Aprile 4th, 2018 Riccardo Fucile
AL COLLE SENZA PROGRAMMI E NUMERI, CON LA PAURA DEL PRE-INCARICO… SALVINI: “MA DAVVERO DOPO DOBBIAMO PARLARE? E CHE DICIAMO?”… E LA PRESUNZIONE DI DI MAIO LO HA CACCIATO IN UN VICOLO CIECO
Come due giocatori di poker, al primo giro di consultazioni, i due ambiziosi runner della Terza Repubblica si apprestano a giocare una mano al buio.
Senza carte da scoprire, dopo un mese in cui la loro campagna elettorale non si è arrestata. Ecco che Matteo Salvini, ragionando su come affrontare il colloquio col capo dello Stato, ha deciso, molto banalmente, di prendere tempo: senza appiccarsi alla richiesta di un incarico per sè, ma chiedendo di “partire dal centrodestra” e “poi vediamo”.
E Luigi Di Maio, neanche fosse ancora in tv davanti a Giovanni Floris, riproporrà il mantra del “contratto” che di tedesco ha poco o nulla, ma assomiglia molto ad un’italica ammuina.
È stato tutto il giorno con i suoi il leader pentastellato, a toccare con mano che, come si dice in gergo, si “è incartato”.
Perchè dalla Lega non arrivano segnali di smarcamento da Berlusconi e dal Pd la proposta è stata rispedita al mittente.
Prevedibile per una proposta presentata come una specie di contratto di locazione buono per qualunque inquilino, di destra o di sinistra, purchè paghi l’affitto, più che come un patto politico, fondato su programmi, valori, riconoscimento degli interlocutori, scelta tra destra e sinistra.
Ed è rivelatrice di questa difficoltà la scelta di non parlare col capo dello Stato di programmi, proprio perchè al momento non c’è alcuna interlocuzione.
All’inizio l’idea era di illustrare a Mattarella tre punti per il “contratto” — anticorruzione, reddito di cittadinanza, conflitto di interessi — poi però ha cambiato idea perchè anche su quei tre punti, dopo un mese buttato, non avrebbe trovato convergenze.
La verità è che la salita al Colle è un bagno di realtà per i due ambiziosi leader, arrivati primi ma senza avere i numeri per governare.
E dopo un mese in cui questa banalità è stata rimossa nelle fanfare dell’autocelebrazione del proprio successo. Perchè al Quirinale, che non è un salotto tv addomesticato, dovranno spiegare, essenzialmente, tre cose: primo, il perimetro delle alleanze per garantire una maggioranza stabile e non risicata; secondo, programmi che abbiano una coerenza con le emergenze nazionali e le esigenze internazionali del paese; terzo, il profilo di chi sarà indicato a guidare il governo.
Ed il rischio che la sbornia post elettorale produca un balbettio al cospetto del capo dello Stato e della sua antica sapienza costituzionale è assai concreto, perchè puntigli e veti rendono complicate le risposte.
Al punto che Salvini, di fronte all’imminente bagno di realtà , con i suoi non ha nascosto la difficoltà : “Ma davvero dopo il colloquio dobbiamo parlare? E che diciamo?”.
È accaduto che il “fattore B” ha rotto l’idillio, perchè Salvini non può e non vuole rompere con Berlusconi. Il parricidio vero è prosciugare Forza Italia tra un anno e non fare subito la stampella di Di Maio che ha il doppio dei suoi voti, prospettiva che più che a un parricidio assomiglia a un suicidio.
E a un terremoto perchè non lo seguirebbe neanche la parte di Forza Italia a lui più vicina: “Se sceglie la scorciatoia di andare al governo con Di Maio — gli ha fatto sapere Giovanni Toti — io non lo seguo”.
Di Maio sta mostrando una smisurata ambizione, cercando stampelle per la sua ascesa al potere, senza neanche chiederle, in nome di un progetto. E questo ha interrotto la trattativa.
E non è un caso che l’incontro tra i due runner, annunciato con le fanfare qualche giorno fa, al momento non è calendarizzato nè sull’agenda dell’uno nè sull’agenda dell’altro.
E secondo fonti degne di questo nome “c’è già stato ma è andato male”.
Detta in modo un po’ tranchant: il punto vero su cui si è arenato tutto è certo Berlusconi, ma soprattutto l’assenza di contropartite affinchè Salvini possa reggere l’urto della rottura con Berlusconi.
Detta ancora più tranchant: se Di Maio non rinuncia alla pretesa di andare lui a palazzo Chigi e propone un altro nome, è assai complicato che una qualunque forma di trattativa possa proseguire.
E se c’è un altro strumento di misurazione di questa paralisi è quella sorta di governo parallelo in attesa che possa nascere un governo degno di questo nome se mai accadrà . Quella commissione speciale che nel frattempo può fare qualcosa.
E chissà se è un caso che Giorgia Meloni, una cresciuta a pane e politica (e massicce dosi di realismo), ha annunciato uscendo dal Colle che proprio in quella sede ha presentato una modifica della legge elettorale, per iniziare a discuterla.
