Aprile 26th, 2018 Riccardo Fucile
OLTRE C’E’ UN GOVERNO BALNEARE CHE PORTA ALLE URNE… E RENZI HA PRONTO IL SIMBOLO DEL SUO PARTITO “IN CAMMINO” (VERSO DOVE NON SI SA)
In fondo, il capo dello Stato non poteva fare altro che concedere altro tempo. Perchè l’esploratore Roberto Fico, diversamente dalla sua omologa al Senato, non si è presentato al Colle per dire, allargando le braccia, che “non ci sono le condizioni per andare avanti”.
Ha rappresentato una situazione diversa: certo complicata ma, insomma, qualcosa tra Pd e Cinque Stelle si è mosso. Il classico spiraglio di dialogo, sia pur avvolto da una nube di pessimismo per un esito che appare annunciato
Come si dice in questi casi, Mattarella non poteva che prenderne atto, concedendo altro tempo in attesa che si pronunci la direzione del Pd.
Del resto, è stato questo l’approccio seguito sin dal primo giorno di questa lunga e inedita crisi: tentarle tutte, ma proprio tutte, anche semplicemente per mettere agli atti, quando sarà , che ogni via è stata percorsa, anche se non ha portato a nessuna meta.
Nè quella del confronto tra centrodestra e Cinque Stelle che tra tattiche, puntigli e veti, si è protratto, a conti fatti, almeno per una ventina di giorni.
Nè, eventualmente, quella tra Pd e Cinque Stelle che si consumerà in una decina di giorni.
Parliamoci chiaro, il titolo della giornata è Aspettando Renzi.
Perchè le consultazioni sono appese a quel che farà l’ex segretario del Pd, così come il precedente giro è stato appeso alla questione Berlusconi: al suo nome ingombrante, al suo ruolo da nascondere, alla sua presenza da camuffare in un governo a trazione Salvini-Di Maio.
I due partner del Nazareno che fu, sepolti come due impresentabili nella retorica dei due vincitori dimezzati, con troppa fretta e ottimismo, sono risuscitati, perchè la politica è, innanzitutto, rapporti di forza.
E i rapporti di forza raccontano l’ovvio, palese già la sera del voto.
E cioè che nessuno dei due vincitori aveva i numeri e l’autosufficienza per formare un governo e, dunque, per formarlo era, ed è, necessario un accordo.
Che, a rigor di logica, si sigla con i titolari delle ditte, si chiamino Forza Italia e Pd, non con i soci di minoranza.
Ecco, può piacere o no, ma in questo supplemento di consultazioni c’è già una vittoria di Renzi, come al precedente giro, ci fu una vittoria di Berlusconi: ha atteso che tornassero indispensabili i voti del suo partito, ha dimostrato di controllarlo ancora (in questi giorni si sarebbe dovuta tenere l’assemblea di cui ha imposto il rinvio), ha tirato per le lunghe la convocazione della direzione che in parecchi avrebbero voluto già nella giornata di lunedì, insomma ha dimostrato che senza il suo consenso non ci sarà intesa possibile tra Pd e M5s.
È, letta dal suo punto di vista, una vittoria e uno sfoggio di leadership. Ecco il punto. Tra i frequentatori del Colle in parecchi si domandano: “Anche se in direzione dovesse prevalere, ed è difficile, la linea di Martina, che cosa farà Renzi? Anche se dovesse perdere la metà dei suoi senatori, comunque sarebbe in grado di impedire l’intesa”.
Attorno alla questione del governo si sta consumando l’ennesima tappa di un infinito congresso del Pd, confuso e scomposto, o meglio l’inizio del prossimo, dall’esito non scontato se sono vere le voci che l’ex segretario avrebbe già depositato il suo simbolo di un movimento In Cammino e che ha deciso di puntare sul voto anticipato, nella convinzione o illusione che lo stallo dei due vincitori favorisca la sua risurrezione elettorale.
E c’è un motivo se il Quirinale ha accordato altro tempo, pur sapendo che l’esito della direzione è scontato. La verità è che non c’è un “piano B”, inteso come un “governo del presidente”.
Al momento non c’è un Parlamento pronto ad accogliere un nome indicato dal capo dello Stato, in un rigurgito, si sarebbe detto una volta, di “responsabilità nazionale”. Anzi, al momento un governo del genere rischierebbe di essere figlio di nessuno. Salvini e Di Maio hanno già messo agli atti la loro contrarietà . E senza Lega e Cinque Stelle, mancano i numeri per un tentativo del genere.
Detta in modo tranchant: se fallisce questo tentativo tra Pd e Cinque Stelle all’ordine del giorno non c’è la grande manovra istituzionale di un governo di tutti, in nome dell’interesse nazionale, ma una sorta di governo di nessuno.
Ovvero il capo dello Stato che mette su un accrocco “balneare” che nasce con l’obiettivo limitato di riportare il paese al voto dopo l’estate.
Con la stessa legge elettorale che assicura una nuova non vittoria, e dunque la difficoltà di far nascere un governo in tempi brevi che vari la manovra.
Come in un gioco dell’oca, drammatico e costoso, perchè a quel punto sarà scaduta la pazienza dei mercati e, con essa, l’attesa degli speculatori.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 26th, 2018 Riccardo Fucile
I RENZIANI: “SE ANCHE FOSSE AMORE SINCERO, NON SAREBBE RICAMBIATO”…MA QUESTI SI RENDONO CONTO CHE STANNO PER SCOMPARIRE?
“Esito positivo, dialogo avviato”, dice Roberto Fico al Quirinale mentre, dopo aver riferito a Sergio Mattarella, ‘impacchetta’ davanti alle telecamere il suo mandato esplorativo di una maggioranza tra Pd e M5s.
Ma dalle parti di Matteo Renzi, che anche oggi è rimasto nella sua Firenze, il dialogo con il M5s è finito, insieme al mandato del presidente della Camera. Chiuso, ammesso che sia mai stato aperto.
Fico è l’ultimo a seminare stupore e irritazione nel fronte Democratico contrario alla trattativa. Prima di lui, c’è stato Luigi Di Maio.
