Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
L’OBIETTIVO E’ QUELLO DI SVUOTARE FORZA ITALIA PER POTERSI PROPORRE CONE UNICO LEADER DEL CENTRODESTRA, MA CI VUOLE TEMPO E NON E’ DETTO CHE CI RIESCA PERCHE’ FINORA GLI AZZURRI REGGONO
L’effetto della sentenza sulla trattativa è l’opposto di ciò che sperava Luigi Di Maio. Perchè Matteo Salvini non ha intenzione di rompere il centrodestra, neanche dopo le elezioni regionali in Friuli Venezia Giulia.
È nel corso di una cena che il leader della Lega ha confidato a più imprenditori: “Non farò come Gianfranco Fini o Angelino Alfano che hanno strappato sull’onda della fretta e sono andati a sostenere gli avversari”.
Certo i rapporti con Berlusconi non sono un idillio, piuttosto sono pieni di sfiducia, scetticismo e anche di crescente insofferenza.
Però il punto politico è questo: l’elettorato di Forza Italia e il suo ceto politico possono diventare terra di conquista.
L’opa ostile dunque: “Io voglio fare il leader di tutto il centrodestra – confida Salvini ai suoi – di qui a breve Forza Italia franerà “.
È questa la vera bussola di Salvini che tiene conto della stabilità delle Giunte di centrodestra al Nord (Liguria, Lombardia e Veneto), la consapevolezza che dentro Forza Italia è in atto uno smottamento a suo favore che ha dei tempi che non coincidono con quelli della formazione del governo.
Ma c’è anche un’altra considerazione: “Non dimentichiamoci che a giugno vanno a votare vari milioni di italiani per le amministrazioni comunali. La formula del centrodestra sta piacendo. Meglio mantenerla”.
Ed è qui che si inclina ancora una volta l’asse con Luigi Di Maio, che invece ha molta fretta e vorrebbe chiudere l’accordo entro domani sera per scongiurare il mandato esplorativo a Roberto Fico.
Il capo politico grillino ha tenuto i toni bassi sulla sentenza Stato-mafia per non mettere in imbarazzo Salvini, aspettando per tutto il giorno segnali che non sono arrivati nonostante ieri avesse intravisto uno spiraglio. Quello che Salvini rompesse con Forza Italia.
Ormai ci spera meno e dal Salone del mobile di Milano lancia quello che i suoi definiscono semplicemente un “incoraggiamento” rivolto al leader leghista: “Con lui al governo possiamo fare grandi cose”. Ma il Carroccio resta freddo.
Mentre Di Maio si espone parlando tra gli stand, Salvini rimane in silenzio in famiglia.
Il riavvicinamento tra i due, con Berlusconi che ha ribadito che Salvini è il leader unico del centrodestra, preoccupa i grillini che sotto sotto avevano sperato nella rottura.
Così Di Maio torna a tenersi aperta anche l’altra strada e a rivolgersi al Pd nella consapevolezza che, ora come ora, non si può fare a meno di un incarico a Fico come esploratore scelto da Sergio Mattarella questa volta per sondare su un perimetro più ampio che comprenderà anche i dem.
Questo mandato ha tutta l’aria di essere al buio, senza un accordo. E anche in questo caso un modo per prendere tempo. Il Pd resta spettatore (interessato) nella partita per la formazione del nuovo governo.
E anche se lo stato maggiore dem resta convinto che Di Maio e Salvini alla fine troveranno un accordo, nel partito si intensificano i movimenti nell’eventualità di un mandato esplorativo a Fico, viste anche le aperture del candidato premier M5s che oggi ha parlato di “punti di contatto” programmatici, salutando con “piacere” il fatto che “il Pd ha detto che le distanze con i 5 stelle non sono incolmabili”.
Il segretario Maurizio Martina non si sbilancia. “Valuteremo il percorso da fare anche al nostro interno alla luce delle indicazioni e delle novità che eventualmente emergeranno”.
Certo è che se prendesse corpo l’ipotesi di una trattativa con i pentastellati le divisioni interne sarebbero destinate a esplodere.