Non è malizioso leggere in questa mossa la consapevolezza della difficoltà e una possibile exit strategy a cui Di Maio e Salvini, nelle loro evocazioni di voto anticipato, non hanno ancora pensato, proponendo un ritorno alle urne col pasticcio attuale.
Proprio la Meloni, nella conferenza stampa alla Vetrata, ha chiesto l’incarico a Salvini o a una figura del centrodestra. Perchè la politica ha le sue regole e le sue responsabilità da assumersi se ci si sente vincitori.
Deve essere venuto un brivido lungo la schiena al leader leghista che, invece, questa eventualità la teme, perchè ci intravede il rischio di bruciarsi come accadde per Bersani.
E la teme Di Maio perchè, non avendo i numeri, andrebbe in contro a un fallimento che rompe la sua narrazione vincente.
Il problema non si pone, perchè il capo dello Stato non darà incarichi o “pre-incarichi”, al buio. Perchè diversamente dagli altri non considera le consultazioni una mano di poker.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 4th, 2018 Riccardo Fucile
L’ESPONENTE NEO-SOVRANISTA ORA DOVRA’ COSTITUIRSI… IN ATTESA DI UN ALTRO PROCESSO SUI RAPPORTI CON LA ‘NDRANGHETA
La Cassazione mostra i titoli di coda all’ex sindaco di Reggio Calabria e presidente della Regione Giuseppe Scopelliti.
Come richiesto stamattina dal pg durante la requisitoria, dopo tre ore di discussione la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del politico calabrese e ha confermato la sentenza d’appello del processo sul “Caso Fallara”.
Gli ermellini hanno ridotto però di 5 mesi, per la prescrizione del reato di abuso d’ufficio, la condanna a 5 anni a Scopelliti che ora dovrà scontare una pena di 4 anni e 7 mesi di carcere per falso in atto pubblico.
I giudici hanno hanno anche ridotto l’interdizione perpetua dei pubblici uffici a soli 5 anni. Il politico ora dovrà costituirsi.
Titoli di coda anche per il “modello Reggio”, già schiacciato dalla Prefettura e dal ministero dell’Interno che nel 2012 prima proposero e poi sciolsero per infiltrazioni mafiose il primo Comune capoluogo di provincia.
All’ex sindaco non resta che varcare la porta del carcere per scontare la sua pena.
Il processo di primo grado, sulle voragini finanziarie di Palazzo San Giorgio, si era concluso con la sua condanna a 6 anni, dopo diventati 5 davanti a una Corte d’appello che ha sempre sposato l’impianto accusatorio della Procura.
L’inchiesta sullo sfascio economico di Reggio Calabria
L’inchiesta sul “Caso Fallara” ha travolto Scopelliti, per lungo tempo il simbolo di quella “Reggio da bere” che, però, ha portato al tracollo finanziario del Comune.
Un tracollo che, evidentemente, era il prezzo di una città usata come trampolino di lancio per la carriera dall’ex “balilla” del Movimento sociale italiano, poi pupillo in terra calabra di Silvio Berlusconi e, dopo ancora, azionista di maggioranza del Nuovo Centrodestra con il quale si è candidato all’Europee del 2014 non riuscendo ad essere eletto.
Una bocciatura delle urne che lo ha allontanato anche da Angelino Alfano, aprendogli la strada che porta a Francesco Storace e al suo Movimento nazionale per la Sovranità che, alle ultime politiche del 4 marzo, in Calabria ha sostenuto la Lega di Matteo Salvini.
La Cassazione ha messo il sigillo all’inchiesta dei pm Sara Ombra e Francesco Tripodi (non più in servizio a Reggio) secondo cui l’ex sindaco Scopelliti è ritenuto il principale responsabile dello sfascio economico della città .
“La situazione finanziaria del Comune di Reggio Calabria era nota nei minimi dettagli” aveva detto in aula il sostituto procuratore Ombra durante la requisitoria. Nel febbraio 2014 fornì al Tribunale una rappresentazione plastica dei disastri lasciati nelle casse del Comune dall’amministrazione Scopelliti, bacchettata prima ancora che dai giudici penali anche da quelli contabili: “Ci sono state almeno 3 o 4 deliberazioni della Corte dei Conti che attestano come i bilanci del Comune erano falsi. Che quei bilanci erano falsi era evidente”.
Non si pagavano le bollette dell’Enel, i debiti nei confronti delle società partecipate, quelli di fronte al commissario per l’emergenza rifiuti.
Per la Procura non sono stati pagati finanche 20 milioni di trattenute Irpef.
Fatti che, secondo il pm Ombra, non possono “essere messi in discussione. C’era una situazione disastrosa. — è sempre la requisitoria del processo di primo grado — I bilanci erano frutto di artifici contabili e di falsità perchè non rappresentavano quello che c’era nella realtà . Tutti ne erano consapevoli e i revisori dei conti hanno sistematicamente omesso di dire la verità . Due primati ha questo Comune: dissesto finanziario e infiltrazione mafiosa”.