La giornata insomma rafforza le ragioni del no in un Pd che si avvia a discutere nella direzione nazionale del 3 maggio con un esito che al momento appare scontato: nessun ponte con il M5s. Anzi, i renziani scommettono che da lunedì, all’indomani delle regionali in Friuli, Luigi Di Maio tornerà al suo primo ‘amore’ di questa crisi istituzionale: Matteo Salvini.
I Dem contrari all’accordo con i pentastellati si ringalluzziscono ascoltando il discorso del leader del M5s alla Camera, subito dopo il suo turno di consultazioni con Fico. Ci ritrovano tutte le sponde che vogliono. Soprattutto quando Di Maio torna a criticare l’operato dei governi Renzi e Gentiloni, sottolineando che “non ci si può fossilizzare sull’idea di difendere per partito preso tutto quello che hanno fatto i governi in questi anni: dal voto del 4 marzo sono emerse delle richieste chiare sui problemi del precariato, sugli insegnanti che devono fare mille chilometri per andare a lavorare, sulle grandi opere inutili”.
Qui si infastidiscono non solo gli ultrà del no al M5s. Ma anche mediatori come il coordinatore della segreteria Dem Lorenzo Guerini, che ci dice: “Forse Di Maio pensa di essere ancora in campagna elettorale e cerca di rassicurare la pancia dei suoi. Per me l’impianto riformatore dei governi Renzi e Gentiloni è stato un valore per il nostro paese e per quanto mi riguarda non potrà mai essere oggetto di abiure”.
Fine della storia.
E poi c’è quell’attacco di Di Maio al “conflitto di interessi di Berlusconi”, impostato in maniera tale da agitare i sospetti del Pd sul suo dialogo mai interrotto con Salvini. Qui si impensieriscono anche il reggente Maurizio Martina, Dario Franceschini e Piero Fassino, i capofila del ‘partito del sì’.
Certo, loro non mollano, ci sperano ancora. Dopo il secondo round di consultazioni con Fico, Martina esordisce parlando di “passi in avanti” in attesa della direzione del 3 maggio.
Fassino dice che “il no a prescindere non è una posizione politicamente utile, la politica è fatta di confronto. E poi quali prospettive apre? Ricacciamo nuovamente Di Maio nelle braccia di Salvini favorendone, noi, un governo M5S-Lega?”.
Cesare Damiano, altro esponente del fronte aperturista, evidenzia che non tutto è perduto: “Abbiamo poche buone notizie ma le abbiamo — dice – la prima è che, su richiesta di Martina, Di Maio abbia dichiarato di aver chiuso il ‘forno’ di Salvini. La seconda, è la convocazione della Direzione del Pd il 3 maggio, dopo l’improvvida cancellazione dell’Assemblea Nazionale, per decidere se proseguire o meno il confronto. Io penso che non possiamo sottrarci al dialogo, ovviamente partendo dai nostri contenuti. La cosa più difficile non è la stesura di un programma, se esiste la volontà di arrivare a un accordo: la questione, come si dice nel nostro linguaggio, è esclusivamente politica”.
Ecco, appunto. Chi dice no urla più forte, convinto di avere la maggioranza in direzione: oltre 110 su un totale di 209. E Renzi e i suoi hanno anche ottenuto che la direzione si tenga il 3 maggio e non prima: Martina aveva chiesto di convocarla già lunedì 30 aprile, per bruciare i tempi e bloccare un’eventuale nuova interlocuzione tra Di Maio e Salvini. Niente.
Poi, quando Fico esce nella Loggia d’onore del Quirinale per parlare con la stampa dopo il colloquio con il presidente della Repubblica, il fronte del no nel Pd si scatena. “L’ottimismo del presidente Fico è sorprendente – dice il capogruppo al Senato Andrea Marcucci – Con la logica del fatto compiuto non si va da nessuna parte. La direzione del Pd, che è una cosa seria, dovrà decidere se aprire o meno un confronto con il Movimento 5 Stelle. A questo proposito va ricordato che le distanze programmatiche erano e restano profonde”.
Da lunedì, scommettono nel Pd, parte di nuovo il film già visto nei due mesi trascorsi dal voto: il dialogo tra Di Maio e Salvini.
E il leader della Lega sembra dare ragione a questo ragionamento quando dice: “Io non chiudo la porta in faccia a nessuno, spero che la telenovela tra Renzi e Di Maio non duri troppo e secondo me sarebbe un governo irrispettoso per gli italiani. Quando avranno finito il loro amoreggiamento, se gli andasse male come io penso, io ci sono”.
Sembra tutto scritto, anche se Mattarella si prenderà dei giorni di riflessione in attesa di sviluppi da parte del Pd e del M5s. “Se anche quello di Di Maio fosse amore sincero verso il Pd, non sarebbe corrisposto”, rimarcano dalla cerchia del segretario dimissionario Renzi.
E nel partito già si scaldano i motori per il congresso, che evidentemente viaggia insieme ad un’accelerazione sul voto anticipato che già si scorge all’orizzonte, almeno come possibilità . Il governatore Nicola Zingaretti interviene sul dibattito nazionale con un blog su Huffpost: “Il modo migliore per non essere subalterni ai 5 Stelle è vincere, sconfiggerli alle elezioni. Il modo più eclatante per essere subalterni è diventare come loro; mutuare le loro forme, il loro modo di essere: come a volte sembra stia accadendo”.
Perchè se la direzione si concludesse con una spaccatura e i no prevalessero sui sì, ne uscirebbe sconfitta la linea di Martina e la sua reggenza decadrebbe, chiaro.
Il presidente Matteo Orfini, uno dei quattro delegati Pd ai colloqui con Fico insieme ai capigruppo Delrio e Marcucci e lo stesso Martina, spera in una soluzione unitaria.
“Io sono contrario ad un accordo con M5s, per me Di Maio è come Salvini — dice in Transatlantico alla Camera – ma in Direzione ci confronteremo, la convochiamo apposta. E spero in un esito unitario”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 26th, 2018 Riccardo Fucile
IL SINDACO MEROLA APRE AL DIALOGO CON IL M5S
Il “rosso” dell’Emilia Romagna oggi è un colore sbiadito. La regione “a tinta unita”, un tempo cuore pulsante della sinistra italiana, non è più un monolite.