Non solo quelle dentro il Pd ma soprattutto quelle dentro i 5Stelle.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
AVVISATE I CAZZARI, NOVELLE GUARDIE BIANCHE DELLA FINANZA MONDIALISTA, CHE I MIGRANTI USANO DA MESI LA ROTTA DI MONTGENEVE… DOPO LA FIGURA DI MERDA CON LA NAVE C-STAR, RISPUNTANO CON ELECOTTORI E JEEP, I SOLDI NON GLI MANCANO
Circa cento militanti francesi del gruppo neonazista Gènèration Identitaire sono da questa mattina al fondo del colle della Scala che mette in comunicazione l’alta Val di Susa con la Francia.
Obiettivo del gruppo sarebbe quello di impedire ai migranti che transitano dall’Italia di entrare in Francia. «Blocchiamo il passaggio della frontiera franco-Italiana. La missione Alpi di Defend Europe è lanciata!», scrivono gli aderenti al gruppo sui social network.
«Da questa mattina stiamo sorvegliando i confini insieme a militanti francesi, danesi e tedeschi e ci siamo dotati anche di due jeep e di due elicotteri – afferma Lorenzo Fiato, esponente di Generazione Identitaria Italia -. Siamo anche scesi a Bardonecchia per spiegare ai migranti e alle onlus che non devono cercare di attraversare il confine. In Europa non c’è un futuro per loro. Chiediamo il rimpatrio dei clandestini ».
«Abbiamo avvisato polizia e carabinieri, questi sono cittadini europei e possono sconfinare in Italia e se decidono che le nostre attività possono essere considerate un bersaglio può diventare un problema la situazione – spiegano gli attivisti della onlus Rainbow For Africa -. Per ora la finanza li sta monitorando».
“Quattro nazisti intendono bloccare il passaggio dei migranti al Colle della Scala. La Francia deve garantire assolutamente l’incolumità delle donne e degli uomini che stanno attraversando il colle – scrive in una nota l’europarlamentare Daniele Viotti -. La situazione non è sostenibile: non è possibile permettere a dei privati cittadini di bloccare i confini. Solidarietà a Rainbow4Africa e ai Sindaci”.
In realtà tutto sa di patacca: i migranti da alcuni mesi usano la rotta di Montgenevre e non del Colle della Scala, troppo difficile da attraversare con le temperature invernali e con la neve.
La situazione è monitorata dalla Gendarmerie francese che dovrebbe impedire sconfinamenti, ma difficilmente gli attivisti raggiungeranno il territorio italiano che si trova a circa 4 chilometri dalla sommità della montagna.
Anche perchè se passassero il confine potrebbero anche ricevere un’accoglienza adeguata.
Resta il costo dell’operazione e la domanda su chi finanzia queste “guardie bianche” della finanza internazionale che ha interesse che la manodopera a basso costo resti nei Paesi africani dove ha interesse a sfruttarli a costo zero.
(da agenzie)
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Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
LO HA DECISO IL CONSIGLIO D’ISTITUTO
Saranno bocciati tre dei sei studenti quindicenni dell’Itc ‘Francesco Carrara’ di Lucca coinvolti nella vicenda delle offese e minacce al professore di italiano, filmate e poi diffuse in rete.
A deciderlo è stato il consiglio d’istituto che si è riunito sabato.
I due alunni che hanno ripreso le azioni dei compagni sono stati sospesi fino al 19 maggio.
Anche questo provvedimento, se confermato, potrebbe portare alla bocciatura. Ieri il consiglio di classe aveva sospeso per 15 giorni un sesto studente.
Tutti e sei gli alunni, i quattro ripresi nel video e i due autori dei filmati che hanno fatto il giro del web, sono indagati per i reati, in concorso, di violenza privata e minacce.
Sono ritenuti responsabili di “un’azione complessivamente volta e preordinata a umiliare e dileggiare il professore, anche attraverso la videoripresa e la successiva diffusione dei filmati mediante WhatsApp”.
