Destra di Popolo.net

NELL’INFERNO DELLA SOMALILAND, DOVE REGNANO POVERTA’ ASSOLUTA E SICCITA’

Settembre 20th, 2018 Riccardo Fucile

PIAZZA PULITA RACCONTA L’EMERGENZA UMANITARIA NEL PAESE… RICEVONO AIUTO SOLO DALLE ONG, QUELLE CHE IL GOVERNO ITALIANO CRIMINALIZZA

Somaliland, nord della Somalia. Il Paese che non esiste.
Dichiaratosi indipendente dalla Somalia nel 1991, ha un Governo, un Parlamento e un esercito, ma nessuno Stato del mondo l’ha mai riconosciuto.
Lo chiamavano la Svizzera del Corno d’Africa per via dei verdi pascoli. Terra di pastori, il bestiame era la sua ricchezza. Poi, cinque anni fa, è arrivata la più grande delle tragedie: la siccità . Una capra, oggi, costa il doppio di cinque anni fa: 68 dollari.
Una povertà  e una miseria assolute, quelle del Somaliland, che la piaga dei cambiamenti climatici sta rendendo insostenibili.
Molti dei suoi abitanti, oggi, sono profughi nel proprio Paese e si sono ammassati alle porte delle città  in cerca di acqua e di cibo.
Sono i campi degli IDPs: gli sfollati interni. Vivono in capanne di stracci, legno e lamiere.
L’acqua dal Governo, però, nei campi degli IDPs può non arrivare anche per diverse settimane consecutive – ci raccontano.
Quella poca che c’è, quando c’è, viene da dei pozzi salmastri. Impossibile berla. Eppure, molte mamme, non hanno altro da dare ai loro bambini: solo così possono dissetarli e cucinargli quel pugno di riso, che è l’unico pasto della giornata.
Ed è proprio quell’acqua torbida e maleodorante che spesso diventa un veleno per i bambini del Somaliland.
Gravemente malnutriti, infatti, muoiono di fame per malattie altrimenti curabili, come il morbillo e la diarrea, che la mancanza di un’alimentazione regolare aggrava fino a renderle fatali.
Sono loro le vittime della guerra del clima. Ed è difficile pensare, camminando in mezzo a questa miseria, che abbiano qualcosa di diverso da quelli della guerra delle bombe.
Nei vecchi villaggi dei pastori, a centinaia di chilometri di deserto dalla città , dove si consuma questa emergenza umanitaria lenta, corrosiva e inesorabile, molti di loro sopravvivono solo grazie all’arrivo delle cliniche mobili delle organizzazioni umanitarie.
A casa nostra non li vogliamo, e allo stesso tempo criminalizziamo gli unici che portano un aiuto effettivo “a casa loro”, ovvero le ONG.
ONG come Save The Children, tra i pochissimi avamposti sanitari nei villaggi sperduti lungo le piste del Somaliland desertificato, e unica possibilità  di sopravvivenza per chi il proprio Paese non vorrebbe essere costretto a lasciarlo.
Corrado Formigli ha fatto un viaggio in questa terra e lo racconterà  nella prima puntata di Piazzapulita (21.10, La7).
Va alle radici del fenomeno per spiegare perchè il flusso migratorio da quelle zone è particolarmente intenso, per raccontare le storie delle persone, per farle uscire dalla massa indistinta dei gruppi di migranti di cui si parla spesso in modo astratto.
Nel corso della puntata, poi, il percorso continuerà  con il racconto dei volti e delle storie dei ragazzi della Diciotti in fuga attraverso il nostro Paese.

(da agenzie)

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I PROFUGHI? TUTTI IN ITALIA: GRANDE SUCCESSO DI CONTE AL VERTICE DI SALISBURGO, UN FAVORE A ORBAN

Settembre 20th, 2018 Riccardo Fucile

CHI NON ACCOGLIE, PAGA: ERA LA PROPOSTA CHE IL GOVERNO AVEVA SEMPRE RIFIUTATO… PER CHI SCEGLIE I SOLDI, NESSUN VINCOLO CHE VADANO AL FONDO PER L’AFRICA… CI VOLEVANO DUE GRANDI INTELLETTUALI COME SALVINI E DI MAIO PER UN AUTOGOL DEL GENERE

