Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile
“ATTENZIONE A RISPETTARE L’ART 10 DELLA COSTITUZIONE SULLA PROTEZIONE UMANITARIA” … RESTA APERTA LA POSSIBILITA’ DI RICORSI ALLA CORTE COSTITUZIONALE
La mossa è politicamente raffinata. 
Sergio Mattarella, contestualmente alla firma del decreto sicurezza e immigrazione, invia una lettera al presidente del Consiglio, secondo un’antica tradizione quirinalizia. Perchè avverte “l’obbligo” di sottolineare che, in materia, restano “fermi gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato”, pur se non espressamente richiamati nel testo normativo e, in particolare, “quanto disposto dall’articolo 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia”.
Come del resto è affermato nella Relazione di accompagnamento al decreto.
Art. 10 Cost. L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Diciamo le cose con un linguaggio meno paludato.
Non spettava a Mattarella un giudizio di merito su un testo, indubbiamente securitario, che è quanto di più lontano dalle sue convinzioni, dalla sua sensibilità , dalla sua vita di cattolico democratico.
L’esame di costituzionalità , dopo una seria “limatura” del testo affidata agli uffici, non è un esame di merito politico.
Nè il Colle è un contropotere che può fare dell’esercizio delle sue prerogative l’occasione di un conflitto.
Però, per stare nell’abusata metafora dell’arbitro, è vero che il capo dello Stato non ha bloccato l’azione, ma ha segnalato, in qualche modo, che siamo al limite del fuorigioco in relazione ai nodi legati alla materia della sospensione della protezione umanitaria.
La sottolineatura di Mattarella riguarda in maniera particolare la salvaguardia dei migranti con riferimento alla presunzione d’innocenza.
Nelle sue versioni iniziali il “decreto Salvini” prevedeva la revoca immediata della protezione per gli stranieri accusati di una lunga serie di reati.
Testo successivamente riscritto che ora prevede un riesame della posizione degli stranieri denunciati da parte delle commissioni territoriali, che sono organi amministrativi nell’orbita del Viminale, composti da un viceprefetto, un funzionario di polizia, un rappresentante di un ente territoriale designato dalla Conferenza Stato-autonomie locali, e un delegato dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati.
È un passaggio delicato che non mette di per sè al riparo da possibili violazioni della Carta, proprio perchè il testo si può prestare a margini di discrezionalità .
Il testo definitivo prevede che “la Commissione territoriale competente per il riconoscimento della protezione internazionale provveda nell’immediatezza all’audizione dell’interessato e adotti contestuale decisione”.
Non serve, per l’allontanamento, una condanna definitiva e neanche esclusivamente una condanna di primo grado, ma può bastare solo la semplice denuncia da parte delle forze dell’ordine per reati “pericolosità sociale”.
È tesa a ridurre questi margini di discrezionalità la sottolineatura del capo dello Stato. In modo da evitare che, nell’applicazione, qualche funzionario possa essere più realista del re.
Ecco il punto: gli apparati dello Stato sono una realtà complessa. Non è in discussione la fedeltà alle istituzioni, ma gli apparati “interpretano” fisiologicamente anche ciò che non è scritto, ma lasciato intendere, perchè, quando ci sono margini di discrezionalità , può contare il clima e il contesto.
E non c’è dubbio che sta prendendo corpo un messaggio di radicalizzazione politica e simbolica, e una mutazione genetica della figura stessa del ministro dell’Interno da figura di garanzia a ministro dell’Ordine.
