Aprile 15th, 2018 Riccardo Fucile
GLI ISTIGATORI A DELINQUERE SONO ANCORA A PIEDE LIBERO, COME SEMPRE… IL VIMINALE HA PERMESSO PERSINO UN PRESIDIO DAVANTI A CASA SUA, INVECE CHE PRENDERLI A CALCI IN CULO
San Lorenzo Dorsino è un piccolo comune in provincia di Trento, inserito nella lista dei borghi più belli d’Italia.
Che nelle ultime settimane, però, ha mostrato il lato peggiore di sè.
Uno dei circa 1.600 abitanti, proprietario di un bed and breakfast, ha deciso di destinare parte del suo locale all’accoglienza di sette migranti.
Ma la procedura attivata dal Cinformi (il centro informativo per l’immigrazione che attraverso la Provincia si occupa dei rifugiati e dei richiedenti asilo) è stata sospesa. Troppe le proteste scatenate tra i cittadini, alimentate anche da Lega e Casapound. Fino ad arrivare all’intimidazione: un tentativo di incendio della sua casa.
A raccontare la storia è stato Gabriele Buscaini, il proprietario del b&b che ha manifestato il suo disappunto per una vicenda sulla cui ricostruzione non c’è ancora chiarezza.
A cominciare dall’immobile di cui la scorsa settimana hanno tentato di bruciare una finestra: non è lo stesso che avrebbe dovuto ospitare i sette migranti. “Si tratta di un’abitazione – ha spiegato Buscaini – ceduta alla mia compagna. È tutto sbagliato: la casa per i migranti si trova dall’altro lato. Quella parte non c’entra niente, è stata danneggiata la casa di una persona terza”.
Buscaini ha poi ripercorso le tappe dell’escalation culminata nell’atto di intimidazione. I passaggi burocratici obbligatori, la decisione di affittare l’immobile a Cinformi, i sopralluoghi per certificare agibilità e regolarità energetica.
Poi il parere dell’amministrazione locale, che dato il basso numero di migranti ospitati non si è opposta alla scelta del proprietario del b&b.
È il contratto stipulato con Cinformi, secondo Buscaini, ad aver alimentato il rancore dei suoi concittadini: “Pensano che io prenda 35 euro a persona, ma il contratto che ho firmato è di 900 euro al mese”.
Un tema, quello delle quote destinate a chi accoglie i migranti, che da anni alimenta polemiche in Italia. E che in un paese di 1.600 abitanti si è trasformato in un’occasione per atti intimidatori.
Prima del tentativo di incendio, la Lega aveva contribuito ad aumentare la tensione: “Sono arrivati a presidiare la casa tre o quattro di loro – ha raccontato ancora Buscaini – i giornali parlano di deputati, io non li conosco e ho solo visto le foto sui giornali. E dopo questo hanno cercato di bruciare una finestra della casa”.
Il seguito della storia è la denuncia del proprietario del b&b contro ignoti.
Casapound ha condannato il gesto, precisando però che si tratta di “una chiara manifestazione di un disagio nei confronti di questa imposizione delle istituzioni”, visto che “i cittadini di San Lorenzo non sono mai stati interpellati a riguardo” (come se uno dovesse chiedere il permesso ai concittadini…)
Dopo le fiamme, Casapound ha anche appeso uno striscione davanti ai locali che dovrebbero ospitare i sette migranti.
“Basta finti profughi”, recita la scritta. I cittadini hanno chiarito ancora una volta la loro opposizione all’arrivo dei migranti durante un incontro con l’assessore Luca Zeni. Bersagliato da fischi e urla.
Buscaini non si dà per vinto: “Io sono un privato e della mia casa posso fare quello che voglio, Comunque li ospiterò nella mia struttura come previsto”
(da agenzie)
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Aprile 15th, 2018 Riccardo Fucile
CHISSA’ COME MAI IL M5S NON HA NULLA DA DIRE SU QUESTO PRIVILEGIO A CARICO DELLA COLLETTIVITA’
“In aggiunta ai vitalizi c’è un altro tipo di privilegio: gli oneri figurativi. Se un parlamentare era prima un lavoratore dipendente, durante il mandato” alla Camera o al Senato “l’Inps gli deve versare i contributi datoriali: si tratta di circa il 24% della loro retribuzione, che in alcuni casi l’Inps ha versato per 20 o 30 anni”.
A rivelarlo è il presidente dell’Inps, Tito Boeri, a Mezz’ora in più su Rai3.
Boeri ha spiegato di aver scritto una lettera all’ufficio di presidenza della Camera (la struttura operativa del presidente Fico ndr) per sollecitare un intervento, ma di non aver ricevuto al momento “alcuna risposta”.
Dura critica anche al sistema dei vitalizi.