Chi non accoglie i migranti, paga. Un principio che i partner europei hanno sempre cercato di infilare nelle discussioni con l’Italia.
Finora non era passato, ieri sera invece a Salisburgo il premier Giuseppe Conte lo ha accettato.
L’approccio italiano cambia e non è roba da poco: offre una via d’uscita ai tanti che non ne vogliono sapere di accogliere i migranti, non si vogliono caricare addosso i ‘casi Diciotti’ scatenati da Matteo Salvini che blocca le navi nei porti.
Insomma, la tavola europea è apparecchiata per chi dice no e potenzialmente i migranti che sbarcano possono restare tutti in Italia.
Il cambio è scattato ieri sera alla cena di Conte con gli altri leader Ue, nella grande sala concerti della città  di Mozart, più di quattro ore di discussione principalmente sul dossier migranti.
Conte insomma dice sì alla proposta accennata da Jean Claude Juncker ieri prima dell’inizio di questo vertice informale, apre finalmente le porte dell’Italia ad un principio che da sempre Bruxelles tenta di farci accettare.
Non è roba da poco. E’ una lancia spezzata a favore dei paesi che hanno ostacolato il piano di ridistribuzione dei migranti elaborato dalla Commissione Juncker nel 2015: il blocco di Visegrad, gli alleati sovranisti di Matteo Salvini, quell’area politica che oggi vola nei sondaggi di tutta Europa preoccupando tutti gli altri partiti e anche i cinquestelle italiani.
Ma vediamo con ordine.
Ieri sera la proposta Juncker è stata presentata anche da Angela Merkel, naturalmente. E adesso sarà  lei a stilare un elenco di paesi che dicano sì all’accoglienza dei migranti che sbarcano in Italia.
Vale a dire paesi che in automatico poi dovrebbero farsi carico di smaltire eventuali altri ‘casi Diciotti’, diciamo così.
La Cancelliera punta a comporre un elenco il più largo possibile e vorrebbe presentarlo al consiglio europeo del 18 ottobre.
Sarà  la lista cosiddetta ‘attiva’, cioè di coloro che accolgono. Poi ci sarà  quella passiva: chi invece di accogliere, sceglie il pagamento.
Il punto è che l’Italia ha accettato questo principio senza garanzie.
Perchè nella discussione di ieri sera – comunque pacata, del resto si tratta ancora di un vertice informale – non si è parlato di vincoli per i soldi che in teoria dovrebbero arrivare da chi non accoglie.
Cioè: questi eventuali nuovi finanziamenti non sono vincolati a contribuire al fondo per l’Africa, il ‘salvadanaio’ europeo che ha permesso gli accordi di rimpatrio con il Niger, per esempio.
Nulla di tutto ciò. E c’è ancora da vedere quanti saranno i paesi che sceglieranno la via dell’accoglienza piuttosto che quella dei finanziamenti. Con le elezioni europee alle porte tra meno di un anno, c’è da scommettere che i secondi saranno più numerosi dei primi, ma si vedrà .
Finora i governi guidati da Matteo Renzi e anche quello Gentiloni avevano sempre rifiutato qualsiasi deroga al principio che tutti gli Stati europei debbano contribuire in termini di accoglienza.
Un approccio che ha ispirato e sostenuto il piano Juncker: 160mila ricollocati da Italia e Grecia, nonostante i ‘no’ del blocco di Visegrad.
Conte avvicina invece l’Italia al blocco di Visegrad. E magari lo può fare perchè – numeri alla mano – gli sbarchi sono diminuiti dell’80 per cento negli ultimi tre anni: ieri lo ha detto persino il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, che non è tenero con l’Ue.
C’è una questione sulla quale il premier ieri sera a cena si è riservato di decidere: l’ampliamento di Frontex, sia in termini di uomini che di finanziamenti (10 miliardi di euro). “Bene, vediamo”, è stata la sua risposta quando gli hanno presentato il dossier, anche questo elaborato da Juncker.
Il punto è che rafforzare Frontex si tradurrebbe in maggiori controlli e dunque più registrazioni di migranti in Italia.
Cioè: meno migranti riuscirebbero a sfuggire per raggiungere il nord Europa. E siccome questa è una valvola di sfogo spesso usata per smaltire i flussi nel Belpaese, ‘più Frontex’ non viene visto di buon grado da Roma.
Ma anche qui c’è un’affinità  con Visegrad: “Non deroghiamo al nostro diritto di proteggere le nostre frontiere”, sono le parole del premier ungherese Viktor Orban qui a Salisburgo.
“Sono esseri umani”
“Se iniziamo a parlare del prezzo di un migrante, è una vergogna per tutti”. Lo ha detto il premier lussemburghese Xavier Bettel, arrivando al vertice europeo di Salisburgo, commentando la possibilità  che i paesi Ue che non accolgono i migranti possano dare un contributo economico. “Non parliamo di mercati, non parliamo di tappeti o di merci. Parliamo di essere umani”, ha aggiunto.