Ricordare “l’articolo 10 della Costituzione” e gli obblighi sanciti dai trattati internazionali, significa dare una bussola nell’applicazione, mettendo al centro le regole e non il condizionamento ambientale: “L’ordinamento giuridico italiano – fa notare ora Mattarella – si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici”.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile
200.000 EURO DA YLENIA LUCASELLI, ACCOLTA A BRACCIA APERTE NEL PARTITO E PORTATA IN PARLAMENTO, GIA’ CANDIDATA DEL PD IN PUGLIA… AZIONISTA IN UNA MULTINAZIONALE AMERICANA CHE DISTRIBUISCE ALCOLICI E CANNABIS LEGALE IN CANADA
Fratelli d’Italia, ma anche degli Stati Uniti. Non solo perchè Giorgia Meloni ha
abbracciato con entusiasmo il movimento lanciato dall’americano Steve Bannon, quello che mira a creare la rete internazionale dei populisti-sovranisti contro l’Europa dei “poteri forti, delle multinazionali e dei burocrati”.
Fratelli d’Italia strizza l’occhio all’America trumpiana anche perchè il contributo
di gran lunga più generoso al partito è arrivato da nomi che riconducono a una multinazionale made in Usa: messi insieme Ylenjia Lucaselli, Daniel Hager e la Hc Consulting Srl hanno infatti regalato al piccolo partito nazionalista 200 mila euro. Hager e Lucaselli sono marito e moglie.
La famiglia di Hager è azionista della Southern Glazer’s Wine and Spirits, la più grande azienda statunitense della distribuzione di vini e alcolici (secondo stime di Forbes nel 2016 ha fatturato 16,5 miliardi di dollari e distribuito 60 milioni di bottiglie di vino italiane negli States).
Una multinazionale americana che finanzia un partito sovranista italiano? Succede anche questo nel tortuoso mondo del neonazionalismo.
E non è l’unica contraddizione, perchè la Southern Glazer’s è da poco entrata anche nel business della cannabis legale in Canada, settore che in teoria Meloni e i suoi vedono come fumo negli occhi. Ma d’altra parte come dire di no a 200 mila euro.
La stessa Lucaselli lavora per il gruppo americano: avvocato, appassionata di vino biologico e made in Italy, lo scorso 4 marzo è stata eletta alla Camera proprio con Fratelli d’Italia.
Una new entry la cui unica esperienza in politica risale alle Regionali di Puglia nel 2010: candidata con il Pd a sostegno della sinistra con Nichi Vendola. All’epoca l’avvocato non ebbe grande successo. Oggi invece siede in Parlamento con i sovranisti che guardano ai dazi di Trump con ammirazione.
Certo, c’è da dire che Lucaselli ha avuto il notevole vantaggio di correre da numero uno nei listini proporzionali in Emilia Romagna.
Del resto è stata molto generosa con i suoi nuovi compagni di avventura politica: a suo nome ha versato 90 mila prima delle elezioni. Una cifra che fa impallidire un pezzo da novanta del partito qual è Ignazio La Russa, che ne ha versati molti meno nello stesso periodo.
Ai denari firmati Lucaselli vanno poi aggiunti i restanti 110 mila euro: 95 mila euro donati a nome del marito e 15 mila arrivati dalla loro società italiana di logistica, la H.c. Consulting di Livorno.
L’intento politico di Lucaselli e del suo partito è di difendere i prodotti dell’agroindustria nostrana. C’è però da capire, vista la sua vicinanza alla multinazionale, nell’interesse di chi lo faccia.
Dei produttori di vino italiani o della società statunitense che li distribuisce oltreoceano? Un mix di interessi che, comunque la si guardi, resterebbero delusi dall’eventuale imposizione di dazi sulle importazioni minacciato dall’amato Trump.
Scorrendo l’elenco dei finanziatori ufficiali di Meloni troviamo poi un’altra sorpresa, questa più coerente con gli ideali del suo partito. Fratelli d’Italia ha infatti ricevuto un bonifico da 20 mila euro, poco prima delle elezioni del 4 marzo, da Vincenzo Onorato.
È l’armatore napoletano che controlla le compagnie Moby, Tirrenia e Toremar, punite dall’Antitrust con una multa da 29 milioni per abuso di posizione dominante sulle rotte verso la Sardegna.