Il rosso si è mescolato al verde della Lega e soprattutto al giallo del Movimento 5 Stelle, primo partito anche in Emilia alle ultime elezioni politiche.
Il centrodestra è stato la prima coalizione, ma i grillini hanno staccato il Pd di un punto percentuale.
Nel Pd emiliano si è aperta una riflessione sul da farsi, su come comportarsi di fronte all’offerta grillina di andare al governo insieme.
Il Pd emiliano conta 42 mila iscritti, di cui circa 15 mila nella sola provincia di Bologna, tra le maggiori federazioni d’Italia. Un peso specifico considerevole nelle scelte del partito, che nella direzione del prossimo 3 maggio deciderà se sedersi al tavolo con Luigi Di Maio.
L’ala “dialogante” in questi giorni si sta allargando.
Al livello locale, quasi tutto lo stato maggiore del partito ufficialmente tace. L’unico a esporsi è stato il sindaco di Bologna, Virginio Merola, che due anni fa ha toccato con mano l’indebolimento della sinistra nella sua città . Merola è stato rieletto al ballottaggio sconfiggendo la leghista Lucia Borgonzoni, fedelissima di Matteo Salvini e oggi senatrice.
Durante le celebrazioni per il 25 aprile, il primo cittadino si è espresso in modo chiaro. Bisogna confrontarsi con i Cinque stelle “sui programmi e sulle cose da fare per il Paese mettendo da parte i nomi”.
Una linea opposta rispetto a quella enunciata subito dopo il voto, quando Merola aveva detto no a ipotetiche alleanze con i grillini.
A Bologna città c’è una contrapposizione di vecchia data tra il vertice del partito e il sindaco. Il numero uno del Pd è il deputato Francesco Critelli, che al congresso nazionale aveva sostenuto Andrea Orlando e oggi si è avvicinato a Renzi.
Sarebbe stato proprio l’ex segretario dem a chiedergli di candidarsi. Critelli non si è ancora pronunciato sull’ipotesi di scendere a patti con i grillini, ma chi conosce il Pd bolognese ritiene improbabile che Critelli si discosti dall'”Aventino” indicato da Renzi.
La componente renziana si è però spaccata subito dopo il voto. Un esempio è l’ex senatrice Francesca Puglisi, in rotta con il segretario dimissionario dopo le polemiche sull’eccessiva presenza di uomini nelle liste:
“I programmi sono senz’altro distanti, ma il Pd ha il dovere di andare a verificare se ci sono cose utili da fare per il Paese”. A Bologna si è schierata per l’apertura anche la prodiana Sandra Zampa, mentre la linea dell’opposizione è stata finora difesa dal deputato Andrea De Maria.
Molti militanti non si sono ancora fatti un’opinione: “Si dice sì o no sulla base di proposte concrete e chiare, in questo momento manca la chiarezza sul da farsi”, spiega la presidente della direzione cittadina, Giuliana Sabattini.
Il presidente della Regione Stefano Bonaccini non commenta l’ipotesi di alleanza con i Cinque Stelle. Ma in viale Aldo Moro, sede della Regione, si sussurra che l’amministrazione stia dando segnali di “scongelamento”.
La vice presidente Elisabetta Gualmini, tra le prime a sostenere la linea del dialogo, ha ripetuto che “a determinate condizioni” il dialogo con i grillini è possibile”.
I partiti rappresentati in consiglio regionale hanno letto con interesse le dichiarazioni rilasciate oggi da Raffaele Donini, già numero uno del Pd a Bologna e oggi assessore ai Trasporti. Donini, considerato un fedelissimo di Bonaccini, fa parte dell’area vicina a Maurizio Martina.
L’assessore ha sottolineato le forti contrapposizioni tra M5S e Pd, ma poi ha aggiunto: “Un governo al Paese bisognerà pur darlo perchè l’alternativa a questo scenario sono le elezioni anticipate, che potrebbero di nuovo non risolvere i problemi”. Il segretario regionale del Pd è Paolo Calvano, che proviene dal gruppo legato a Dario Franceschini, ferrarese.
Calvano ha affidato il suo pensiero a Facebook, ammettendo che il partito è combattuto sul da farsi. L’apertura, seppur timida, però arriva: “Siamo consapevoli che il nostro 18 per cento ci consentirebbe di condizionare ogni azione di governo che volesse portare l’Italia fuori dall’Europa, o che volesse riportare indietro le lancette sui vaccini, o che volesse inventare un reddito di cittadinanza”, anzichè rafforzare gli strumenti di sostegno già esistenti.
Nelle altre città sono in pochi a esporsi. A Reggio Emilia, città di Delrio, governa il Pd con Luca Vecchi, e nessuno scommette sul fatto che il sindaco si discosterà dalla linea renziana.
A Rimini e a Ravenna governano rispettivamente Andrea Gnassi e Michele De Pascale. Entrambi sono considerati vicini al presidente Bonaccini.
De Pascale nell’ultimo periodo ha però criticato il modo in cui Renzi ha gestito il Pd. Il sindaco di Modena, Gian Carlo Muzzarelli, è invece considerato piuttosto estraneo alla logica delle correnti. Oggi ha aperto al dialogo con i grillini, per evitare guai peggiori: “Prima dei calcoli di partito viene l’interesse del Paese. Non credo che un governo M5S-Lega sarebbe nell’interesse dell’Italia e nemmeno le elezioni anticipate”. Sugli amministratori pesa anche il timore che un accordo tra leghisti e grillini possa pesare sulle prossime elezioni nei Comuni.
In Emilia la maggiore città al voto è Imola: “Qui stiamo costruendo una coalizione di centrosinistra completamente alternativa rispetto al Movimento”, dice l’ex sindaco Daniele Manca, oggi senatore. Se eventuali trattative non saranno precedute da una seria discussione politica, aggiunge Manca, “si rischia di non tornare nelle nostre città , dove ci hanno votato per non far governare i 5 Stelle”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 26th, 2018 Riccardo Fucile
SE DOVESSE ARRIVARE UN SI’ AL DIALOGO, ULTERIORE GIRO DI CONSULTAZIONI E UN PREINCARICO
Tutto torna nelle mani di Sergio Mattarella. Che a Pd e M5S concede un’altra settimana per verificare se questo matrimonio a due si potrà celebrare o no.