(da “Huffingtonpost”)

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TRIA SI DIVERTE E MANDA UN MESSAGGIO A SALVINI: “REDDITO DI CITTADINANZA ANDRA’ ANCHE AGLI STRANIERI”

Settembre 20th, 2018 Riccardo Fucile

UNA COSA OVVIA, NON SI PUO’ DISCRIMINARE CHI E’ IN REGOLA, MA NON FARA’ PIACERE AI RAZZISTI…”IL PROGRAMMA DI GOVERNO DEVE MARCIARE COMPATIBILMENTE CON I SOLDI A DISPOSIZIONE”

“Sono in corso da tempo approfondimenti tecnici delle amministrazioni coinvolte sulla configurazione della misura e sulla definizione della platea dei destinatari in linea con le indicazioni del contratto di governo”.
Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, al question time al Senato.
La proposta di reddito di cittadinanza presentata in Parlamento nella scorsa legislatura da M5S prevede che il sostegno vada anche agli stranieri.
“Oltre agli italiani che versano in condizione di bisogno” il reddito di cittadinanza, secondo il ddl presentato nella scorsa legislatura dal M5s, spiega il ministro Tria in aula al senato, è rivolto anche agli stranieri.
Quella proposta era destinata “anche a residenti di paesi dell’Unione Europea sul territorio nazionale e di paesi terzi purchè i rispettivi paesi di origine avessero sottoscritto intese bilaterali di sicurezza sociale con l’Italia”.
Il reddito di inclusione prevede che “il richiedente debba essere cittadino dell’Ue, titolare del diritto di soggiorno o cittadino di paesi terzi con permesso di soggiorno di lungo periodo nell’Unione”, spiega il ministro.
Infine il richiedente deve essere “residente in Italia in via continuativa da almeno 2 anni”.
Citando alcune sentenze della Consulta, Tria ricorda inoltre che “resta ferma la possibilità  di definire altri indici di radicamento territoriale a cui subordinare benefici di welfare nei limiti della non discriminazione”, conclude.
Il ministro ha aggiunto: “L’obiettivo del governo è assicurare una graduale realizzazione del contratto di governo, compatibilmente con l’esigenza di garantire i saldi strutturali di finanza pubblica”.
E poi: “Si sta operando con la presidenza del consiglio nel pieno rispetto delle risoluzioni del def approvate a giugno dal parlamento”.

(da agenzie)

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AUMENTARE L’IVA PER TAGLIARE L’IRPEF? LA PROPOSTA DI TRIA NON PIACE A LEGA E M5S