La Suprema corte ha anche rigettato il ricorso anche dei revisori dei conti Carmelo Stracuzzi, Domenico D’Amico e Ruggero Ettore De Medici che sono stati così condannati definitivamente a 2 anni e 4 mesi di reclusione.
Per i magistrati, in sostanza, a Palazzo San Giorgio c’era una vera e propria dittatura della dirigente Orsola Fallara, morta nel 2010 per aver misteriosamente ingerito dell’acido a distanza di poche ore da una conferenza stampa.
In quell’incontro con i giornalisti, indetto subito dopo l’avvio dell’inchiesta da parte della Procura, la consulente del Comune si era dichiarata disponibile a fornire tutte le spiegazioni ai pm ma non ha fatto in tempo.
La sentenza di primo grado e la morte di Orsola Fallara
La Fallara — si legge nella sentenza di primo grado — “era una perfetta esecutrice di direttive precise che provenivano dal sindaco Scopelliti, che, tramite lei, ha creato un sistema accentrato su se stesso esautorando di fatto tutti coloro che avrebbero potuto ostacolarlo”.
Orsola Fallara era la responsabile del settore Finanze nominata da Scopelliti senza un concorso. Era il motore del “sistema” del sindaco e, oltre ai misteri sulla sua fine orribile, ha lasciato un bilancio che per gli inquirenti è stato segnato da “un quadro di irregolarità enorme”, un “buco” da centinaia di milioni di euro costruito mentre Reggio diventava una “città cartolina” dove si spendevano soldi per iniziative allegre: 50mila euro alla New Art Gallery per una conferenza stampa di presentazione delle statue “Rabarama”, costate 600mila euro, altri 252mila per finanziare Rtl.
Sono gli anni della “Reggio da bere” in cui in riva allo Stretto arriva anche il concerto di Elton John, organizzato dall’amico promoter Ruggero Pegna, nel 2010 candidato alla Regione in una lista a sostegno di Scopelliti.
Risultato: stadio semivuoto e 360mila euro di soldi pubblici in fumo. Altri 650mila euro sono serviti per la Notte bianca del 2006 quando per avere Lele Mora e i suoi guitti da Grande Fratello, Scopelliti fece versare dal Comune 120mila euro raccomandandosi addirittura a Paolo Martino, il referente della cosca De Stefano a Milano, perchè intercedesse con il manager dei vip.
Favori, contributi e consulenze esterne come quelle date a 75 avvocati che si sono spartiti 777 pratiche in barba a un ufficio legale per il quale il Comune pagava comunque gli stipendi.
Scopelliti indagato anche nell’inchiesra Mamma Santissima
Gli avvocati di Scopelliti hanno sempre sostenuto che “il sindaco atti di gestione non ne compie, perchè lui fa il politico”. “Però — era stata la risposta del pm Sara Ombra — quando si tratta di dare contributi elettorali, li fa gli atti di gestione”.
Con la sentenza di oggi, i giudici del Palazzaccio chiudono definitivamente il “caso Fallara” e il processo sui disastri lasciati nei bilanci del Comune di Reggio Calabria dalle giunte guidate da Giuseppe Scopelliti che, dal 2004, vive sotto scorta. Gliel’aveva assegnata la prefettura che non l’ha revocata nemmeno dopo la perquisizione che l’ex sindaco ha subito nel 2016 perchè indagato nell’inchiesta antimafia “Mamma Santissima”.
Per la Dda è stato il “pupo” nelle mani dell’avvocato Paolo Romeo, l’ex parlamentare del Psdi ritenuto una delle due teste pensanti della ‘ndrangheta reggina.
Sarebbe stato Paolo Romeo, assieme alla componente segreta della ‘ndrangheta, ad aver deciso nel 2002 che Scopelliti avrebbe fatto il sindaco affiancandogli assessori come il futuro senatore Antonio Caridi, scarcerato da pochi giorno dopo quasi due anni di carcere per reati di mafia.
È imputato nel processo “Gotha” (nato da un’inchiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo) nel quale Giuseppe Scopelliti è indagato per reato connesso. Ma questa è un’altra storia. Non completamente slegata.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Aprile 4th, 2018 Riccardo Fucile
GIUDIZIO PER DIRETTISSIMA PER INCITAMENTO ALL’ODIO E ALLA VIOLENZA RAZZIALE
Il trasferimento dei primi 14 profughi da Cona a Portogruaro scatenò, lo scorso luglio, un’accesa discussione sul gruppo “Sei di Portogruaro se…”. Una discussione, secondo la Procura di Pordenone, intrisa di «odio etnico, nazionale, razziale o religioso».
Ed è con l’aggravante della discriminazione razziale che il pm Federico Baldo ha ottenuto il giudizio direttissimo per quattro utenti Facebook. Si tratta dei portogruaresi Roberto Spadotto, 44 anni e Rudy Rosan (33) e di due abitanti di Concordia Sagittaria, Giuseppe Barresi (34) e Gabriele Marian (55).
