Aprile 29th, 2018 Riccardo Fucile
IL SOLITO RENZI, INCAPACE DI AUTOCRITICA, SI PORTA AVANTI E PENSA GIA AL GOVERNO DEL PRESIDENTE
Matteo Renzi va in tv da Fabio Fazio su Raiuno, rompe il silenzio sulla crisi istituzionale e azzoppa l’idea di un accordo di governo tra il Pd e il M5s. “Io penso che incontrarsi sia un bene – dice – si incontrano anche le due Coree, possiamo farlo pure noi con loro: ma in streaming”. Il che equivale evidentemente a escludere una vera trattativa.
A meno di una settimana dalla direzione del Pd, Renzi guarda già alla prossima mossa del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
La sua proposta è un governo del presidente o istituzionale che serva a “scrivere le regole insieme”. E per tirare dentro il M5s, dice: “Hanno vinto, tocca a loro avanzare una proposta di riforma costituzionale”.
Pur dopo la sconfitta del 4 marzo, dopo le dimissioni da segretario del Pd, Renzi è il solito Renzi.
Dopo tutte queste settimane di silenzio, il suo da Fazio non è un discorso sulla sconfitta del Pd, non è un aggiornamento di pensiero, non segna evoluzioni.
Renzi è fermo al 4 dicembre 2016: “Da quando abbiamo perso il referendum, il paese è bloccato”.
Argomentazione che sfrutta per chiudere al M5s e aprire ad un governo del presidente per fare le riforme costituzionali. Il governo, dice, “lo deciderà il presidente sulla base della maggioranza che si formerà in Parlamento”.
Dunque, monocameralismo e ballottaggio: Renzi torna alle sue riforme ma vuole che siano i cinquestelle a proporle, perchè “hanno vinto loro e il centrodestra”. Obbligato il paragone con Macron in Francia: “Ha perso al primo turno, ora governa con il 23 per cento”.
Ma rivolgersi al M5s è un modo per tirarli dentro a un governo che evidentemente Mattarella tenterà di apparecchiare, se falliranno tutti gli altri tentativi, prima di convincersi a rimandare il Paese al voto.
Per ora, Luigi Di Maio dice no: “Se fallisce il dialogo con il Pd, si torna al voto”, è il suo motto. Ma Renzi scommette che un estremo appello alla responsabilità da parte del Capo dello Stato possa cambiare i ‘no’ di adesso.
Sempre che non riparta il dialogo tra Matteo Salvini e Di Maio, dopo le regionali in Friuli. “Tocca a loro, se sono capaci – ripete Renzi – noi abbiamo perso e non possiamo tornare al governo con un gioco di palazzo, la gente non capirebbe. E poi su 52 senatori del Pd, ce ne vogliono almeno 48 per appoggiare un governo Di Maio. E io non conosco alcun senatore favorevole…”.
Ma c’è dell’altro. La proposta di legislatura costituente che stasera Renzi sviscera in tv, è di fatto la stessa avanzata da Dario Franceschini subito dopo le elezioni con un’intervista al Corriere della Sera.
Mossa acuta da parte del segretario dimissionario, visto che proprio Franceschini guida la parte ‘dialogante’ del Pd, quella più possibilista su un accordo con il M5s o comunque interessata a sfilare a Renzi lo scettro della trattativa.
Ecco, così Renzi se l’è ripreso, riducendo pure i rischi di spaccatura nel Pd.
Non a caso, proprio oggi anche il ministro Carlo Calenda parla di “governo istituzionale”.
Proprio lui aveva minacciato di strappare la tessera del Pd, in caso di accordo con il cinquestelle. Da oggi, un’intesa tra i Dem e i pentastellati è decisamente più complicata, ma il Pd potrebbe uscirne incredibilmente unito anche alla prossima direzione.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 29th, 2018 Riccardo Fucile
FINITI I FORNI, LA CIAMBELLA E’ USCITA CON IL BUCO… AI TRE MEGALOMANI NON RESTA CHE SPEGNERE IL FUOCO
“Il Pd non riesce a liberarsi di Renzi nonostante l’abbia trascinato al suo minimo storico prendendo una batosta clamorosa. Altro che discussione interna al Pd. Oggi abbiamo avuto la prova che decide ancora tutto Renzi col suo ego smisurato”.