Di fatto, c’è tempo fino alla direzione dem convocata il 3 maggio e, probabilmente, ad una parallela consultazione all’interno del movimento di Grillo.
Tocca ai due partiti dunque, sulla base dei segnali positivi di “dialogo avviato” portati al Colle dall’esploratore Fico, ricercare autonomamente le convergenze necessarie.
Il mandato esplorativo del presidente della Camera infatti si chiude qui, come ha sottolineato lui stesso, e non ci saranno tempi supplementari come in molti si aspettavano.
“Esito positivo” dai suoi colloqui, ha certificato infatti.
Dunque, è stata questa la valutazione di Mattarella, quanto basta per mettere direttamente i due partiti di fronte alle loro scelte e responsabilità . Insomma, per stanarli senza ulteriori passaggi o proroghe a Fico.
Ma, d’ altra parte, significa anche che sia pure dietro le quinte dovranno in questa settimana di stand-by far riferimento personalmente allo stesso Mattarella. Che sarà in fondo il vero regista di una pausa di riflessione concessa, e che si annuncia come decisiva.
Come una specie di terzo giro di consultazioni del Colle non esplicito.
Il Quirinale, dopo i due mandati esplorativi, si riprende la scena, e saranno i contatti informali e la moral suasion di Mattarella a far da baricentro. Con particolare attenzione nei confronti del Pd e dell’ala renziana che dovrà così nel caso assumersi il compito di dire no ad un’ipotesi di governo.
“Si è avviato il dialogo fra M5S e Pd – constata Fico – che avranno riunioni al loro interno per verificare questa possibilità “. L’esploratore, salito nel pomeriggio a riferire al presidente dopo i nuovi incontri della mattinata con Martina e Di Maio, parla di confronto aperto e avviato fra pd e m5s, della discussione interna in corso in entrambi i partiti, di come a suo avviso sia “importante e responsabile” che avvenga a partire da “temi e programmi” nell’interesse del paese.
Troppi otto giorni di pausa? Al colle si fa notare che Casellati fra incarico e ritorno a riferire ne ha avuti sei, e che adesso ci sarà di mezzo anche il ponte del 1 maggio.
Ma che succederà il 4 maggio, dopo la direzione del pd e la consultazione interna dei grillini? Se dovesse arrivare un sì, Mattarella potrebbe compiere un altro rapido giro ufficiale di consultazioni e poi anche affidare il preincarico.
Con una fumata nera, si chiuderebbe definitivamente anche questa strada per la maggioranza, dopo il fallimento dell’opzione centrodesta-grillini.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 26th, 2018 Riccardo Fucile
GLI PSICOPATICI SOVRANISTI DEL “KI TI PAKA” HANNO GIA’ TROVATO CHI ACCUSARE DI TRAMARE PER IL GOVERNO GRILLINI-DEM
Che in certi ambienti di destra psicopatica sia abitudine agitare lo spauracchio dell’ebreo ungherese George Soros non è una novità .
Di volta in volta il magnate magiaro e fondatore della Open Society Foundation è accusato di sempre nuove nefandezze e di tramare alle spalle dei popoli sovrani.
Per Giorgia Meloni era Soros ad esempio a volere il referendum per l’autonomia di Veneto e Lombardia.
Secondo Matteo Salvini invece Soros finanzia le ONG “in combutta con gli scafisti”.
Ma il complotto di Soros non è un’esclusiva di alcuni.
Nel MoVimento 5 Stelle anche Danilo Toninelli e Beppe Grillo pensano che dietro le associazioni che prestano soccorso in mare ai migranti nel Mediterrano Centrale ci sia il terribile Soros.
Durante la campagna elettorale poi lo spauracchio del complotto demo-pluto-giudaico venne utilizzato per far credere che la Open Society Foundation aveva finanziato sia il M5S che la Lega. L’obiettivo era convincere gli elettori a votare per quei partiti sovranisti che non si erano fatti dare i soldi da Soros.
Come si potrà intuire il paradigma di Soros è un complotto estremamente duttile e versatile. Così facile da usare che vi si può ricorrere in ogni occasione.
Ad esempio diversi militanti leghisti o elettori della Lega Nord in questi giorni stanno sul chi vive perchè dopo il fallimento delle trattative tra Lega e MoVimento 5 Stelle Luigi Di Maio ha aperto ad una possibile alleanza con il Partito Democratico. Un accordo di governo è ancora di là da venire ma questo è solo un dettaglio.
E chi ci può essere mai dietro la decisione di scaricare il Capitano Salvini, leader della coalizione che ha preso più voti, per tentare la strada di un governo con il Partito Demcratico?
Solo una persona, che più che una persona ormai è un complotto vivente: George Soros.
Il suo nome evoca immediatamente i più foschi presagi e il sospetto dello zampino del Nuovo Ordine Mondiale non è ancora del tutto escluso (però non si sa bene se i Rothschild e i Bilderberg sono della partita).
Il Governo M5S + PD non è altro che un “Governo Soros” (con l’aggravante come sempre di non essere eletto dal popolo). C’è già chi con molta fantasia ha trovato il simbolo del nuovo grande partito mondialista. Si chiamerà PD, ma si leggerà Pentastellati Democratici.
Il piano, spiegano alcuni utenti, è stato studiato a tavolino già diversi mesi fa e non farà altro che dar vita ad una nuova DC.
Certo, rimane da spiegare come mai la legge elettorale che ci ha portati a questa situazione sia frutto di un accordo tra Partito Democratico, Forza Italia e Lega Nord, che hanno votato il Rosatellum sia alla Camera che al Senato.
Se davvero Soros avesse voluto un governo con M5S e PD perchè la Lega ha votato il Rosatellum?
È necessario andare più a fondo, e trovare ad esempio l’immancabile zampino del gender e del relativismo etico.
Il programma dell’asse M5S è fatto — spiega un utente non conforme — di «assistenzialismo, immigrazione incontrollata, droga libera e follie gender». Il che messa così sembra quasi il Paradiso, ma non bisogna cedere alle tentazioni: «mai con i servi di Soros!».