Secondo il pm, con le frasi pubblicate sull’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, i quattro imputati avrebbero incitato a commettere violenza contro i profughi.
«Che gli diano fuoco», commentava uno dei quattro. «Bisogna aiutarli, ne ospitiamo uno in ogni casa e li laviamo con la benzina e poi li asciughiamo col lanciafiamme…», aggiungeva un altro…
(da “il Gazzettino”)
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Aprile 4th, 2018 Riccardo Fucile
FEDERICO, ROMENO DA ANNI A ROMA, PRIMA DI RIUSCIRE A TROVARE IL PROPRIETARIO HA CONTROLLATO CITOFONI, SETACCIATO SOCIAL E TELEFONI
Riconsegna al legittimo il portafoglio trovato per terra, in una strada tra il quartiere Trieste e l’Africano, mentre stava lavorando per un trasloco.
E davanti all’offerta di una ricompensa dice no e spiega: “Amo lavorare, se hai bisogno di qualche riparazione o di una mano con un trasloco, ecco il mio numero”.
È una storia a lieto fine, che abbatte clichè e pregiudizi, quella accaduta nella Capitale il giorno di Pasqua e che ha per protagonista Federico, un operaio rumeno che fa lavoretti, e Luca Moriconi, giornalista di RaiNews24, che l’ha raccontata su Facebook.
Nel giorno di Pasqua Moriconi, dopo una passeggiata vicino casa, si è accorto di non avere più il portafoglio con dentro contanti, carte di credito e documenti.
L’ha cercato ovunque – tasche dei pantaloni, del giubbotto, nella borsa da lavoro – poi si è arreso. E ha passato la domenica a fare denunce e a bloccare le carte.
Ma una volta tornato a casa, ormai a sera, riceve una telefonata: “Ciao, mi chiamo Federico. Ho il tuo portafoglio: c’è tutto dentro, anche i soldi (90 euro, ndr). Dammi il tuo numero di telefono, ti mando il mio indirizzo, così vieni a prenderlo”. L’appuntamento per la consegna è fuori dal Raccordo, sulla via Casilina, oltre la fermata della metro C Giardinetti.
“Per arrivare a me Federico ha faticato parecchio”, racconta il giornalista. “Appena trovato il portafogli, mentre era al lavoro per un trasloco, ha controllato tutti i citofoni della strada cercando il mio cognome senza trovarlo. Poi ha setacciato i social network, mi ha identificato su Instagram e mi ha mandato un messaggio, che però ho visto soltanto dopo. Alla fine ha cercato il numero di casa sull’elenco e mi ha chiamato”.
Il lunedì di Pasquetta, dunque, i due si incontrano: dopo un “ciao” e una stretta di mano, Federico ha voluto controllare per l’ennesima volta che il portafogli fosse proprio di Moriconi e non di un omonimo.
“Mi ha chiesto la data di nascita – spiega il giornalista – per controllare che corrispondesse a quella sui documenti. E solo a quel punto mi ha restituito il portafogli. Io gli ho dato la colomba pasquale che avevo portato e che mi sembrava il minimo per ringraziarlo. Poi, mentre i miei figli mi aspettavano in macchina, gli ho chiesto come avrei potuto ripagarlo, offrendogli una ricompensa in denaro”.
Ma Federico non ha accettato. “Mi ha risposto: ‘No no, compraci qualcosa per i tuoi bambini. Io amo lavorare, se a te o a qualcuno che conosci occorre qualche lavoretto in muratura o una mano per un trasloco… fai pure il mio nome’.
Una risposta che mi ha fatto tanto sorridere”, ha concluso il giornalista, tornato a casa col suo vecchio portafogli e una bella storia a lieto fine.
(da “La Repubblica“)
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Aprile 4th, 2018 Riccardo Fucile
L’INDAGINE DI AMNESTY RIVELA L’ARRETRATEZZA CULTURALE DI VASTI STRATI DELLA POPOLAZIONE
Violenza sulle donne, discriminazione di persone LGBTI e bullismo sono all’ordine del giorno.
Ma se da un lato ce n’è consapevolezza, dall’altro troppo spesso in Italia si tende a minimizzare il problema pensando che se ne parli di più solo perchè lo fanno mass media e social.
La verità è che in Italia il 36,8% delle donne ha subìto discriminazioni sul lavoro (contro il 6% degli uomini) e, di queste, il 44% ha dovuto rinunciarci, mentre il 23,3% della popolazione Lgbti è stata oggetto di minacce o aggressioni fisiche a fronte del 13,5% degli eterosessuali.
Secondo un’indagine effettuata nel 2016 da Doxa Kids in collaborazione con Telefono Azzurro su circa 6mila ragazzi e adolescenti, poi, il 35% dei ragazzi dagli 11 ai 19 anni è stato vittima di episodi di violenza da parte di coetanei o compagni di scuola. E il fenomeno sarebbe in aumento.