“I vitalizi – ha detto Boeri – erano uno schema insostenibile fin dall’inizio: si è partito già da subito in disavanzo. Nel 2016 io ero stato chiamato in audizione parlamentare e ho fornito i dati in nostro possesso, sollecitandone altri, ma trovo scandaloso che la Camera non ci abbia dato questi dati. Anche sulle valutazioni che ci sono state richieste, come sul ddl Richetti, non abbiamo avuto i dati sui contributi versati dai parlamentari: avrebbero dovuto darci la possibilità di fare analisi più dettagliate”.
Boeri ha ricordato che secondo un calcolo dell’Inps, uniformando le pensioni dei parlamentari a quelle degli altri cittadini, si sarebbero ottenuti risparmi “importanti”, pari a 150 milioni all’anno.
“Adesso – ha aggiunto Boeri – vedo che con questa nuova legislatura c’è un impegno nuovo: mi auguro sia vero. Il primo segnale serio sarebbe quello di darci le informazioni per rifare un calcolo serio”.
Boeri è intervenuto anche sul tema del reddito di cittadinanza, proposto dai 5 Stelle e ritenuto uno degli elementi che hanno decretato il successo dei pentastellati al Sud.
La proposta “costa fino a 38 miliardi, se vogliamo essere più ottimisti 35 miliardi, si estenderebbe ad una platea che va ben oltre i poveri assoluti” e lo farebbe “su un piano rischioso” perchè si tratterebbe di un “disincentivo a lavorare”.
Per il presidente dell’Inps, invece, è più opportuno potenziare il Rei: “Portando nuove risorse al reddito di inclusione, circa 4 miliardi in più, riusciremmo ad aiutare tutte le persone in difficoltà “.
Al Sud voglia di ritornare all’assistenzialismo con un voto a favore del reddito di cittadinanza?
“A mio avviso c’è bisogno di un’assistenza di base in Italia e questa assistenza deve essere erogata a livello nazionale: quei 4,7 milioni di persone che sono in povertà assoluta bisogna aiutarle. È un imperativo farlo, ma nel modo giusto, guardando alle loro condizioni di reddito e patrimoniale”.
“Molto spesso – ha spiegato Boeri – al Sud chi ha bisogno si rivolge al politico locale o nazionale: quello è l’assistenzialismo, è un rapporto sbagliato con la pubblica amministrazione. Se la pubblica amministrazione, guardando al reddito e patrimonio e facendo accertamenti rigorosi, è in grado di stabilire di quale aiuto hanno bisogno allora quelle persone non hanno bisogno di rivolgersi ai santi in paradiso”.
Stop alla riforma Fornero?
Per Boeri costerebbe nell’immediato 11 miliardi, costo che potrebbe salire a 15 miliardi.
L’impatto sul debito pensionistico, secondo il presidente dell’Inps, sarebbe circa 85 miliardi e si darebbe inoltre vita a un sistema “doppiamente iniquo” per i giovani e per chi ha pagato il costo della Fornero oltre che problemi si “sostenibilità al nostro Paese”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 15th, 2018 Riccardo Fucile
NON E’ TEMPO DI PIPPO, PLUTO, MINNIE E PAPERINO
Dei quattro giorni che venerdì Mattarella ha concesso perchè quei due si parlino, si chiariscano e facciano finalmente conoscere le loro vere intenzioni, le prime 24 ore sono trascorse senza passi avanti.
Anzi, come conseguenza dei bombardamenti in Siria le distanze tra Di Maio e Salvini sono aumentate considerevolmente.
Differenze di forma e di sostanza che rendono più problematico un governo grillo-leghista e fanno crescere le quotazioni di un esecutivo «del Presidente», con dentro tutti.
Mentre il capo dei Cinque stelle ha commentato gli accadimenti siriani con un linguaggio responsabile da presidente del Consiglio in pectore, e con toni di cui al Quirinale è stata senz’altro apprezzata la sobrietà , il leader padano ha tranciato a caldo giudizi come userebbe tra amici al bar.
E diversamente da Di Maio, che ha tenuto ferma la barra dell’atlantismo addirittura più del premier Gentiloni (il quale si è preoccupato di rimarcare il mancato impiego delle nostre basi), Salvini è andato giù pesante su Trump con argomenti molto graditi dalle parti del Cremlino («Attacco sbagliato, pericolosissimo, pazzesco», l’ha definito).
Divergenza vera
Uno di qua, l’altro di là . In qualunque altro Paese serio, i due personaggi sarebbero politicamente agli antipodi.
E comunque, da nessuna parte al mondo si sognerebbero di governare insieme, senza aver raggiunto un punto di mediazione e per giunta in presenza di una crisi niente affatto destinata a esaurirsi con i missili di ieri notte.
Si manifesta una divergenza vera, non aggirabile con i giochi di parole. D’altra parte, se fossero le scelte internazionali a dettare le alleanze interne, accadrebbero fatti interessanti. Di Maio, per dirne una, si ritroverebbe a braccetto con il Pd, dal quale il giudizio sui bombardamenti in Siria è stato quasi indistinguibile.