Settembre 20th, 2018 Riccardo Fucile

SI RECUPEREBBE QUALCHE MILIARDO MA POI VALLO A RACCONTARE AGLI ITALIANI CHE HANNO VOTATO PER I DUE MILLANTATORI

Non che lo stesso ministro dell’Economia Giovanni Tria – come raccontano fonti vicine al dossier – ne stia facendo la panacea di tutti i mali della manovra, ma è pur sempre un modo per smuovere le acque di una caccia alle coperture che ad oggi ha raccolto pochissimo a fronte delle richieste onerose di Lega e 5 Stelle.
Non solo: l’ipotesi di alzare l’Iva in modo selettivo per tagliare l’Irpef andrebbe incontro all’esigenza, più volte sollecitata da Matteo Salvini e Luigi Di Maio, di dare un segnale concreto sul fronte della riduzione delle tasse.
Ma ai due leader poco importano questi ragionamenti: la rotta proposta è sbagliata. Chiusura totale nei confronti del Tesoro e un nuovo segnale politico di peso che si inserisce nei già  tormentati rapporti interni al governo gialloverde.
La proposta di Tria non è nuova. Il Tesoro è al lavoro da settimane per mettere a punto un piano che punta a ridurre l’imposta sulle persone fisiche.
È in questo contesto che si inserisce il favore di Tria, esternato negli scorsi giorni, verso l’idea che fa parte del piano e che per qualche giorno aveva quantomeno stuzzicato anche Di Maio e Salvini, cioè abbassare di un punto percentuale l’aliquota del primo scaglione, portandola dal 23 al 22 per cento.
Secondo quanto apprende Huffpost, questa proposta doveva arrivare sul tavolo del supervertice che si è tenuto lunedì a palazzo Chigi, ma era ancora in fase di elaborazione e soprattutto si voleva sondare prima il clima interno.
È rispuntata fuori subito dopo, quando dentro il governo si è preso consapevolezza del fatto che di soldi ce ne sono pochi e soprattutto con Tria che si è trovato messo all’angolo.
Nello specifico, come spiega Repubblica, la proposta prevederrebbe di far scattare l’aumento dell’Iva, previsto dal primo gennaio 2019, per alcuni beni, quelli tassati attualmente al 4% o al 10%, calmierando invece l’imposta che grava su luce, acqua e gas.
L’impatto sull’Irpef sarebbe quello di un recupero di 6-8 miliardi con l’obiettivo di tagliare la prima aliquota e accorpare due aliquote intermedie.
Tutto ancora in fase di studio, ma l’orientamento politico è chiaro. Tra l’altro, riavvolgendo il nastro a prima dell’uscita del Contratto di governo, dove c’è scritto che l’aumento dell’Iva va fermato, e prima ancora che potesse essere in lizza per diventare ministro, lo stesso Tria aveva ragionato pubblicamente sulla possibilità  di far scattare l’aumento dell’Iva in cambio di benefici sul fronte Irpef. Le idee sono rimaste le stesse e il dossier sullo scambio Iva-Irpef lo attesta in modo inequivocabile.
La reazione di Di Maio e Salvini è perentoria. L’aumento dell’Iva “è una fake news, non è assolutamente vero perchè in questo governo non si permetterà  ai soldi di uscire dalla porta e entrare dalla finestra, non vogliamo fare il gioco delle tre carte”, ha assicurato Di Maio dalla Cina.
“L’Iva non aumenta, certamente”, ha aggiunto a stretto giro il leader del Carroccio.
Al di là  delle dichiarazioni di natura politica, la questione che solleva l’ipotesi di Tria impatta su ragioni che per Lega e 5 Stelle sono irrinunciabili.
Sondando gli umori tra chi sta lavorando alla manovra in casa Lega viene fuori una convinzione: le perplessità  sono legate al fatto che alzare l’Iva, seppure solo per alcuni prodotti, sarebbe comunque un autogol visto che nel Contratto di governo l’indicazione è nettamente opposta.
C’è poi un universo di riferimento da tutelare, cioè quello dei commercianti e degli artigiani, ma soprattutto c’è un grande timore ovvero l’allontamento della flat tax strutturale

(da “Huffingtonpost”)

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ALLA FACCIA DELLA KASTA: CASALINO GUADAGNA PIU’ DI CONTE

Settembre 20th, 2018 Riccardo Fucile

IL SUPER STIPENDIO DELLO STAFF GRILLINO DI PALAZZO CHIGI: CASALINO 169.000 EURO, CONTE 114.000… DETTORI 130.000 EURO, BUGANI 80.000, ADAMO 115.000