Lo scrive il capo politico M5S Luigi Di Maio in un post su facebook.
E Di Maio aggiunge: “Noi ce l’abbiamo messa tutta per fare un Governo nell’interesse degli italiani. Il Pd ha detto no ai temi per i cittadini e la pagheranno”.
Dopo due mesi si certifica che l’Italia è in balia di tre megalomani che chi con il 32%, chi con il 18%, chi con il 17% ritiene di essere lui l’unto dal Signore a rappresentare gli Italiani.
Conclamato il fatto che nel nostro Paese l’ambizione di tre imbonitori che raccontano palle conta di più dell’interesse nazionale.
Poi non chiediamoci perchè siamo il fanalino di coda dell’Europa.
(da agenzie)
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Aprile 29th, 2018 Riccardo Fucile
DA FAZIO EMERGE LA STRATEGIA DI RENZI CHE CONTINUA A RITENERE DI AVER GOVERNATO BENE ANCHE SE L’ELETTORATO L’HA BOCCIATO
“Siamo seri. Chi ha perso le elezioni non può andare al governo. Il Pd ha perso, sette italiani su dieci hanno votato M5s o Lega”. Lo dice Matteo Renzi a “Che tempo che fa” su RaiUno.
“Non possiamo con un gioco di palazzo rientrare dalla finestra dopo che abbiamo perso le elezioni. Se sono capaci ci provino Di Maio e Salvini”, aggiunge.
L’ex premier continua: “È un bene incontrarsi. È un fatto normale, l’incontro andrebbe fatto in streaming. Ma votare la fiducia ad un governo Di Maio no. Anche per rispetto per chi ci guarda da casa, la gente sennò poi non crede più ala democrazia”. E spiega: “Su 52 senatori Pd, almeno 48 devono votare a favore. Io di disponibili alla fiducia a Di Maio non ne conosco uno”.
“Il reddito di cittadinanza per me non sta nè in cielo nè in terra. Non possiamo essere un alibi” per M5s, dice l’ex segretario del Pd. Renziani contro? “Sembra una malattia… Io ho riacquistato la mia libertà . Ci vorrebbe una unanimità per reggere questo governo. Mi sembra difficile”.
Renzi aggiunge: “O fanno il governo i populisti” Di Maio e Salvini “che hanno vinto o facciano loro una proposta di riforma costituzionale. Dal 4 dicembre 2016 questo Paese è bloccato: su questo si poteva fare un governo insieme. Da quel momento l’Italia non è più in grado di avere un sistema efficace ed efficiente. Non era un referendum sui poteri di Renzi ma sul futuro dell’Italia. È un contrappasso dantesco. Salvini e Di Maio avrebbero avuto interesse a farsi un ballottaggio”.
“M5s e Lega scrivetele voi le regole – continua -: noi da subito vi diciamo che a meno che non propongano la dittatura, siamo pronti a sederci e dire che va bene. Un anno, due anni, un anno e mezzo. Con quale governo? Deciderà il Presidente della Repubblica quale la forma migliore”.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 29th, 2018 Riccardo Fucile
“BASTA PARLARE DI POPULISMO, IL POPOLO STA USCENDO DI SCENA DA DECENNI IN ITALIA”
Il compito della sinistra è sovrumano: “Consiste nel tentare di ricostituire e rimettere in piedi un ‘popolo’, sottraendolo alla dissoluzione nella ‘massa’”.
Per affrontare questa prova immane, secondo Alberto Asor Rosa, occorre chiedersi e chiarire “perchè la sinistra, in tutte le sue forme, non abbia impedito la retrocessione e l’inabissamento del ‘popolo’ nella ‘massa’, anzi abbia favorito il formarsi e l’emergere della ‘massa’ come elemento costitutivo fondamentale del nostro modo di pensare, progettare e fare politica, operando così il suo suicidio”.
