Aprile 20th, 2018 Riccardo Fucile
CAMPATA IN ARIA LA POSSIBILITA’ DI UN PREINCARICO A SALVINI CON UN CENTRODESTRA ALLA FRUTTA… FURBIZIE E SCENEGGIATE NON GRADITE AL COLLE
E adesso un paio di giorni di “riflessione”, per valutare la prossima mossa in questa crisi che pare infinita.
Perchè l’esplorazione è franata nell’ambito di una sceneggiata fatta di doppie parole e di doppi forni. E non certo per responsabilità della presidente del Senato, che Mattarella ha ringraziato per la correttezza con cui ha svolto il difficile compito. In parecchi, tra i frequentatori del Colle, hanno notato, come proprio la Casellati sia diventata l’ingiusto bersaglio di leader che, con una certa improvvisazione, hanno scaricato su di lei (dopo) malizie e calcoli strategici sbagliati (prima).
L’esplorazione è franata nelle “doppie parole” di Salvini che aveva chiesto a Di Maio di avviare un tavolo di programma assicurando che, prima o poi, Berlusconi avrebbe mollato.
E nei doppi forni del leader pentastellato, che ha sempre usato il forno democratico solo per mettere fretta al suo unico, vero interlocutore, ovvero Salvini.
In questa commedia degli equivoci accade che Di Maio apprende dalla voce della Casellati che Berlusconi non avrebbe mai fatto un passo indietro. E a quel punto Salvini scarica tutto sulla condotta della Casellati.
Non proprio la condotta responsabile, corretta, rispettosa delle istituzioni che richiederebbe la situazione, col paese senza un governo e nemmeno senza una trattativa degna di questo nome a quasi 50 giorni dal voto.
E se c’è un punto fermo nel ragionamento di Mattarella è che il primo petalo della margherita delle opzioni è caduto: l’esplorazione fallita ha chiuso lo schema della trattativa tra centrodestra e Cinque Stelle.
Prima ancora che il centrodestra andasse in frantumi nelle dichiarazioni di giornata di Berlusconi e Salvini su “cessi” e alleanze, evocazioni del pericolo democratico a cinque stelle e strali contro il Pd.
E prima ancora che la trattativa (intesa come sentenza nel processo Stato-Mafia) piombasse sulla trattativa (intesa come negoziato sul governo).
Quell’ipotesi non c’è più. E con essa appare campata per aria la richiesta di avere un incarico, più propagandistica che reale, da parte di Salvini.
Perchè non si capisce come potrebbe riuscire dove la Casellati è fallita, visto che il quadro, semmai, è peggiorato.
Paradossalmente, ma neanche troppo, il macigno Berlusconi è diventato un elemento di chiarezza.
La sua storia ingombrante rievocata con la condanna di Dell’Utri ha favorito e favorisce una verifica nella verifica. Perchè è chiaro che azzera i bizantinismi politicisti dei due vincitori dimezzati, su appoggi esterni, sostegno senza entrare nel governo, passi di lato e passi indietro.
La sentenza – storica – dice che non solo la Trattativa tra Cosa nostra e pezzi dello Stato c’è stata, ma che ad averla fatta sono stati i boss mafiosi, tre alti ufficiali dei carabinieri e il fondatore di Forza Italia. Marcello Dell’Utri è in pratica l’uomo cerniera, la cinghia del volere mafioso nei confronti del governo presieduto da Berlusconi che si insedia nel ’94.
È evidente l’impatto di questa sentenza sulle consultazioni, dopo il fallimento conclamato dell’esplorazione.
Per i Cinque Stelle, ormai, è l’ora delle decisioni, nel senso che o Salvini rompe con Berlusconi o non ci sono più le condizioni per procedere.
E, al netto della propaganda, tutta l’incertezza della Lega e la prudenza a trasformare in strappo l’insofferenza verso l’alleato sta qui: anche se rompesse, Salvini si presenterebbe alla trattativa con Di Maio in posizione di debolezza, senza l’intero centrodestra, col suo 17 per cento e senza poter richiedere un incarico che, a quel punto, andrebbe a Di Maio.
Ecco. Se ci sarà un fatto nuovo, evidente, in grado di rappresentare l’innesco di un negoziato serio di governo Mattarella non potrà non tenerne conto.
Se ad esempio Salvini dicesse che l’alleanza con Berlusconi è rotta ed è disponibile a un governo con Di Maio.
O se dal Pd arrivasse la certificazione di una disponibilità a un governo con i Cinque Stelle (ipotesi ancor più improbabile).
Se fatti nuovi non ci saranno il Quirinale certo non asseconderà le furbizie tattiche e le sceneggiate di leader che litigano di giorno evocando il voto per poi ricominciare a parlare di notte su un eventuale assetto di governo.
È nelle cose un nuovo incarico esplorativo al presidente della Camera Roberto Fico, con un perimetro diverso.
Ed è proprio questo l’oggetto della riflessione dei prossimi giorni: se conferire un mandato “totale” o circoscritto solo a Pd e Cinque Stelle. Non è un dettaglio.
E non è un dettaglio neanche che un punto fermo è stato comunque messo perchè di fatto la prossima settimana si chiude la finestra del voto a giugno, eventualità che il capo dello Stato ha escluso sin dal primo momento.
L’altra che è esclusa è ottobre, perchè non è immaginabile che il paese possa precipitare verso elezioni anticipate quando va fatta la manovra economica.
Un governo va comunque fatto, anche per riportare il paese al voto in maniera ordinata.