C’è chi azzarda un’analisi più accurata, frutto di un’attenta lettura del programma elettorale del MoVimento 5 Stelle per quanto riguarda il tema più interessante per i leghisti: l’immigrazione.
Quello che ovviamente nessuno dice — spiega un utente — è che “a dettare la linea pro immigrazione del MoVimento sembra essere il magnate Soros” il quale è “fautore della sostituzione dei popoli e finanziatore delle ONG“.
Tutto nasce dal fatto che a curare alcune parti del programma sia stato l’avvocato di ASGI associazione di studi giuridici sull’immigrazione colpevole di essere finanziata dalla Open Society.
Resta da chiedersi come mai queste cose siano venute fuori solo ora, che il M5S ha scaricato la Lega e il centrodestra e non prima.
Ma saranno solo coincidenze.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 26th, 2018 Riccardo Fucile
FLOP WEB E STARTUP DURATE UN GIORNO, OGGI SI DEFINISCE “CONSULENTE DELL’INNOVAZIONE”
Consulente economico, passepartout nei salotti che contano, esperto di tecnologie. E poi gentleman elegantissimo, fine dicitore, sempre a portata di microfoni e telecamere, quando non è ospite (e succede spesso) dei talk show televisivi.
Ecco a voi Arturo Artom, che in queste settimane di pochi fatti e tante chiacchiere politiche è diventato una sorta di voce narrante dei programmi a Cinque stelle, quelli ad uso e consumo degli imprenditori, i piccoli specialmente.
Del resto, il suo rapporto con Davide Casaleggio è cordiale e strettissimo, come ha più volte garantito l’Artom medesimo. Un rapporto tramandato da Casaleggio senior a Casaleggio junior.
Oltre all’azienda e al ruolo di gestore ultimo del movimento grillino, il giovane Davide ha infatti ereditato dal padre Gianroberto anche i buoni consigli del facondo imprenditore che da anni percorre l’Italia per annunciare la buona novella dell’innovazione tecnologica.
Così, un paio di settimane fa, nessuno si è stupito nel vedere Artom aggirarsi nel parterre di Sum#02, la due giorni di dibattiti organizzata dalla Fondazione Gianroberto Casaleggio, impegnatissimo a distribuire buoni consigli e pacate considerazioni, sempre gentile, con un sorriso amichevole perennemente stampato in volto.
Chi lo conosce bene giura che non recita. È proprio fatto così, gli viene naturale. Come quando, qualche giorno fa, il consulente ad alta fedeltà grillina, ospite di un salotto televisivo, ha lasciato cadere un paio di parole sul viaggio in treno in compagnia di Roberto Fico.
Entrambi in seconda classe, ovviamente, in osservanza del galateo pauperista appena introdotto dal neoeletto presidente della Camera. È un copione sperimentato, ormai. Artom è ospite gradito del Frecciarossa a Cinque stelle in viaggio verso il potere. Televisione e giornali lo presentano come fedele interprete ed esegeta dell’impresario Casaleggio, anche se formalmente non ha nessun incarico nell’organigramma del Movimento.
A questo punto tornerebbe forse utile la classica citazione dal film “Ecce Bombo” di Nanni Moretti, quel «faccio cose, vedo gente» che ha scolpito nella roccia della memoria collettiva il disimpegnato affaccendarsi di chi riesce a stare a galla sempre e comunque, a prescindere dal curriculum e dai risultati.
Nel suo sito internet personale, così come nel profilo Linkedin reperibile in Rete, Artom elenca iniziative, attività e cariche che ne hanno scandito la carriera.
Arrivando ai giorni nostri si scopre però che la lista avrebbe bisogno urgente di un qualche aggiornamento.
La biografia ufficiale del promoter dei Cinque stelle racconta per esempio che «nel marzo del 2013 è entrato nel comitato scientifico di Ernst Young Italy», filiale dell’omonima multinazionale della consulenza.
Una permanenza breve, visto che quel comitato «non esiste più da qualche anno», come spiega un portavoce della società .
Nel curriculum pubblicato online si legge anche che Artom è il «fondatore del Forum della meritocrazia». Il suo nome però non compare più nel direttivo dell’associazione.
Poco male. Se non fosse che anche le banche dati della Camera di commercio associano il nome dell’imprenditore milanese, 52 anni compiuti a marzo, a una serie di iniziative che hanno avuto vita breve.
C’è Muvis, azienda nata nel 2005 per lanciare un innovativo modello di lampada comandata a distanza grazie a una tecnologia wifi.
Un’invenzione destinata a rivoluzionare l’industria illuminotecnica, pronosticava qualcuno, ma la società è finita in liquidazione nel giro di un paio di anni.
È arrivato ben presto al capolinea anche il sito “YourTrumanshow.com”, fondato da Artom nella Silicon Valley californiana. Obiettivo dichiarato: aprire una finestra sulla rete per un pubblico ansioso di raccontare la propria storia per immagini.
Col senno di poi si può dire che il modello di business pare simile a quello di social network come Instagram o Snapchat, destinati a un immenso successo. YourTrumanshow, invece, è rimasta al palo.
Nessuna sorpresa, allora, se la Artom Innovazione, la holding nata per gestire questi progetti, è diventata un guscio vuoto, con bilanci (l’ultimo depositato risale al 2008) da poche decine di migliaia di euro.
Peccato, perchè la carriera del futuro consulente dei Cinque stelle era partita sotto ben altri auspici. Un quarto di secolo fa, il giovane Artom, allora neppure trentenne, era andato alla carica di un bersaglio grosso, il più grosso in circolazione.
Telsystem, la sua aziendina di telecomunicazioni, aveva sfidato il monopolio di Telecom Italia, che all’epoca si chiamava ancora Sip.
Quando il gruppo pubblico cercò di bloccare l’iniziativa del concorrente, il confronto finì in tribunale e si concluse con la vittoria della neonata impresa privata, che venne autorizzata a fornire ai propri clienti un servizio telefonico riservato a gruppi chiusi di utenti, come per esempio le filiali di una stessa società con sede in città diverse.
