400 chili di lettere nel suo appartamento.
L’uomo era stato fermato nei giorni scorsi a Santena alla guida della sua macchina durante un controllo stradale.
In tasca nascondeva un coltello a serramanico lungo 20 centimetri. Sul sedile posteriore della macchina c’erano 70 lettere, indirizzate a diversi privati ed enti, di un corriere, di cui l’uomo ha detto, di essere stato un loro dipendente.
“Non mi pagavano abbastanza e mi sono licenziato”, ha detto ai carabinieri che lo hanno fermato.
I militari sono andati a casa sua, dove hanno trovato quasi mezza tonnellata di invii postali tra lettere di banche, estratti conto e bollette telefoniche.

(da agenzie)

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CHIUSE LE TRASMISSIONI MEDIASET DI BELPIETRO E DI DEL DEBBIO: “IL LORO POPULISMO HA FAVORITO LEGA E M5S”

Aprile 6th, 2018 Riccardo Fucile

BERLUSCONI SE N’E’ ACCORTO TARDI, MA SEMPRE PRIMA DELLA MAGISTRATURA … TASSO DI ASCOLTO DELUDENTE, COMPENSATO DA QUELLO ELEVATO DI ISTIGAZIONE ALL’ODIO RAZZIALE

Gli ascolti deludenti per l’azienda da un lato, la spinta verso il populismo che non piace a Forza Italia dall’altro.
Così Maurizio Belpietro lascia la conduzione di Dalla vostra parte, nel cui studio entrerà  per l’ultima volta stasera, mentre Quinta Colonna di Paolo Del Debbio chiuderà  i battenti il prossimo 26 aprile.
Mediaset cambia registro dopo le elezioni e “normalizza” i talk-show di Rete 4.
Stop a quello dell’ex ideologo del partito di Silvio Berlusconi, cambio di conduzione nella trasmissione finora gestita in studio dal direttore de La Verità , che da lunedì entrerà  in una fase di transizione con al timone un volto nuovo proveniente dalla scuderia del Tg4, testata che “controlla” il preserale di Rete 4.
Stasera Belpietro saluterà  il suo pubblico.
Non si sa a quali ragioni farà  cenno e come sia maturato il divorzio, ma è certo che Dalla vostra parte — così come Quinta Colonna — non piace a molti parlamentari di Forza Italia e all’inner circle berlusconiano, scottato dai risultati elettorali.
“Troppo populismo”, è la sentenza. Che contiene la velata accusa di aver tirato la volata alla Lega (e al Movimento 5 Stelle) verso le elezioni del 4 marzo, con annesso sorpasso del Carroccio al partito del padrone di casa Silvio Berlusconi.
Gli ascolti non eccellenti di entrambe le trasmissioni sono quindi stati usati come appiglio per una svolta, soprattutto per Quinta Colonna.
Ma in fondo, ragionano in ambienti Mediaset, le motivazioni sono prettamente politiche. Del resto, è almeno un anno che l’azienda sopporta più che supporta i due programmi.
A lasciare intendere che l’aria stesse cambiando fu per primo il presidente Fedele Confalonieri. Era il febbraio 2017 quando il numero uno del network televisivo, parlando dei talk-show di casa e del populismo in tv, lo disse senza giri di parole: “Stiamo esagerando”.
Belpietro era stato esonerato a tempo a giugno, in tempi di Nazareno e legge elettorale, salvo rientrare nei ranghi a settembre.
E già  all’epoca ilfattoquotidiano.it aveva anticipato che i dubbi dell’azienda riguardavano anche Quinta Colonna. Il programma di Del Debbio ha subito una mutazione negli scorsi mesi, con un nuovo curatore.
Ma la mossa della direzione informazione non ha funzionato, perchè gli ascolti sono rimasti non soddisfacenti. Così, di fronte al pressing del partito, è scattata la resa.
Dal 26 aprile, Quinta Colonna chiuderà  i battenti. Lo stesso epilogo potrebbe toccare anche a Dalla vostra parte, che intanto da lunedì cambia volto.
Belpietro passerà  il testimone con in tasca una promessa, la stessa fatta a Del Debbio: da settembre avranno un nuovo programma. Magari che affronti l’attualità  con meno populismo. Per adesso, basta così: in troppi pensano che il sorpasso della Lega su Forza Italia sia passato anche dai talk-show di Rete 4.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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MENTRE SALVINI ATTACCA A PAROLE “LA FINANZA CHE OPPRIME I POPOLI”, IL SUO UOMO DI VARESE E’ A LIBRO PAGA DI BANCA INTESA A PARIGI

