Aprile 3rd, 2018 Riccardo Fucile
PROPOSTE E INDICAZIONI PROGRAMMATICHE
Le consultazioni che si apriranno domani al Quirinale avranno come obiettivo quello di dare al Paese un governo all’altezza delle esigenze dei cittadini e proprio per questo il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, chiederà alle forze politiche proposte e indicazioni programmatiche. È quanto si apprende da ambienti del Quirinale alla vigilia delle consultazioni.
Il capo dello Stato per due giorni convocherà il Presidente emerito della Repubblica, i presidenti di Camera e Senato, i rappresentanti dei gruppi parlamentari con i rispettivi leader per sondare le scelte delle diverse forze politiche, ma la sua opera d’ascolto non sarà solo di registrazione meccanica degli orientamenti dell’uno o dell’altro.
Sergio Mattarella, durante le consultazioni, si farà portavoce con i partiti delle esigenze dei cittadini e chiederà per questo alle forze politiche proposte, indirizzi e indicazioni programmatiche per dare al Paese un governo all’altezza della situazione. Al Quirinale fervono dunque i preparativi per accogliere le delegazioni e anche la stampa. La sala stampa, come da tradizione, sarà allestita nella Loggia d’onore davanti allo studio alla Vetrata, e ospiterà i quattrocento giornalisti accreditati, sessanta dei quali stranieri. Già in mattinata si sono svolte le prove generali per tutte le reti televisive che condurranno lunghe dirette durante le giornate di domani e dopodomani.
La sala stampa aprirà domani mattina alle 9e chiuderà un’ora dopo l’uscita dell’ultima delegazione del mattino, per riaprire, dopo una pausa a metà giornata, un’ora prima dell’arrivo della prima delegazione pomeridiana (il gruppo delle Autonomie del Senato). Dopo le consultazioni del pomeriggio la sala stampa chiuderà di nuovo i serata un’ora dopo l’uscita dell’ultima delegazione, cioè quella di Fratelli d’Italia.
(da agenzie)
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Aprile 3rd, 2018 Riccardo Fucile
I COLLOQUI TRA I DUE VANNO AVANTI DA TEMPO, L’INTESA C’E’ MA LA BASE SI OPPONE
Qualche tempo fa Repubblica parlò di un incontro tra Davide Casaleggio e Matteo Salvini, raccogliendo una voce che circolava nel Carroccio, e scatenò una lunghissima polemica con il figlio del fondatore del MoVimento 5 Stelle nel frattempo sfociata in tribunale (civile).
Oggi, con l’audacia e lo sprezzo del pericolo che lo contraddistingue, è Franco Bechis su Libero a parlare di un incontro tra Matteo Salvini e Davide Casaleggio.
E il fatto che ne dia notizia oggi un giornalista di certo non ostile — negli ultimi tre anni — al MoVimento 5 Stelle è di certo significativo:
Non importa se i due abbiano preso un the, un caffè, si siano visti clandestinamente o meno. Può anche essere che i colloqui siano avvenuti solo al telefono, ma di certo come spiegano fonti autorevoli da un fronte e dall’altro, è proprio grazie al filo tessuto di quel rapporto che si sono poi create le condizioni politiche di quella che giornalisticamente è stata definita intesa Lega-M5S, quella raffigurata nel famoso murales apparso dalle parti di Montecitorio dove Salvini baciava appassionatamente Di Maio.
D’altro canto, spiega Bechis, lo stesso Gianroberto è stato per anni interessato alla storia della Lega e dei suoi leader, in particolare a quell’Umberto Bossi che poi presenziò ai funerali del fondatore del M5S.
Non c’è nulla di davvero strano dunque se il timbro di apertura di questa legislatura viene proprio da quei colloqui fra il leader della Lega e il figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle. L’intesa c’è, e ha già dato i suoi frutti evidenti.
Poggia pure su qualche base robusta, perchè sono tanti i tratti comuni nei programmi del centrodestra (e della Lega nel dettaglio) e del Movimento 5 stelle.
Così non è fantasia un programma comune che inizi allargando il reddito di inclusione accompagnandolo a un investimento sui centri di ricerca lavoro e a una riduzione delle aliquote fiscali verso la flat tax.
Ma, spiega Bechis, al matrimonio tra Lega e MoVimento 5 Stelle c’è chi si oppone.
In primo luogo la scelta non è gradita a una larga base dei grillini, quella che si raccoglie idealmente sotto l’ala di Roberto Fico, oggi presidente della Camera e quindi terza carica dello Stato, il punto più alto mai espresso dal M5S nelle istituzioni. Molti non vedono di buon occhio l’alleanza con la Lega e l’apertura a Fratelli d’Italia mentre il resto del MoVimento avrebbe comunque una pregiudiziale nei confronti di Berlusconi, visto anche come ha reagito l’elettorato al patto con Salvini sulla Casellati.
Un altro ostacolo viene dalla Lega e riguarda la leadership di Di Maio. Nel Carroccio non c’è nessuno che sia disposto a cedere su Luigi Di Maio a Palazzo Chigi, anche perchè questo vorrebbe dire spaccare l’alleanza di centrodestra che funziona, sia elettoralmente che nell’amministrazione di città e regioni considerata strategiche per il flusso del potere in Italia.
«Sì è vero che finora Salvini è stato di parola», spiega a Libero un parlamentare della vecchia guardia grillina, «ma alla fine ha portato a casa per Silvio Berlusconi la candidata che lui sotto sotto preferiva al Senato. E non è affatto detto che non faccia il doppio gioco fingendo di trattare con noi per poi metterci spalle al muro e fare entrare l’ipotesi di riserva. Teniamo presente che al di là del carattere con Berlusconi lui non deve avere un cattivo rapporto: è stata Mediaset a preparargli e tirargli tutta la campagna elettorale. Di sicuro ci sta mettendo in difficoltà …».
Ecco perchè il patto tra Casaleggio e Salvini raccontato da Bechis non può considerarsi la fine positiva di una trattativa che invece andrà avanti per mesi.
E con la Lega pronta a tirar fuori il “terzo uomo” rispetto ai due leader che dovrebbero fare un passo indietro (è già pronto il leghista Giancarlo Giorgetti).