Telsystem vinse, quindi, ma il risarcimento fissato dai giudici non bastò ad allungare la vita dell’azienda che nel 1996 era già finita in liquidazione con in pancia il denaro versato da Telecom Italia, circa 2,5 miliardi di lire, pari a poco più di 1,2 milioni di euro. «Non potevamo fare altro», dice Artom.
«Siamo stati fermi due anni in attesa del verdetto dei giudici e abbiamo perso il treno del mercato».
Le carte raccontano che l’operazione Telsystem era stata finanziata da un nutrito gruppo di soci, ma nessuno, a quanto pare, era disposto a scommettere ancora su quel progetto. Tutti, invece, si affrettarono a passare alla cassa per incamerare la loro quota del tesoretto aziendale.
Nell’elenco degli azionisti, alcuni schermati da fiduciarie, non compare il nome di Artom, il quale di lì a poco trovò un altro posto di lavoro, questa volta come dirigente di Omnitel, la neonata società di telefonia mobile.
Tempo alcuni mesi e il manager con la passione delle tlc era già approdato altrove. Viasat, la società metà Fiat e metà Telecom Italia nata per sviluppare la trasmissione dati tra utenti in movimento, gli offrì un posto da amministratore delegato. Durò poco anche lì, circa 18 mesi.
Arriviamo all’anno 2000, quando Artom pensò bene di cavalcare l’impazzimento generale per la cosiddetta New Economy, l’alba del mondo nuovo nel segno di Internet. Nasce così Netsystem, operatore che prometteva di combinare il satellite con la tecnologia Adsl. «Pochi mesi e ci quoteremo in Borsa», prometteva il fondatore e presidente già all’inizio del 2001. Lo sbarco sul listino fu poi rimandato a data da destinarsi, anche perchè nel frattempo l’esplosione della bolla tecnologica mandò a picco i listini
Netsystem proseguì per la sua strada, nano in un mondo di giganti. I sogni di gloria rimasero tali. Sogni, appunto, che andarono in frantumi nel giro di pochi anni. Nel 2007 il bilancio segnalava perdite per 26 milioni di euro su un giro d’affari di soli 3 milioni. Quanto basta per mandare al tappeto la società . Nel 2008 Artom lasciò l’azienda. Nel frattempo era riuscito a coinvolgere nell’iniziativa anche alcuni investitori che finirono per perdere il loro capitale.
La notizia del flop venne ignorata dai giornali, che invece continuavano a dar voce all’imprenditore pioniere di Internet, il Davide che aveva osato sfidare i colossi delle telecomunicazioni, forte soltanto delle sue intuizioni.
Un ritratto vincente. E infatti Artom vinceva: un campionissimo nella promozione di se stesso. Un uomo che piace alla gente che piace, per dirla con uno spot. «Mi sono reinventato come consulente strategico per le imprese», racconta il diretto interessato. «Con l’obiettivo di educare all’innovazione», spiega.
Per poi aggiungere, senza falsa modestia, che ormai è considerato «un punto di riferimento» da migliaia di imprenditori.
A partire dal 2007, negli anni in cui comincia la crisi finanziaria destinata ad affondare l’economia mondiale, era facile incrociare Artom ai convegni in cui i vip, o presunti tali, dibattono i problemi del mondo.
Al forum Ambrosetti di Cernobbio, per esempio. E anche a VeDrò, la convention estiva in Trentino promossa da Enrico Letta. «L’Italia diventi come la Apple, cioè design più tecnologie», questa la ricetta per il Paese consegnata da Artom all’uditorio di VeDrò nell’agosto del 2007. Perchè Steve Jobs, l’inventore del fenomeno Apple, genio assoluto del marketing dell’innovazione, è da sempre un modello e una fissazione per l’imprenditore reduce dalla disavventura di Netsystem.
Mentre si apre l’era dei social network, Artom si dedica anima e corpo a tessere una rete di relazioni ad alto livello. Il motore di tutto sono gli incontri che promuove nel salotto della sua residenza milanese ma anche altrove, sempre affollati di signore e signori del bel mondo all’ombra del Duomo. Le occasioni si moltiplicano. Ci sono le tartufate. E poi il Cenacolo, che vede il vip di turno raccontare la propria carriera a una platea di ospiti scelti.
Tra gli habituè di queste serate c’è il console statunitense a Milano Philip Reeker, che ha cambiato destinazione nel novembre dello scorso anno lasciandosi alle spalle un’infinità di foto in compagnia dell’amico Artom.
La svolta grillina dell’imprenditore social arriva nella primavera del 2013, all’indomani del primo successo elettorale dei Cinque stelle. L’incontro avviene nel segno di Confapri, il gruppo di imprenditori promosso da Massimo Colomban, l’industriale trevigiano che ha fatto fortuna con la Permasteelisa, azienda di costruzione poi ceduta a investitori stranieri.
Grazie alla mediazione di David Borrelli, destinato a sbarcare al Parlamento europeo nelle file del Movimento, la neonata associazione di Colomban apre le porte a Gianroberto Casaleggio, che sposa la causa degli artigiani e delle partite Iva in lotta contro lo Stato rapace.
Anche Artom si è messo in scia, promuovendo l’affettuoso abbraccio tra Confapri e il partito fondato da Grillo. È un’alleanza strategica, a tal punto che il fondatore di Permasteelisa a settembre 2016 è stato chiamato a Roma per fare l’assessore alle partecipazioni nella giunta di Virginia Raggi.
Colomban, insofferente per carattere alle mediazioni, l’estate scorsa ha abbandonato la capitale. Artom invece è ancora saldamente agganciato alla carovana dei Cinque stelle, che nel frattempo ha preso velocità .
In campagna elettorale Casaleggio junior ha fatto tappa nei salotti che contano, a Milano e anche a Roma, per promuovere tra imprenditori e finanzieri l’azienda di famiglia e il partito dell’aspirante premier Luigi Di Maio.
In queste occasioni è più volte spuntato il volto del consulente filo grillino, l’imprenditore che voleva essere Steve Jobs. E a modo suo ha finito per riuscirci, ma come attore, su un palcoscenico.
Al teatro Manzoni di Milano il 26 marzo scorso è andata in scena, per la serie “Incontri con la storia”, la rappresentazione di un finto processo al fondatore della Apple, con tanto di pubblico ministero e avvocati che lo difendevano dall’accusa di aver precipitato il mondo nell’alienazione da social network come effetto indotto dell’invenzione dell’i-Phone, il primo smartphone.