Uno degli indagati dovrà rispondere anche del tentato di furto del tablet contenente i dati scolastici, il registro di classe, che ha provato a sottrarre al docente che si rifiutava di dargli un voto superiore al suo rendimento.
Le decisioni adottate dal consiglio di classe sono state riferite dal preside dell’Itc Carrara. Cesare Lazzari ha spiegato che nel corso della riunione sono stati sentiti alcuni dei ragazzi coinvolti e i genitori di cinque di loro.
Il preside ha voluto sottolineare che i ragazzi si sono scusati e che alcuni di loro lo avevano già fatto.
Il consiglio d’istituto, ha assicurato il dirigente, valuterà “con molta attenzione” anche il comportamento del professore preso di mira dai bulli, spiegando che il tempo a disposizione per chiudere questa valutazione è di 30 giorni.
La bocciatura dei tre alunni è una decisione suggerita anche dalla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli: “I ragazzi vanno sospesi, il consiglio d’istituto deve valutare la gravità dei fatti, che secondo me c’è e gli studenti devono essere sanzionati fino a non essere ammessi agli scrutini finali” aveva detto giovedì, in riferimento anche alle minacce rivolte da un alunno un istituto tecnico di Velletri a un docente. Vicenda diventata di pubblico dominio in quelle ore con la circolazione del video, anche se accaduta nel dicembre del 2016.
Inizialmente il consiglio d’istituto aveva proposto un periodo di sospensione da scuola tale da comportare la bocciatura automatica per tutti e cinque i ragazzi dell’istituto tecnico per il commercio “Francesco Carrara” di Lucca. Per uno c’è stata solo la sospensione di 15 giorni.
(da agenzie)
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Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
TRE I PROFILI GENETICI TROVATI: UNO E’ DELL’UNICO NIGERIANO FINORA ACCUSATO DI OMICIDIO, UNO DEL “FILANTROPO” TASSISTA ITALIANO CHE L’AVEVA PAGATA CON 5O EURO PER UN RAPPORTO SESSUALE IL GIORNO PRIMA, IL TERZO E’ DI UNO SCONOSCIUTO
Chi altro c’era nell’appartamento di via Spalato 124 a Macerata il 30 gennaio scorso quando venne uccisa e fatta a pezzi Pamela Mastropietro, la 18enne romana che si era allontanata il giorno prima dalla comunità terapeutica Pars di Corridonia?
Il ritrovamento del Dna di una persona non coinvolta nell’inchiesta, certificato dagli accertamenti del Ris dei carabinieri di Roma depositati alla Procura di Macerata, fa sorgere il dubbio che il cerchio delle indagini non sia stato chiuso.
Tre sono i profili genetici trovati sul corpo della giovane: uno è di Innocent Oseghale, 29 anni, il nigeriano che abitava nell’appartamento di via Spalato, che accompagnò la giovane ad acquistare una dose di eroina e che poi salì in casa con lei; un secondo appartiene a un tassista – non indagato – che il 29 gennaio, il giorno prima del delitto, si era intrattenuto con la ragazza; il terzo è di una persona al momento non identificata.
Oseghale ha lasciato impronte in casa e su uno dei due trolley nei quali era stato trasportato a Pollenza il corpo fatto a pezzi di Pamela; avrebbe lasciato nell’appartamento mansardato anche un’impronta plantare sul sangue.
Nessuna traccia invece degli altri due arrestati – Desmond Lucky, 22 anni, e Lucky Awelima, 29 anni – e del quarto indagato 38enne: tutti erano stati coinvolti inizialmente in particolare in base a contatti e celle telefoniche.
.Ora, in particolare sui responsi degli accertamenti dei Ris, i difensori di Lucky e di Awelima si apprestano a dare battaglia: gli indagati hanno sempre sostenuto di essere estranei ai fatti.
Altri particolari filtrano sulle cause della morte della ragazza e sulle sue condizioni prima del decesso.
Secondo gli accertamenti tossicologici eseguiti dal prof. Rino Froldi, avrebbe assunto eroina – con ogni probabilità non per endovena – nei giorni precedenti alla morte: la conclusione deriverebbe dalle tracce di morfina trovate in varie parti del corpo ma anche dall’analisi del capello.