Due settimane dopo il voto, sul profilo Facebook di Meloni è apparso un post a proposito dell’armatore: non per ringraziare della donazione, ma per schierare il partito a favore della controversa pubblicità delle compagnie di Onorato. Quella che invitava i passeggeri a scegliere solo le società che impiegano personale italiano.
(da “L’Espresso”)
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Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile
“TITOLO INDEGNO E VERGOGNOSO”, L’ORDINE DEI GIORNALISTI DENUNCIA FELTRI… LA SOLITA MACCHINA DEL FANGO, NESSUN RISCHIO CONTAGIO, SOLO DUE TURISTI RIENTRATI DAL BANGLADESH
È ancora bufera su Libero. E anche stavolta, l’occhio del ciclone sta nel titolo sbattuto in prima pagina.
Dopo averli già incolpati di “portare le malattie oltre alla miseria” il quotidiano diretto da Vittorio Feltri imputa ai migranti la presunta emergenza sanitaria scoppiata a Napoli, con i due casi di colera registratisi nel capoluogo partenopeo.
“Torna il colera a Napoli” il titolo che campeggia in prima pagina, accompagnato da un sottotitolo che assomiglia più ad una sentenza: “Lo hanno portato gli immigrati”. Una sparata che, come prevedibile, ha scatenato le polemiche, in primis da parte dell’Ordine dei giornalisti: “Quel titolo viola la carta di Roma che Tutela la dignità dei migranti, l’infanzia e i soggetti più deboli – sostiene il presidente dell’Odg Carlo Verna, che ha annunciato di aver “già allertato gli uffici dell’ordine per chiedere repentinamente una valutazione al consiglio di disciplina nazionale” per eventuali provvedimenti disciplinari”.
“Da napoletano – aggiunge Verna – non posso che pensare a questo luogo comune di ricordare il colera e che si allaccia ai quei beceri cori pronunciati allo Juventus stadium nella partita contro il napoli di sabato scorso. È Una discriminazione doppia, che da napoletano mi turba. C’è un atteggiamento becero nell’accostare Napoli al colera”.
A fare eco al presidente dell’Odg ci ha pensato anche lo scrittore Maurizio De Giovanni, per il quale “quel titolo non è la prima cosa indegna, vergognosa, cabarettistica, inutile, dannosa e autolesionista che fa un giornale con una platea di utenza per fortuna molto limitata”.
“Gli auguro – ha detto e Giovanni riferendosi al direttore Feltri – di non ammalarsi, ma di stare attento. Perchè se io pensassi e facessi un titolo in prima pagina sul fatto che questa è una città in cui c’è il colera non ci verrei. Evidentemente lui stesso sa che non corre pericoli”
La notizia in breve è questa: due persone, mamma e figlio, sono tornate in Italia da una vacanza. Durante il soggiorno in Bangladesh hanno contratto il colera e quando sono tornate a casa, a Sant’Arpino (Caserta), erano ammalate e sono state così ricoverate all’ospedale Cotugno di Napoli.
Le rassicurazioni delle autorità sanitarie partenopee invece sono queste: non c’è alcun rischio contagio nè alcun pericolo di epidemia. I familiari dei due pazienti sono stati vaccinati.
Tanto è bastato per il Mattino per fare un titolo come “Napoli choc, torna l’incubo colera” che su Facebook è stato lanciato con un’altra frase allarmistica “Napoli ripiomba nell’incubo di 45 anni fa”.
Nell’articolo (e anche in quello sull’edizione cartacea di oggi) si spiega che i due pazienti sono di origine bengalese (ma risiedono in Italia) e si capisce che Napoli non c’entra se non per il fatto che mamma e figlio (di due anni) sono stati ricoverati al Cotugno.
Il fatto che non ci sia alcun “incubo colera” a Napoli, che le due persone che hanno contratto la malattia non siano di Napoli ma della provincia di Caserta e che il colera sia “di importazione” (in Bangladesh è una malattia endemica) ha fatto sollevare i lettori partenopei che hanno accusato il quotidiano di “remare contro” la città e di non perdere l’occasione per infangare il nome di Napoli continuando a riproporre un vecchio stereotipo spesso usato proprio per denigrare gli abitanti.