Critico letterario, teorico dell’operaismo, intellettuale storico della sinistra, più di recente anche narratore, Asor Rosa sostiene che nel dibattito pubblico c’è un equivoco generato da una parola spesso usata a sproposito, la parola populismo: “È un termine-concetto inappropriato alla materia che pretenderebbe di descrivere. Poichè il popolo, come realtà politica e sociale attivamente presente sul piano storico, sta uscendo di scena da parecchi decenni in tutte le democrazie del mondo occidentale, ma sopratutto in Italia”.
C’era ancora il popolo, eccome, quando nel 1965, a trentadue anni, Asor Rosa scrisse la sua opera più riconosciuta, Scrittori e popolo, un saggio che generò grandi polemiche e discussioni, esaltazioni e ferite (“Asor Rosa è l’uomo che mi ha fatto più male in vita mia” disse Pier Paolo Pasolini). In esso, contestava il populismo degli scrittori italiani, da Giovanni Pascoli a Carlo Levi, responsabili di avere rappresentato un popolo artefatto, idealizzato, trasfigurato.
Lei che rapporto ha avuto con il popolo?
Nel popolo sono nato. Mio padre lavorava nelle ferrovie dello stato, mia madre era casalinga. Tutta la mia prima, fondamentale educazione è stata un’educazione popolare.
Ha messo al centro della sua teoria la classe operaia, ma, vivendo a Roma, gli operai li ha conosciuti?
Li ho conosciuti andando nelle fabbriche romane, tutt’altro che marginali, e in quelle delle zone limitrofe, nelle Marche, nell’Umbria. Distribuendo volantini, e discutendo con loro, quando era possibile farlo.
La letteratura come l’ha scoperta?
Sono stato adolescente negli anni in cui finiva la seconda guerra mondiale, tra la resistenza e poi l’immediato dopoguerra. Leggere, sotto la guida di ottimi professori, mi ha aiutato a vivere nel mezzo dei colossali sconvolgimenti di quegli anni.
La politica, invece?
Era un dato permanente, quotidiano. Entrava nella vita da tutte le parti, non c’era alcun bisogno di andarla a cercare.
Cosa cercava allora?
Mia madre mi spingeva a farmi valere a scuola, a essere sempre il migliore. Per anni, non ho pensato che a questo. Solo quando arrivai all’Università smisi di gareggiare con i compagni e cominciai a instaurare rapporti molto forti, dal punto di vista umano, politico, culturale.
Prima non aveva avuto amici?
No, li avevo avuti anche al liceo: non passavo di certo tutto il tempo a studiare. Andavamo a ballare, uscivamo. Alcune volte frequentavamo anche qualche casa di tolleranza.
Se lo è mai rimproverato?
La prostituzione era chiaramente una forma schifosa di soddisfacimento del desiderio sessuale maschile. Tuttavia, le consuetudini della gioventù degli anni cinquanta non hanno nulla a che fare con la nostra consapevolezza di oggi.
Ha sempre contestato il potere, eppure l’ha anche esercitato (nell’università , per esempio). Come si può essere, allo stesso tempo, contro e dentro il potere?
Quello all’università è stato il mio lavoro, ciò che ho fatto per sopravvivere. È stato un lavoro di educazione, di formazione e anche di contestazione culturale. Infatti, se uno andasse a riesaminare con attenzione la mia presenza accademica, scoprirebbe che i momenti di conflitto sono stati di molto superiori a quelli del consenso e del baronaggio, inteso in senso tradizionale.
Nel 1977, scrisse Le due società : un saggio che denunciava la distinzione tra garantiti e non garantiti. Perchè il tema è ancora attuale?
Dopo vent’anni di operaismo si poteva constatare che, per certi versi, ed entro certi limiti, anche la classe operaia faceva parte del mondo dei garantiti, mentre i non garantiti non erano rappresentati da nessuno.