Ma questa possibilità di intesa al momento viene preclusa dalla decisione «dem» di non contaminarsi coi vincitori.
Si vocifera che Renzi accarezzi l’idea di rinunciare all’Aventino e di tornare in campo quale «deus ex machina», però dalle sue parti non viene specificato come, nè quando, nè per fare cosa.
Sempre usando la politica estera quale metro essenziale di giudizio, Salvini farebbe molta fatica a coesistere con Berlusconi.
Il quale ieri, dopo qualche iniziale tentennamento, si è ricordato di rappresentare in Italia il Ppe e una visione occidentale. Pur senza ferire il suo vecchio amico Vladimir, e anzi rimarcando che «attacchi di questo genere dovrebbero essere prima autorizzati dall’Onu», il Cav ha fatto la sua scelta di campo.
Come sempre, quando il gioco si fa duro, l’ex premier si schiera con gli alleati tradizionali. Ricapitolando: Salvini vive, sulle grandi questioni internazionali, una condizione di isolamento. Invece Di Maio (se il suo partito o Grillo non gli imporranno un dietrofront) è in vasta compagnia.
Nè accelerazioni nè rinvii
Ma ci sarà , e quando, il tanto atteso faccia a faccia?
Qualora la crisi siriana fosse degenerata in uno scontro militare tra super-potenze, Mattarella avrebbe potuto nominare di corsa un «gabinetto di guerra», come usa nelle emergenze; ma il terzo conflitto mondiale ieri non è scoppiato, fortunatamente. Dunque dal Colle non si ha notizia di accelerazioni, ma nemmeno di rinvii.
Domani a Forlì Mattarella ricorderà Roberto Ruffilli, assassinato dalle Br trent’anni fa. Martedì il Parlamento discuterà di crisi internazionale, dunque una decisione arriverà probabilmente mercoledì, sotto forma di pre-incarico a uno dei due vincitori, o di mandato esplorativo (per Roberto Fico o per Elisabetta Casellati, che già si dichiara pronta).
Il presidenti del Senato o della Camera sono al momento gli unici indiziati per guidare un governo istituzionale. Con gli echi delle bombe che arrivano dalla Siria, spariscono dai radar i tanti nomi di fantasia circolati finora: non è tempo di Pippo, Pluto, Minnie e Paperino.
(da “La Stampa”)
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Aprile 15th, 2018 Riccardo Fucile
INSEGNA LORO INGLESE E GRECO: “BISOGNA FARE IN MODO CHE I BAMBINI TORNINO A SENTIRSI BAMBINI”
In fondo alla classe, dietro gli ultimi banchi del campo profughi, c’è un cartello: «All children have a right to an education» («Tutti i bambini hanno diritto a un’educazione»).
E in fondo questa è la vera missione di Nicolò Govoni, 25 anni, originario di Cremona.
Un compleanno movimentato, il suo, il peggiore degli ultimi anni. Un naufragio nell’Egeo che invece delle candeline si è portato via i fratelli di alcuni suoi bambini, quelli con cui oggi passa le giornate, con i ricordi di Cremona — il liceo Manin, l’esame di maturità e quel biglietto di sola andata per il mondo — che continuano a fare da sfondo.
La scelta di partire dopo il liceo. Prima l’India, con la laurea in giornalismo e il sogno, raggiunto, di fondare un orfanotrofio.
«In Italia ho fallito — racconta -, ancora e ancora. Sentivo i miei insegnanti dirmi che non sarei andato da nessuna parte».
Da pochi mesi l’approdo nel campo profughi di Samos. Lì, Nicolò, i sogni in tasca e il portafoglio vuoto, ha trovato la sua strada: una vita a sostegno dei diritti umani, là dove il mondo finisce e il bisogno di ritornare alla normalità si fa ogni giorno più intenso.
L’arrivo a Samos
«Sono arrivato nell’isola di Samos a settembre con l’intenzione di restarci due mesi, per poi cominciare un master negli States. Qui ho trovato una situazione disastrosa — racconta Nicolò al Corriere della Sera —. Un campo in grado di accogliere 700 profughi ne aveva, al suo interno, 2500. Uomini, ragazzi, ma soprattutto donne e bambini che cominciano il viaggio della fortuna a bordo di un barcone, in bilico tra la vita e la morte».
La situazione, a Samos, è tra le più drammatiche.
«La realtà della Grecia è quella di minorenni che si prostituiscono con vecchi per raccattare dieci euro con cui mangiare. Ci sono intere famiglie che dormono in mezzo alla foresta, con una doccia ogni duecento persone, i servizi igienici fatiscenti, un dottore per duemila anime. Nessuno dice che qui, in un lembo della «civilissima» Europa, c’è ancora gente che vive nuda, in mezzo ai topi e alla scabbia».
I primi giorni in Grecia sono bastati a Nicolò per decidere di invertire i piani. «Ho preso il telefono, ho chiamato a casa e ho detto: “Mamma, io a New York non ci vado”».