Molti lettori e utenti hanno duramente criticato la scelta del Mattino di puntare l’accento su Napoli e sulla storia del colera.
C’è chi ha scritto «Vi vendereste la madre per un like in più sul vostro sputtanapoli!!!! Siete giornalai, servi di un padrone! Siete la vergogna della categoria» e chi accusa il quotidiano di fare terrorismo mediatico pur di conquistare qualche lettore.
Si tratta del resto di due casi isolati, che non hanno nulla a che fare con Napoli e che sono in un certo senso “fisiologici” quando si visita un paese dove il colera circola cronicamente tra la popolazione.
Lo stereotipo paga. Ed è per questo che a Libero hanno subito fiutato l’affare.
Oggi infatti il quotidiano scritto diretto e interpretato da Vittorio Feltri non perde tempo e spara a quattro colonne un titolo contro i veri colpevoli: gli immigrati. Sono loro infatti a riportare in Italia il virus che da noi era sparito.
Ed infatti Libero chiosa sulla storia delle “risorse che ci pagano le pensioni” sottolineando invece che «gli stranieri ci regalano per lo più malattie».
Il tutto ovviamente senza che sia stato un solo caso di contagio. E soprattutto evitando di far notare che madre e figlio erano di ritorno da una vacanza, quindi sarebbe potuto succedere a qualunque turista, anche ad uno italiano.
Succede a volte che invece siano gli italiani a esportarle (è successo di recente in Messico con il morbillo). Ma per Libero e per molti commentatori una delle qualità intrinseche dei migranti è proprio quella di portare le malattie.
Libero non ha fatto altro che intercettare gli umori dei patridioti dando loro il titolo che tanto agognavano. Il colera torna (dalle vacanze) per colpa degli immigrati.
Maledetti negri non solo ci contagiano con le loro malattie ma ci attaccano pure il disagio e la povertà . E Salvini che fa??
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile
“SALVARE ANCHE SOLO UNA PERSONA DALLA STRADA E’ IL VALORE DI FARE IL SINDACO”…”ANCHE I MAGISTRATI HANNO AMMESSO CHE MI CONTESTANO IL REATO DI UMANITA'”
Rilancia il ‘modello Riace’ convinto di essere nel giusto, sicuro di non aver mai intascato
un soldo per sè anzi di aver donato agli altri anche i propri.
Mimmo Lucano si lascia alla spalle il palazzo della Procura di Locri dopo tre ore di interrogatorio davanti al giudice per indagini preliminari: “È tutto assurdo”, dice.
È turbato, si ferma a lungo a parlare davanti alle telecamere al terzo giorno di arresti domiciliari. Alla notizia del suo arresto, Matteo Salvini aveva esultato dicendo: “E adesso cosa diranno Saviano e i buonisti?”.
Lucano gli risponde come chi non ha afferrato il senso di quella parola “buonisti”. E dice: “Attenzione, forse la Costituzione italiana la rispetto più io di chi si nasconde dietro le regole. La prima regola è avere rispetto degli essere umani. Siamo tutti esseri umani, al di là del colore della pelle. Non c’è nessuna differenza”.
Dice di non avere nulla da rimproverarsi e che rifarebbe tutto ciò fatto finora. Parla di “reato di umanità ” e di leggi che sono sbagliate: “Quale regolamento ho forzato? Salvare anche solo una persona dalla strada e farle avere una vita normale per me è il valore di fare il sindaco”.
Ad attenderlo davanti al palazzo della procura c’è Bahrae, un curdo che da vent’anni vive a Riace arrivato in Italia a bordo di quel veliero arrivato nel ’98 e che costò al sindaco Lucano il soprannome di “Mimmo u curdu” perchè da allora decise di dedicarsi all’accoglienza dei migranti.