Prima di arrivarci, però, potrebbe essere necessario un ulteriore passaggio: quello dell’incarico esplorativo a Luigi Di Maio. D’altro canto il centrodestra, dopo lo scherzetto leghista su Paolo Romani, salirà al Colle in ordine sparso e non con l’unica voce del leader della Lega come è stato annunciato: una scelta di Berlusconi per mostrare, anche al Quirinale, che oggi Salvini non rappresenta il 37% preso dal centrodestra ma solo il 17% preso dalla sua Lega.
E questo significa che il partito di maggioranza relativa attualmente è proprio il M5S.
Spiega Alberto Mattioli sulla Stampa che se Salvini è disposto a fare un passo indietro, da parte leghista non si capisce perchè Di Maio non possa fare altrettanto: “Ben venga quindi un incarico al giovin signore pentastellato così, parola di un leghista importante, «magari capirà che il 32% non è il 51%».
Insomma, se Di Maio vuole fare davvero un governo con il centrodestra, bisogna si rassegni al fatto che non sarà lui a presiederlo. E su questo punto i margini di trattativa, più che ristretti, sono inesistenti”.
I margini del pre-incaricato sarebbero quindi ristretti a meno che il M5S non provi di nuovo a sdoganare il Partito Democratico per costruire una maggioranza alternativa. Facendo così il gioco di Salvini che farebbe elettoralmente il pieno prendendosi anche gli elettori M5S delusi dalla svolta a sinistra. Mentre un’eventuale porta chiusa costringerebbe Di Maio a salire al Colle senza l’accordo e quindi senza il governo. Pronto a quel punto a scendere a patti con Salvini. Proprio come avrebbe voluto Casaleggio.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 3rd, 2018 Riccardo Fucile
NON SOLO SAREBBE INCOSTITUZIONALE, MA SI RISPARMIEREBBE UNA CIFRA IRRISORIA
I vitalizi dei parlamentari tornano d’attualità e — grazie all’infinita lungimiranza del PD che ha lasciato in sospeso l’approvazione della Legge Richetti al Senato — continuano ad essere un ottimo strumento per la propaganda pentastellata.
Dopo l’elezione dei membri dell’Ufficio di Presidenza di Camera e Senato M5S torna alla carica. Anche senza un governo, ed un governo a guida M5S, si può sempre fare qualcosa di buono per il Paese e per far vedere agli elettori che il MoVimento si sta dando da fare. Cosa? Ad esempio abolire i vitalizi.
«Lo step successivo sarà l’eliminazione dei vitalizi, una questione che il MoVimento 5 Stelle porrà subito negli uffici di Presidenza e dove spero che ci sia unanimità nell’abolizione di questi assurdi privilegi» scrive sul Blog delle Stelle Luigi Di Maio. Non si sa altro, se non che la questione potrebbe essere un banco di prova di un’eventuale alleanza con la Lega.
Qualche giorno fa invece Giorgia Meloni rivendicava la primogenitura dell’idea spiegando che “va bene abolire i vitalizi da qui in avanti” ma la norma ha senso solo se “è retroattiva”.
Come tutti sanno (tranne la Meloni) i vitalizi sono già stati aboliti, ovvero i parlamentari eletti dal 2012 in poi (quindi anche quelli dell’attuale legislatura) non percepiranno il vitalizio.
Infatti il vitalizio inteso come rendita parzialmente alimentata da un prelievo sull’indennità del periodo di esercizio della carica che veniva erogata sotto una certa soglia di età è stato abolito dalla riforma del 2012 che ha introdotto il metodo di calcolo contributivo.
La proposta di legge del PD andava a toccare proprio i privilegi “pregressi”, ovvero quelli dei circa 2.600 parlamentari delle precedenti legislature introducendo il ricalcolo dei trattamenti pensionistici .
Si tratta nel complesso di una questione che avrebbe potuto essere risolta già nel 2011 con apposite delibere e regolamenti degli Uffici di Presidenza delle due Camere ma che per qualche ragione non è stata affrontata.
I vitalizi infatti sono sempre stata normati dai regolamenti interni del Parlamento e la proposta di legge di Richetti (così come quella avanzata da di Di Maio) avrebbe dovuto superare questa situazione intervenendo con un provvedimento legislativo.
Il “piano” del MoVimento 5 Stelle sembra per ora quello di accantonare la proposta di legge Di Maio (e anche quella Richetti) sui vitalizi per “abolirli” tramite una votazione negli uffici di Presidenza dove il M5S ha già occupato parecchie poltrone. Non sarà quindi tramite una votazione dell’Aula ma nell’ambito ristretto degli uffici di Presidenza che potrebbero cadere i vitalizi.
Non è chiaro però in che modo i vitalizi saranno “aboliti”.
Il MoVimento 5 Stelle non lo precisa ma con ogni probabilità l’abolizione consisterà in un ricalcolo del trattamento economico che comporterà un taglio che andrà dal 20% al 40%.
In un’audizione alla Camera del maggio 2016 il Presidente dell’Inps Tito Boeri aveva detto che con la legge Richetti e l’applicazione retroattiva a tutti gli ex parlamentari del sistema contributivo attualmente in vigore ci sarebbe stato un risparmio di 79 milioni di euro per il 2016 e di 83,2 milioni per il 2017, pari a circa il 40% della spesa annua che è intorno ai duecento milioni di euro l’anno.
Briciole nel bilancio dello Stato ma numeri pesanti dal punto di vista elettorale. Nel borsino della propaganda il trofeo dell’abolizione dei vitalizi può essere convertito in consensi.
Bisognerà vedere chi sarà più abile nell’intestarsi la vittoria.
Il PD avrebbe potuto farlo durante la scorsa legislatura e quindi è fuori dai giochi, restano M5S, Lega e Fratelli d’Italia.
Questi ultimi da tempo si lamentano che M5S e PD hanno copiato la loro proposta. A conti fatti si tratta di risparmiare appena un’ottantina di milioni l’anno e prima o poi qualcuno si accorgerà che l’abolizione è stata solo un ricalcolo e che gli ex parlamentari il vitalizio lo percepiranno — decurtato — lo stesso.
La questione dell’incostituzionalità dell’abolizione
C’è poi chi solleva la questione dell’incostituzionalità della legge. Lo ha fatto in Aula alla Camera, durante il voto sulla Richetti, Renato Brunetta, annunciando il voto contrario di Forza Italia.
Per Brunetta verrebbe a creare un pericoloso precedente in base al quale in futuro potrebbero essere messe in discussione le pensioni di venti milioni di italiani.
Se la posizione di Forza Italia non è nel frattempo cambiata Berlusconi si troverebbe messo in minoranza dai due alleati (Lega e FdI) che si accorderebbero con il M5S. Secondo l’ex Presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida i vitalizi non sono pensioni.