Meglio fare il portavoce che fare il premier. Si potrebbero riassumere così i dati sugli stipendi dello staff della presidenza del Consiglio del governo Conte che l’Espresso è ora in grado di rivelare.
Sì, perchè il portavoce e capo ufficio stampa del presidente del Consiglio Rocco Casalino , già  numero uno della comunicazione dei 5 Stelle e partecipante alla prima edizione del reality show “Grande Fratello”, con i suoi 169mila euro lordi annui è di gran lunga il dipendente più pagato tra quelli che lavorano negli “uffici di diretta collaborazione” di Palazzo Chigi.
Lo stipendio di Rocco Casalino si compone di tre voci: 91mila euro di trattamento economico fondamentale a cui si aggiungono 59mila euro di emolumenti accessori e 18mila di indennità .
Per un totale, appunto, di poco inferiore ai 170mila euro annui. Una cifra assai più alta di quella che spetta allo stesso Presidente del Consiglio Giuseppe Conte il quale, non essendo deputato, deve accontentarsi di 114mila euro lordi all’anno.
Questa curiosa disparità  di trattamento non è però un inedito.
Anche nel caso del governo Renzi infatti l’allora presidente del Consiglio, non ancora parlamentare, si ritrovò a guadagnare meno del suo portavoce, e oggi deputato del Pd, Filippo Sensi.
Anche in quella circostanza le cifre erano le stesse previste dal governo Conte: 114mila euro per Renzi e 169mila per Sensi.
Il “governo del Cambiamento” spende però di più per il totale degli addetti alla comunicazione, come spiegheremo più avanti.
I Casaleggio boys all’incasso.
Secondo solo a Casalino, ma comunque meglio remunerato di Conte, è Pietro Dettori, altro big della comunicazione 5 Stelle e fedelissimo di Davide Casaleggio.
Per lui, assunto nella segreteria del vicepremier Luigi Di Maio come “responsabile della comunicazione social ed eventi” ci sono 130 mila euro annui.
Vicecapo di quella stessa segreteria è Massimo Bugani, 80 mila euro all’anno, altro nome di rilievo della galassia pentastellata.
I due sono infatti tra i quattro soci dell’associazione Rousseau che gestisce le piattaforme del Movimento 5 Stelle ed è diretta emanazione della Casaleggio associati (il fondatore è Gianroberto Casaleggio e l’attuale presidente è il figlio Davide).
Non mancano nell’elenco altri nomi di ex dipendenti della Casaleggio che da anni compongono gli staff dei deputati e senatori 5 stelle: uno tra tutti Dario Adamo, responsabile editoriale del sito e dei social di Conte, pagato 115mila euro l’anno.
Quanto conta la comunicazione. La pubblicazione degli stipendi permette di fare anche un primo confronto tra le spese di questo governo e quelli precedenti quando si parla di staff.
Un confronto che tuttavia, è importate specificare, può essere solo parziale per due ragioni: non sono ancora noti tutti gli stipendi dei collaboratori (alcuni sono ancora in fase di definizione, come quelli della segreteria di Salvini) e va inoltre precisato che ogni governo tende sempre con il passare dei mesi e degli anni ad aggiungere ulteriore personale e relativi costi.
Detto questo, le cifre più interessanti e significative sono quelle alla voce comunicazione, su cui questo governo sta spendendo più di tutti gli altri esecutivi di cui sono reperibili i dati.
L’ufficio stampa e del portavoce di Giuseppe Conte ha in organico 7 persone per un costo complessivo di 662 mila annui, di cui 169 mila vanno come già  detto al portavoce Rocco Casalino.
Secondo in classifica il governo Letta, che contava 7 persone nello staff comunicazione per un costo totale di 629mila euro annui e con il portavoce pagato 140mila euro.
L’esecutivo di Paolo Gentiloni poteva invece contare su una struttura di sette persone per un costo di 525 mila euro.
Più complesso il calcolo per il governo di Matteo Renzi: appena insidiato il team dell’ufficio stampa si basava su 4 persone tra cui il già  citato Filippo Sensi come poravoce e un costo complessivo di 335mila euro. Ma alla fine del mandato i costi erano saliti fino ai 605mila euro per un organico di sette persone.
Trasparenza a passo di lumaca.
La pubblicazione dei dati sui collaboratori della presidenza del Consiglio si è fatta attendere ben oltre i limiti previsti dalla normativa. La legge sulla trasparenza 33/2013 prevede infatti che le pubbliche amministrazioni aggiornino le informazioni sui titolari di incarichi dirigenziali o di collaborazione entro 3 mesi dal loro insediamento, termine rispettato da quasi tutti i ministeri dell’attuale esecutivo.
A dare il cattivo esempio è stata proprio la presidenza del Consiglio, che ha invece impiegato 110 giorni e nell’ultima settimane è stata “pungolata” da due richieste di accesso civico avanzate dall’Espresso affinchè venissero pubblicati i dati in questione.

(da “L’Espresso“)

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TONINELLI E’ DIVENTANTO UN CASO ANCHE NEL M5S

Settembre 20th, 2018 Riccardo Fucile

RAPPORTI TESI ANCHE CON DI MAIO DOPO LE CONTINUE GAFFE DEL MINISTRO… MOAVERO: “RICOSTRUIRE IL PONTE DI GENOVA SENZA BANDI? VIOLA LE REGOLE EUROPEE”