Torna e rimbomba la parola “regole” perchè in Procura gli hanno detto che in stato di diritto le leggi ci sono e vanno rispettate.
Ma Lucano si appella ancora alle sue ragioni: “Ma sono state regole quelle dell’ex ministro Minniti che ha fatto accordi con i libici è lì in Libia morivano le persone? Bisogna vedere con i propri occhi. Io li ho visti i lager e tanti a Riace li hanno visti”. Rivendica di non aver mai intascato un soldo. Anzi.
“I miei soldi, i soldi che ho ricevuto come premio non li ho tenuti per me, li ho dati a tutti. Noi pensiamo che tutto funziona con i soldi ma per me non funziona così”.
E infine: “A Riace hanno pianto per me? Grazie per tutto questo”.
Entra in auto con il suo avvocato e torna a Riace, nella sua palazzina alle spalle del Comune e da dove ancora non può uscire.
Alle 9 si è seduto di fronte al giudice Domenico Di Croce per l’interrogatorio di garanzia, da cui dipende una sua eventuale scarcerazione. “Rispondo a tutto, non ho niente da nascondere” ha detto prima di entrare.
“Quello che sta succedendo, l’inchiesta che lo ha coinvolto — dice – “è una cosa assurda. Anche gli inquirenti durante l’interrogatorio, dice, hanno riconosciuto che quello che mi contestano è il reato di umanità “.
Per la procura, avrebbe organizzato delle nozze di comodo per permettere ad alcune ragazze di rimanere in Italia, ma lui nega tutto. “Parlano di matrimoni, ma in realtà il matrimonio che è stato celebrato è uno solo ed è uno vero” afferma. In più, sottolinea, molte delle sue conversazioni intercettate sono state mal interpretate.
Su quei lavori di raccolta e trasporto rifiuti affidati, a detta della procura illecitamente, a due cooperative di Riace quasi sbotta: “Ma come? In una zona assediata dalle ecomafie, con l’inquinamento dei mari, c’è una mafia che controlla il ciclo dei rifiuti… io ho cercato di fare luce e devo pagare per questo? Mi sembra una cosa assurda”.
E poi, attacca, “quando le cooperative sono nate il regolamento regionale a cui dicono che dovrebbero essere iscritte non c’era”.
Un enorme numero di disoccupati a Riace invece sì. Per questo sono nate le cooperative, “con avviso pubblico” specifica. Hanno significato lavoro per i disoccupati di Riace, “i più svantaggiati, i disabili e certo anche qualche straniero”, e un nuovo decoro per il paese. “Abbiamo portato luce e pulizia a Riace. All’epoca c’erano ancora i cassonetti per la strada, mi vergognavo come sindaco”.
Starebbe a parlare ore Mimmo Lucano. Vuole spiegare la sua versione dei fatti, difendere il modello di integrazione che ha costruito, ma il suo avvocato lo trascina via. Prima però Lucano fa in tempo a dire: “Anche i campi di concentramento quando c’era Hitler rispettavano le regole”.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile
LA MANOVRA FANTASMA, RAGIONERIA ANCORA AL LAVORO, I CONTI NON TORNANO, E’ BATTAGLIA SUL TESORETTO
Sentite Luigi Di Maio ieri sera: “Abbiamo definitivamente inviato il Def alle Camere e a Bruxelles”.
Parole pronunciate non nella conferenza stampa nella quale le domande sono interdette, ma nella successiva diretta Facebook, senza contraddittorio, a uso e consumo dei propri elettori.
Nel momento in cui scriviamo, Camere ed Europa non hanno ricevuto alcunchè.
Sulle tabelle stanno freneticamente lavorando ancora i famigerati tecnici del ministero dell’Economia. Dopo i ritocchi ai numeri stabiliti nel vertice di ieri sera, occorreva ritoccare tutto. Perchè il bilancio dello stato è un mahjong talmente complesso che lo spostamento di una virgola provoca a cascata modifiche su tutto.