Inoltre non è vero che i diritti acquisiti sono intoccabili. Vi è una costante giurisprudenza della Consulta, prosegue Onida, che consente alla legge di intervenire sui diritti acquisiti.
Gli interventi sui diritti già acquisiti sono possibili purchè ragionevoli e non tali da violare l’affidamento legittimo del cittadino sorto in base alla legge preesistente e, nel nostro caso, il diritto fondamentale dei lavoratori a fruire di mezzi di sussistenza durante la vecchiaia, come prevede l’articolo 38 della Costituzione.
Dello stesso parere anche il giurista Gianluigi Pellegrino che a RaiNews aveva spiegato che anche l’uso del termine “retroattività ” è improprio:
Quando, in questo caso, si parla retroattività si usa un termine improprio. Retroattiva sarebbe una norma che azzeri la pensione già percepita o dica: ti abbiamo dato 5mila euro, ma abbiamo deciso di ricalcolare l’assegno con altri parametri e te ne spettavano 4mila, quindi ce ne devi mille. Ma dire che, da un certo momento in poi a seguito dell’approvazione di una nuova legge, la pensione sarà calcolata con metodo diverso, quello contributivo, e che questo abbasserà i trattamenti in corso, non quelli già erogati, non implica retroattività , perchè si va a incidere sì su pensioni che si è già cominciato a percepire, ma la quota corrisposta in passato non viene intaccata.
Dal momento che la legge interviene in modo ragionevole e non azzera le pensioni di chi già la percepisce — nè chiede di restituire i soldi — il provvedimento non dovrebbe avere profili di incostituzionalità .
Ma questo lo sapremo solo dopo un’eventuale pronuncia della Consulta che potrebbe anche annullare.
Vale infine la pena di ricordare che nel marzo 2017 l’Ufficio di Presidenza della Camera ha approvato con voto unanime (ad eccezione dei 5 Stelle che se ne andarono per protesta) l’istituzione di un contributo di solidarietà della durata di tre anni da prelevarsi sui vitalizi dei deputati delle precedenti legislature.
Si tratta di un contributo su 4 scaglioni (pari al 10% per i vitalizi compresi tra 70mila e 80mila euro lordi l’anno; al 20% fino a 90mila; al 30% fino a 100mila e al 40% per quelli superiori a 100mila) che però potrebbe essere incompatibile con un ulteriore “taglio”.
Cosa faranno i pentastellati alla Camera? Aumenteranno l’entità del prelievo? Prorogheranno la misura di altri tre anni o la renderanno permanente (cosa quest’ultima che potrebbe essere giudicata incostituzionale)?
Sul contributo di solidarietà della Camera pesano già i ricorsi di una ventina di ex parlamentari.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 3rd, 2018 Riccardo Fucile
“E’ IL MOMENTO IN CUI DOVREBBE RIMETTERSI IN GIOCO INVECE CHE CHIUDERSI IN UN RANCOROSO SILENZIO”
Nell’editoriale pubblicato oggi sul Corriere della Sera Ernesto Galli Della Loggia prende spunto dalla situazione di stallo alla messicana della politica italiana per chiedere a Matteo Renzi di “uscire dalla tenda”.
Non per allearsi con il MoVimento 5 Stelle e fare un governo, visto che secondo EGDL questo equivarrebbe a diventare i loro junior partner di governo: come se nel 1976 i socialisti sconfitti avessero deciso di allearsi immediatamente con la Dc.
Matteo Renzi appare oggi chiuso in un rancoroso silenzio, intento quasi, si direbbe, a pregustare il sapore della sua futura vendetta contro i nemici interni ed esterni. Ma così ancora una volta egli sbaglia i tempi: ritirandosi sotto la tenda fa oggi quello che semmai avrebbe dovuto fare – ma per sua disgrazia non ha fatto – dopo la sconfitta referendaria. Sbaglia, io penso, perchè il suo momento di parlare è proprio ora.
Ora è il momento di mettersi totalmente in gioco. Ora è il momento di mostrare di aver capito dagli errori commessi, di mostrare di voler cambiar strada, di indicare con l’energia e il temperamento che egli possiede verso quali nuovi modi d’essere e di pensare il Partito democratico deve muoversi. Ora è il momento di dire se esso vuole o no tornare nuovamente a presidiare i territori sociali e geografici del Paese che ha abbandonato a se stessi e ai più screditati notabili.
Per Renzi il finale di partita non è per domani, è per oggi: prima che in un modo o nell’altro, sotto l’incalzare degli eventi e per la pochezza dei vertici del Nazareno, avvenga lo scompaginamento definitivo del suo partito, il virtuale rompete le righe della Sinistra italiana.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 3rd, 2018 Riccardo Fucile
VIAGGI, AUTORADIO E BOLLETTE PAGATE: A LA SPEZIA IN MANETTE DIECI IMPRENDITORI E UN DIRIGENTE DELL’ASL 5 PER CONCUSSIONE E CORRUZIONE
«Fai come dico io o ti taglio le palle». Il dirigente della sanità ligure Massimo Buccheri – Asl 5 di La Spezia – si rivolgeva così agli imprenditori in gara per aggiudicarsi gli appalti della Regione Liguria.
E questa mattina è stato arrestato – accuse a vario titolo di concussione, corruzione e turbativa d’asta – insieme a 10 imprenditori, fra loro i vertici di alcune grandi aziende specializzate nelle forniture sanitarie in tutto il Paese.
Ai domiciliari è finito anche Luigi Morgillo, ex esponente di primo piano per Forza Italia sempre in Liguria e in passato vicepresidente del consiglio regionale: riciclatosi come imprenditore, aveva truccato la commessa per le certificazioni energetiche in una residenza protetta tuttora in costruzione.
Oltre a Buccheri sono finiti in carcere Domenico Atzei, Giuseppe Casalini ed Emanuele Fiore (i primi due dirigenti e il terzo “mediatore”, tutti milanesi e inseriti nella divisione italiana del gigante cinese Mindray).
Ai domiciliari invece, con Morgillo, vanno gli impresari Riccardo Marangoni (Progis Studio, residente alla Spezia), Massimo Sisti (Ms impianti, Vezzano Ligure), Antonio Salvatore D’Arrigo (Sicilia Progetti, abitante a Catania), Alberto Corbani e Aldo Pini (Progetec ricognizioni immobiliari, residenti a Bolano e Beverino in provincia della Spezia) e Carlo Patti (Steris spa specializzata in endoscopi, abitante a Pizzighettone nel Cremonese).