Arriverà il momento in cui il capo dello Stato compirà la sua scelta solitaria offrendo un nome a forze politiche che non sono state in grado di rispondere alle attese dei cittadini.
E nessuno a quel punto potrà dire che è un golpe, perchè Mattarella le avrà provate tutte, ma proprio tutte.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 20th, 2018 Riccardo Fucile
L’NCIUCIO PREVEDE DI ATTENDERE IL VOTO IN FRIULI E ADDOSSARE LA RESPONSABILITA’ DELLA ROTTURA A FORZA ITALIA
Matteo Salvini, indirettamente e dosando bene le parole, ha chiesto tempo.
Tempo perchè la sentenza Stato mafia conficca un paletto robusto, che apre crepe profonde nella sottile lastra di vetro sulla quale si muovono le interlocuzioni per il futuro governo. Ma ancora non la manda in frantumi.
Nella girandola di messaggi intercorsa tra il segretario della Lega e Luigi Di Maio (prima che la corte di Palermo si pronunciasse), le posizioni sono rimaste interlocutorie.
Per il cortocircuito di ieri, certo. Ma soprattutto dopo le notizie arrivate dalla Sicilia, è stato tirato il freno a mano. Il capo politico dei 5 stelle ha lanciato nella rete un tweet tanto netto quanto prudente: “La trattativa Stato-mafia c’è stata. Con le condanne di oggi muore definitivamente la Seconda Repubblica”.
Roberto Fico gli ha fatto eco su Facebook: “Giorno di straordinario valore morale”. Ma un primo dato politico è stato registrato: la combinazione tra gli insulti mattutini (“I 5 stelle a Mediaset pulirebbero i cessi”) e la dura condanna comminata al sodale Marcello Dell’Utri, ha posto una pietra tombale su qualsiasi possibile dialogo con Forza Italia.
Cade la presenza al tavolo programmatico, anche fosse per interposto Salvini, frana qualsivoglia ipotesi di appoggio esterno.
“La sentenza di Palermo è molto più grave delle intemerate di Berlusconi — ragiona una fonte vicina al leader — Lì non si tratta di intemerate, ma della politica che è stata connivente a Cosa Nostra”.
Se questo è un dato di fatto, confermato da tutti i colonnelli dell’ex vicepresidente della Camera, la nettezza si trasforma in cautela sul quadro che ruota intorno al punto fermo del muro eretto in faccia al presidente degli Azzurri.
Perchè gli sherpa del Carroccio hanno sì spiegato che la giornata ha scavato un solco non secondario fra i due azionisti di maggioranza del centrodestra, ma che i tempi per una rottura non sono ancora maturi. I segnali che arrivano identificano come deadline il voto in Friuli Venezia Giulia della settimana prossima.
Così parte l’ordine di scuderia: nervi saldi, non si ceda a provocazioni.
Un bombardamento sul leader di Forza Italia servirebbe solamente a ricompattare la fisarmonica degli umori della coalizione avversaria. La tattica impone una prudenza che non significa silenzio, ma si declina nel misurare numero e toni di repliche e attacchi.
L’ipotesi di un governo con il Partito democratico, dunque, ridiventa improvvisamente del tutto residuale. E si riaccendono i fari puntati verso il governo gialloverde.
Prima di partire per il rush finale in Molise, Di Maio ha incontrato il professor Giacinto della Cananea, con il quale ha messo a punto le basi del contratto di governo proposto qualche settimana fa.
“Ora Salvini decida”, ha scritto in serata Riccardo Fraccaro. I tempi non sono ancora maturi. Ma l’estate del governosi sta avvicinando. E la speranza dei vertici stellati è si possa arrivare a cogliere il frutto in tempi ragionevoli.
“Le elezioni in Friuli? — si domanda un colonnello M5s — Se è quello il problema aspetteremo”. Per la prima volta la strada sembra in lieve discesa.
Sergio Mattarella permettendo. Dopotutto è lui il guardiano del frutteto.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 20th, 2018 Riccardo Fucile
CHI AVEVA VOTATO PER IL CAMBIAMENTO SI RITROVA NELLA CRISI DEI VETI E DELLE MANOVRE
L’incarico lampo a Maria Elisabetta Alberti Casellati, il secondo a una donna a più di trent’anni di distanza dal primo a Nilde Iotti, presidente della Camera spedita a esplorare dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga, testimonia la disponibilità di Sergio Mattarella di sperimentare strade inedite, purchè se ne presentasse l’opportunità .
Il risultato consegna l’immagine di un invecchiamento precoce della XVIII legislatura repubblicana e dei vincitori del 4 marzo, Luigi Di Maio e Matteo Salvini.
Com’è stato evidente al cronista che si è affacciato nelle aule parlamentari durante il dibattito sull’intervento anglo-franco-americano in Siria.
Un’aula pesta, dal color sabbia della pioggia di questi giorni.
Sui banchi del governo, la vecchia squadra mai andata a casa, transitata da un Parlamento all’altro. Con molti ministri caduti della battaglia elettorale che portavano addosso le ferite della Waterloo democratica.
Massimo De Vincenti (non eletto) con le mani a tormentarsi il volto, Giuliano Poletti affaccendato e smarrito, Gianluca Galletti con le mani sul banco, Marco Minniti impietrito, Roberta Pinotti consapevole, Andrea Orlando diligente.
E poi Marianna Madia e Beatrice Lorenzin, il sottosegretario Enzo Amendola, non più deputato, e Maria Elena Boschi
E i seggi del Pd ristretti, maschilizzati, con intere file occupate da soli uomini (Graziano Delrio, Piero Fassino, Maurizio Martina), in alto la pattuglia degli iper-renziani romani, Luciano Nobili, Michele Anzaldi, Filippo Sensi.