Dal Tesoro spiegano che il balletto delle cifre su cui pubblicamente Movimento 5 stelle e Lega se le stanno dando di santa ragione — il leghista Massimo Garavaglia ha risposto a muso duro al pentastellato Stefano Buffagni che aveva ironizzato sui numeri dati da Matteo Salvini — è parte del motivo per il quale la Ragioneria dello stato ancora non ha licenziato il testo definitivo.
In gioco la ripartizione delle risorse, soprattutto sui rispettivi cavalli di battaglia. Quanti soldi verranno messi sul reddito di cittadinanza? Quanti sulla Fornero? Salvini è sicuro: 7/8 al Carroccio, altrettanti ai 5 stelle. Buffagni gli risponde: a noi 10. Arriva Garavaglia: per le pensioni ce ne sono 7, partiranno subito.
Nelle pieghe di queste cifre e delle relative coperture si scrivono e si riscrivono le tabelle della nota di aggiornamento al Def. Da cui dipenderà il perimetro della manovra, anzitutto, e a cascata il giudizio dell’Unione europea.
Il documento quindi passerà al gabinetto di Giovanni Tria. Dopo una supervisione, verrà trasmesso per la bollinatura politica a Palazzo Chigi.
Qui verrà vagliato dal Dipartimento affari giuridici e legislativi che supporta Giuseppe Conte. Ma è del tutto probabile che un controllo incrociato verrà fatto anche dagli uffici dei due vicepremier.
Superato lo scoglio, arriverà nelle mani del ministero dei Rapporti con il Parlamento, che ha l’incarico di trasmetterlo alle Camere.
L’8 ottobre, se la macchina non si inceppa, le audizioni in Commissione. Il 10 il voto sulle risoluzioni alla Camera.
“Le regole sono state sottoscritte e ci sono, quindi se uno può decidere di non rispettarne alcune, l’altra parte è legittimata a dire le regole sono state violate”, ha ammesso candidamente il ministro Tria.
Sul perchè la grancassa del governo sta ancora risonando a tutto spiano. Il dettaglio sul quanto e sul come è ancora avvolto nella nebbia.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile
GARAVAGLIA: “IL M5S DIFFONDE SIMULAZIONI”… BUFFAGNI” SALVINI DI PRIMA MATTINO E’ ANCORA CONFUSO”
Sulle risorse da destinare al reddito di cittadinanza i conti non tornano. E la guerra dei
numeri tra Lega e M5s è appena incominciata.
Salvini a Radio Anch’io aveva detto: “Se la matematica non è un’opinione, se ci sono 7-8 miliardi per la Fornero, ce ne sono 8 per il reddito”.
Immediata è arrivata la risposta dei 5 Stelle che ha ribadito la cifra iniziale che non si scenderà sotto ai 10 miliardi, 9 per il reddito e 1 per i centri per l’impiego.
E sull’affermazione del ministro dell’Interno il sottosegretario Stefano Buffagni, ospite di Mattino 5, ha ironizzato: “Ho qui la tabella. Salvini? Era mattino presto forse era confuso”
Il viceministro dell’Economia, Massimo Garavaglia, della Lega, accusa però gli alleati di governo di diffondere dati non ancora certi: “Dispiace che esponenti degli alleati di governo vadano in giro con tabelle non ufficiali e che sono mere simulazioni. Confermiamo che la quota 100 per le pensioni partirà al massimo entro il mese di febbraio, anche se faremo di tutto per renderla operativa già dal 1 gennaio 2019, e che prevede una spesa di 7 miliardi di euro per il prossimo anno”.
Salvini ha risposto che per le due misure principali, reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia di M5s, e abolizione della Fornero, cavallo di battaglia della Lega, la cifra ammonta a 16 miliardi, comprensivi anche di altri interventi.