L’affare più grosso finito nel mirino delle Fiamme Gialle riguarda due affidamenti da 280 mila e 135 mila euro per la fornitura in Liguria di apparecchiature anestetiche e ventilatori.
Buccheri era nella commissione di gara di Alisa, l’agenzia pubblica che dovrebbe coordinare le varie aziende sanitarie, e ha rivelato in anticipo agli «amici» di Mindray le proposte delle concorrenti Ge System e MediGas.
Poi ha alterato i fogli elettronici per aumentare il punteggio tecnico di nuovo di Mindray, che il 17 agosto 2017 si è accaparrata i lavori. A quel punto ha proposto di aiutarli nei futuri appalti per le forniture di monitor o defibrillatori, che Alisa avrebbe bandito in favore di vari ospedali compreso il San Martino di Genova (uno dei più grandi d’Europa), ma l’indagine della Finanza ha stoppato gli abboccamenti.
In cambio il manager chiedeva qualsiasi cosa: dalla promessa d’un viaggio in Cina al pagamento di bollette della spazzatura arretrate, oltre a vari gadget per le amiche (autoradio, decoder) e a più prosaico contante.
Secondo gli inquirenti era inoltre nella commissione che avrebbe dovuto concedere l’appalto per costruire il nuovo Palasport di Massa, e pure qui ritengono abbia falsificato verbali insieme ad altri tre funzionari.
Le intercettazioni tra i vertici della Mindray Medical Italy, divisione italiana d’una public company cinese, fanno invece pensare che il gruppo volesse pagare tangenti pure a Bolzano, Firenze dove in ballo ci sono assegnazioni per oltre 9 milioni, Modena, Napoli e Venezia; quasi sempre dopando le provvigioni ai loro «procacciatori» e in alcuni frangenti interpellando per un via libera la proprietà , evocata sempre con la formula «quei signori là » (della vicenda saranno interessate le varie Procure di competenza).
«Bisogna pagare — dice uno dei dirigenti Mindray intercettato — altrimenti è inutile, un capitolato mica te lo modificano gratis, non c’è un c… da fare!».
(da “La Stampa”)
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Aprile 3rd, 2018 Riccardo Fucile
150.000 PERSONE HANNO FIRMATO LA PETIZIONE PER LIBERARE IL PASTORE MAREMMANO SEQUESTRATO DALL’AUTORITA’ GIUDIZIARIA PERCHE’ DAREBBE FASTIDIO A UN VICINO DELLA PROPRIETARIA
Miro è un esemplare di pastore maremmano abruzzese di tre anni che vive a Roverè della Luna in provincia di Trento.
La sua storia inizia quando, il 22 marzo scorso, i Carabinieri lo hanno sequestrato e portato in un canile (Pan Ente Provinciale Protezione Animali E Ambiente a Rovereto). Un sequestro preventivo disposto dal Gip in attesa che inizi il processo che vede contrapporsi la famiglia proprietaria di Miro e un vicino di casa che da tempo si lamenta dell’abbaiare del cane.
La questione si trascina da tempo. Il vicino, anzi i vicini, come scrive Eva Munter (la proprietaria di Miro) in un post del 22 marzo scorso si lamentano del continuo abbaiare del cane.
Iniziano così le chiamate alla Polizia Locale e ai Carabinieri che si “appostano” per “controllare che l’animale non arrechi disturbo alla quiete pubblica”.
Non tutti i vicini si lamentano di Miro, anzi a quanto sostiene Eva Munter il resto del vicinato “si è rifiutato di aderire a questa assurda crociata” dichiarando che il cane non abbaiava un maniera molesta o ad orari di sonno o riposo.
E Miro non è l’unico cane del vicinato, ce ne sono otto nei dintorni. Nel frattempo arriva una richiesta di risarcimento danni per “tensioni al collo e alle spalle” causate dai latrati del cane.
Liiti tra vicini, come ne accadono spesso, e a quanto sembra il vicino in questione vive a 300 metri dal cortile di Miro.
La proprietaria del cane sarebbe una vedova, una donna di 75 anni, come riferisce La Voce del Trentino, che vive da sola. Arrivano, come riferisce il Corriere, anche due decreti penali di condanna, il primo a ottobre di 154 euro di multa e il secondo a gennaio di 70 euro di ammenda.
Il fatto che siano state comminate due multe fa però supporre che qualche elemento per riscontrare il disturbo della quiete pubblica sia stato rilevato.
Il sequestro non ha però a che fare con le multe ma con la causa in essere tra i proprietari del cane ed il vicino. In attesa che si arrivi all’udienza (prevista a fine aprile) per le querele sporte dal vicino nei confronti dei proprietari il Gip ha emesso un decreto di sequestro preventivo dell’animale che è stato quindi prelevato da casa e portato in canile.
Fino ad allora Miro dovrà rimanere confinato in canile e non potrà tornare a casa. I proprietari del cane sostengono che il loro animale non crea disturbo alla quiete pubblica, ma questo lo dovrà stabilire il giudice.
Nel frattempo però Eva Munter ha lanciato una petizione online su Change.org che ha già raccolto quasi 150mila firme. Nella petizione, che è diretta al Tribunale del Riesame di Trento, Eva Munter chiede “di sospendere questa istanza di sequestro e di permetterci di affrontare il processo in corso fianco a fianco dell’animale che da anni è entrato nel mirino del querelante”.
Il cane non è un oggetto inanimato, come una macchina o un tosaerba e ha dei sentimenti. I proprietari contestano l’assennatezza della decisione di sequestrarlo e allontanarlo dalla sua famiglia in attesa del processo.
Processo nel quale verrà stabilito — si spera una volta per tutte — se davvero il cane abbaia oltre il consentito e il tollerabile oppure se è il vicino ad avere torto.
Della questione si è interessato anche Rinaldo Sidoli responsabile del centro studi del Movimento Animalista (il partito di Michela Vittoria Brambilla) e dei progetti ed iniziative speciali di Le.I.D.A.A. la Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente. Secondo Sidoli, che ricorda che “abbaiare è un diritto esistenziale dei cani” Eva Munter — che però a questo punto non sembra essere la proprietaria del cane — è “vittima di stalking giudiziario”.