Il lavoro con i piccoli profughi
I «fratelli» di Nicolò sono 22, vengono da Siria, Afghanistan, Iraq e Palestina. Nelle orecchie portano il rumore delle bombe. Sono i bambini a cui fa lezione ogni giorno, con un programma educativo che prevede ore di inglese, greco, geografia, ma anche sport e educazione sessuale.
La settimana scorsa il giovane volontario ha portato i suoi «fratelli» dal dentista, perchè «l’obiettivo — spiega — è quello che i bambini tornino a sentirsi bambini». Govoni ha cambiato vita, vive di elementi essenziali, «al di fuori del campo non c’è alcuna vita».
«Qui peggio della Siria»
Certi ricordi non possono essere cancellati. «Se chiudo gli occhi rivedo il giorno di quella sommossa, il mio benvenuto in questa terra. Un gruppo di persone, nella notte, ha spaccato gli alloggi dei miei bambini. Un ragazzino il giorno dopo tremava. Mi ha guardato e ha detto: “Qui è peggio della Siria”. Una pausa di silenzio e quella confessione che torna a fare rumore: “A mia madre, al telefono, dico che va tutto bene. Ha speso tutti i suoi soldi per pagarmi il viaggio. Se le dicessi che qui rischio ancora di morire le verrebbe un colpo”».
La mamma lo segue da Cremona
La famiglia di Nicolò lo segue da Cremona, dove non torna da quattro anni. Sua madre Cristina continua a sperare che un giorno torni a casa. Ce lo racconta facendosi forza. «Le cose meravigliose che fa ogni giorno il nostro Nicolò ci rendono sopportabile la sua assenza».
Il desiderio di Govoni di fare del bene supera la distanza. «Nella mia classe c’è un bimbo vittima di abusi. Ho inviato un report al governo greco perchè intervenisse, ma hanno ignorato gli abusi fisici ricevuti dal bambino e di conseguenza anche la mia richiesta».
Nicolò ha scritto un libro perchè queste situazioni non vengano ignorate, perchè non si disperdano, negli occhi di chi ha visto la guerra, di chi non si è arreso, mettendosi alla ricerca della vera felicità .
«Un giorno, andando a letto dopo una giornata circondato dai bambini, ho realizzato di non essere solo in questa grande missione. Se è vero che l’infanzia è un diritto di tutti, non arrendiamoci: c’è ancora molto lavoro da fare».
(da “Il Corriere della Sera”)
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Aprile 15th, 2018 Riccardo Fucile
LA VERGOGNA DI UN GOVERNO CHE AFFIDA COMPITI E SOLDI AI CRIMINALI LIBICI PER FARE IL LAVORO SPORCO… MA FINIRA’ PER RISPONDERNE DAVANTI ALLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA CHE CI HA GIA’ CONDANNATO IN PASSATO
C’è un cambio della strategia italiana nel Mediterraneo centrale. Una svolta mai apertamente dichiarata, mai discussa a livello parlamentare, ma attuata sul campo dalla Marina Militare e dalla Guardia Costiera.
Dopo la chiusura dell’operazione Mare nostrum, dopo l’intervento delle Ong nei salvataggi nel Mediterraneo centrale, il governo italiano sta preparando il campo all’intervento della Guardia costiera libica.
Lo scrive, nero su bianco, lo stesso Comando generale delle Capitanerie di Porto, in un progetto finanziato dall’Unione europea — 1,8 milioni di euro di fondi erogati — che IlFattoQuotidiano.it ha consultato: “E’ chiaro che una Guardia costiera libica formata ed efficiente potrebbe essere utile per fermare il traffico di essere umani e l’immigrazione irregolare verso gli Stati membri dell’Unione europea”, si legge nella descrizione degli obiettivi dell’intervento.
L’azione principale prevista nel progetto riguarda la creazione di una zona di salvataggio per il Mediterraneo centrale sotto la competenza di Tripoli, passo necessario per affidare all’autorità libica il coordinamento delle operazioni in mare. Tecnicamente si chiama “regione Sar” (Search And Rescue, ricerca e salvataggio), ovvero lo specchio di mare per il quale uno Stato garantisce l’attività di recupero dei naufraghi.
La Libia — sconvolta dalla guerra civile iniziata nel 2011, in parte controllata ancora oggi da milizie e bande irregolari — non ha mai dichiarato la propria competenza e quell’area di mare è sotto il controllo italiano, coordinato dal centro MRCC di Roma. La stessa IMO — l’organizzazione marittima internazionale — ha più volte confermato di non aver ricevuto alcuna comunicazione dalla autorità di Tripoli, dopo un primo tentativo, poi ritirato, dello scorso anno.
L’attivazione della zona Sar libica trova tra l’altro la contrarietà delle parti sociali del mondo marittimo, come si legge in un verbale di una riunione di fine ottobre presso l’IMO sull’argomento.