Danilo Toninelli è diventato un caso anche nel MoVimento 5 Stelle.
Tommaso Labate sul Corriere della Sera racconta che il concentrato di ministro che si è affacciato alle Infrastrutture con la grazia di un elefante in una cristalleria non gode di grandissima fiducia da parte dei suoi colleghi di governo e il decretino per Genova ne è stato l’ultima prova:
«Ma è sicuro, Toninelli, che l’Europa ci consentirà  di affidare la costruzione del nuovo ponte di Genova senza bandi? Perchè io, a quanto ne so, credo proprio che non sarà  così». Consiglio dei ministri, interno giorno, anche se giorno lo è ancora per poco visto che sono appena passate le 17. […]
Ma a parlare, indirizzando – seppur con eleganza –un fendente all’indirizzo del ministro dei Trasporti, è il titolare della Farnesina, Enzo Moavero Milanesi.
Che contesta la scelta di Toninelli di procedere all’assegnazione dell’incarico per la costruzione del ponte che sostituirà  il Morandi «senza bando».
Il ministro degli Esteri non fa neanche in tempo a prendere un bicchiere d ‘acqua che, contro Toninelli, parte lancia in resta anche Giovanni Tria.
«I costi di questo decreto non sono chiari», è il ragionamento del titolare dell’Economia. I due big «tecnici» dell’esecutivo, a cui s’è aggiunto anche il numero uno della Lega, bloccano di fatto il decreto che sarà  approvato «salvo intese».
E aprono, a Palazzo Chigi, la «questione Toninelli».
I rapporti sarebbero freddi soprattutto con Di Maio:
Nelle ultime settimane, il termometro dei rapporti tra il ministro dello Sviluppo economico e Toninelli, complici anche le voci sul curriculum del consulente dei Trasporti Gaetano Intrieri, ha più volte sfiorato il gelo. Al punto che c’è chi scommette sul fatto che la sovraesposizione mediatica del ministro cremasco, presenza fissa del M5S in tv, sia destinata a ridimensionarsi.
Alla Lega, pronta a rispedire al mittente tutte le proposte del M5S sui Trasporti – dalla nazionalizzazione di autostrade all’addio alla Tav – queste tensioni piacciono poco o nulla. Perchè minano la tenuta di un governo che, e questo Salvini lo ripete spesso in privato, «se cade, cade per colpa dei loro problemi interni». A cui s’è aggiunto, da giorni, anche il «caso Toninelli».

(da “NextQuotidiano”)

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TONINELLI COLPISCE ANCORA: SI DIMETTE L’AVVOCATO LEGHISTA ACCUSATO DI TRUFFA CHE IL MINISTRO AVEVA NOMINATO NEL CDA DELLE FAL

Settembre 20th, 2018 Riccardo Fucile

IL PASSO INDIETRO DI FRANCESCO CAVALLO, SCELTO DA SALVINI PER LE FERROVIE APPULO LUCANE

Si è dimesso, poche ore la nomina nel cda delle Ferrovie Appulo Lucane, Francesco Cavallo. L’avvocato, scelto dal ministro Danilo Toninelli, è sotto processo a Lecce per aver truffato lo Stato fingendo di predisporre pratiche per associazioni antiracket nel Salento.
Una vicenda per cui è già  stato rinviato a giudizio e per la quale è pendente anche una richiesta di sequestro per 51 mila euro, che sarebbero il frutto del reato per il quale è imputato. “Ho ritenuto di farlo dopo aver letto il giornale per evitae inutili strumentalizzazioni” spiega a Repubblica. “Detto questo non ho alcuna responsabilità , come dimostrerà  il processo, e un curriculum di primo livello”.
E’ stato il Pd a sollevare il caso, dopo la denuncia di Repubblica. “La nomina dell’avvocato Francesco Cavallo nel cda delle ferrovie Fal è da ritirare immediatamente: risulta infatti sotto processo a Lecce per aver truffato lo stato fingendo di predisporre pratiche per associazioni antiracket nel Salento. Una vicenda per cui è già  stato rinviato a giudizio e per la quale è pendente anche una richiesta di sequestro per 51 mila euro, che sarebbero il frutto del reato per il quale è imputato”.
È quanto dichiara la senatrice Pd Laura Garavini, vicepresidente della commissione Difesa.
“Vogliamo sperare – aggiunge- che sia solo un caso di omonimia, che viste le gaffe sugli esperti già  inanellate dal ministro Toninelli potrebbe anche essere plausibile, ma temiamo che questa volta la vicenda sia particolarmente grave. Sappiamo che il ministro dell’Interno, che secondo indiscrezioni di stampa avrebbe indicato quel nome per il cda, non si fa molti problemi con le truffe a danno dello Stato, visti i problemi con il bilancio del suo partito, ma speravamo che il ministro Toninelli se ne preoccupasse di più”.