I medici legali però escludono la morte per overdose, in virtù del livello di concentrazione dello stupefacente; attribuiscono la causa del decesso alle due lacerazioni all’altezza del fegato riscontrate sul cadavere, inferte con un coltello dalla lama di oltre 10 cm.
Anche su questa ricostruzione le difese non concordano e sono pronte a sfidare l’accusa, offrendo scenari alternativi.
(da “La Stampa”)
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Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
INTERVISTA ALL’AMBASCIATORE ITALIANO : “PORTEREMO LA SCALA AD AL JEM, COSI’ SI AIUTA LA DEMOCRAZIA TUNISINA”
“Fare diplomazia è anche portare per una settimana l’Opera italiana in Tunisia. Perchè ciò significa lanciare un segnale forte che tocca l’immaginario collettivo. E che aiuta a consolidare il processo democratico in un Paese così cruciale per noi”.
A parlare è Lorenzo Fanara, neo ambasciatore italiano in Tunisia.
L’HP lo ha intervistato in occasione della consegna dei premi agli imprenditori italiani che si sono maggiormente contraddistinti nel fare impresa nel Paese nordafricano, costruendo opportunità di lavoro e dando speranza a un popolo giovane e alla sua giovane democrazia, nata sull’onda della “rivoluzione jasmine”, sette anni fa.
L’ambasciatore Fanara è giustamente orgoglioso del lavoro fatto dal “sistema Italia” in Tunisia, un sistema che ha saputo tenere assieme pubblico e privato, progetti finanziati dalla nostra Cooperazione allo sviluppo , e realizzati da Ong internazionali che si sono avvalse del lavoro di personale tunisino, e al tempo stesso sostenere l’intervento di soggetti privati in campi strategici, a cominciare da quello delle infrastrutture.
“Le imprese italiane presenti sul territorio tunisino sono uno strumento, importante, di politica estera”: è questo il filo conduttore del nostro colloquio che ha come sfondo suggestivo Tabarka, la città dei pescatori e dei coralli, affacciata sul Mediterraneo, ai confini tra la Tunisia e l’Algeria.
E il Mediterraneo visto da qui è ancora mare nostrum, luogo di contaminazione e di dialogo tra culture, popoli, civiltà . L’occasione è data dalla consegna dei premi agli imprenditori italiani maggiormente impegnati in Tunisia.
Una serata pienamente riuscita, quella organizzata dalla Camera di commercio italo-tunisina, a cui ha presenziato, per il governo italiano, la sottosegretaria al ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dorina Bianchi.
Signor Ambasciatore, cosa significa per l’Italia e la Tunisia la presenza di tante aziende italiane nel tessuto produttivo del Paese nordafricano?
“Significa investire sul futuro, sulla nostra sicurezza. Perchè senza sviluppo la sicurezza resta fragile. Portare lavoro in Tunisia significa cercare di colmare o quanto meno restringere quella faglia apertasi nel Mediterraneo, dentro la quale è cresciuto in questi anni l’integralismo, il jihadismo, un estremismo che ha cercato di far leva sul malessere sociale per ingrossare le proprie fila. Consegnare oggi questi premi alle imprese italiane in Tunisia significa riconoscere loro quel ruolo importante, per certi versi decisivo, che hanno avuto e stanno avendo per dare più forza alla giovane democrazia tunisina”.
Il “sistema Italia” agisce praticamente a 360 gradi in Tunisia. L’intervento in settori quali le infrastrutture o l’agricoltura è abbastanza conosciuto e apprezzato. Ma qual è, invece, l’ambito rimasto un po’ più in ombra, almeno dal punto di vista mediatico, di cui Lei si sente più fiero?
“Direi senz’altro i progetti culturali che abbiamo realizzato o che stiamo in procinto di portare a compimento. Abbiamo provato a pensare in grande, non per presunzione ma perchè convinti che questo sia il modo migliore, più incisivo per lanciare un messaggio forte interno ed esterno alla Tunisia. Mi riferisco a progetti di grande impatto, capaci di colpire l’immaginario collettivo..”.