L’altro lato della medaglia non appare nelle carte del progetto della Guardia costiera italiana.
Le normative internazionali sui salvataggi, insieme alle norme che regolano lo status dei rifugiati, prevedono lo sbarco dei naufraghi in un “Place of safety”, ovvero un luogo sicuro (e non il porto più vicino).
Per chi fugge dalle guerre africane attraversando il deserto libico, dopo aver vissuto le torture dei centri di detenzione — più volte documentate dalle Nazioni unite — gestiti dalle milizie o, a volte, dalle stesse autorità di Tripoli, l’approdo sicuro non può essere la Libia, soprattutto quando è potenzialmente riconoscibile lo status di rifugiato.
In sostanza i profughi non possono essere respinti (principio del non refoulement, previsto dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra).
E pochi dubbi ci sono sullo status di molti naufraghi che già da mesi la Guardia costiera libica — con il coordinamento ed il supporto logistico italiano — riporta a Tripoli.
In uno degli ultimi bollettini dell’agenzia Onu per i rifugiati, ad esempio, si legge che la maggior parte delle persone sbarcate il 16 marzo scorso da una delle motovedette cedute dall’Italia ai libici sono somali.
Ovvero migranti con il diritto alla protezione internazionale, che non possono ricevere in Libia, paese non firmatario della Convezione di Ginevra.
Il rimpatrio forzato dei migranti salvati in mare operato dalla Guardia costiera libica potrebbe diventare un problema serio per il governo italiano, già condannato nel 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per respingimento.
Il Gip di Catania nel decreto di convalida del sequestro della nave Open Arms — unità di salvataggio di una Ong spagnola che il 15 marzo si era rifiutata di consegnare i migranti ai libici — scrive che “il coordinamento (delle motovedette libiche, ndr) è sostanzialmente affidato alle forze della Marina Militare Italiana”.
Il professor Fulvio Vassallo Paleologo, consulente della difesa della Open Arms, nella memoria difensiva annota poi come “è lo stesso Giudice delle indagini preliminari di Catania che, senza qualificarlo come tale, tratteggia i connotati di un respingimento collettivo effettuato su ordine delle autorità italiane, che avevano inizialmente assunto la responsabilità SAR”.
I naufraghi recuperati dai libici una volta tornati nel porto di Tripoli rischiano di diventare fantasmi.
Non hanno notizie di quegli 89 rifugiati arrivati il 16 marzo i volontari e i cooperanti di una delle Ong italiane che operano nei principali campi di detenzione in Libia, il Cesvi, che ad una richiesta de IlFattoQuotidiano.it ha risposto di “non avere disponibilità di queste informazioni”.
Così come non si hanno notizie su altri 90 naufraghi recuperati dalla Guardia costiera libica i primi di aprile — dopo aver imposto alla nave Aquarius della Ong Sos Mèditerranèe di non recuperare i migranti, salvo qualche donna incinta e qualche bambino — portati, secondo il Libyan Observer, nel campo Tajoura, uno dei centri di detenzione oggetto di un intervento della Cooperazione italiana.
I corridoi umanitari attivati dalla Caritas, in coordinamento con il governo italiano, hanno permesso l’arrivo in Italia di due aerei fino ad oggi, per poco meno di 300 richiedenti asilo. Una piccolissima parte rispetto ai 51mila rifugiati attualmente registrati dall’UNHCR.
Il progetto della Guardia costiera italiana non affronta quello che avviene dopo il rientro a Tripoli dei naufraghi.
Gli obiettivi sono esclusivamente operativi e puntano all’affidamento delle operazioni Sar ai libici: “Valutare l’attuale quadro legale marittimo, con particolare riferimento ai servizi Sar, valutare le necessità della Guardia costiera libica in termini di attrezzature e formazione, per stabilire un MRCC (centro di coordinamento dei salvataggi in mare, ndr) libico, per svolgere operazioni Sar i autonomia o in cooperazione con altre autorità MRCC europee o non europee”.
Per raggiungere questi traguardi, le attività previste prevedono l’assistenza delle autorità libiche nelle procedure per dichiarare una propria zona Sar e la fornitura delle attrezzature per la creazione di una centrale operativa.
Alla fine il beneficio per l’Italia e i paesi europei è chiaro e dichiarato: “Riduzione dei salvataggi direttamente gestiti dai paesi UE e dei relativi costi”.
Cosa accadrà ai migranti? Questo il progetto non lo dice.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 15th, 2018 Riccardo Fucile
PER L’ANALISTA DI POLITICA ESTERA MACRON E LA MAY HANNO ARRUOLATO TRUMP… “FINCHE’ NON CI SI LIBERA DI ASSAD NON CAMBIERA’ NULLA”
“Macron e May hanno cercato di ‘arruolare’ Trump, un po’ come Sarkozy e Cameron fecero con Obama per la Libia. Solo che Trump è più difficile di arruolare perchè è meno attendibile e prevedibile”.