Amnesty International presenta l’indagine ‘Gli italiani e le discriminazioni’, realizzata in collaborazione con Doxa e che spiega cosa ne pensa il Paese dell’incidenza di questi fenomeni in Italia e nel mondo.
Lo studio, realizzato su un campione rappresentativo della popolazione italiana adulta (18-70 anni), è stato presentato oggi dall’organizzazione che dà così il via alla campagna di raccolta fondi con il 5à—1000. E i dati emersi su queste forme di discriminazione non sono incoraggianti.
VIOLENZA DI GENERE: TRA UOMINI E DONNE DUE FILM DIVERSI
Per sei italiani su dieci la violenza sulle donne è aumentata in questi ultimi anni e sempre più spesso si sentono notizie in cui si parla di femminicidio.
Ma, a pensarla così, sono quasi 7 donne su 10, contro il 50% degli uomini.
C’è un restante 40% di italiani per i quali il fenomeno è rimasto invariato e che se ne parla di più in ragione dello spazio che a determinate notizie viene dato da media e social media.
A minimizzare il problema sono soprattutto gli uomini: il 47 per cento di loro risponde così contro il 30% delle donne.
“Le discriminazioni, in ogni loro forma, sono ancora oggi all’ordine del giorno e sappiamo che c’è ancora tanto da fare” dichiara Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. Che sottolinea come dall’indagine Doxa emerga una maggiore consapevolezza degli italiani, che iniziano a vedere il problema.
Valutazioni confermate dai preoccupanti dati sulle discriminazioni in Italia. Infatti, nel 2017, dei 355 omicidi commessi, 140 sono femminicidi.
Di fatto, sebbene il numero degli omicidi commessi nell’ultimo anno sia diminuito dell’11% dal 2016 e del 25% negli ultimi 4 anni, il numero dei femminicidi è rimasto invariato. Ma le donne non sono le uniche a subire discriminazioni.
LE DISCRIMINAZIONI BASATE SULL’ORIENTAMENTO SESSUALE
Il 61,3% dei cittadini tra i 18 e i 74 anni ritiene che in Italia gli omosessuali siano molto o abbastanza discriminati.
D’altronde è stato oggetto di insulti e umiliazioni il 35,5% della popolazione Lgbti contro il 25,8% degli eterosessuali.
E, in generale, il 40,3% delle persone Lgbti afferma di essere stato discriminato nel corso della vita, il 24% a scuola o in università mentre il 22% sul posto di lavoro.
La consapevolezza c’è, ma anche un evidente retaggio culturale che continua a camminare in direzione opposta. Questo, infatti, è il Paese dove il 55,9% si dichiara d’accordo con l’affermazione “se gli omosessuali fossero più discreti sarebbero meglio accettati”, mentre per il 29,7% “la cosa migliore per un omosessuale è non dire agli altri di esserlo”.
L’Italia è spaccata. “La legge che istituisce le unioni civili per le coppie formate da persone dello stesso sesso, approvata a maggio 2016 dal Parlamento — spiega l’indagine — è considerata come un passo di civiltà per un italiano su due, che vede un reale cambiamento nei diritti delle persone omosessuali negli ultimi anni”.
L’86% degli italiani pensa che le persone omosessuali debbano avere gli stessi diritti degli altri, dato in aumento rispetto al 72% di una ricerca pubblicata nel 2016.
Ma per le coppie omosessuali c’è ancora tanto da fare e questo viene confermato da un italiano su cinque per cui, nonostante i progressi fatti, le coppie omosessuali sono ancora vittime di omofobia.
LA PAURA DEL BULLISMO
In molti casi, discriminazioni e violazioni dei diritti umani avvengono già tra i ragazzi. Altro fenomeno in crescita, infatti, secondo sette italiani su dieci, è quello del bullismo.
Quasi la metà degli intervistati (45%) pensa che si sia verificato un incremento del fenomeno proprio a causa della grande cassa di risonanza fornita dai social media.
Un ulteriore 26% crede che la crescita sia dovuta al costante clima di incitamento all’odio e alla discriminazione presente sui media.
Per un italiano su quattro, invece, il bullismo è sempre stato presente e non ci sono differenze sostanziali rispetto al passato, se non un incremento delle denunce.
La verità è che in Italia, un ragazzo o una ragazza su due, tra gli 11 e i 17 anni, ha subìto episodi di bullismo e circa il 20% ne è vittima assidua, cioè subisce prepotenze più volte al mese.
Se il bullismo non è un fenomeno nuovo, sicuramente lo è il cyberbullismo. Secondo i dati Istat, il 22% dei ragazzi italiani che utilizzano Internet e smartphone (oltre il 90%) sono derisi e umiliati in rete. Per quasi il 6%, più di 210mila di loro, ciò avviene più volte al mese.
Anche quest’anno al fianco di Amnesty International a sostegno della campagna e della lotta alle discriminazioni c’è chef Rubio, artefice di ricette di solidarietà per persone e situazioni disagiate, dal ‘pasto sospeso’ per migranti e indigenti alle lezioni di cucina in carcere per i detenuti.