La condotta della padrona, scrive Sidoli su Facebook, “appare non idonea a recare disturbo ad un numero indeterminato di persone” e quindi, conclude, “se a lamentarsi del cane è un solo vicino di casa, non è di disturbo della quiete pubblica”.
Anche la presidente di Le.I.D.A.A. Michela Vittoria Brambilla ha aderito alla petizione: «L’abbaiare di un cane o il miagolare di un gatto — osserva Brambilla — fanno parte delle normali caratteristiche etologiche delle loro specie e non si possono considerare, di per sè, causa di disturbo della quiete pubblica, se non superano la ‘normale tollerabilità ».
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 3rd, 2018 Riccardo Fucile
L’INDIGNAZIONE DEL COMITATO VITTIME: “VIOLATA AREA SOTTO SEQUESTRO”… INTORNO AL RUDERE BARBECUE, SELFIE E PARTITE DI PALLONE… CRITICATI ALCUNI PARENTI DELLE VITTIME CHE PROTESTAVANO, PORTATI VIA PEZZI COME SOUVENIR
Quando i posti di tragedie diventano mète del turismo del disastro: è successo all’isola del Giglio dove per mesi è rimasta adagatiata su un fianco la carcassa della Concordia. È successo sulle città ridotte dal terremoto a macerie come Amatrice o L’Aquila, dove molti turisti si sono recati per farsi selfie di fronte alle case crollate.
C’è addirittura Disaster Tourism, operatore inglese specializzato in siti colpiti da catastrofi il cui catalogo permette di scegliere tra New Orleans flagellata dall’ alluvione Katrina, i campi di battaglia dell’ Afghanistan, la centrale di Fukushima in Giappone, le zone colpite dai tornado dell’ Oklahoma, le favelas di varie città brasiliane o un ricco mèlange di paesi dominati da dittatori.
Ora fa discutere la scelta di decine di turisti che hanno deciso di trascorrere Pasquetta tra i ruderi dell’hotel Rigopiano teatro di una tragedia avvenuta il 18 gennaio del 2017, quando una valanga travolse la struttura causando 29 morti.
L’area è sotto sequestro, ma è comunque di facile accesso. E così, come accaduto già lo scorso anno, decine di persone hanno raggiunto la zona.
La macabra gita fuori porta pasquale ha suscitato quest’anno l’indignazione di molti, in particolare del Comitato delle Vittime che sta valutando se denunciare il caso in procura.
“C’è chi è entrato in quello che resta della Spa – ha dichiarato il presidente del Comitato vittime Rigopiano, Gianluca Tanda – e chi ha portato via un pezzo di hotel come fosse un souvenir. C’erano anziani, bambini. C’era chi si faceva selfie”.
Sullo sconcertante episodio sono in corso accertamenti dei carabinieri, nel frattempo è intervenuto il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, che figura tra gli indagati per la tragedia.
IL TURISMO VOYEUR CHE CERCA LE CATASTROFI
“Profondo disprezzo per il turismo del macabro – ha detto all’Ansa il primo cittadino di Farindola – ma vorrei che fosse chiaro che l’interno dell’hotel di Rigopiano è sequestrato e che dovrebbe essere la procura di Pescara a far rispettare il divieto. Il Comune lo scorso anno ha fatto una ordinanza per l’area esterna vietando l’ingresso ai prati, ma non ho neanche un vigile urbano per farla rispettare”.
“Faccio comunque un appello ai media – ha aggiunto Lacchetta – per aiutarci a prevenire questo fenomeno. Per noi è difficile gestire l’ordine pubblico, ma qui si manca di rispetto alle vittime e ai familiari. È vero che i prati ai lati delle macerie da sempre sono stati teatro di scampagnate e pic nic, e io li ho vietati. Ma qui si va dentro le rovine ed è cosa diversa”.
CRITICATI I PARENTI DELLE VITTIME CHE PROTESTAVANO
Sulla Pasquetta tra le macerie dell’hotel Rigopiano sono ora in corso accertamenti dei carabinieri. Il fatto è stato denunciato dal Comitato vittime di Rigopiano, che parla di “barbecue, pic-nic, palloni, risate e schiamazzi” tra i resti del resort distrutto dalla valanga.
“Temevamo che questo accadesse – dice ancora Tanda – e abbiamo il timore che possa accadere di nuovo per le prossime festività . Ieri c’erano i genitori di alcune delle vittime, che sono stati anche criticati quando hanno provato a spiegare che in quell’area non si può entrare. Sono stati chiamati i carabinieri, che sono intervenuti ed hanno identificato delle persone”.
“C’è chi è entrato in quello che resta della Spa – aggiunge Tanda – e chi ha portato via un pezzo di hotel come fosse un souvenir. C’erano anziani, bambini. C’era chi si faceva selfie”.
“BARBECUE, SELFIE E PALLONE: NESSUNO HA PORTATO UN FIORE”
Persone che facevano barbecue o giocavano a pallone a pochi metri dal luogo in cui sono morti i nostri cari. Nessuno che abbia portato un fiore o acceso un cero, nessun genitore che abbia spiegato ai figli che lì 29 persone sono morte per colpa dell’uomo”. “Stiamo valutando se presentare una denuncia.
La Procura ci aveva garantito che c’era massima attenzione anche da questo punto di vista. Nel frattempo abbiamo saputo che oggi hanno iniziato ad installare la recinzione metallica che chiedevamo da tempo, anche per evitare che questa scena triste si ripeta in vista dei ponti festivi in arrivo”, conclude il presidente del comitato.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 3rd, 2018 Riccardo Fucile
QUELLO CHE NON DICE L’UOMO CHE VORREBBE GOVERNARE L’ITALIA, I CONTRIBUTI DEL PALAZZINARO ROMANO, I GIROCONTI, GLI INVESTIMENTI PROIBITI CON BANCHE E MULTINAZIONALI ESTERE
Un’associazione senza scopo di lucro. Una onlus usata per ricevere finanziamenti dalle aziende e girarli subito dopo a società controllate dalla Lega.
La porta girevole è stata creata da tre commercialisti fedelissimi a Matteo Salvini nell’ottobre del 2015, nel pieno del processo per truffa che ha poi mandato sul lastrico il partito imponendo il sequestro dei conti correnti.
Ma questo non è l’unico segreto finanziario del nuovo leader della destra italiana, in corsa per diventare capo del governo.
Al riparo da occhi indiscreti ci sono anche milioni di euro investiti in obbligazioni societarie e titoli derivati. Scommesse proibite per un partito politico, stabilisce la legge. Eppure la Lega le ha fatte.