A sostenerlo, in questa intervista concessa a Huffpost, è uno dei più autorevoli analisti italiani di politica estera: il professor Stefano Silvestri, già presidente dell’Istituto Affari Internazionali (Iai).
Professor Silvestri, dopo la notte di fuoco in Siria, quali mosse c’è da attendersi da parte del presidente americano e del suo omologo russo?
“Credo che Trump e Putin per il momento non faranno nulla di sostanziale. Si scambieranno accuse, magari insulti, si rimpalleranno le responsabilità , arriveranno alle minacce, insomma faranno del teatro. Ma da questo a determinare azioni più pervasive, tali da determinare reazioni altrettanto dirompenti che come tali non si limiterebbero al solo teatro siriano, ce ne passa. Il problema, semmai è un altro…”.
Quale?
“Il problema è che la questione siriana resta irrisolta e questo può creare in qualsiasi momento una nuova occasione di crisi e bisognerà vedere come verrà affrontata..”.
E quella che sembra essersi conclusa, come è stata affrontata?
“Direi con estrema moderazione. La moderazione è stata e tale che Assad ha potuto presentarla come una sua vittoria. Ora, nell’atteggiamento del presidente siriano c’è molto di propagandistico. Rimango convinto che Bashar al-Assad non ha un grande futuro davanti a sè, ma proprio per questo lui rappresenta una variabile ‘impazzita’ nel gioco siriano. Perchè Assad potrebbe interpretare la reazione moderata alla strage di Douma come un segno di debolezza dei suoi nemici e dunque alzare ancora l’asticella, magari portando avanti altre iniziative come quella di Douma, in quel caso ci sarà un problema molto grosso che non riguarderà solo Washington, Parigi e Londra, ma anche Mosca. Putin dovrà decidere se continuare a proteggere Assad anche di fronte ad attacchi più forti delle altre potenze. La risposta non è scontata, perchè spesso si commette l’errore di considerare non solo Assad figlio ma anche Assad padre, come altri dittatori presenti e passati che hanno imperversato in Medio Oriente, come dei semplici burattini che rispondono a bacchetta ai comandi dei loro burattinai. La storia ha dimostrato che le cose sono un po’ più complicate, e questo chi comanda a Mosca lo sa molto bene. Tanto più che nel sistema di alleanze realizzato, con indubbia maestria, da Putin c’è anche un’altra incognita di non poco conto: l’Iran. E qui il discorso deve necessariamente estendersi oltre la questione siriana e investire altri attori regionali, a partire da Israele e Arabia Saudita per finire con la Turchia. Teheran è nel libro nero di Trump, oltre che di Israele e del Regno Saud. Generalmente si parla di crisi siriana ma essa è strettamente legata alla situazione, tutt’altro che stabilizzata, nel vicino Iraq, altro Paese in cui l’Iran è fortemente impegnato. Se la crisi siro-irachena dovesse sfociare in una crisi con l’Iran, allora le cose si complicherebbero di molto e finirebbero per investire il Grande Medio Oriente. Perchè in quel caso, un altro teatro di confronto diretto diverrebbe l’Afghanistan, perchè a quel punto il Pakistan dovrebbe schierarsi..”.
Professor Silvestri, la guerra in Siria è entrata ormai nel suo ottavo anno. Ci si indigna a corrente alternata, si fissano innumerevoli red line, a volte si esercita la forza da parte dell’Occidente o di parte di esso. Ma tra gli attori principali di questa tragedia, ce ne è uno che abbia una idea politica sul futuro della Siria?
“A mio avviso, no. La Russia sembrerebbe pensare ad una Siria governata nominalmente da Assad, con aree di influenza controllate dai vari attori interni e regionali. Ritengo che questa soluzione non possa reggere di fronte alle preoccupazioni della Turchia, che mai accetterebbe un ‘cantone’ amministrato dai curdi, o di Israele, che vedrebbe minacciata la sua sicurezza da un’area di fatto controllata dagli sciiti con il supporto iraniano e degli hezbollah libanesi, per non parlare di Assad che farebbe la fine di un prestanome senza potere. Se questa dovese essere la ‘pax russa’ per la Siria, la vedo estremamente fragile perchè troppo esposta a crisi, a scontri tra comunità . Il problema è capire se si può trovare un’autorità centrale che venga accettata da tutti i siriani: questa, tra mille incertezze e contraddizioni, sembrerebbe essere il fondamento di una “pax occidentale’. In passato si è provato a capire se all’interno del regime baathista, fuori dal clan Assad, magari nelle fila dell’esercito, vi fossero figure alternative al rais. Non sembra che siano state trovate. Sul tavolo resta anche una effettiva spartizione che, se dovesse essere la strada perseguita, finirebbe per investire anche l’Iraq e il Libano. Certo, è estremamente complicato immaginare di mantenere una unità della Siria senza doverla ‘colonizzare’ Per tornare all’altra notte, diciamo che si è fatto il minimo sindacale della reazione annunciata, ma questa era diventata una scelta obbligata a fronte del rischio di un confronto diretto con la Russia, che avrebbe determinato una riedizione, ancor più allarmante per le sue conseguenze, di uno scontro Est-Ovest”.