Qualche esempio?
“Il prossimo 7 luglio, porteremo la Scala ad Al Jem, un anfiteatro romano a sud di Tunisi. Il 30 giugno e il 4 luglio porteremo l’Aida, nella sua completezza, ad Al Jem e a Tunisi, con un’altra compagnia che utilizzerà anche personale tunisino. Non è stato semplice realizzare questi, come altri progetti culturali, ma il nostro impegno è stato supportato dalla convinzione che così facendo la Tunisia, anche con il contributo italiano, dimostra di essere in grado di accogliere tanti turisti valorizzando le proprie bellezze, il proprio patrimonio archeologico e puntando sulla cultura. I Tunisini sono un popolo giovane, orgoglioso, fiero della propria identità culturale e nazionale, e sta cercando di costruire una normalità che in questi anni gli integralisti in armi hanno cercato a più riprese di attentare. Ma la gente non si è piegata. Ha reagito, si è rimboccata le maniche, e noi abbiamo cercato di dare il nostro contributo. E di questo l’Italia dovrebbe andar fiera”.
In un Mediterraneo lacerato, in un Vicino Oriente marchiato da guerre ed esodi biblici, la Tunisia appare come l’unico modello che non è stato spazzato via dall’integralismo o dalle controrivoluzioni che hanno portato al potere generali e autocratico. Dal suo osservatorio speciale, lei è forse la persona più adatta per fare un quadro della situazione. Le chiedo: a distanza di sette anni, cosa è rimasto in vita di quelle istanze di libertà che sono state alla base della “rivoluzione dei gelsomini”?
“Anzitutto è rimasta in vita la democrazia, e non è davvero poca cosa se solo alziamo lo sguardo a ciò che avviene in altri Paesi vicini, come la Libia. Certo, è una democrazia giovane, con tutte le sue contraddizioni e fragilità . Ma è una democrazia che si sta irrobustendo, che si è dimostrata capace di tenere assieme forze che in altri Paesi mediorientali si sono divise e scontrate, e la nuova Carta costituzionale sta a dimostrarlo. Ma una democrazia, per consolidarsi, ha bisogno di un forte radicamento nel territorio e di migliorare le condizioni di vita della popolazione. Per quanto ci riguarda, come ‘sistema-Italia’ abbiamo cercato di contribuire al rafforzamento delle istituzioni democratiche con risultati incoraggianti. Vede, lei è in Tunisia in un momento cruciale della vita pubblica del Paese: agli inizi di maggio, si svolgeranno le elezioni amministrative che, per certi versi, acquistano un significato ancora più importante delle elezioni legislative, perchè significa votare per eleggere le amministrazioni di centinaia di città e villaggi. E questo vuol dire radicare nel territorio la democrazia, selezionare una nuova classe dirigente che si cimenta con i problemi di tutti i giorni e ad essi cerca di dare risposta Significa che in Tunisia, la democrazia sta mettendo le sue radici”.
E questo in controtendenza con ciò che sta segnando la Sponda Sud del Mediterraneo, costellata di Stati falliti, o da un caos armato che favorisce l’affermarsi delle milizie jihadiste o di organizzazioni criminali che fanno del traffico di esseri umani il loro “core business”.
“Il quadro complessivo desta preoccupazione, ma non deve farci abbassare la guardia ma, al contrario, moltiplicare il nostro impegno. In questi anni, nel Mediterraneo si è realizzata una faglia segnata dall’emergere del fanatismo integralista che ha cercato di allargare ulteriormente questa faglia. Il nostro impegno, ognuno per ciò che può e gli compete, è quello di colmare o quanto meno ridurre questa faglia. E, torno a insistere su questo punto, la cultura è uno strumento fondamentale, perchè produce conoscenza, e non solo posti di lavoro, perchè valorizza ciò che unisce e non crea muri di ostilità “.