In mezzo, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, a parlare di Siria, Iran, Usa e Russia, Germania, Francia e Europa, a braccio, senza appunti, muovendosi da padrone assoluto della materia, appariva un sopravvissuto, qualcuno che sarà in seguito rimpianto, parlava della crisi internazionale: «L’Italia non è un paese che si cambia l’alleato di volta in volta», a proposito della fedeltà atlantica che è una «scelta di campo, la nostra scelta di campo», e non varia «da Nixon a Kennedy, da Bush a Clinton a Obama» e a Trump, ovviamente. «Io, in questa vicenda, di ragionevolezza ne ho vista ben poca…».
Gentiloni parlava di Siria e delle sue alleanze mobili, le astuzie di Assad, i voltafaccia di Trump, la smania di grandeur del piccolo Macron, e i piani di Erdogan, i tripli giochi dei sauditi, la guerra-ombra di Israele e Iran.
Ma più andava avanti, il presidente del Consiglio, più sembrava riferirsi alla crisi di casa nostra. «Non c’è ricostruzione senza transizione», ha sospirato a un certo punto. E noi qui siamo, nel momento più difficile e pericoloso, nella transizione.
In una terra di mezzo e di nessuno: dove il governo vecchio non è ancora scomparso e il governo nuovo non si è ancora visto.
Si capiva dalle incertezze degli applausi. Timidi e riservati soltanto all’oratore del gruppo di appartenenza. Con un centro-destra unito sotto le bandiere dell’unico leader riconosciuto da tutti, si direbbe: nè Berlusconi nè Salvini, ma Vladimir Putin.
«La Russia è parte della nostra storia, è inaccettabile questa russofobia degna dell’Ottocento!», tuonava Guglielmo Picchi della Lega, già deputato-peone di Forza Italia.
Giorgia Meloni attaccava «gli interessi geo-politici» degli alleati, l’Europa «presente solo quando si tratta di fare bullismo sulle popolazioni dell’Aquila», Forza Italia faceva intervenire Valentino Valentini, l’interprete in russo di Berlusconi negli incontri con Putin (ma una volta raccontò che traduce l’ex spia sovietica dal tedesco), unico testimone dei mille incontri riservati tra il Cavaliere e lo Zar.
E in tutto questo l’altro vincitore del 4 marzo, il partito del Cambiamento, il Movimento 5 Stelle, si rifugiava nel politichese, salvo ripetere un mantra speranzoso: «Questo Paese ha bisogno di un nuovo esecutivo».
Sì, ma quale? I vincitori del 4 marzo, M5S e Lega, quelli che si sono auto-proclamati così, sono finiti nella palude dei veti incrociati. Non hanno i numeri per fare la maggioranza, effetto avvelenato ma previsto della legge elettorale Rosatellum.
I perdenti, Forza Italia di Silvio Berlusconi e il Pd di Matteo Renzi, possono esercitare il ruolo: da fare interdizione contro soluzioni che li escludano, come ha consigliato Gianni Letta all’uomo di Arcore fino a questo momento, a rinchiudersi in una posizione di opposizione, come ha imposto il dimissionario Renzi al Pd, in attesa degli eventi. L’incarico alla Casellati è la conferma dell’impasse.
La coppia dei vincitori sembrava destinata a conquistare tutto: presidenti delle Camere, nuovo governo, Csm, Rai.
Sembrava, perchè era un’illusione ottica motivata dall’immobilismo del Pd e dalla caduta libera dei commensali di Palazzo Grazioli.
Si attendono le elezioni regionali. Si aspetta che succeda qualcosa nel campo avversario, una strategia più alla Kutuzov che alla Napoleone.
Ma intanto, per una eterogenesi dei fini, sono costretti ad avanzare nel campo nemico, finire nel rischio del trappolone che avevano organizzato per i loro avversari.
E in questa avanzata sono costretti ad assumere le vesti, le movenze, gli argomenti del sistema che hanno proclamato di voler sostituire.
La metamorfosi è evidente nel caso del Movimento 5 Stelle. E non riguarda soltanto la miracolosa trasmutazione del programma elettorale rivelata dal “Foglio”, dai toni anti-Nato alla ben più moderata richiesta di un «adeguamento dell’Alleanza Atlantica (Nato) al nuovo contesto multilaterale», su cui tutti possono convenire, e al tentativo di difendersi richiamando questioni di impostazione grafica.
Non ci sarebbe nulla di cui vergognarsi, in realtà . Quarant’anni fa, e più, il Partito comunista guidato da Enrico Berlinguer firmò una mozione parlamentare con gli altri partiti che definiva la Nato «termine fondamentale di riferimento» della politica estera italiana.
Un voto esaltato da Ugo La Malfa, da Giulio Andreotti e da Aldo Moro, un atto ufficiale del Parlamento che contava molto di più di qualche acrobazia verbale o tipografica in un programma elettorale, ma era il passaggio con cui il Pci, nato dalla rivoluzione sovietica e incasellato nello schieramento opposto all’Occidente guidato da Mosca, accettava di inserirsi nell’area del sistema come premessa fondamentale per aspirare a un ruolo di governo.
Così Di Maio si sta dando da fare per rassicurare cancellerie internazionali, gerarchie militari, presidenza della Repubblica, fino a compiere in poche settimane un percorso di conversione spettacolare.