Tornando agli eventi di questi giorni. Come valuta l’atteggiamento assunto dall’Europa?
“Direi niente di nuovo sotto il sole. L’Europa si è mostrata divisa come al solito quando in ballo c’è l’uso, anche se moderato, della forza. Eppure l’Europa dovrebbe essere molto più interessata degli Usa alla soluzione della crisi siriana. Penso alla minaccia terroristica o al problema dei rifugiati. Stiamo parlando di un Paese che conta già oltre sei milioni di profughi, e il numero potrebbe ulteriormente crescere se la situazione si farà ancora più grave, investendo anche le aree dove è più presente la comunità curda. Ora, è vero che la Turchia ha fatto da ‘tappo’ al flusso di rifugiati dalla Siria all’Europa, ma Erdogan lo ha fatto a nostre spese e usando i profughi siriani come arma di ricatto nei confronti dell’Europa. Quanto poi al protagonismo di Francia e Regno Unito, in questo caso e su questo fronte non dovrebbe suscitare particolare scandalo. La storia, più che la geopolitica, può aiutarci a capirne il perchè. L’Iraq è stato per tanto tempo un dominio britannico o comunque un Paese che ha sentito fortemente l’influenza del Regno Unito. Lo stesso discorso può essere fatto per la Francia con la Siria e il Libano. Si tratta allora di provare a individuare, in chiave europea, interessi condivisi, sapendo che Francia e Gran Bretagna restano le porte d’ingresso in Medio Oriente dei Paesi europei”.
Professor Silvestri, ma in tutto questo che fine ha fatto la guerra al terrorismo che in passato sembrava essere il centro assoluto che tutto giustificava, in Siria e non solo?
“Il problema vero si chiama Bashar al-Assad. Perchè lui si presenta come il perno della lotta al terrorismo jihadista, quando invece anche lui pensa, si muove e agisce come un terrorista, diciamo un terrorista di stato. Forse non avrà commesso o sponsorizzato attentati nei Paesi europei, ma lo ha fatto in Libano. Non dimentichiamo poi che per favorire l’affermarsi della componente jihadista nel fronte dei ribelli, Assad ha rimesso in libertà personaggi che hanno ingrossato le fila dell’Isis anche con funzioni di comando. Se non ci si libera da Assad le ambiguità resteranno. Ma oggi questa via è improponibile perchè vorrebbe dire fare i conti con la Russia su un teatro molto più ampio di quello siriano”.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 15th, 2018 Riccardo Fucile
LE DUE SOUBRETTE DA AVANSPETTACOLO ARRIVANO MA NON SI INCONTRANO… SOLITE DISCUSSIONE SU CHI DEVE FARE IL PREMIER: HANNO SCASSATO IL CAZZO A MEZZA ITALIA
“Non c’è nessun incontro con Di Maio, incontro gli imprenditori”. Matteo Salvini arrivando alla Fiera di Verona per Vinitaly conferma di non volere un faccia a faccia con Luigi Di Maio.
Qualche ora dopo, il leader dei 5 Stelle, arrivato nel frattempo alla stessa manifestazione, è sulla stessa lunghezza d’onda: “Non c’è nessun incontro con Salvini. La questione del governo è molto seria e non si affronta al Vinitaly che è un evento importantissimo ma per un settore”.
Salvini e Di Maio non si incontrano al Vinitaly, ma non mancano le frecciatine tra i due.
Che vino offrirebbe al candidato premier dei 5 stelle?, chiedono i giornalisti a Salvini. “Uno Sforzato perchè è un vino di Valtellina e perchè “si deve sforzare a fare qualcosa di più”, risponde il segretario della Lega.
Di Maio, dal canto suo, ribadisce la linea dei 5 Stelle sulla formazione del governo: “Voglio che sappiate che il M5s è al lavoro per un governo che dia risposte, chi si ostina a proporre un centrodestra unito propone una strada non percorribile e che può fare anche danno” al Paese.
A Vinitaly sono presenti anche altri esponenti politici, dalla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati al reggente del Pd Maurizio Martina.
Salvini spende parole di elogio per Casellati, tra i nomi in lizza per ricevere un mandato esplorativo del capo dello Stato: “È una donna molto in gamba”, dichiara.
(da agenzie)
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Aprile 15th, 2018 Riccardo Fucile
CHIESTO IL RICONTEGGIO DELLE SCHEDE PER PALESI BROGLI E IL RITORNO DELLA LIBERTA’ DI STAMPA
Sabato a Budapest, in Ungheria, centomila persone hanno protestato contro la vittoria del primo ministro Viktor Orbà¡n alle elezioni di domenica scorsa.