I documenti ottenuti da L’Espresso permettono di andare oltre i bilanci ufficiali e ricostruire un pezzo delle trame finanziarie architettate dal Carroccio negli ultimi sei anni, quelli cioè che vanno dalla cacciata di Umberto Bossi a oggi.
Il risultato è che alla narrazione legalitaria sostenuta pubblicamente da Salvini si sovrappone una gestione economica opaca, che richiama il passato bossiano, tempi che “il capitano” vuole far cadere nell’oblio al più presto.
Ripartiamo dunque dall’inizio. Dov’è finito il tesoro della Lega?
Dove sono spariti i 48 milioni di euro messi sotto sequestro dal tribunale di Genova dopo la condanna di Bossi per truffa ai danni dello Stato?
Da mesi i giudici di Genova sono a caccia di quei denari: soldi pubblici, perchè frutto dei rimborsi elettorali.
Finora sui conti del Carroccio sono stati però rinvenuti poco più di 2 milioni. Gli altri? Usati, spesi, spariti: questo hanno sempre sostenuti i massimi dirigenti del Carroccio. «Oggi sul conto corrente della Lega nazionale abbiamo 15 mila euro», ha detto lo scorso 3 gennaio Salvini, che non perde occasione per ricordare come il suo partito sia senza un quattrino. La stessa cosa si legge sui bilanci ufficiali.
Alcuni documenti bancari aiutano però a comprendere meglio che fine ha fatto la ricchezza leghista. Facendo emergere un fatto inedito: sia sotto la gestione di Roberto Maroni, sia in seguito sotto quella di Salvini, parecchi milioni sono stati investiti illegalmente.
Una legge del 2012 vieta infatti ai partiti politici di scommettere i propri denari su strumenti finanziari diversi dai titoli di Stato dei Paesi dell’Unione europea.
Il partito che si batte contro «l’Europa serva di banche e multinazionali» (copyright di Salvini) ha cercato di guadagnare soldi comprando le obbligazioni di alcune delle più famose banche e multinazionali.
Colossi come l’americana General Electric, la spagnola Gas Natural, le italiane Mediobanca, Enel, Telecom e Intesa Sanpaolo.
Una fiche da 300mila euro è stata messa anche sul corporate bond di Arcelor Mittal, il gruppo siderurgico indiano che ha acquistato l’Ilva promettendo di lasciare a casa circa 4mila lavoratori.
Ma lasciamo stare per un attimo gli investimenti e torniamo al momento in cui tutto è cambiato.
Il 16 maggio del 2012, poco dopo che la notizia dell’inchiesta per truffa ha costretto Bossi a dimettersi da segretario federale, la Lega apre un conto corrente presso la filiale Unicredit di Vicenza.
Nel giro di sei mesi vi trasferisce buona parte della liquidità parcheggiata in altre banche: 24,4 milioni di euro in totale.
È l’inizio di una frenetica girandola di bonifici e giroconti che porteranno, nel giro di quattro anni, al prosciugamento delle risorse finanziarie padane. O almeno di quelle registrate sul conto della Lega nazionale.
Degli oltre 24 milioni arrivati in Unicredit, una decina sparisce quasi subito: prelievi in contanti, pagamenti non meglio specificati, investimenti finanziari, trasferimenti sui conti delle sezioni locali del partito, bonifici a favore di società di capitali controllate dalla stessa Lega come Pontida Fin, Media Padania ed Editoriale Nord.
A gennaio del 2013 un altro colpo di scena. Il partito, allora guidato da Maroni, apre un nuovo conto corrente. Dove sposta una buona fetta del tesoretto custodito in Unicredit. Questa volta la scelta ricade sulla Sparkasse, la cassa di risparmio di Bolzano. Non un istituto a caso.
Il presidente della banca altoatesina è infatti Gerhard Brandstà¤tter, già socio d’affari dell’avvocato della Lega di quel momento, il calabrese Domenico Aiello.
Sul conto della Sparkasse arrivano, oltre a 4 milioni di titoli finanziari, 6 milioni di liquidità . Bastano solo sei mesi, però, e i soldi spariscono.
La maggior parte del denaro viene usata per finanziare la campagna elettorale di Maroni alla presidenza della regione Lombardia: decine di bonifici a società di comunicazione e organizzazione eventi, tra cui spiccano i quasi 400 mila euro diretti alla sede irlandese di Google, punto di passaggio obbligato per chiunque voglia farsi pubblicità sul motore di ricerca più usato al mondo.
Anche in questo caso non mancano i trasferimenti alle sedi locali del partito, ma la parte del leone – come avvenuto pochi mesi prima con il conto Unicredit – la fanno le società di capitali della Lega. Radio Padania: 250 mila. Editoriale Nord: 600 mila. Pontida Fin: 206 mila. Fin Group: 360 mila.
Una volta prosciugato il conto Sparkasse, si torna a puntare tutto su Unicredit.
Ed è qui che vengono a galla i dettagli sugli investimenti finanziari.
Nel dicembre del 2013, quando Maroni è ancora il segretario federale, il Carroccio ha in pancia titoli per 11,2 milioni di euro.
Due terzi della somma equivalgono a buoni del tesoro italiani, mentre il resto sono obbligazioni societarie. Ci sono anche 380 mila euro investiti in un derivato, un titolo basato sull’andamento del Ftse Mib, il principale indice azionario della Borsa di Milano.
Insomma una Lega che, a dispetto della legge e delle dichiarazioni ufficiali contro la finanza speculativa, ha scelto di rischiare parecchio con i soldi dei rimborsi elettorali.
Strategia che non è cambiata quando a Maroni è succeduto Salvini.
Alcuni documenti bancari riassumono il saldo del conto corrente del Carroccio presso Unicredit il 19 maggio del 2014, quando Matteo è ormai da qualche mese in plancia di comando.
Le carte raccontano due fatti.
Il primo è che anche Salvini ha investito i denari del partito in obbligazioni societarie. Nello specifico, Matteo ha puntato 1,2 milioni su Mediobanca, Arcelor Mittal e Gas Natural.
Il secondo fatto salta all’occhio confrontando i saldi del conto corrente leghista a distanza di soli cinque mesi.
Da dicembre del 2013 al maggio del 2014 il patrimonio è crollato, passando da 14,2 milioni a 6,6 milioni.