“Confermo la mia scelta — spiega — perchè la tutela dei diritti umani riguarda tutti noi ed è fondamentale continuare nelle grandi battaglie per affermare i diritti di chi non ha voce, sia in Italia che nel mondo”.
(da agenzie)
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Aprile 4th, 2018 Riccardo Fucile
IL PD: “SPARTIZIONE VERGOGNOSA”… LE VICEPRESIDENZE A LEGA E FORZA ITALIA
Vito Crimi, senatore del Movimento Cinque Stelle, è stato eletto presidente della commissione speciale del Senato che si è insediata oggi e che dovrà esaminare il Def e altri provvedimenti rimasti in sospeso.
I vicepresidenti della commissione sono Giacomo Caliendo di FI e Erika Rivolta della Lega.
Il Pd attacca: “Vergognosa spartizione”.
“Facendo seguito al gravissimo comportamento assunto in occasione della formazione dell’Ufficio di Presidenza del Senato anche oggi il M5S e il centrodestra, in un delirio di onnipotenza, si accaparranno e spartiscono gli incarichi all’interno della Commissione speciale, impedendo alle minoranze, e in questo caso al Pd, di acquisire un vicepresidente, contravvenendo ad una consolidata prassi parlamentare. Siamo di fronte all’ennesimo vergognoso episodio che testimonia una concezione proprietaria delle istituzioni e del Parlamento che ci preoccupa e indigna. Complimenti vivissimi a M5S e centrodestra per la loro idea di democrazia!”.
Così il presidente dei senatori del Pd Andrea Marcucci, commenta l’esito delle votazioni per l’elezione dell’Ufficio di Presidenza della Commissione speciale.
I compiti della commissione speciale. Ventisette senatori e quaranta deputati: sono i componenti della commissione speciale che si insedierà oggi al Senato e sarà costituita formalmente martedì alla Camera con il voto dell’Aula
COMPITI E DURATA
La Commissione speciale è un organismo temporaneo che opera in assenza delle commissioni permanenti che, per consuetudine, vengono costituite solo dopo la formazione di un governo. Di solito resta in carica poche settimane ma, in questo caso, dipenderà dai tempi necessari per la formazione del nuovo esecutivo. Oltre al Documento di economia e finanza, la super-commissione dovrà esaminare 19 provvedimenti in sospeso, in gran parte schemi di decreti legislativi, tra cui la riforma delle carceri, il nuovo regolamento della privacy e la disciplina del servizio civile universale. Ci sono poi tutta una serie di dlgs in attuazione di direttive europee rimasti in attesa.
COMPOSIZIONE
Come tutte le commissioni speciali, è costituita in modo da rispecchiare la proporzione fra i gruppi. Al Senato è composta da 27 senatori, alla Camera da 40 deputati.
PARTENZA AL SENAT
A Palazzo Madama la commissione si insedia oggi e il primo step sarà l’elezione dell’ufficio di presidenza, composto da presidente, due vicepresidenti e due segretari.
Questi i nomi dei componenti indicati dai gruppi parlamentari: nove del M5s (Catalfo, Cioffi, Crimi, Di Piazza, Grassi, Giarrusso, Paragone, Pesco e Turco); cinque quelli di Forza Italia (Caliendo, Gasparri, Malan, Mallegni e Pichetto Fratin); altrettanti i senatori della Lega (Borghesi, Rivolta, Stefani, Tosato e Vallardi); per il Pd quattro nomi (Malpezzi, Marino, Misiani, Pittella); due le indicazioni di Fratelli d’Italia (Fazzolari e Urso); dal Misto, per Liberi e uguali c’è Vasco Errani e per le Autonomie, Laniece.
I PRECEDENTI A PALAZZO MADAMA
Nella scorsa legislatura la commissione speciale fu costituita il 27 marzo e fu sciolta il 7 maggio. Nella XVI legislatura fu costituita il 13 maggio 2008 e sciolta il 22 maggio. Nella Xv legislatura si insediò il 30 maggio 2006 e fu sciolta il 5 giugno.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 4th, 2018 Riccardo Fucile
LA CORRADO ATTACCA ROBERTA LOMBARDI: “MI HA FATTO MANCARE I VOTI PER L’ELEZIONE A CONSIGLIERE SEGRETARIO”
Valentina Corrado contro Roberta Lombardi.
La sfida delle Regionarie nel MoVimento 5 Stelle del Lazio, stravinta all’epoca dalla Faraona, si è riproposta oggi in via della Pisana a causa di una poltrona.
La Corrado ha sfiorato l’elezione a consigliere segretario raggranellando 10 voti come Daniele Giannini, che però è stato eletto ai sensi dello Statuto perchè più anziano d’età .
Prima David Porrello era stato eletto vicepresidente dell’assemblea.
La Corrado ha accusato la Lombardi: “La capogruppo non ha avuto per il segretariato lo stesso impegno che ha messo per la vicepresidenza. Si è dimostrata ancora una volta divisiva. Non escludo di presentare un ricorso dopo avere fatto delle verifiche giurisprudenziali: c’è una sola donna in ufficio di presidenza. È vero che ce n’era una sola anche nella passata legislatura, ma è altrettanto vero che oggi le donne elette sono molte di più”.