Non la ascoltò nessuno?
I dirigenti comunisti di allora lo considerarono un discorso non dico eversivo, ma certamente scandaloso: fuoriusciva totalmente dalla loro dimensione culturale e intellettuale.
Il reddito di cittadinanza può essere un rimedio per chi non ha altre garanzie?
È molto semplice: non so rispondere a questa domanda. La valutazione degli ultimi fenomeni italiani mi sfugge completamente. Le confesso un limite.
Le sfugge fino al punto di non sapere se il Movimento 5 stelle abbia a che fare con la sinistra?
Escludo radicalmente che ci sia questo rapporto. I 5 stelle hanno un’altra cultura, altre ambizioni, un altro modo di dirigere.
Da operaista, che effetto le ha fatto vedere gli operai votare per Donald Trump negli Stati Uniti, oppure per la Lega in Italia?
Fa parte di quel ragionamento che facevamo all’inizio: le classi sociali si sono ormai dissolte ed è prevalso un atteggiamento di massa. Gli operai oggi non si sentono più individui lavoratori: si sentono parte di questo indistinto elemento sociale che è la massa. Scelgono in base a ciò che sembra loro favorevole in quel momento, prescindendo da ogni considerazione di carattere più generale.
Le manca il tempo in cui non era così, cioè il novecento?
Sarebbe come chiedermi se mi manca la giovinezza, l’età matura, gli amori. Non ritengo sia una domanda che è possibile porre. Guardo quello che succede e trovo dei motivi per gratificarmi.
In cosa li trova?
Nella letteratura, soprattutto. Che è, ancora più che in passato, uno stimolo e una motivazione a sopravvivere. Leggere un libro come si deve, fa pensare di essere al di sopra della mediocrità quotidiana, lontano dalla ripetizione costante degli stessi atti, delle stesse parole, delle stesse consuetudini. In questo senso, aiuta a vivere.
E l’altra sua grande passione, la politica?
Mi gratifica molto di meno, anche se guardo ciò che succede, valuto i comportamenti dei nostri politici contemporanei e, quando riesco, prendo posizione.
Se pensa alle battaglie pubbliche della sua vita, si sente un vincitore o un vinto?
Nè l’uno, nè l’altro. Ho combattuto le battaglie in cui ho creduto. I risultati prescindono dalla mia e dalla nostra volontà . Stanno lì: non procurano nè gioia, nè scontento.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 29th, 2018 Riccardo Fucile
LE RESTRIZIONI COMMERCIALI DI TRUMP DARANNO LUOGO A PREVEDIBILI RITORSIONI CON IL RISCHIO DI PORTARE A UN CALO DI 1-2 PUNTI DELLA CRESCITA COMPLESSIVA
È ufficiale. Il 1 maggio scoppierà la più grave guerra commerciale dell’era della globalizzazione e, probabilmente, dell’intero dopoguerra.
Tutti, a cominciare da Angela Merkel, l’ultima ad aver incontrato il presidente americano, si aspettano che la Casa Bianca applichi davvero, da martedì, le tariffe del 10 per cento alle importazioni dall’Europa di acciaio, finora congelate, e la Ue risponderà imponendo dazi sui jeans Levi’s, sulle moto Harley Davidson, sul bourbon. Al contrario delle guerre vere, i conflitti commerciali sono film che si possono interrompere in qualsiasi momento e riavvolgere in un attimo.
Ma questo potrebbe espandersi in modo esplosivo. A differenza degli scontri dei passati decenni, infatti, non è limitato a capitoli specifici come la “tassa sui polli”, le bistecche agli ormoni e gli Ogm.
In linea di principio può diventare, una ritorsione dopo l’altra, un conflitto a 360 gradi. L’unico vantaggio è che Trump diventa un po’ meno imprevedibile.
Ora sappiamo che l’unica bussola del presidente americano sono gli umori della fascia di elettorato che lo ha portato alla Casa Bianca, anche se questo lo pone contro i grandi interessi che sostengono il suo partito.