Ambasciatore Fanara, lei sa che in Italia c’è chi sostiene che le spese per la Cooperazione allo sviluppo siano soldi sprecati, un lusso che non possiamo permetterci. Discorsi che non riecheggiano solo nei bar ma anche nelle aule parlamentari. Le chiedo. Se dovesse spiegare ai politici, oltre che all’opinione pubblica, perchè oggi investire in Tunisia è necessario, e non solo utile, quali argomenti userebbe?
“Investire in Tunisia è essenziale per la nostra stessa sicurezza, perchè la Tunisia è la nostra frontiera Sud. Ma la Tunisia è anche il Paese più vicino alla Libia e soffre della situazione in quel Paese. Non è un caso che gli integralisti abbiano cercato più volte di destabilizzare la Tunisia, perchè sanno bene che l’affermarsi di un modello di democrazia plurale, inclusiva, il consolidamento di uno stato di diritto nel Sud del Mediterraneo rappresenta un argine ad ogni deriva jihadista. Una Tunisia destabilizzata avrebbe inevitabilmente un impatto sulla nostra sicurezza e per governare al meglio i flussi migratori. Altro che soldi gettati via. Lo sanno bene le aziende italiane che hanno scommesso sulla Tunisia. Una scommessa vincente”.
(da “Huffingtonpost“)
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Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
ANIMATORE DELLA “COMPAGNIA DELL’ANELLO”, IL GRUPPO MUSICALE COLONNA SONORA DI UNA GENERAZIONE DI MILITANTI
È morto Junio Guariento. Ha combattuto come un guerriero fino all’ultimo contro la bestia nera, un tumore al pancreas che lo ha consumato lentamente.
Dopo un lungo viaggio di dolore e speranza, più forte dell’Anello del potere di Sauron, Junio se n’è andato.
Sessantacinque anni compiuti a gennaio, animatore con Mario Bortoluzzi del gruppo di Musica Alternativa La Compagnia dell’Anello, dopo l’esperienza del Gruppo padovano di Protesta nazionale, è stata la colonna sonora di intere generazioni e un fratello per molti.
La canzone del lago (dedicata al nonno Alfredo Subrizi torturato e fucilato nella questura di Bergamo 29 aprile 1945 “per avere creduto in un uomo”), Terra di Thule, Jan Palach, Alain Escoffier, Il costume del cervo bianco, Il domani appartiene a noi, diventato l’inno ufficiale del Fronte della Gioventù a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 e ancora oggi cantato da ragazzini, padri e nonni.
Al chiuso di una stanza, nei raduni intorno a un fuoco, nei cortei, ai Campi Hobbit le musicassette di Junio, quelle che si srotolavano e si riavvolgevano con una penna bic, erano immancabili, quasi un feticcio.
Al primo Campo Hobbit nel 1977 a Montesarchio il battesimo della Compagnia dell’Anello con Junio, Mario e Stefania Paternò autrice dei testi e per molti anni sua moglie.
Poi l’ingresso del tastierista Fabio Giovannini e del percussionista Adolfo Morganti con i quali si presenta al terzo Campo Hobbit nel 1980.
Folk e Fantasy: un connubio felice per uscire dal ghetto e dire quello che gli altri non dicono («Abbiamo iniziato nel 1974 a scrivere canzoni per la nostra gente, perchè per i “fascisti” non cantava nessuno.
Cantavamo la nostra rabbia, l’ingiustizia, l’emarginazione, ma eravamo anche catturati dal desiderio di gettare in faccia al potere tutta l’ironia beffarda dei nostri 20 anni»). Nessun autocompiacimento.
Tanta voglia di esserci, di vivere il proprio tempo senza rinnegare e senza torcicollo. Tante le tappe di un viaggio a perdifiato, mai convenzionale: il concerto a Trieste in memoria di Almerigo Grilz, il Quinto Raduno della Contea a Roma, la Festa nazionale del Fronte Della Gioventù ad Assisi.
Dall’83, anno in cui lascia il gruppo, Junio ritorna a esibirsi da solo in concerto nel 1991. All’ultimo Campo Hobbit ha duettato con il francese Jack Marchal.