Se qualcuno chiedesse oggi qual è il partito che più di ogni altro in Parlamento rappresenta la visione del Quirinale, il trasversale partito del Presidente che sempre si manifesta soprattutto nelle situazioni di crisi, la conclusione paradossale sarebbe che quel partito esiste ma non è il Pd, indocile e riottoso a farsi trascinare sulle strade indicate dal Colle che portano a uscire dalla posizione dell’Aventino, quel partito è il Movimento 5 Stelle, pronto a tutto pur di non perdere l’istante, il momentum che porta Di Maio a Palazzo Chigi.
M5S si muove anche su fronti meno visibili.
Su quello dei poteri economici, per esempio. Con argomenti che suonano familiari ai vertici delle aziende partecipate dallo Stato (Eni, Enel, Leonardo-Finmeccanica): una difesa sovranista degli interessi nazionali, che passa anche per la fine della stagione delle privatizzazioni, ma anche per una blindatura delle aziende rispetto alle inchieste della magistratura.
Discorsi simili a quelli che vanno facendo gli uomini di Salvini. E per M5S è un’altra svolta.
Un percorso simile lo sta compiendo la Lega con un gioco di squadra che vede Salvini irrompere nelle linee avversarie (ovvero nell’elettorato di Forza Italia) e Giancarlo Giorgetti esercitare una regia rassicurante per mondi internazionali e economici .
Così la Lega mette in campo la sua natura anfibia di partito-movimento, solido e tetragono, organizzato come un esercito, chiuso a testuggine, ma anche agile nella manovra e capace di trasformarsi senza perdere pezzi per strada, nè di elettorato nè di identità .
E M5S, specularmente, è un movimento-partito, magmatico, con una classe dirigente che si fa e si disfa come sabbia nel deserto, e al tempo stesso è guidato dal centralismo della Casaleggio e della piattaforma Rousseau, i detentori del potere che possono operare ogni svolta e ogni trasformazione, senza pagare un prezzo elettorale o contestazioni dei militanti, almeno per ora.
Dopo il tentativo della presidente Casellati è arrivato il momento del cambio di marcia, operato con la mano invisibile del presidente Mattarella.
Che prevede l’accompagnamento del Movimento 5 Stelle fino alla rottura dell’ultimo tabù. Il cambio di alleanze, dalla Lega di Salvini, una prospettiva precocemente invecchiata, al giro con il Pd, a sua volta chiamato ad abbandonare l’opposizione a tutti i costi.
Il cambio di mentalità , che vale più di quattro parole corrette in un programma sconosciuto. E forse il cambio di candidato, dal capo politico Di Maio al nome istituzionale del presidente della Camera Roberto Fico. La disponibilità a mettere in gioco i voti, i talenti ricevuti. Uno vale uno, dicevano nel Movimento un tempo, quando contava solo Beppe Grillo e gli altri erano inter-scambiabili. Ora M5S deve testimoniare la validità di quell’antico assioma. Perchè altrimenti il governo del Cambiamento finirebbe per assomigliare al trasformismo di sempre.
(da “L’Espresso”)
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Aprile 20th, 2018 Riccardo Fucile
“DEVE ESSERE RIMOSSO DALL’INCARICO”… SUL SUO PROFILO FB SIMBOLI NAZISTI
In principio furono i neonazisti Do.Ra. di Varese, che il 20 aprile, dal 2013, festeggiano l’anniversario della nascista di Adolf Hitler con un concerto.
Ma negli ultimi anni la moda di celebrare il genetliaco del Fuhrer è diventata una inquietante abitudine da parte di gruppi neonazi o di singoli cittadini.
L’ultimo caso riguarda Felice Spicocchi, vice preside dell’Istituto Tecnico Agrario Celso Ulpiani di Ascoli Piceno. Sul suo profilo ha pubblicato un post (poi rimosso) con scritto: “Centoventinove auguri di buon compleanno”.
Il possibile riferimento, che appare quasi scontato, è ad Adolf Hitler, nato proprio 129 anni fa, il 20 aprile 1889, a Braunau am Inn, in Austria.
Il caso è stato sollevato dal Comitato Antirazzisti del Piceno, che in un comunicato ha sottolineato la gravità dell’episodio: ancor più spiacevole visto che l’autore del post nostalgico è, appunto, un dirigente scolastico.
“L’Italia è una Repubblica democratica e la sua scuola pubblica ha tra i suoi compiti quello di educare al valore e significato dei principi su cui si fonda la Costituzione di questo paese – si legge nella nota del comitato – Non deve dunque esistere alcun ruolo pubblico per chi non solo disconosce i principi basilari e fondanti del convivere democratico, ma addirittura manifesta aperta simpatia con l’emblema incarnato della negazione non solo di tutti i principi democratici che ci identificano, ma addirittura dei diritti umani”. Ad Ascoli la vicenda sta crendo polemiche.
Vista la malaparata, Spicocchi ha provveduto a rimuovere il post: ma il testo è stato “catturato” da chi ha portato alla luce il caso.
Travolto dalle critiche il docente ha tentato di salvare la faccia: “Non volevo fare gli auguri a Hitler ma ad un fotografo tedesco nato 129 anni fa. Stamattina mi è venuta la ‘brillante idea di fare gli auguri di buon compleanno a Colmar Walter Hahn, artista e fotografo nato il 20 aprile 1889 a Berlino. Chi conosce l’artista e sa di cosa stavo parlando, ha infatti commentato ‘tanti auguri allo zio di Berlino’ e ho messo anche un like al commento. Dopodichè si è scatenato l’inferno”.