Non è dato sapere in che modo siano stati spesi così rapidamente tutti quei soldi. Di certo Salvini fino a qualche tempo fa poteva disporre di parecchie risorse, mentre oggi i conti della Lega sono ufficialmente a secco.
Tant’è che lo Stato italiano, attraverso i giudici di Genova, si è dovuto accontentare di sequestrare solo 2 milioni sui 48 teorici.
Perchè la Lega ha investito soldi violando una legge dello Stato?
E come mai i finanziamenti delle imprese sono arrivati sui conti di una sconosciuta associazione no profit invece che su quelli ufficiali?
Alle domande de L’Espresso, il partito guidato da Salvini ha preferito non rispondere. Scelta che alimenta un dubbio: la onlus è stata creata per evitare il sequestro dei soldi da parte dei magistrati?
In mancanza di risposte da parte dei diretti interessati, non resta che attenersi ai fatti documentabili.
L’associazione si chiama Più Voci, esiste dall’autunno del 2015.
All’apparenza sembra una rivisitazione in salsa padana della fondazione renziana Big Bang. Con la differenza che la onlus sovranista non ha nemmeno un sito internet, figuriamoci una lista pubblica dei finanziatori.
A tenerne le redini sono tre commercialisti lombardi che Salvini ha voluto al suo fianco nel nuovo partito: Giulio Centemero, tesoriere, assistito dai colleghi Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni.
Se è vero che la onlus Più Voci finora non ha pubblicizzato alcuna attività politica o sociale, il conto corrente di riferimento mostra una certa vitalità .
Soldi – 313 mila euro in pochi mesi – che entrano, fanno una sosta e poi ripartono per altri lidi. O meglio, verso altri conti intestati a società della galassia leghista: aziende in cui i commercialisti preferiti da Salvini hanno incarichi di rilievo.
Per chiarire meglio il ruolo dell’associazione Più Voci è necessario tornare tra la metà del dicembre 2015 e i primi mesi del 2016, quando sul conto della onlus piovono due bonifici per un totale di 250 mila euro.
La causale è la classica usata per i contributi ai partiti: “erogazione liberale”.
I versamenti sono stati disposti dalla Immobiliare Pentapigna srl.
Un nome che ai più non rivela molto. Scavando sulla proprietà si arriva a uno dei più noti costruttori della Capitale: Luca Parnasi, titolare del 100 per cento delle azioni dell’immobiliare.
Già , proprio l’uomo che dovrebbe costruire il nuovo stadio della Roma, erede di una dinastia di palazzinari (lui preferisce il termine “sviluppatore di progetti”) che con il potere ha sempre flirtato.
Il padre Sandro, era un comunista convinto, ha gettato le basi dell’impero, oggi con le finanze scricchiolanti e con i debiti in mano a Unicredit.
Il figlio Luca preferisce il basso profilo, anche se qualche anno fa ha tentato di far rivivere lo storico quotidiano di sinistra Paese Sera, ma si è dovuto arrendere poco dopo.
Nella sua carriera non ha disdegnato affari con personaggi equivoci. Come quello proposto dal capo della famigerata “Cricca”, Diego Anemone, di recente condannato in primo grado a 6 anni per associazione a delinquere.
Una decina di anni fa, Parnasi acquistò da Anemone per 12 milioni un complesso residenziale di pregio dietro il Pantheon, un tempo nella disponibilità del Vaticano.
Perchè Parnasi ha versato almeno 250 mila euro all’associazione leghista? L’immobiliarista romano non ha risposto alle domande de L’Espresso.
Di certo il primo contributo versato all’associazione Più Voci si concretizza il 12 dicembre di tre anni fa.
Nel pieno dunque della retorica sovranista di Salvini, che già in quel momento può contare sul movimento Noi con Salvini per fare proselitismo sotto il Po.
E sempre a cavallo tra il primo e il secondo bonifico il leader leghista annunciava la presenza della Lega-Noi con Salvini alle Comunali poi vinte dai Cinque Stelle e Virginia Raggi.
Insomma, il sostegno “liberale” offerto dal re del mattone Parnasi potrebbe essere letto in questa ottica locale-Capitale. Un luogo dove il costruttore ha bisogno di mantenere buoni rapporti con tutti, se vuole davvero sperare di costruire lo stadio della Roma.
Ma, forse, non si tratta solo di questioni romane. Perchè i Parnasi si stanno giocando partite decisive per il futuro del loro gruppo anche oltre il Tevere e il raccordo.
C’è per esempio il caso Ferrara. Qui la famiglia di costruttori è proprietaria del Palaspecchi, un grande complesso immobiliare che versa da anni in stato di abbandono.
La politica locale, con in testa la Lega, per diversi anni ha sostenuto l’idea di demolire tutto. Un’ipotesi rischiosa per Parnasi. Per sua fortuna, però, le cose sono cambiate. Dopo anni di tira e molla, all’inizio dell’anno scorso la situazione sembra essere stata risolta con un intervento finanziato principalmente da Cassa depositi e prestiti.
L’ente che gestisce i risparmi postali degli italiani dovrebbe permettere di riqualificare l’intera area e realizzare duecentosessanta alloggi sociali, affiancati da attività commerciali, servizi e spazi verdi.
Un bel sospiro di sollievo per il gruppo Parnasi, che intanto sta facendo parlare di sè anche nell’altra capitale d’Italia, quella economica, Milano.
Un mese e mezzo fa, infatti, il Milan ha affidato al quarantenne Luca Parnasi il compito di individuare un’area adatta a realizzare il futuro campo di proprietà rossonera.
L’immobiliarista ha dunque contribuito in maniera massiccia alla causa di questa sconosciuta associazione leghista.
Non è il solo, però. Con 40 mila euro si piazza Esselunga, la catena di ipermercati della famiglia Caprotti.
Del resto Salvini stesso non ha mai nascosto l’ammirazione per il gruppo concorrente per eccellenza delle Coop. «Grande uomo, mai servo di nessuno», scriveva nel suo addio su Facebook il giorno della scomparsa di Umberto Caprotti.
La causale del bonifico di 40 mila euro versato a giugno 2016 recita “contributo volontario 2016”.
Quasi a voler sottolineare che anche per quell’anno sono in regola con l’attestazione di fiducia verso la Lega sovranista. Esselunga è stata l’unica a rispondere alle nostre domande. La catena di supermercati non ha spiegato perchè abbia scelto di versare almeno 40 mila euro all’associazione leghista invece che donarli direttamente al partito.