La Corrado ha detto anche che “Bastava un voto, non cinque” per essere eletta e poi si è allontanata dai cronisti.
La Lombardi, raggiunta nei corridoi della Pisana, ha replicato: “Sono dichiarazioni a cui non rispondo. Se la consigliera Corrado ha detto questo si assumerà la responsabilità delle sue azioni“.
Successivamente, la Lombardi in una nota si è rallegrata con Porrello: “Siamo molto soddisfatti del risultato di oggi che ha portato alla vice presidenza del Consiglio il consigliere rieletto, Devid Porrello, stimato anche da tanti colleghi delle altre forze politiche. Una nomina che premia soprattutto la serietà di tutto il gruppo consiliare del MoVimento 5 Stelle e garantisce una rappresentanza adeguata ai tanti cittadini che ci hanno votato, portandoci ad essere la prima forza politica nel Lazio e in Italia”.
(da “NextQuotidiano“)
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Aprile 4th, 2018 Riccardo Fucile
DOPO ANNI DI OPPOSIZIONE IN CUI AVREBBE POTUTO DENUNCIARE L’ANOMALIA, ORA SI SVEGLIA… CHISSA’ COME MAI NON HA DETTO IN CAMPAGNA ELETTORALE CHE USUFRUISCONO DEI PERMESSI RETRIBUITI 2350 DIPENDENTI SU 13.000
Si sono fatti adottare da anziani malati per poter beneficiare della legge 104, che concede permessi retribuiti a chi assiste familiari con handicap. È quello che hanno fatto alcuni dipendenti della Regione Siciliana.
A raccontarlo in conferenza stampa, il governatore dell’isola Nello Musumeci.”È possibile che su 13mila dipendenti, 2.350 usufruiscano della legge 104?”, è la domanda retorica del presidente eletto dalla coalizione di centrodestra nel novembre del 2017.
Musumeci ha spiegato in conferenza stampa che la sua giunta “sta lavorando sul fronte del personale dipendente della Regione”.
È così che è saltata fuori la storia dei lavoratori regionali adottati per godere della legge 104. La norma, introdotta nel 1992, garantisce una serie di agevolazioni ai lavoratori pubblici e privati affetti da disabilità grave e ai familiari che assistono una persona con handicap in situazione di gravità .
Ma non solo. Perchè oltre a evidenziare l’eccesso di dipendenti che usufruiscono della 104, Musumeci ha dato altri numeri. “Duemilaseicento dipendenti — ha detto — sono dirigenti sindacali e non possono essere distaccati”.
È per questo motivo che la Regione ha difficoltà a “trovare tecnici e altre professionalità ” nonostante possa contare su ben 13mila dipendenti.
“Si pensi che non possiamo trasferire personale da un ufficio all’altro oltre i 50 chilometri — ha spiegato il governatore — e che tra due anni andranno in pensione altri tremila dipendenti. Siamo in difficoltà , sono convinto che troveremo le organizzazioni sindacali dalla nostra parte. Ognuno si assumerà le proprie responsabilità . Basta, il tempo dei giochetti e dei ricatti reciproci è scaduto”.
Ma Musumeci si è svegliato ora? Non ha mai letto le inchieste giornalistiche che denunciavano dati abnormi? Che ha fatto durante gli anni di opposizione? Ha forse fatto finta di niente, visto che erano dati acclarati e alla portata di qualsiasi consigliere?
Perchè non l’ha denunciato in campagna elettorale? Forse per non perdere i voti dei furbetti?
(da agenzie)
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Aprile 4th, 2018 Riccardo Fucile
IL COMMENTO DELL’AMBASCIATORE DELL’UCRAINA A ROMA: “LE REALI PERDITE ECONOMICHE SONO MINIME”
La recente reazione unanime di Londra e dei paesi alleati in risposta alle eventuali “azioni sporche” della Russia, nel cosidetto “caso Skripal”, hanno rievocato un dibattito acceso sulle possibilità di estendere le sanzioni alla Russia.
La discussione sta suscitando una vasta eco anche nei media italiani, dove sono stati ricordati “danni per 10 miliardi di euro”, “la catastrofe economica”, e che l’Italia è il “paese più danneggiato dalle sanzioni”, ecc.
La tematica delle sanzioni è davvero molto importante e presenta vari aspetti.
Prima di tutto vorrei ricordare le ragioni per le quali le sanzioni sono state introdotte da parte dall’UE: l’aggressione armata e il tentativo dell’annessione di una parte del territorio dell’Ucraina, un paese sovrano e indipendente.
La Russia si sarebbe dovuta comportare, al contrario, come uno stato garante dell’integrità , della sovranità e dell’indipendenza dell’Ucraina.
Quale potrebbe essere la risposta alle azioni così violente e ciniche che hanno calpestato i principi fondamentali del diritto internazionale?