Un tentativo di autodifesa poco credibile, dato che le immagini di simboli nazisti abbondano sul sul profilo Facebook sono inequivocabili su quale fosse il reale destinatario degli auguri.
E adesso il Comitato Antirazzisti chiede immediato provvedimenti nei confronti del vicepreside. “Il secondo collaboratore dell’Istituto di Agraria deve essere coerente con la sua visione malata e criminale del mondo e lasciare il suo ruolo di educatore immediatamente, per manifesta incompatibilità di principio. Altrimenti siano le autorità a cancellare a buon diritto l’onta di una tale compatibilità da una scuola di questa Repubblica, a garanzia dei suoi valori fondanti”.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 20th, 2018 Riccardo Fucile
INTERVISTA ALL’EX PROCURATORE NAZIONALE ANTIMAFIA ROBERTI
È contento della sentenza di Palermo, Franco Roberti, ex Procuratore Nazionale antimafia che ha seguito passo passo le indagini della Procura di Palermo sulla trattativa Stato-Mafia, nell’arco di questi anni, essendo stato nominato dal CSM il 25 luglio 2013, fino al suo pensionamento avvenuto lo scorso 16 novembre 2017.
“Sono lieto che sia stato riconosciuta dalla Corte di assise palermitana la fondatezza dell’impianto accusatorio. La sentenza mi conforta. Laicamente ho sempre sostenuto che fosse doveroso cercare la verità fino in fondo e senza riguardi per nessuno”.
Le condanne sono state pesanti. Anche per Marcello Dell’Utri.
“Il punto non è solo vedere le singole posizioni processali o le singole condanne, che potrebbero essere riformate in appello. Leggeremo tra qualche tempo le motivazioni della sentenza. Quello che mi preme sottolineare è che la ricostruzione complessiva di quanto è avvenuto, portata avanti dai pubblici ministeri, è stata confermata dalla sentenza. Questo è un dato molto importante”.
Il pm Nino Di Matteo ha parlato di sentenza storica. Condivide?
“Senz’altro: è una sentenza storica, non c’è alcun dubbio su questo”.
Perchè?
“Perchè aiuterà a capire quello che è successo in Italia nei primi anni Novanta. E che tanto pesa ancora oggi sullo sviluppo democratico del nostro Paese. Sono stato io che ho applicato il sostituto procuratore nazionale antimafia Di Matteo, insieme al collega Francesco Del Bene, al processo sulla trattativa Stato-mafia, in modo che anche dopo la sua nomina a Roma potesse continuare il suo lavoro e il nuovo incarico non fosse considerato una fuga da quel processo”.
Questa sentenza segnerà veramente la fine della seconda Repubblica come ha dichiarato il leader M5S Di Maio?
“Oggi c’è fame e sete di chiarezza e di verità per permettere all’Italia di andare avanti. Tragedie come quelle di Aldo Moro o le stragi di mafia – con i loro lati ancora oscuri – continuano a pesare sullo sviluppo democratico del nostro Paese. La sentenza di Palermo è fondamentale perchè può costituire l’inizio di un percorso di ricerca della verità sulle complicità esterne ai gruppi criminali, ancora non accertate”.
Il coordinatore del pool dei pubblici ministeri, Vittorio Teresi ha dedicato questa sentenza a Paolo Borsellino, perchè Borsellino?
“Il 18 luglio dell’anno scorso, in occasione della commemorazione davanti al Consiglio superiore della Magistratura del venticinquesimo anniversario della strage di via D’Amelio, ho sostenuto in presenza del Capo dello Stato che la decisione di uccidere Borsellino fu accelerata proprio perchè egli sarebbe stato d’ostacolo alla trattativa Stato- mafia, appena avviata dopo la strage di Capaci. Tanto più Borsellino se fosse divenuto Procuratore nazionale antimafia, dopo la morte di Giovanni Falcone. Borsellino era percepito come un macigno sulla strada della trattativa: ecco perchè Cosa nostra decise subito di ricorrere ad una nuova strage. Borsellino si sarebbe certamente opposto alla trattativa, da qui la necessità di ricorrere a un secondo clamoroso delitto in così breve tempo”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 20th, 2018 Riccardo Fucile
L’ATTRICE ISRAELO-AMERICANA NON ANDRA’ A RITIRARE IL PREMIO GENESIS: “GLI ULTIMI AVVENIMENTI TROPPO DOLOROSI”
L’attrice e produttrice israelo-americana Natalie Portman ha fatto sapere che non andrà in Israele a giugno a ritirare il ‘Premio Genesis’ (definito il ‘Nobel ebraico’) a “causa di recenti avvenimenti” nel paese. La cerimonia è stata cancellata.
Un rappresentante di Portman – citato dal Genesis – ha spiegato che “recenti avvenimenti in Israele sono stati estremamente dolorosi per lei”. Il ministro della cultura Miri Regev ha detto che l’attrice “ha ceduto alle pressioni del Bds”, movimento boicottaggio di Israele.
Sempre secondo il ‘Genesis’ l’attrice ha fatto sapere che proprio per i recenti avvenimenti in Israele – che tuttavia non ha precisato – “non si sente a suo agio a partecipare ad alcun vento pubblico in Israele” e che per questo “non può in tutta coscienza andare avanti con la cerimonia”.
Il premio in un comunicato – citato dai media – ha sostenuto a proposito della cancellazione della cerimonia “di temere che la decisione di Portman causerà alla nostra iniziativa filantropica una politicizzazione per evitare la quale abbiamo lavorato duramente negli ultimi cinque anni”.