Negli ultimi tempi (viveva tra Bologna e la Futa, in mezzo a caprioli e cinghiali, poiane e ghiri, «ma un paio di volte a settimana scendo nel mondo civilizzato») si era dedicato con estro e passione alla lavorazione artistica del legno.
«Il legno — diceva — le sue vene, la sua linfa. Le idee e i progetti che diventano fatti. La musica, l’arte che, nello stesso istante in cui ne godi, è gia passata».
«Ricordo ma non vivo di ricordi, ne creo di nuovi».
I funerali di Junio Guariento si svolgeranno martedì 24 aprile al Tempio Votivo di Verona — chiesa di fronte alla stazione — alle ore 15,30.
(da “il Secolo d’Italia”)
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Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
M5S 33.5%, PD 19.5%, LEGA 19,5%, FORZA ITALIA 12,9%, FDI 4,3% … IL CENTRODESTRA NON SI SCHIODA DAL 37,5%
Dopo SWG, anche Nando Pagnoncelli registra che le consultazioni infinite per il nuovo governo frenano il MoVimento 5 Stelle e Luigi Di Maio.
Secondo SWG lo stallo è imputato soprattutto al M5S (oltre che a Berlusconi), per IPSOS la popolarità del grillino è in calo.
Un calo che è dovuto alla politica dei due forni, che giocoforza aliena la simpatia di una parte dell’elettorato visto che mette sullo stesso piano Lega e Partito Democratico (scontentando entrambi).
Per questo l’apprezzamento di Salvini è sostanzialmente stabile, segno che nonostante le difficoltà , è riuscito a non scontentare i propri sostenitori.
Di Maio segnala invece un decremento più significativo: il suo indice di apprezzamento era del 49 poco meno di un mese fa, oggi è sceso di sei punti collocandosi al 43, un punto sotto il leader della Lega, perdendo il primato.
Lo stesso meccanismo si riverbera sulle percentuali delle preferenze in caso di voto, con il MoVimento 5 Stelle in lievissimo calo mentre la Lega, per il meccanismo del carro del vincitore, cresce leggermente a discapito degli altri partiti del centrodesta.
In tutto ciò c’è anche da registrare un incremento delle percentuali riservate al Partito Democratico, mentre LeU è in calo e oggi non passerebbe la soglia del Rosatellum.
(da “NextQuotidiano“)
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Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
IL 56% DEGLI ELETTORI PD VUOLE RESTARE ALL’OPPOSIZIONE
Alla luce dei risultati elettorali dello scorso 4 marzo, gli italiani investono i due principali ‘vincitori’ della responsabilità di governare il Paese: quasi la metà (47%) indica il M5S ed il 40% la Lega.
Tuttavia una maggioranza che vede queste due forze in coalizione, con l’eventuale apporto di altri partiti a supporto, non appare così popolare ed è auspicata solo dal 23% degli elettori.
Inoltre, tra quanti hanno votato ciascuno di questi due partiti, l’ipotesi di un governo sostenuto dall’altro vincitore ottiene un consenso minoritario.
Tra gli elettori del M5S (che convergono sul veto a Forza Italia, inclusa in coalizione solo dal 4%), il sostegno della Lega al futuro Governo ottiene il 40% delle indicazioni.
E viceversa, tra i leghisti, il 38% include il M5S nella coalizione auspicata.
Anche le opinioni dei cittadini, dunque, riflettono la situazione di stallo, emersa nelle consultazioni.
Passando nel campo degli ‘sconfitti’, si deve infine segnalare come una quota consistente di elettori dl PD (44%) ritiene che il proprio partito non debba stare fuori dai giochi. Per una volta quindi, sembra che elettorato e forze politiche si muovano in modo del tutto speculare.
(da agenzie)
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Aprile 21st, 2018 Riccardo Fucile
I DUE SERVI DI PUTIN SI ACCORDANO PER LE POLTRONE, MA NON TUTTI SI SONO VENDUTI A UNA POTENZA STRANIERA
Nelle telefonate e nei messaggi di ieri tra i leader di Lega e M5S due sono i concetti fondamentali: no a un governo istituzionale e no ad accordi col Pd.