E sappiamo anche che il suo mondo di riferimento è quello della sua infanzia, negli anni ’50, quando il commercio internazionale era fatto di prodotti finiti che andavano da un paese all’altro.
Nell’era della globalizzazione, è stato il commercio a trainare l’economia, sviluppandosi sistematicamente più velocemente della produzione.
Gli economisti calcolano, dunque, che una guerra commerciale a livello globale (i dazi di Trump sull’acciaio sono contro Ue, Cina, Giappone) le tariffe doganali finirebbero per aumentare, mediamente, al 32 per cento.
La crescita mondiale verrebbe decurtata di 1-2 punti percentuali. Nell’immediato, a subirne di più le conseguenze sarebbe la Ue, che esporta l’equivalente del 3,5 per cento del suo Pil, il doppio dell’1,7 per cento della Cina.
Ma, come nel flipper, non si sa dove va, rimbalzando, la pallina: se un paese importa qualcosa, è perchè è più efficiente che produrselo da solo.
Le ragioni. Trump non è il primo a lagnarsi dei furti di prorietà intellettuale dei cinesi e del torrente di esportazioni tedesche. Lo aveva fatto anche Obama. Ma è dubbio che riesca a mettere all’angolo Pechino senza allearsi con europei e giapponesi.
E conferma di muoversi in una visione degli scambi commerciali che non esiste più. Il presidente americano ripete che gli Usa hanno un deficit con l’Europa di 151 miliardi di dollari. Ma, insieme ai beni, ci sono i servizi (assicurazioni, noli, finanza) dove gli americani hanno un attivo di 50 miliardi di dollari. Il deficit è, dunque, di 100 miliardi.
Dice che le auto Usa pagano un dazio del 10 per cento in Europa, quelle europee del 2,5 per cento in America. Ma si dimentica dei Suv, i fuoristrada così cari agli americani.
Questi pagano un dazio, negli Usa, del 25 per cento. Il risultato è che, nella media delle vendite, le tariffe si equivalgono. Troppe auto tedesche sulle strade americane? Bmw, Mercedes, Vw producono, nelle loro fabbriche americane, più macchine di quante ne importino dalla Germania.
Funziona? Gli economisti dicono che le guerre commerciali non giovano a nessuno. I dazi sull’acciaio rendono la vita più facile ad aziende che impiegano 150 mila lavoratori e più difficile (perchè aumentano i prezzi della materia prima) quella di aziende che ne impiegano dieci volte di più.
Più in generale – ha spiegato per tutti Maurice Obstfeld, il capoeconomista del Fmi — i deficit commerciali non si curano con i dazi.
Lo squilibrio tamponato con le tariffe rispunta in un altro settore. Perchè se un paese spende più di quanto guadagna (gli Usa, con i debiti di famiglie e dello Stato) finirà sempre per importare e uno che guadagna più di quanto spende (la Germania) per esportare. In più, un paese che è già ai limiti della capacità produttiva (gli Usa, con la disoccupazione sotto il 4 per cento) non ha i margini per sostituire le importazioni con la produzione interna.
I danni. Paradossalmente i danni maggiori della guerra possono venire dalla pace successiva. Il dogma della globalizzazione è che i vantaggi commerciali garantiti ad un paese si estendono automaticamente a tutti gli altri. Se si torna a trattative e accordi bilaterali — come vuole Trump — si torna alla legge della giungla.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 29th, 2018 Riccardo Fucile
LO RIVELA LE PARISIEN, SOTTOLINEANDO COME LA COPPIA PRESIDENZIALE SIA MOLTO ATTENTA NELLO SPENDERE IL DENARO DEI CONTRIBUENTI
La coppia presidenziale francese paga tutte le spese personali di tasca propria, dagli hotel in caso di vacanze private al dentifricio, fino alle crocchette per il cane Nemo. Lo rivela Le Parisien, sottolineando come Emmanuel e Brigitte Macron siano molto attenti nello spendere il denaro dei contribuenti esclusivamente per motivi di servizio. Al loro arrivo all’Eliseo, aggiunge il sito del quotidiano parigino, i due non hanno cambiato nulla nell’arredo, a parte il materasso.