Il premio è stato assegnato lo scorso anno all’architetto e scultore inglese di origine indiana Anish Kapoor, nel 2016 al violinista e direttore d’orchestra israeliano Yitzhak Perlman e nel 2015 all’attore americano Michael Douglas.
Portman – che è nata a Gerusalemme ed è stata in seguito naturalizzata cittadina americana – ha prodotto e interpretato tra gli altri il film ‘Sognare è vivere’ tratto dal romanzo di Amos Oz ‘Una storia di amore e di tenebra’.
(da agenzie)
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Aprile 20th, 2018 Riccardo Fucile
DA QUANDO IL GIOVANE HA DENUNCIATO I MAFIOSI DEL PIZZO I CLIENTI NON FREQUENTANO PIU’ IL SUO BAR A PALERMO ED E’ COSTRETTO A CHIUDERE… SIA LE ISTITUZIONI CHE GLI ITALIANI COLLUSI E VIGLIACCHI NON LO AIUTANO
Apre un bar al Borgo vecchio di Palermo senza chiedere protezione alla mafia ed entra nel mirino di Cosa nostra, che lo intimidisce per imporgli il pizzo.
Lui però non ha di che pagare, si ribella: denuncia gli estorsori, conferma le accuse davanti ai giudici e li fa condannare.
Sembrerebbe la conclusione e invece è solo l’inizio di una storia allucinante.
Ne è protagonista suo malgrado un piccolo imprenditore siciliano, Daniele Ventura, che ha inviato a Business Insider Italia una lettera accorata.
All’epoca dei fatti Daniele ha appena ventisette anni, è poco più che un ragazzo. Oggi è prossimo ai trentaquattro. E di questa storia sconvolgente e purtroppo non nuova per Palermo porta dentro di sè segni indelebili.
Al Borgo vecchio, alle spalle del teatro Politeama, Daniele Ventura apre nel 2011 un locale dal nome esotico: New paradise, uno di quei locali dove i palermitani si accalcano all’ora del pranzo, che fa contemporaneamente da bar, tavola calda e ristorante.
Gli affari partono in quarta, il bar è frequentato, la clientela aumenta, le cose non potrebbero andare meglio, finchè non si scopre che il giovane imprenditore è andato a denunciare i mafiosi all’autorità giudiziaria.
Da quel momento Daniele diventa una specie di appestato. Tutto ad un tratto i clienti lo abbandonano, gli abitanti e i commercianti del Borgo lo emarginano come se le regole mafiose dell’omertà , del rispetto e della sottomissione abbiano, nel tessuto sociale della città , un radicamento più profondo e più forte degli stessi mafiosi.
Questa storia Daniele ora la racconta in un libro, un volumetto appena uscito, semplice, di qualche decina di pagine, senza pretese letterarie nè saggistiche, che ha il valore di una testimonianza civile.
Scrive: “Era il 2010 e io, ragazzo disoccupato, diplomato in ragioneria, dopo aver svolto diversi lavoretti e provato invano di entrare all’università … come molti giovani della mia età mi ritrovavo alla ricerca di un lavoro, ma la disoccupazione mi spinse verso il mio grande sogno: diventare imprenditore nella mia Palermo”.
Daniele cresce con il padre e la madre a Brancaccio, dove nel 1993 i fratelli Graviano ordinano l’omicidio di don Pino Puglisi, il parroco che si batte per sottrarre i bambini e i ragazzi del quartiere alla manovalanza mafiosa.
“Da piccolo non potevo scendere giù in strada a giocare con gli altri bambini, perchè mentre noi, famiglia semplice, cattolica, vivevamo nella legalità , i nostri vicini avevamo uno o più parenti in galera o agli arresti domiciliari, e la situazione nei dintorni del palazzo dove abitavamo non era affatto tranquilla”.
Dopo il liceo non riesce ad iscriversi all’università .
Matura così l’idea di una piccola intrapresa. Ottiene da Invitalia (braccio del ministero dell’Economia per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa) un finanziamento europeo di 98mila euro, parte a credito e parte a fondo perduto; altri 58mila euro li raccoglie in famiglia e dalla fidanzata.
E nel 2011 apre questo locale su due livelli con quaranta posti a sedere e due begli affacci all’angolo tra via Principe di Scordia e via ammiraglio Gravina.
Tutto fila liscio fino al giorno in cui alcuni loschi figuri che risulteranno legati all’organizzazione criminale non gli piombano nel bar: “Purtroppo Cosa nostra stava bussando alla mia porta… Mi affidai alla giustizia e cominciai a raccontare ai Carabinieri ciò che mi era accaduto … Riconobbi i due che mi avevano minacciato e quello a cui avevo pagato il pizzo … mi dissero che le mie denunce erano fondamentali per fare pulizia ed estinguere il mandamento mafioso di Porta nuova”.
La paura, il terrore che la sua famiglia possa subire ritorsioni, lo gettano nello sconforto più cupo. Ma gli inquirenti lo tranquillizzano: gli assicurano “che da lì a poco avrebbero fatto una retata arrestando i responsabili” e che il suo nome “non sarebbe stato fatto circolare … Pochi giorni dopo arrivai al locale di prima mattina e i commercianti della zona mi dissero che avevano saputo delle mie denunce dagli organi di stampa, … che avevo fatto male a denunciare”.
La notizia dell’operazione Hybris (39 arresti tra mandanti ed esecutori), coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, era divenuta di pubblico dominio.
E negli articoli dei giornali e nei servizi televisivi, anche se il nome di Daniele non compariva, compariva quello del locale. Piuttosto che la solidarietà , il ragazzo sperimenta e subisce l’ostracismo del quartiere.