(da “NextQuotidiano”)

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SALVINI IN CENTO GIORNI NON HA CONCLUSO NULLA, E’ RIUSCITO SOLO A LITIGARE CON TUTTI E RIMEDIARE BRUTTE FIGURE

Settembre 20th, 2018 Riccardo Fucile

OGNI GIORNO USA ARMI DI DISTRAZIONE DI MASSA PER I CREDULONI … CON IL LUSSEMBURGO HA FATTO LA FIGURA DEL DOBERMAN CHE ABBAIA A UN PULCINO E RIESCE PURE A BUSCARLE

La politica in Italia richiede spiccate doti da borseggiatore. Come il malvivente, il politico di successo deve distrarre la vittima distogliendone l’attenzione dalla tasca o dalla borsetta prima di potervi subdolamente infilare le prensili dita. In politica la credulità  dell’elettore (e dei media da riporto) va indirizzata strillando nella direzione opposta a quella che si intende perseguire.
Prendete il politicante che al momento sembra aver accumulato il bottino elettorale più cospicuo: il Salvini di lotta e malgoverno.
Nei fatidici cento giorni di governo non si annovera alcun risultato poilitico di rilievo. Si registrano solo una rissa verbale con il Lussemburgo (un po’ come se un doberman abbaiasse ad un pulcino e perdesse lo scontro), qualche strepito sulle navi che sbarcano i migranti (e che continuano a sbarcare come prima), un incontro in pompetta magna con Orban (che guida un paese irrilevante) da cui non ha ricavato nemmeno una merenda a base di gulash rancido.
Per il resto il Governo del Cambiamento (di casacca), al netto dell’hashtag, appare un governo Letta con una spruzzata soporifera di Gentiloni, Tria nella parte di Padoan e Di Maio nella parte del Bomba che minaccia (a vuoto) di sbattere i pugni a Bruxelles, mentre l’astuto Toninelli è una sottospecie di Boschi, ma più pasticcione e privo di tacchi.
Pertanto non stupisce che in questa macedonia di incompetenza, presunzione, velleità  e ignoranza pura spicchi il genio, più bertoldesco che politico, dell’Ometto Forte. L’apertura della lettera contenente un avviso di garanzia, ad esempio, ha fornito il pretesto per una gag da Pappagone per dipingersi vittima dela magistratura.
E mentre l’attenzione dell’elettore medio era concentrata sulla trita polemica contro il giustizialismo che tiene banco da 25 anni, Salvini otteneva dalla suddetta magistratura il privilegio di restituire i soldi fatti sparire dal suo partito in comode rate estese per un periodo di appena 66 anni.
Praticamente una rivoluzione copernicana nel diritto penale. Pensate che pacchia per un rapinatore colto in flagranza che potesse patteggiare la restituzione del bottino in 66anni senza interessi.
Eppure Salvini ci è riuscito, magari sbraitando di giustizia ad orologeria.
Analogo copione sulla legge di bilancio.
Il Provolo del Cuoco ha passato l’estate a distogliere l’attenzione minacciando di sfasciare i conti pubblici e atteggiandosi a ganassa con l’Unione Europea.
Poi dallo “sforare” il 3% (nel rapporto deficit/Pil), si è ammansito sullo “sfiorare” il 3% e fra poco si accomoderà  scodinzolante nella cuccia che gli hanno approntato a Bruxelles e Francoforte, contento di rosicchiare il solito 1,6% concesso ai predecessori.
Delle altre fregnacce con cui il Provolo aveva inondato TV e giornali, dalla riduzione delle accise sulla benzina (al primo consiglio dei ministri) al rimpatrio dei clandestini non si trova traccia.
Lo show a reti unificate sulla Diciotti è bastato per turlupinare i creduli facendo la faccia feroce con meno di duecento migranti (peraltro sbarcati e poi allegramente dileguatisi) a fronte di centinaia di migliaia per i quali resta tutto esattamente come prima.
E per concludere l’arma atomica di distrazione di massa: la panzana maxima dell’Uscita dall’Euro con cui Salvini ha eccitato le corna celtiche per anni.
Ormai l’hanno seppellita al Tramonto nel Cimitero delle Trote. Requiescat in pacem, come dicono a Rocca di Papa.