Aprile 6th, 2018 Riccardo Fucile

IL CASO DEL FEDELE LEGHISTA, SENZA ALCUNA ESPERIENZA BANCARIA, NOMINATO NEL CDA DI FINANCIERE FIDEURAM, NON E’ IL SOLO… ALTRI ESPONENTI DELLA LEGA PIAZZATI IN SOCIETA’ FINANZIARIE CHE OPERANO IN SVIZZERA E A MOSCA

C ‘è un filo che unisce Intesa, il più grande gruppo creditizio italiano, con il partito di Matteo Salvini. Un filo verde in tinta Lega.
Si parte da Varese, la città  dove nacque il movimento che fu di Umberto Bossi, per arrivare fino a Parigi. In un palazzo d’epoca affacciato su rue de la Paix, strada centralissima ad alta concentrazione di gioiellerie e negozi d’alta moda, si trova la sede di Financière Fideuram.
L’insegna non dice granchè neppure agli esperti di cose bancarie, ma la società  francese gestisce un patrimonio importante, oltre 2 miliardi di euro investiti in titoli.
A fine 2016, data dell’ultimo bilancio disponibile, i profitti avevano superato i 90 milioni di euro.
Gli utili sono finiti per intero nella casse di Intesa, che tramite la controllata Fideuram, storico marchio nella gestione di patrimoni, possiede l’intero capitale della financière parigina.
Insomma, carte alla mano, si può dire che lo scrigno di rue de la Paix è un affare interno alla grande banca italiana guidata da Carlo Messina.
I documenti ufficiali raccontano però anche un’altra storia, una trama che porta alla Lega dell’aspirante premier Salvini.
Partiamo dalla fine, dal 14 marzo 2017, poco più di un anno fa.
Quel giorno a Parigi un nuovo amministratore esordisce nel consiglio di Financière Fideuram. Si chiama Carlo Piatti e di mestiere fa l’avvocato, ma a Varese, dove vive, è meglio conosciuto come segretario cittadino della Lega.
Piatti, 38 anni, vanta una militanza di lunga data, dal 2011 al 2016 è stato assessore nella giunta del sindaco Attilio Fontana, da poco eletto governatore della Lombardia, ed ha saputo destreggiarsi senza danni apparenti nella guerra interna che per anni ha opposto la fazione più estrema, i secessionisti duri e puri, a quella dei moderati, i sostenitori di Roberto Maroni, pure lui varesino.
Nel settembre 2016, dopo l’inattesa sconfitta del partito nelle elezioni cittadine, e la successiva resa dei conti tra correnti, Piatti si è tolto la soddisfazione di tornare a guidare la Lega nella sua città , incarico che aveva lasciato nel 2011.
Tempo qualche mese e l’esponente del partito di Salvini vola in Francia, designato nel board di Financière Fideuram. Una sorpresa. L’avvocato di Varese non ha competenze bancarie.
E nel curriculum personale può vantare al massimo un breve periodo da amministratore dell’Avt, l’azienda comunale che gestisce gli autobus della sua città .
Dal trasporto pubblico a Banca Intesa il salto è lungo, ma Piatti, a ben guardare, corre in scia di un altro leghista.
Ad aprire la strada che porta a Parigi era stato Dario Galli, già  deputato tra il 1997 e il 2006, poi senatore fino al 2008 e infine rieletto nei giorni scorsi a Palazzo Madama dopo una parentesi (2008-2013) da presidente della provincia di Varese.
Nel 2009, Galli aveva fatto il suo esordio nel consiglio di Financière Fideuram. E anche lui, come il suo successore, era alla sua prima esperienza in campo bancario. L’ex senatore in trasferta ha conservato la poltrona fino al marzo 2017, quando ha passato il testimone al suo collega di partito.
La nomina di Piatti è passata sotto silenzio. Nessun comunicato ufficiale e non c’è traccia dell’incarico a Parigi neppure nella documentazione patrimoniale depositata al municipio di Varese dall’esponente leghista, che è anche consigliere comunale.
La staffetta in casa Lega resta al momento inspiegabile. Tanto più che gli altri quattro amministratori della società  parigina vengono direttamente dalle fila del gruppo Intesa oppure sono esperti di fisco e finanza come l’avvocato francese Thierry Pons. Galli, ingegnere di formazione nonchè piccolo imprenditore del settore della plastica, a suo tempo aveva raccontato che la nomina in Francia era per lui un’occasione da non perdere per conoscere dall’interno il mondo bancario.
Sette anni fa, all’epoca dell’ultimo governo Berlusconi, le logiche della lottizzazione lo avevano invece portato fino al consiglio di amministrazione della holding pubblica Finmeccanica.
E nel 2013 l’allora governatore lombardo Maroni non aveva potuto fare a meno di assegnare a Galli un incarico di consulenza (50 mila euro l’anno di compenso) per lo “sviluppo di progetti speciali a livello macroregionale”