Sul secondo punto è Salvini a insistere maggiormente, ma Di Maio è consapevole che se si aprisse davvero il «forno» coi dem con un incarico esplorativo a Roberto Fico le sue chance di arrivare a palazzo Chigi andrebbero in picchiata.
E così si torna ai giorni subito dopo il voto del 4 marzo, all’asse Salvini-Di Maio per un governo che, nelle intenzioni dei leghisti, dovrebbe tenere dentro anche Fratelli d’Italia.
Guidato da chi? La partita è apertissima.
Senza Forza Italia, i numeri delle urne indicherebbero Di Maio. Ma in casa Lega si ragiona sul fatto che «finora abbiamo fatto un lavoro enorme per i cinque stelle. Se rompiamo con Berlusconi per fare un governo con loro, non possono pretendere palazzo Chigi».
La corsa per la presidenza del Consiglio è sostanzialmente a tre: Di Maio, Salvini e Giancarlo Giorgetti, il leghista bocconiano e filo atlantico, volto istituzionale e poco ruspante del Carroccio, assai più gradito al Quirinale rispetto al leader leghista.
Da questa casella discendono tutte le altre. In queste ore negli staff dei due leader si sta iniziando a ragionare sull’ossatura di una possibile squadra.
Se la premiership andasse a Di Maio, Salvini sarebbe vicepremier e ministro dell’Interno e Giorgetti andrebbe all’Economia.
Tra i leghisti si fanno i nomi dell’avvocato Giulia Bongiorno per la Giustizia, di Armando Siri (ispiratore della legge sulla flat tax) per lo Sviluppo Economico o i Trasporti, di Claudio Borghi per l’Agricoltura e dell’economista Alberto Bagnai per l’Istruzione.
Le caselle non sono state assegnate e di qui alla possibile formazione del governo giallo-verde potrebbero variare parecchio. Ma la squadra leghista non prescinde da questi nomi.
Anche in casa M5S ci sono nomi su cui non si discute. Uno di questi è Alfonso Bonafede, deputato fedelissimo del leader. Avvocato, anche per lui si parla della Giustizia.
Un altro nome forte è Vincenzo Spadafora, neodeputato, consigliere politico di Di Maio e regista della fase due del M5S, quella che ha portato «Luigino» ad accreditarsi come uomo di governo, da Cernobbio alle cancellerie internazionali.
Un altro nome in ascesa è Stefano Buffagni, commercialista a Milano, ex consigliere regionale della Lombardia.
Della squadra presentata da Di Maio alla vigilia del voto, decisamente connotata a sinistra, si salverebbe il professore e neo deputato Lorenzo Fioramonti (Sviluppo economico), che ha lasciato la cattedra in Sud Africa per candidarsi col M5S.
Non ha mai escluso l’asse con Salvini: «Anche nella Lega hanno capito che il reddito di cittadinanza non è una misura assistenziale, ma aiuterebbe a riconvertire il sistema produttivo», ha spiegato.
La delicatissima casella degli Esteri dovrebbe toccare al M5S o a un tecnico. L’atteggiamento filo Putin di Salvini sul caso Siria sconsiglia infatti al Quirinale di nominare un leghista.
Il nome indicato da Di Maio, la professoressa Emanuela Del Re, è sparito dai radar. La scelta potrebbe cadere sul segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni, scelta da Gentiloni e stimata dai grillini.
Altre figure della squadra M5S, come l’economista Andrea Roventini, appaiono poco inclini a partecipare a un governo con la Lega.
Stesso discorso dovrebbe valere per l’economista keynesiano Pasquale Tridico, nemico del Jobs Act e indicato per il ministero del Lavoro. Per la Sanità in casa Cinque stelle corrono due medici: l’attuale capogruppo alla Camera Giulia Grillo e l’oncologo Armando Bertolazzi.
(da “La Stampa”)
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