Alla fine del dibattito c’è stata anche una sentenza: imputato assolto. Applausi del folto pubblico. Artom, nei panni di Jobs, ha convinto tutti della sua innocenza. Per l’ennesima volta.
(da “L’Espresso”)
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Aprile 26th, 2018 Riccardo Fucile
E NON SI DICA CHE IL M5S NON FA DIMINUIRE LA DISOCCUPAZIONE
Il 5 marzo, all’indomani delle elezioni politiche, l’ex Iena Dino Giarrusso scriveva su Facebook: «Sono sicuro di avere fatto la scelta più giusta della mia vita a licenziarmi da Le Iene e candidarmi con il MoVimento Cinquestelle, e gioisco per dei risultati straordinari, che segnano una svolta storica nel nostro paese».
Giarrusso purtroppo non è entrato in Parlamento perchè è stato candidato, senza paracadute, in un collegio a suo dire “impossibile da vincere” (dove però alle amministrative 2016 aveva stravinto).
In un altro post, quello in cui annunciava la sua candidatura, Giarrusso rimarcava il fatto di essere senza “paracadute”.
Vale a dire che era candidato solo all’uninominale senza essere anche inserito nel listino bloccato del proporzionale.
«Mi pesa certo sospendere il mio lavoro a Le iene— spiegava Giarrusso a fan ed elettori — ma contrariamente a ciò che pensavo poco meno di un mese fa, credo che questo sia esattamente il momento storico più giusto per spendersi in prima persona e sostenere l’unica forza politica che può davvero cambiare in meglio la vita di tutti noi». Il M5S non ha ancora inizato a governare ma qualcosa di buono l’ha già fatto.
Almeno per Giarrusso che dopo l’addio alle Iene ha già trovato un posto nello staff del MoVimento 5 Stelle in Regione Lazio.
Manca solo la firma sul contratto, che non arriverà fino a che il consiglio regionale avrà approvato il bilancio.
A chiamarlo i Regione è stata Roberta Lombardi, una che di spese per lo staff se ne intende (quando era deputata la Faraona spendeva oltre 6mila euro al mese per lo staff).
Giarrusso quindi continua ad operare per il bene del Paese, mantenendo le promesse fatte agli elettori. Non più tardi di un mese fa infatti il pentastellato ricordava di aver promesso ai cittadini che non sarebbe sparito dopo il 4 marzo, a prescindere dal risultato elettorale.
La sensazione è che il nuovo lavoro di Giarrusso sia un po’ quel paracadute che è mancato alle elezioni del 4 marzo, il muto soccorso tra trombati, lo definisce un commentatore.
E le Iene probabilmente parlerebbero del “candidato riciclato” che per pura coincidenza trova un posto da staffista in Regione.
Per carità , anche come candidato Giarrusso era un ripiego, visto che inizialmente gli era stato preferito l’Ammiraglio Rinaldo Veri, che però aveva il problemino di essere già in carica al consiglio Comunale di Ortona (per giunta con una lista del PD).
Senza dimenticare di quando aveva rinunciato alla corsa per le Parlamentarie che davano accesso ad un posto nel listino proporzionale. Ma alle Parlamentarie il risultato era incerto, meglio un posto fisso (senza paracadute à§a va sans dire) all’uninominale, decisamente più prestigioso.
Ci sarebbe poi anche la questione della trasparenza (uno dei valori che grazie al M5S, spiegava la ex Iena tempo fa, stavano iniziando a tornare di moda assieme all’onestà ), in questi giorni Giarrusso non ha mai fatto cenno al fatto di essere stato chiamato dalla Lombardi e di aver accettato l’incarico.
Nulla si sa nemmeno riguardo al — sicuramente rigido e trasparente — sistema di selezione adottato dal M5S in Regione.
La deputata PD Alessia Rotta lo definisce un paracadutato a 5 Stelle ma lui non ci sta: «Penso di averne uno adeguato per occuparmi di comunicazione. E non ho bisogno di aiutini per lavorare». Emblematico però che il primo incarico di lavoro arrivi proprio grazie al MoVimento 5 Stelle.
Giarrusso insiste «Io non sono uno che ha bisogno di spinte per lavorare, pensate che è uscito in 100 sale il mio film». Non dice però che il film che esce oggi non è “suo” (lo dice en passant in un commento) ma che lui è uno dei cinque sceneggiatori.
Del resto Giarrusso ha molte doti ma la modestia non è tra queste visto che all’indomani della sua candidatura disse che «all’uninominale ci sono personalità di altissimo livello e io sono una di queste».
E Giarrusso evita accuratamente di menzionare il fatto che il lavoro sul film è roba vecchia che risale a diverso tempo prima delle elezioni, addirittura a “qualche anno fa”, come ha scritto su Facebook.
Per fortuna che qualcuno gli ha offerto un posto di lavoro in Regione.
E speriamo che se la cavi meglio di quella sera ad Otto e Mezzo, dove riuscì nella non facile impresa di far fare bella figura ad uno come Alessandro Gozi.
Last but not least in Regione Giarrusso troverà Davide Barillari al quale ricordiamo che il nuovo addetto alla comunicazione del M5S ha detto in televisione: «non sono assolutamente contrario ai vaccini obbligatori e penso che bisogna tutelare la salute dei cittadini».
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 26th, 2018 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI 30.000 EURO RICEVUTI PER LE REGIONALI DEL 2010, MASCHERATO DA UN FALSO SONDAGGIO
Una pena di 1 anno e 10 mesi di reclusione.
Questa la richiesta della procura di Roma nei confronti dell’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, imputato con l’accusa di finanziamento illecito nell’ambito del processo «Accenture» che vede alla sbarra anche altre sette persone.
La vicenda ruota intorno un presunto finanziamento illecito di 30 mila euro ricevuto per le elezioni regionali del 2010 mascherato da un falso sondaggio.
Secondo il pm Mario Palazzi il finanziamento, scaturito da false fatture, sarebbe stata impiegato per incaricare una società specializzata ad effettuare il falso sondaggio e portare a termine l’operazione di «telemarketing politico» a favore del listino dell’ex presidente della Regione Lazio, Renata Polverini.