Lo scopo della manifestazione, organizzata attraverso Facebook e chiamata «Noi siamo la maggioranza», era chiedere un riconteggio delle schede elettorali, maggiore libertà di stampa (molto limitata da Orbà¡n in questi anni), una nuova legge elettorale e una migliore collaborazione tra le forze di opposizione, che non erano riuscite a proporre un fronte unito contro la destra durante la campagna elettorale.
Il partito conservatore e populista di Orbà¡n Fidesz ha ottenuto il 49,5 per cento dei voti alle elezioni, aggiudicandosi i due terzi dei seggi del Parlamento necessari a modificare la Costituzione.
Secondo gli osservatori internazionali dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) per una serie di fattori, primo tra tutti il fatto che la TV statale non era imparziale, i partiti di opposizione sono stati sfavoriti nella campagna elettorale.
La maggior parte dei 91 collegi uninominali in cui i candidati di Fidesz hanno vinto (in totale i collegi sono 106) si trovano in aree rurali; a Budapest i candidati dell’opposizione di sinistra hanno ottenuto la maggioranza dei voti in due terzi dei collegi.
Secondo un sondaggio del think tank Median le differenze di voto tra gli elettori sono state anche una questione di età : Orbà¡n è andato forte soprattutto tra gli elettori con più di 50 anni.
Molte delle persone che hanno partecipato alla manifestazione sventolavano bandiere ungheresi ed europee. Hanno partecipato alla manifestazione anche i maggiori partiti di opposizione: i Socialisti e Jobbik, il partito di estrema destra che ultimamente ha preso posizioni più centriste e ha ottenuto circa il 20 per cento alle elezioni di domenica scorsa.
Nonostante la presenza di molti poliziotti in tenuta antisommossa non ci sono stati scontri con i manifestanti: la protesta è rimasta pacifica.
Dato che la partecipazione alla manifestazione è stata ampia, gli organizzatori ne hanno indetta una seconda per il prossimo fine settimana.
(da agenzie)
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Aprile 15th, 2018 Riccardo Fucile
“SONO L’UNICO LEADER DEL CENTRODESTRA A POTER FERMARE L’ESCALATION”
Silvio Berlusconi, messo al margine della trattativa politica per la formazione del nuovo governo dopo il brutto risultato del voto del 4 marzo, cerca ora di ritrovare una perduta centralità giocando sull’esperienza internazionale di governo, approfittando dell’esplosione delle tensioni tra Usa e Russia in Siria.
Un’offensiva a tutto campo per accreditarsi come il leader naturale, d’esperienza, per mediare tra i due ex protagonisti della guerra fredda.
Un tweet di Forza Italia rivendica il ruolo dell’ex cavaiere nell’aver messo fine alla Guerra Fredda con l’accordo del 2002 di Pratica di Mare.
A campeggiare nel tweet una foto di Berlusconi tra Putin e George W. Bush (tutti giovanissimi).
Ma non solo tweet.
In un intervento sul Corriere della Sera, Berlusconi spiega come l’Italia abbia bisogno “di un governo autorevole sul piano interno e internazionale, interlocutore riconosciuto e capace di farsi ascoltare delle maggiori potenze”.
E ribadisce: “Quindici anni fa – ricorda – il nostro governo mise intorno a un tavolo, a Pratica di Mare, Russia, Stati Uniti, Europa, in uno storico accordo che avrebbe potuto inaugurare una nuova epoca, di alleanza e non più di contrapposizione. Oggi un governo italiano autorevole potrebbe riprendere a lavorare proprio in quella direzione, perchè l’Italia proprio nel Mediterraneo ha grandi interessi in gioco ma ha anche un ruolo strategico imprescindibile”.
Oltre ad accreditarsi come ‘stratega’ internazionale, l’altro pilastro è scavare ulteriormente il solco tra Lega e M5s che sulla crisi siriana non hanno posizioni esattamente coincidenti.
Matteo Salvini ha preso le distanze da Washington più di quanto abbia fatto il MoVimento 5 Stelle, che ha confermato la vicinanza agli alleati Nato.
E dal Quirinale si continuano a registrare queste fibrillazioni e la preoccupazione sulla divaricazione in politica estera non è l’ultimo dei problemi in vista dell’incarico esplorativo che Mattarella dovrà dare nei prossimi giorni.
Ieri sera ad Isernia – dove domenica 22 si vota per le regionali – diceva: “Il problema della Siria – ha detto Berlusconi – è molto grave. La sede che se ne deve occupare è quella delle Nazioni Unite. Noi non abbiamo oggi un governo che fa contare l’Italia nè in Europa nè nel mondo. Quindi, non possiamo fare niente. Nella nostra situazione, adesso, è meglio non dare giudizi. Questi li deve dare l’Organizzazione delle Nazioni Unite”.
(da agenzie)
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