Nonostante tutto Daniele non ritratta, porta avanti le accuse fino al processo sottoponendosi al faccia a faccia con gli estorsori.
Nel frattempo “i clienti che mi ero fatto preferivano frequentare altri locali e camminavano sul marciapiede di fronte, non volevano neanche passare dallo stesso lato del bar”. Non c’è più denaro per l’affitto, per l’elettricità , per l’acqua.
Dopo essere riuscito a scampare al taglieggiamento mafioso, Daniele è di fatto strangolato da un contesto sociale e economico connivente: “All’improvviso mi trovai costretto a fare un secondo lavoro per poter pagare i dipendenti, i sabato sera iniziarono a essere deserti, i catering svanirono e le feste di compleanno scemarono … La banca mi chiuse il conto e mi ritirò il libretto degli assegni: ormai ero assediato … Tenni duro, ma un giorno trovai i lucchetti di entrambe le saracinesche del locale danneggiati ed era impossibile aprirli: un chiaro segnale che io lì non ci dovevo più stare … Dissi basta e il 30 giugno 2012 chiusi l’attività , cercando di fare il possibile per risanare i debiti … Cominciai a fare qualsiasi lavoretto in nero”.
Ad assisterlo durante il processo sono gli avvocati di Addiopizzo.
I legali del movimento per la lotta contro il racket azionano attraverso la Consap (la Spa concessionaria dei servizi assicurativi pubblici) il fondo di solidarietà per le vittime dei reati di mafia, che gli eroga 30mila euro.
Non riescono invece a fargli avere i 20mila euro di risarcimento del danno che il giudice gli ha riconosciuto (in via provvisionale) con la sentenza di primo grado e che dovrebbe versargli la stessa Consap.
Sarà un servizio di denuncia di Stefania Petyx per “Striscia la notizia” a sbloccare l’intoppo burocratico
Daniele utilizza questi soldi per alleggerire i debiti, ma il problema grave, adesso che ha moglie e un figlio di tre anni a carico, è la perdita del lavoro come conseguenza sociale della collaborazione con i magistrati.
“La gente da uno che denuncia non ci va — scrive nella lettera a Business Insider Italia — ed è dalla metà del 2013 che non so come andare avanti. Sono disperato, mi sento abbandonato. Denunciare la mafia non mi è convenuto, mi è stata tolta la dignità e la speranza”.
Questa è la parte più triste e penosa del racconto.
Per ritrovare il lavoro perduto Daniele crede di poter contare sui rappresentanti delle istituzioni e sulle alte cariche dello Stato, ma il risultato è sconfortante.
Come ci racconta nel corso di una lunga telefonata, la presidenza della Regione siciliana dell’era Crocetta lo rinvia al sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che si limita a riceverlo; con l’attuale governatore, Nello Musumeci, ex presidente della Commissione regionale antimafia, dopo un contatto via Messenger e varie mail e raccomandate non riesce nemmeno a parlare; la presidenza della Repubblica lo rimanda alla Procura di Palermo; la presidente della Camera Laura Boldrini lo cerca per un generico messaggio di solidarietà dopo la messa in onda del servizio di Stefania Petyx; e la presidenza del Consiglio (Matteo Renzi capo del governo) lo indirizza ad Addiopizzo come se un’associazione antimafia fosse un’agenzia di collocamento.
Le conclusioni sono disperate, di un pessimismo apparentemente senza scampo
“Non mi posso fidare di questo Stato, oggi mi vergogno di essere italiano e siciliano, mi vergogno di dover vivere con le mie paure e di essere inseguito da debiti maturati non per colpa mia, mi vergogno di essere disoccupato nonostante un lavoro me lo sia creato, un lavoro che prima delle mie denunce stavo riuscendo a far decollare. Mi vergogno di dover fare qualsiasi lavoro in nero mi capiti … Oggi mi chiedo solamente da che parte stia lo Stato, se dalla parte di chi denuncia la mafia oppure dalla parte dei mafiosi … Voglio continuare a lottare perchè sarebbe troppo facile e da codardi dire ‘basta’, e darei solamente una soddisfazione in più a uno Stato assente e complice”.
(da “Business Insider”)
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Aprile 20th, 2018 Riccardo Fucile
TRA I PROTAGONISTI DELLA COLLABORAZIONE INTERNAZIONALE SULLE ONDE GRAVITAZIONALI
«A tra poco. Sto andando a prendere i bambini all’asilo».
Una delle 100 personalità al top del mondo, secondo la rivista «Time», mi risponde così e la sua voce squillante si materializza, puntuale, dopo mezz’ora.
Diego e Damian, tre anni e un anno e mezzo, sono a casa, ma presto potrebbero ripartire per qualche laboratorio, in Europa o negli Usa, accompagnati dalla mamma, Marica Branchesi, e dal papà , Jan Harms.
Quarantunenne professoressa al Gran Sasso Science Institute dell’Aquila, Branchesi è una star da quando, il 16 ottobre dell’anno scorso, ha raccontato a Washington, in una storica conferenza stampa a più voci, come è stato intercettato un segnale che cambia il modo di concepire l’Universo: un fascio di onde gravitazionali, vale a dire increspature dello spazio-tempo previste da Einstein e poi rimaste un enigma per quasi un secolo. Fino a una serie di clamorose osservazioni, come quella nata dallo studio della fusione di due stelle di neutroni.
Ai suoi figli ha già spiegato cosa sono le onde gravitazionali?