Nessuno avrebbe voluto le azioni militari attive, l’Ucraina si oppone militarmente alle truppe russe e il mondo occidentale ci ha sostenuto con l’applicazione delle sanzioni. Queste sanzioni non hanno colpito in nessun modo i produttori del settore agroalimentare o della moda, o dell’industria più in generale.
Le stesse sono state la risposta giustificata che aveva come obiettivo limitare l’aggressività militare russa al fine di indurla a rientrare nelle norme del diritto internazionale.
Perciò, le sanzioni introdotte hanno colpito in modo chiaro e preciso i responsabili dell’attacco all’Ucraina, le imprese del settore militare-industriale e le strutture connesse, gli operatori commerciali di armamenti, i particolari prodotti e le tecnologie a doppio uso ecc.
Le perdite subite dalle imprese italiane sono dovute alle cosiddette “controsanzioni”, introdotte proprio dalla Russia.
Queste controsanzioni russe (che, non si capisce per quale ragione, spesso non vengono chiamate con il proprio nome) sono una risposta insensata da parte del Cremlino, considerando che colpiscono prima di tutto la propria popolazione.
Le sanzioni imposte dalla Russia, come ritorsione, hanno danneggiato l’export italiano nel settore agro-alimentare, come carne, pollame, legumi, frutta, formaggi e salumi.
Quali sono le reali perdite economiche dovute alle sanzioni contro la Russia?
In totale le sanzioni russe toccano 55 gruppi del settore agroalimentare (per più di 2 mila gruppi di merci del commercio bilaterale).
Se facciamo una breve analisi vediamo che l’export italiano delle merci corrispondenti a queste posizioni nell’anno 2013 (ancora prima delle sanzioni) ammontava a 202,7 milioni di euro.
Certo, questa non è una somma trascurabile, ma di sicuro non confrontabile con i “danni di 10 miliardi”, evocati da una parte di stampa.
D’altra parte queste merci sotto le sanzioni russe rappresentavano solo l’1,8% del totale export italiano verso la Russia e lo 0,6% delle esportazioni italiane dei prodotti agroalimentari verso i paesi del mondo.
Anzi, non tutti i 202,7 milioni sono stati persi, nel 2017 l’Italia ha esportato queste merci per 37,4 milioni di euro. Questa stima è anche confermata da parte dell’ICE la quale, nel rapporto annuale del 2016, accerta che “considerando specificamente i prodotti italiani colpiti dall’embargo russo, la flessione delle loro esportazioni complessive ammonta a circa 151 milioni di euro nel biennio 2014-15”.
Allora perchè è crollato l’export italiano verso la Russia e di quanto?
Nel 2013 l’export totale dell’Italia verso la Russia ammontava a 10,7 miliardi di euro (dati ISTAT). Anche da questo indicatore sembra dubbia la tesi di perdite degli stessi 10 miliardi.
Dal 2013 al 2016 la contrazione delle forniture verso la Russia è stata del 12,6% all’anno, mentre l’export è cresciuto del 19,3% nel 2017.
Il principale fattore che ha causato una significativa riduzione dei flussi commerciali nella Federazione Russa è stato il crollo dei prezzi mondiali sul petrolio che per un paese dipendente dall’export ha causato una drastica flessione dell’afflusso di valuta nel paese.
Questo fatto ha avuto come conseguenza il calo della capacità di acquisto della popolazione russa e una significativa svalutazione del rublo.
Inoltre, mi sorprende che durante questi anni nessuno abbia parlato delle perdite dell’economia italiana nel commercio con l’Ucraina a causa dell’aggressione russa. Tra il 2013 e 2016 l’export italiano è stato ridotto di 1,3 miliardi di dollari USA, secondo i dati del Centro del commercio internazionale.
E secondo i calcoli degli esperti internazionali, l’aggressione russa è costata all’economia ucraina circa 98,4 miliardi.
I contratti persi in Ucraina, chissà come mai, non interessano tanto i propugnatori dell’abolizione delle sanzioni.
E se la parte economica della questione è più o meno chiara, l’aspetto morale ed etico rimane aperto.
Secondo la stima dell’ONU l’Ucraina ha subito le perdite di più di 10 mila vite umane, tra militari e civili. Non è solo una statistica.
Significa che un nonno seppellisce i suoi due nipotini, che l’unico figlio non torna mai a casa dai genitori e che i bambini restano orfani.
Come ho detto all’inizio, sono state imposte le sanzioni contro la Russia come paese aggressore, un paese che non rispetta i patti e il diritto internazionali.
Le sanzioni costituiscono l’unico possibile strumento legale di pressione sulla Russia. Abolire le sanzioni senza passi concreti della Russia verso la normalizzazione della situazione in Ucraina, inclusa la Crimea, significherà mostrarsi deboli e dipendenti, riconoscere il diritto di forza e sciogliere le mani di Mosca.
Yevhen Perelygin
Ambasciatore Ucraina a Roma
argomento: Esteri | Commenta »