Quando viaggiano a titolo privato, la coppia paga le sue camere d’albergo, ovviamente non le spese per la sicurezza perchè dovute alla funzione presidenziale.
Se utilizzano un aereo o un elicottero di Stato per un volo privato, inviano un assegno al ministero della Difesa per una somma pari a un volo commerciale. «Circa 170 euro, come un biglietto di Air France», dice un esperto a Le Parisien.-
Nell’ala Madame del palazzo dell’Eliseo, la premie’re dame ha un suo ufficio con quattro collaboratori, uno in meno dell’ex compagna di Francois Hollande, Vale’rie Trierweiler, e la metà di Carla Bruni-Sarkozy.
Dallo scorso agosto, una carta della trasparenza voluta dal presidente ha definito il ruolo della moglie precisando che non ha un salario, nè un budget proprio.
Per le sue mise, nei casi di rappresentanza le vengono prestati da alcuni stilisti, tra cui il suo preferito Nicolas Ghesquiere della maison Louis Vuitton.
Il resto del guardaroba è invece a sue spese.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 29th, 2018 Riccardo Fucile
E CHIEDE LEGGE ELETTORALE E RIFORME COSTITUZIONALI: “GOVERNO DI TUTTI? SE LO DECIDE MATTARELLA”… CHIUSURA SU JOBS ACT E REDDITO DI CITTADINANZA: “INCONTRARE DI MAIO MA IN STREAMING”
“Siamo seri, chi ha perso le elezioni non può andare al governo. Io mi sono dmesso, non possiamo pensare che i giochetti dei caminetti romani valgano di più della scelta degli italiani”.
Matteo Renzi, segretario dimissionario del Pd, ospite a ‘Che tempo che fa’, non ha dubbi: non si può ignorare l’esito delle elezioni del 4 marzo: “Chi ha vinto, deve assumersi la responsabilità e governare”, dice Renzi, che non esclude un incontro con il leader del Movimento 5 stelle, ma esclude il sostegno all’esecutivo: “Un incontro con Di Maio sì, la fiducia a un governo M5s no”.
Una posizione la sua, dice Renzi, condivisa dalla maggior parte dei senatori dem: “Su 52 senatori Pd, almeno 48 devono votare a favore. Io di disponibili alla fiducia a Di Maio non ne conosco uno”.
L’ex presidente del Consiglio, quindi, non esclude il confronto con il leader del Movimento, che a suo parere dovrebbe essere trasmesso in streaming per chiarire una volta per tutte le reciproche posizioni, ma ribadisce che, per lui, il Partito democratico deve restare all’opposizione: “Non possiamo con un gioco di palazzo rientrare dalla finestra dopo che abbiamo perso le elezioni. Se sono capaci ci provino Di Maio e Salvini”.
Anche perchè, insiste, “abbiamo fatto una campagna elettorale durissima sulla base di proposte specifiche. Non è pensabile ignorare ciò che la gente ci ha detto. Io temo per il gioco democratico”.
E sottolinea, ancora una volta, le distanze con i vincitori delle consultazioni: “Il reddito di cittadinanza per me non sta nè in cielo nè in terra”, aggiunge l’ex segretario Pd, che ribadice che alla fine sarà la direzione a decidere sul dialogo con i Cinque stelle, ma che lui è contrario ad un accordo. “Non possiamo essere un alibi” per M5s, dice.
Ma non vuole parlare di renziani contrari? “Sembra una malattia… Io ho riacquistato la mia libertà . Ci vorrebbe una unaminità per reggere questo governo. Mi sembra difficile”, aggiunge l’ex premier, che definisce ‘impossibile’ l’ipotesi di trovare un accordo: “Non è una ripicca dire di no, ma dignità e etica nel rispetto del voto”.