«Non in dettaglio! Ma di sicuro ne hanno sentito parlare da quando erano in pancia. E il più grande, Diego, si diverte a guardare la Luna e le stelle. Lui e il fratello viaggiano spesso con noi. Sono le mascotte».
«Time» l’ha inserita nella categoria dei «Pionieri»: come ci si sente nel ruolo?
«A essere un pioniere è l’astronomia multimessaggero, basata su segnali diversi, da quelli ottici ai raggi X. L’intercettazione delle onde gravitazionali e i loro rivelatori rappresentano l’inizio di nuove scoperte».
Prima di «Time» la rivista scientifica numero 1, «Nature», l’aveva inserita tra le 10 persone più influenti del 2017: si è chiesta perchè in Italia non l’hanno ancora celebrata?
«È strano, in effetti. Eppure l’Italia ha ricercatori bravissimi. Io rappresento non solo me stessa, ma il lavoro che c’è dietro lo studio delle onde gravitazionali. È una grande comunità , che però nessuno vede».
Distrazione o, peggio, ignoranza? In cosa abbiamo sbagliato?
«L’Italia deve sapere il valore dei suoi scienziati, non solo in astronomia e in fisica. Ma non sa riconoscerli».
Le stupidaggini dei no-vax e dei cultori delle scie chimiche la preoccupano?
«Sì. Vedo molta superficialità . A tanti la scienza fa paura e invece è più vicina a ognuno di noi di quanto si pensi».
Per fortuna molti giovani sognano di diventare scienziati: il suo consiglio di madre?
«Lavorare sodo, essere onesti e sapere che i sogni si possono realizzare».
A proposito di lavoro, come ci si organizza tra ricercatori, divisi da culture, competenze e luoghi?
«La collaborazione tra gli interferometri “Virgo” dell’Infn in Italia e “Ligo” negli Usa, gli strumenti che studiano le onde gravitazionali, conta 1200 persone: il bello è che ci dividiamo in gruppi, a volte vedendoci di persona e a volte attraverso una versione avanzata di skype. Questa multiculturalità è una ricchezza enorme».
L’articolo scientifico che l’ha resa famosa ha un numero ancora maggiore di scienziati, giusto?
«Sì, 3500! Ero nel writing team, il gruppo di scrittura che ha compilato il pezzo».
Quali qualità si devono avere per ottenere il meglio da tutti, smussando le rivalità ?
«L’entusiasmo. Io ho sempre parlato ai colleghi, sapendo che hanno approcci diversi: gli astronomi sono abituati a lavorare in piccoli gruppi, mentre i fisici tendono a creare collaborazioni enormi e privilegiano gli aspetti teorici».
È pronta per il gala di New York di martedì dove incontrerà gli altri straordinari 99?
«Che emozione… Ci conosceremo al Lincoln Center a Manhattan. Ma devo ancora comprare il biglietto aereo».
(da “La Stampa”)
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Aprile 20th, 2018 Riccardo Fucile
E POI QUALCHE PIRLA CREDE A SALVINI QUANDO DICE CHE SI INTERESSERA’ AI DISABILI… COME NO, PER TAGLIAR LORO I FONDI
Il Tar della Liguria ha annullato gli atti con cui Regione Liguria e Azienda ligure sanitaria (Alisa) nel 2017 avevano stabilito i contratti e la decurtazione delle tariffe riconosciute dal Servizio sanitario Regionale nei confronti di associazioni accreditate e convenzionate attive nell’assistenza sociosanitaria per disabili e malati psichici.
Il ricorso di queste ultime è stato depositato dall’avvocato Emilio Robotti.
“Sostanzialmente gli atti impugnati concretano una vera e propria delega in bianco a Alisa ai fini della definizione del sistema di remunerazione delle prestazioni – spiega il Tar della Liguria nella sentenza con cui accoglie i ricorsi presentati da diverse strutture private accreditate, Federazione nazionale strutture Psicosocioterapeutiche, Associazione religiosa Istituti Socio-Sanitari, Fondazione Cepim, Aism, Anffas Onlus, Coordinamento Regionale Enti Riabilitazione Handicap della Liguria e altre cooperative sociali operanti nel settore – Mai potrebbe ritenersi che tale provvedimento abbia in qualche modo autorizzato o anche soltanto prefigurato il meccanismo della ‘regressione tariffaria’. Le decisioni che attengono alla fissazione dei tetti di spesa ed alla remunerazione delle prestazioni erogate in regime di accreditamento sono infatti espressione di un potere di programmazione regionale di natura autoritativa sicchè esse appartengono alla competenza degli organi di governo della regione”.
I ricorrenti, in particolare, hanno sottolineato che “quanto ai pazienti psichiatrici e disabili con età superiore a 65 anni, la proposta di contrattazione consisterebbe in una decurtazione della tariffa giornaliera riconosciuta dal Servizio Sanitario Regionale, decurtazione che opererebbe in relazione automatica con l’età anagrafica dei pazienti o con la durata del ricovero in comunità terapeutica (oltre 36 mesi), prescindendo da qualsiasi valutazione di tipo clinico”. Le strutture private convenzionate hanno inoltre fatto presente che “tale decurtazione andrebbe poi a aggiungersi alla decurtazione della tariffa (50% per le prestazioni eccedenti il 96% del budget assegnato) già prevista dal meccanismo di regressione tariffaria, ledendo al contempo sia il diritto alla salute dei pazienti ricoverati, sia il diritto alla libera iniziativa economica, sotto il profilo della sostenibilità economica (corrispettività tra costi e tariffe) delle strutture erogatrici delle prestazioni”.
(da agenzie)
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