L’ex Governatrice, indagata in un primo momento, è poi uscita dall’inchiesta con richiesta di archiviazione.
Lo stesso pm Palazzi nell’udienza di oggi ha chiesto di condannare Giuseppe Verardi, ex manager della società di consulenza Accenture a 3 anni e 8 mesi di reclusione; e i funzionari della stessa azienda Francesco Gadaleta, Roberto Sciortino e Massimo Alfonsi a 3 anni.
L’indagine prese le mosse da una denuncia presentata da Accenture dopo la scoperta di un giro di false fatturazioni.
(da agenzie)
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Aprile 26th, 2018 Riccardo Fucile
SOSTENITORI DEL PARTITO, EX CANDIDATI E “FIGLI DI”: ECCO PERCHE’ IN LIGURIA I LEGHISTI SONO VICINI A CHI ROVINA LE FAMIGLIE… TUTTI GLI UOMINI DI RIXI, SOTTO PROCESSO PER PECULATO
Perchè il centrodestra ligure sembra così poco attento al problema della ludopatia? Distrazione? Insensibilità al tema? No, si tratta di altro.
Dentro il principale partito della maggioranza, cioè la Lega Nord, i rapporti con il mondo delle slot sono cordiali e diretti. Fatti di nomi, cognomi, relazioni, voti.
E se è vero che il gioco d’azzardo distrugge e manda al lastrico numerose famiglie, allo stesso tempo sa anche (spesso) arricchire i gestori; o comunque tenere in piedi esercenti che grazie alle macchinette riescono a trovare fonti di guadagno ulteriori ed alternative.
Nei giorni scorsi è girata la foto di Flavio Di Muro, neo deputato e per anni capo di gabinetto della segreteria in Regione di Edoardo Rixi, sorridente e abbracciato a Raffaele Fasuolo della “Fun Seven” (20 dipendenti, una crescita annua del 30 per cento , una delle aziende italiane leader del settore del gioco; Fasuolo venne indagato per una evasione fiscale delle slot da due milioni di euro, ma il reato fu prescritto nel 2012).
Qualcuno ha storto la bocca, anche all’interno della stessa Lega, non Di Muro che ha genericamente parlato di normale relazione tra un esponente politico del territorio e un imprenditore.
Ma i rapporti tra lumbard e settore sono invece ben stretti.
Un anno fa l’allora assessore regionale al Commercio Rixi insieme al presidente Giovanni Toti andarono in Fiera ad un incontro della Federazione italiana tabaccai.
Lì promisero di non far entrare in vigore la legge regionale voluta dal centrosinistra nel 2012 e che poneva delle restrizioni alle macchinette: distanze minime da scuole e bancomat e il divieto di pubblicità ; in più si davano cinque anni di tempo agli esercenti – anni, non mesi – per adattarsi.
Le slot sì mangiano i soldi a parecchia gente, ma ai tabaccai interessa poco: in piena logica corporativa, a quegli introiti non ci vogliono certo rinunciare.
La parola data dal governatore è stata finora mantenuta. «Senza una proroga della legge regionale contro il gioco d’azzardo chiuderebbero tutte le aziende liguri del settore mettendo a rischio mille posti di lavoro diretti senza contare le tabaccherie e gli esercizi commerciali», fu il “grido di dolore” un anno fa del rappresentante dei gestori delle sale gioco liguri Marco Filippini in Consiglio regionale.
Filippini è il responsabile del settore per Confesercenti. E sa di quel che parla: oggi detiene il 25 per cento della Lge srl, capitale sociale di 100mila euro, 17 dipendenti, azienda che si occupa di “gestione e noleggio apparecchi da intrattenimento”, società in attività dal 2003.
L’amministratore unico dell’impresa si chiama Andrea Demartis; un altro socio (con il 25 per cento di quote) risponde al nome di Franco Demartis, coordinatore di Assogioco Genova; un terzo socio (altro 25 per cento) è Lino Demartis, militante della Lega Nord e candidato lo scorso anno al municipio Levante. Non eletto.
Il quale su Facebook se la prendeva con l’allora candidato sindaco del centrosinistra Gianni Crivello e con il Pd: «È contro le slot installate nei bar e nelle tabaccherie ignorando tutti gli altri giochi, forse perchè le slot nei bar sono gestite da piccoli imprenditori che operano sul territorio dando del lavoro a centinaia di persone e non da multinazionali del gioco…».
La retorica contro le multinazionali a difesa dello slot, sembra assurdo eppure. Comunque sia, la Lega da quelle parti dev’essere una passione che corre veloce come gettoni dentro una macchinetta.
Perchè anche il figlio di Filippini, Alessio, 25 anni, è nel Carroccio e anche lui tentò di candidarsi in Consiglio comunale.
«I nostri vicoli puliti sono il miglior biglietto da visita per i turisti in arrivo dai cinque continenti, ma lasciarlo in queste condizioni, sporco e degradato, è davvero uno spreco di risorse», ragionava in campagna elettorale.
Le malelingue raccontano di un investimento da migliaia di euro per cene e incontri elettorali per essere eletto a Tursi, purtroppo per lui invano.
Alla fine è risultato il primo dei non eletti, 198 preferenze.
Chi c’è invece a capo della Consulta sul gioco d’azzardo del Comune?
La leghista Francesca Corso, per anni impiegata nel gruppo in Regione del partito, quindi fedelissima di Rixi; l’obiettivo dell’organo permanente è, o sarebbe, quello di «rendere più incisiva l’azione a tutela dei cittadini in tema di azzardo».
Corso e Filippini hanno collaborato fianco a fianco durante la campagna elettorale dello scorso anno.
Su Facebook è facilmente reperibile la foto del ricevimento al Palazzo della torre («Antica residenza nobiliare sulla via Romana di Quarto, le stanze decorate con stucchi disegnano spazi privilegiati per accogliere sposi, incontri di rappresentanza ed eventi culturali», è scritto nella presentazione online del ristorante) con Marco Bucci e Rixi, in mezzo ci sono Filippini con il microfono in mano e la Corso accanto.
(da “La Repubblica”)
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