Anche l’ipotesi di Di Maio premier è irreale, per Renzi: “Lo pensa solo Di Maio. Tanto di cappello a chi ha preso il 32%, ma non è il 51%. O qualcuno gli regala il 19%, ma venire a chiedere i voti a chi hai accusato di mali di tutta Italia” è assurdo.
Il problema dell’incertezza in cui si trova l’Italia ora, dice Renzi, non dipende dalle elezioni di marzo, ma da quanto successo il 4 dicembre con il referendum: “Salvini e Di Maio avrebbero avuto tutto l’interesse” a votare per il sì, osserva l’ex premier.
Se M5S e Lega “non si trovano d’accordo, allora ci vuole che qualcuno si prenda il coraggio di dire che il sistema non funziona”, visto che non sono state introdotte la riforma costituzionale e la legge elettorale che avrebbero portato ad un ballottaggio. “Dal 4 dicembre 2016 questo Paese è bloccato: su questo si poteva fare un governo insieme. Da quel momento l’Italia non è più in grado di avere un sistema efficace ed efficiente. Non era un referendum sui poteri di Renzi ma sul futuro dell’Italia”.
Poi insiste: “Se loro non riescono a fare il governo, che facciano una proposta per cambiare e una riforma costituzionale” che preveda un diverso assetto istituzionale e il ballottaggio.
Certo, aggiunge ancora Renzi, tornare a votare “sarebbe un gigantesco schiaffo ai cittadini”, perchè vorrebbe dire che “quelli che hanno detto ‘abbiamo vinto’ non riescono a fare niente”.
Ma se con gli avversari la porta a un accordo è chiusa, non più morbido
Renzi è con il Pd che “deve guardare in faccia la realtà . Deve smettere di litigare al proprio interno. Sono stato massacrato per cinque anni. C’era una opposizione interna che invece di attaccare Salvini attaccava me”, dice l’ex segretario.
(da agenzie)
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Aprile 29th, 2018 Riccardo Fucile
IN ALTRI PAESI FICO SAREBBE STATO “COSTRETTO” ALLE DIMISSIONI
L’ultimo caso è del 2014 e ha riguardato Mark Harper, che da ministro per l’immigrazione voleva rendere più rigide le regole per i lavoratori stranieri nel paese. Ma come privato cittadino, si faceva pulire la casa da una immigrata irregolare.
Per questo, anche se diceva di non saperne niente, alla fine ha dovuto dimettersi.
Nella lettera di dimissioni rivolta al primo ministro, Harper ha spiegato di aver assunto la domestica nel 2007 perchè gli facesse le pulizie in casa: all’epoca la donna (di nazionalità non specificata) era in regola.
Nel 2012, ad un secondo controllo, i suoi documenti erano risultati ancora a posto.
L’anno dopo però, il ministro aveva lanciato una campagna presso i datori di lavoro perchè controllassero con più attenzione la posizione dei loro lavoratori stranieri. Volendo dare il buon esempio, Harper aveva fatto verificare anche la posizione della sua domestica. E l’ufficio immigrazione aveva scoperto che la donna non aveva più un permesso di lavoro.
Una storia piuttosto simile a quella del presidente della Camera Roberto Fico, anche se la collaboratrice familiare Imma ha invece dichiarato alle Iene di essere assunta in regola mentre Fico ha detto che non è stata assunta ed è semplicemente un’amica di Yvonne De Rosa, la sua compagna a cui è legato dal 2013.
Ma non c’è solo il caso di Harper.
Due ministre del governo conservatore svedese nel 2006 finirono sotto accusa per lo stesso motivo: Maria Borelius, ministro del Commercio, e Cecilia Stego Chilo, scelta per il dicastero della Cultura: quest’ultima come “aggravante” non aveva nemmeno pagato il canone della tv pubblica scandinava.