(da “NextQuotidiano”)

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LA CACCIA ALLE STREGHE DEL M5S AL MINISTERO DEL TESORO

Settembre 20th, 2018 Riccardo Fucile

I SOLDI PER LE PROMESSE ELETTORALI NON ESISTONO? COLPA DI CHI BOICOTTA

Siccome chi ride quando le cose vanno male ha già  trovato qualcuno a cui dare la colpa, è partita un’appassionante caccia alle streghe al ministero del Tesoro.
Nei panni del cacciatore c’è il MoVimento 5 Stelle, che vorrebbe dare il ruolo di preda ai tecnici di via XX Settembre; in particolare sulla graticola c’è il Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco, che si era tentato di far passare per colpevole già  all’epoca del Decreto Dignità . Ma non solo lui.
Franco, prorogato lo scorso luglio e in scadenza a fine anno, una lunga carriera in Bankitalia e da sempre poco amato dal Movimento, l’avrebbe combinata grossa: a inizio settimana, racconta Tommaso Ciriaco su Repubblica, i sottosegretari all’Economia grillini avrebbero chiesto a lui un incontro informale allo scopo di illustrargli che i soldi necessari al reddito di cittadinanza esistono, ma sono nascosti tra le pieghe del bilancio. Che possono essere sbloccati, a patto di frugare tra le tabelle in mano al Mef. Lui non ha risposto all’invito.
E allora i grillini chiedono la sua testa perchè sono convinti che lo stia boicottando. Anche perchè, dicono, le coperture per il reddito di cittadinanza ci sono visto che glielo ha detto Laura Castelli:
«All’1,6 per cento il governo non può fare nulla» spiega invece Castelli. È la prima vera ammissione pubblica. E arriva mentre dalla Cina Di Maio chiede nervosamente conferma sulle risorse individuate per il reddito di cittadinanza. «Laura ci ha sempre detto che ci sono, spero che abbia ragione».
Il viceministro del M5S lo ribadisce a chi le chiede del piano di 70 miliardi di coperture promesso dai grillini: «Per il reddito servono 10 miliardi, li otteniamo tagliando i sussidi ambientali dannosi». (Ilario Lombardo, La Stampa)
L’atteggiamento dei grillini è incredibile. Per anni hanno assicurato e garantito che le coperture per il reddito di cittadinanza erano certificate dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio nella legge che avevano presentato.
Per mesi, durante la campagna elettorale, hanno detto che avrebbero tagliato spese inutile per 30 miliardi segando anche lo stipendio dei parlamentari attualmente eletti (e quindi anche i loro) se necessario, per il Popolo.
Ora, sul più bello, chiedono a Tria di trovare le coperture invece di tirare fuori la scure e tagliare come avevano promesso. E mettono nel mirino Daniele Franco e la struttura del Tesoro, “rea” di ostacolare chi ha i voti e non può essere ostacolato da nessuno. Ora, spiega Repubblica, invece di dedicarsi alla scrittura delle leggi che avevano promesso mettono in scena una caccia alle streghe contro i tecnici del Tesoro:
Al posto di Franco, fanno circolare, potrebbe finire Biagio Mazzotta, di fatto il suo vice, a capo dell’ispettorato generale del Bilancio del Mef. Ma non basta.
C’è un elenco informale con altri nomi che fa circolare il Movimento, personalità  che starebbero colpevolmente irrigidendo la posizione di via XX settembre.
Tra questi, spicca il nome di Roberto Garofoli, capo di gabinetto di Tria e prima di Pier Carlo Padoan durante i governi Renzi e Gentiloni, confermato nel suo incarico su richiesta di Tria.
L’attacco alla compagine del ministro, ovviamente, punta al cuore della sua struttura. E mira a piegare il responsabile del Tesoro, o in alternativa a metterlo da parte definitivamente.
L’attacco concentrico punta anche contro Francesca Quadri — a capo dell’ufficio coordinamento legislativo — e contro Glauco Zaccardi, capo dell’ufficio legislativo finanze. Per i pentastellati di governo, insomma, l’unico modo per ottenere il reddito è colpire la struttura del Mef su due fronti: chi gestisce i conti e decide sulle politiche economiche — come Franco e Garofoli — e chi mette nero su bianco i provvedimenti.
Tria, dall’altra parte della barricata, non sembra orientato ad accontentare la sete di sangue dei grillini. E attende che la realtà  bussi alla porta di casa Di Maio.
Chissà  se anche lì sono pronti alle barricate.

(da “NextQuotidiano”)

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