Altri tempi, quelli. Adesso comanda Salvini e la prima linea dei dirigenti d’estrazione varesotta, cresciuti accanto a Bossi e a Maroni, si è prudentemente schierata con il nuovo leader.
Un gradino sopra a tutti c’è il veterano Giancarlo Giorgetti da Cazzago Brabbia sul lago di Varese, in Parlamento dal 1996, l’eminenza grigia che in questi giorni convulsi cuce e ricuce la trama dei negoziati per la formazione del nuovo governo. Dietro di lui tutti gli altri, compresi Piatti e Galli, i due banchieri per conto di Intesa. Un incarico ben remunerato, il loro: 10 mila euro l’anno per partecipare a quattro riunioni del consiglio di amministrazione nell’arco dei dodici mesi.
Contattato da L’Espresso, Piatti spiega che il suo nome è stato «segnalato a Banca Intesa dalla Fondazione Cariplo», azionista influente dell’istituto di credito con una quota del 4,8 per cento.
«Ne ho parlato con Guzzetti», racconta il segretario varesino della Lega.
Giuseppe Guzzetti, classe 1934, è da due decenni l’intramontabile presidente di Cariplo, la cassaforte che distribuisce oltre 170 milioni l’anno sul territorio lombardo per finanziare i progetti più diversi, dalla ricerca scientifica, alla cultura fino al volontariato e all’assistenza sociale.
Guzzetti, quindi, tira le fila di un formidabile centro di potere. A ben guardare, però, ai piani alti della Fondazione milanese troviamo anche un altro esponente leghista, un altro varesino che negli ultimi anni si è scoperto la vocazione del banchiere.
Andrea Mascetti, questo il suo nome, nel 2013 è entrato nella Commissione centrale di beneficenza, l’organo che decide i criteri con cui l’ente assegna i propri contributi.
Mascetti è stato designato in Cariplo su segnalazione della provincia di Varese, all’epoca presieduta da Galli. Una nomina politica, quindi, come di regola per gran parte dei membri della Commissione centrale.
Tempo due anni e nel 2015 l’esponente leghista ha fatto il suo esordio nel gruppo Intesa, la stessa banca che ha messo a libro paga prima Galli e poi Piatti.
Anche per Mascetti, titolare di un avviato studio legale a Varese, erano pronte due poltrone all’estero, a Lugano e a Mosca. Nel Canton Ticino lo troviamo tra gli amministratori di Intesa San Paolo private bank. In Russia invece siede nel consiglio della locale filiale dell’istituto di credito italiano.
Mascetti, che ha un passato da militante di estrema destra con il Movimento sociale italiano, è un nome importante nella nomenklatura leghista e l’ascesa di Salvini sembra aver rafforzato la sua posizione.
Nel 2016 il capo del partito che fu di Bossi gli ha affidato il compito di creare un gruppo di lavoro per studiare i punti del programma su federalismo, autonomia e rapporti con l’Unione Europea, ma il potere dell’avvocato varesino, grande amico del governatore lombardo Fontana, si misura soprattutto in termini d’incarichi ricevuti da società  con azionariato pubblico.
Eccolo, quindi, nel consiglio di Nord Energia, controllata dalle Ferrovie Nord, di proprietà  della regione Lombardia e presiedute dal leghista Andrea Gibelli. Poi c’è il posto da amministratore in Autostrade Lombarde, partecipata da numerosi enti locali insieme a Intesa.
Ancora la banca, quindi, la stessa che gli ha aperto le porte anche oltreconfine.
A Lugano, del resto, Mascetti è di casa. Negli anni scorsi si è speso moltissimo per rafforzare i legami tra la Lega nostrana e quella dei Ticinesi, un partito che ha scalato il potere locale denunciando l’invasione degli stranieri, italiani compresi.
Intesa private bank, la società  svizzera di cui Mascetti è amministratore, vende servizi di gestione patrimoniale. Il denaro viene in gran parte dal nostro Paese, ma i soldi, a differenza dei frontalieri, da quelle parti sono sempre bene accolti.
La Russia è un’altra delle mete privilegiate dall’avvocato di fede leghista, che oltre all’incarico in Banca Intesa a Mosca, gestisce anche un’agenzia specializzata nell’organizzazione di fiere nel Paese di Vladimir Putin.
Questione di affari, ma non solo. La Lega di Salvini, infatti, guarda al nuovo zar come un faro della politica internazionale.
Il bersaglio polemico è l’Unione Europea, la burocrazia di Bruxelles che opprime i popoli per favorire l’alta finanza. Mascetti è d’accordo, a quanto pare.
Quattro anni fa fu uno degli animatori di un convegno dal titolo “Contro l’Europa delle banche, per un’Europa delle Regioni”.
Proprio lui, lo stesso Mascetti che dopo alcuni mesi venne arruolato da Intesa, uno dei giganti bancari del continente.

(da “L’Espresso”)

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