Entrambe dovettero salutare il governo dopo che la notizia era finita sui giornali. Last but not least, il caso più famoso fu quello di Linda Chavez, ministro del Lavoro di George Bush nel 2001
La legge proibisce di dare ospitalità o assumere immigrati clandestini. La Chavez non avrebbe inoltre versato i contributi. E avrebbe pagato alla domestica un salario al di sotto del minimo stabilito dalla legge. Una situazione imbarazzante per qualsiasi ministro, ma tanto più per il responsabile del dicastero del Lavoro, proprio quello incaricato di far rispettare queste leggi a tutti i cittadini americani.
Un altro esponente della amministrazione Bush, la governatrice del New Jersey Christie Whitman (scelta per guidare l’Agenzia per la Protezione Ambientale), era incappata in un simile problema nel 1993 quando era in lizza per diventare governatore.
La Whitman era stata salvata da un colpo di scena: il suo avversario aveva a sua volta confessato di avere a sua volta assunto un immigrato illegale.
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 29th, 2018 Riccardo Fucile
“VI SPIEGO PERCHE SALVINI NON PUO’ MOLLARE BERLUSCONI” … FIDEJUSSIONI GARANTITE DA BERLUSCONI, DEBITI E ISOARDI
Ci sono ex direttori della Padania fortunati come Gianluigi Bombatomica Paragone, che finiscono nel MoVimento 5 Stelle.
E poi c’è Gigi Moncalvo, che oggi al Fatto Quotidiano esordisce raccontando che da direttore del giornale dei padani chiese il licenziamento di Matteo Salvini «perchè falsificava i fogli di presenza. Vale a dire che non si presentava al lavoro, ma firmava ugualmente la presenza».
E poi dice la sua sul perchè Salvini non può lasciare Berlusconi:
«Non può farlo neanche se lo volesse. E lo avrebbe potuto fare dopo le consultazioni al Quirinale, dopo la pantomima di Berlusconi al suo fianco. Però non può liberarsene».
Perchè vuole essere il leader di tutto il centrodestra?
«No, perchè sono vincolati da un vecchio contratto».
Un contratto? Spieghi
«Siamo nel 2000. Alla vigilia delle elezioni. Berlusconi capisce che senza la Lega di Bossi perderebbe ancora, come nel 1996. Allora decide di perdonarlo, anche se non si fida più di lui».
E allora cosa fa?
«Porta Bossi da un notaio in via Abbondio Sangiorgio a Milano. E fa mettere nero su bianco un accordo a tempo indeterminato».
Che prevede cosa?
«Che Berlusconi rinuncerà a tutte le cause civile fatte negli anni alla Lega, quando lo insultavano con cose tipo “mafioso” o “piduista”. Borghezio girava con un documento, evidentemente falso, della polizia cantonale del Ticino, nel quale si diceva che Berlusconi fosse un trafficante di droga. Secondo: appianare i tanti debiti della Lega, soprattutto quello per la sede di via Bellerio».
Moncalvo racconta che in cambio Berlusconi chiede il simbolo della Lega Nord, quello con Alberto da Giussano.
Un contratto che vale ancora perchè lo firmarono gli allora rappresentanti del partito di Berlusconi e del Carroccio. Moncalvo racconta anche di una fidejussione di due miliardi alla Lega Nord concessa dalla Banca di Roma allora guidata da Geronzi.
Torniamo all’accordo.
«Sì, una volta firmato arriva il risvolto comico: Natale del 2000, Berlusconi con famiglia invita ad Arcore Bossi con famiglia. Perchè? Per fare un giuramento solenne tra le due famiglie. Una sorta di rito per sancire l’accordo raggiunto. Me lo raccontò Bossi».
Ma poi Salvini lo ha un po’ cambiato quel marchio…
«Non c’entra. Se vuole usare Alberto da Giussano deve rispettare quel contratto. Altrimenti è plagio, punto. E comunque è noto che negli ultimi giorni sono accadute delle cose importanti che rinsaldano l’asse tra Berlusconi e Salvini».
Quali?
«Due giorni fa la Rai annuncia che la prossima conduttrice del programma di Antonella Clerici, La prova del cuoco, sarà la fidanzata di Matteo Salvini, Elisa Isoardi. Per me questo non è un fatto di poco conto».
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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