Si è limitata a farci sapere che quella cifra «è stata destinata a Radio Padania nell’ambito della pianificazione legata agli investimenti pubblicitari su oltre 70 radio». Ma allora perchè le aziende non versano il loro contributo direttamente alla Lega o a Radio Padania? È un modo per confondere le acque ed evitare il sequestro dei soldi? E per quale motivo scrivere nella causale “Contributo volontario” se di pubblicità si trattava?
Domande a cui non è possibile dare risposta. Il loquace Salvini, questa volta, ha preferito il no comment.
C’è da dire, però, che in effetti, poco dopo essere arrivati sul conto della onlus i soldi, non solo quelli di Esselunga, vengono girati a società di capitali del gruppo leghista. In quattro mesi 265 mila finiscono proprio alla cooperativa Radio Padania, quella della storica emittente del Carroccio, mentre altri 30 mila euro vengono versati sul conto della Mc srl, società leghista che controlla il giornale online Il Populista, diventato lo strumento principe della propaganda salviniana in rete.
Insomma, l’operazione ha tutta l’aria di essere una partita di giro. Anche perchè l’amministratore unico sia della Mc che di Radio Padania è lo stesso Giulio Centemero, tesoriere del partito, che siede nella onlus da cui partono i denari.
Le azioni della Mc sono saldamente in mano alla Pontida Fin, altra cassaforte storica del Carroccio ormai caduta in disgrazia, il cui 1 per cento continua a essere in mano al Senatur Umberto Bossi.
Frammenti di un passato che Salvini vorrebbe rottamare, ma che non riesce a tenere fuori dalla porta. Anche se una cosa Matteo Salvini l’ha cambiata davvero. Roma per i sovranisti cresciuti tra le valli di Pontida non è più ladrona.
Ai tempi di Umberto Bossi era proibito frequentare i salotti. Il Senatur aveva avvertito i parlamentari padani, guai a mischiarsi con il potere romano, tra manager, stelle dello spettacolo e palazzinari.
Con la Lega modello Front National, certe rigidità appartengono al passato secessionista.
(da “L’Espresso“)
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Aprile 3rd, 2018 Riccardo Fucile
“SE INCONTRASSI TRUMP MI PORTEREI IL CAMICE”
Vittorino Andreoli, psichiatra, scrittore, già Direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona — Soave e membro della New York Academy of Sciences ha raccontato di sè, del suo mestiere e della società in una lunga intervista rilasciata a Il Giornale.
Reduce dall’uscita del suo ultimo romanzo Il silenzio delle pietre (Rizzoli), Andreoli racconta la scelta della trama distopica, della solitudine di cui l’uomo avrebbe bisogno.
Siamo intossicati da rumori, parole, messaggi e tutto ciò che occupa la nostra mente nella fase percettiva. Il bisogno di solitudine è una condizione in cui poter pensare ancora. Oggi sono morte le ideologie, è morta la fantasia. Siamo solamente dei recettori. Ho proiettato il libro nel 2028, un giochetto per poter esagerare certe condizioni. Io immagino che ci sia un acuirsi della condizione di oggi per cui noi siamo solo in balia di un empirismo pauroso, dove facciamo le cose subito, senza pensarci.
Lo psichiatra prosegue e punta il dito contro i social network (e, in generale, contro i simulacri del virtuale), vero e proprio male del nostro tempo.
Facebook andrebbe chiuso. Lì abbiamo perso l’individualità , crediamo di avere un potere che è inesistente. L’individuo non sta nelle cose che mostra ma in ciò che non dice. Invece i social ci spingono a dire tutto, ci banalizzano. I social sono un bisogno di esistere perchè siamo morti. Creano una condizione di compenso per le persone frustrate […] Quando non si sa più distinguere tra virtuale e reale è pericoloso. Si estende l’apprendimento virtuale nella propria casa, nella propria vita.
I social network sono un pericolo anzitutto per i giovanissimi, i cosiddetti “millennials”, per cui Andreoli esprime timore.
Io sono molto preoccupato. Non siamo più capaci di aiutarli […] Mancano gli esempi dei padri che, a loro volta, hanno bisogno di non essere frustrati. Il male non è mai singolo. C’è qualcosa che non funziona a livello sociale.
Si dice spesso che il male più diffuso dei nostri tempi sia la depressione, ma il noto psichiatra contraddice e corregge l’affermazione.
Per Andreoli, la piaga della contemporaneità è l’infelicità […] Come si fa a essere felici? Noi viviamo nella frustrazione, che si accumula e genera rabbia e questa genera violenza.
L’infelicità genera violenza che, a sua volta, può essere carica distruttiva. La distruttività è la voglia di rovinare e non riguarda solo l’altro ma anche se stessi.
Tra le “patologie” che affliggono l’uomo, Andreoli annovera anche la smania di potere. Diciamo che se incontrassi Trump mi porterei dietro il camice. Il potere è una malattia sociale.
Durante la sua carriera, Vittorio Andreoli ha analizzato i profili dei peggiori criminali: Unabomber, Pietro Maso, Donato Bilancia, ecc. Ma in ognuno è sempre riuscito a trovare un lato umano. Confessa che l’eccezione fu incontrare gli imputati di Piazza della Loggia.
La violenza organizzata è drammatica, è un unico corpo malato. Quando non c’è più il criminale isolato ma c’è il sistema, non puoi più valutare una testa. Il delitto non è legato a un uomo solo, quando vedevo gli imputati da soli erano del tutto diversi. Lì non ce l’ho fatta, non ho capito.
sui concetti di normalità e follia, Andreoli non ragiona per compartimenti stagni.
Siamo tutti matti e tutti normali. Gli omicidi più efferati sono compatibili con la normalità . Significa che Bilancia avrebbe anche potuto non uccidere. E il signore per bene invece sì […] Quando qualcuno non mi sta simpatico, dico: sa che lei è proprio normale? E lui si giustifica. Nessuno vuole essere normale. I normali sono noiosi. Normale vuole dire: equilibrio, coerenza, onestà , regole. Questi elementi sono visti male.
Se la felicità è un obiettivo davvero arduo da raggiungere, Andreoli confessa di credere in un altro tipo di ricerca.
Io ce l’ho con la felicità . Io sono un infelice gioioso. La felicità riguarda l’io, la percezione che un soggetto ha di fronte a qualcosa di positivo che lo riguarda. La gioia riguarda il noi, è corale […] Collettivo, non egoista. Ecco, quello è possibile
(da “Huffingtonpost”)
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