(da “Huffingtonpost”)
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Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile
IL LAPSUS DI DI MAIO: “VOGLIAMO COSTRINGERE L’EUROPA A DIRCI NO ALLA MANOVRA”
«Vogliamo costringere l’Ue a dirci no alla manovra»: il lapsus di Luigi Di Maio a Quarta Repubblica è la spia della situazione che il governo Lega-M5S si trova ad affrontare e anche un’anticipazione della strategia del leader grillino e di Matteo Salvini nei confronti dell’Europa.
La presentazione, con tratti di vera comicità , della manovra è stata la prima Retromarcia del Popolo innestata dalla crescita dello spread di questi giorni. E non è escluso che ce ne siano altre.
Ma c’è un punto di non ritorno dietro questa tattica ed è lo spread a 400.
Se il differenziale tra BtP e Bund dovesse ancora crescere, a dispetto delle dichiarazioni bellicose della maggioranza, sarebbero disposti a firmare un armistizio con l’Unione Europea.
Altrimenti, finchè la crescita sarà intorno ai 300 punti e anche oltre, l’intenzione del governo è di resistere, resistere, resistere anche in caso di scontri e sanzioni dalla UE: «Se non tocchiamo quella quota, non faremo altre concessioni».
Altrimenti sarà guerra. E non si faranno prigionieri.
D’altro canto, e ne è convinto più di tutti il ministro degli Affari Europei Paolo Savona, l’Europa avrebbe tutto l’interesse del mondo a mantenere i rapporti con l’Italia perchè è un’architrave dell’Unione e senza Roma — o con la sua ostilità a Bruxelles — sarebbe difficile tenere in piedi le istituzioni europee e l’euro.
Un ragionamento che non sembra tenere conto affatto del clima che si respira in Germania e in Francia, dove ci sono estremisti esattamente come qui ma stanno dall’altra parte della barricata.
E non vedono l’ora di controfirmare dichiarazioni di guerra portate da altri.E cosa succede se invece lo spread arriva a 400?
In questo caso l’intero sistema rischierebbe di cedere rapidamente, ragionano grillini e leghisti che evidentemente sottovalutano la possibilità che una lenta agonia possa fare gli stessi danni in un orizzonte temporale più lungo (oppure ritengono questa ipotesi più sostenibile delle altre).
A quel punto si aprirebbero due possibilità : la prima è di rimangiarsi il deficit/PIL al 2,4% rinunciando di fatto a fare politica economica per gli anni a venire, visto che non ci sarebbe spazio per le costosissime riforme della Fornero e del reddito di cittadinanza.
O meglio, ci sarebbe a patto di mettere le mani sulle forbici e tagliare, tagliare, tagliare come del resto i 5 Stelle avevano promesso avventatamente durante la campagna elettorale.
Questa ipotesi però è irrealistica perchè significherebbe scontentare ampi strati della popolazione che oggi hanno accordato la loro preferenza ai gialloverdi.
E allora l’altra ipotesi sarebbe quella di lasciar cadere il Governo del Cambiamento, fare spazio a un esecutivo tecnico e correre il più velocemente possibile verso nuove elezioni politiche e una nuova legittimazione.
Una specie di Ultima Thule, dove però tutto rimarrebbe incognito, anche i risultati elettorali e la possibilità che non tutto vada come previsto.
La bocciatura della legge di bilancio del Popolo potrebbe essere un ottimo argomento per fare il pieno alle urne. Il problema è che dopo si tornerebbe sempre alla calcolatrice. E quella non si lascia influenzare dai sondaggi, figuriamoci dai risultati.
(da “NextQuotidiano”)
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Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile
“BASTA UN RALLENTAMENTO DELL’ECONOMIA PER FAR RIPARTIRE LA CORSA AL DEBITO”
Le correzioni che il governo ha fatto alla nota di aggiornamento al Def, con il deficit al
2,4% nel 2019 e ridotto per i due anni successivi, non sono bastate ad ammorbidire il giudizio di Carlo Cottarelli, presidente dell’Osservatorio sui Conti Pubblici dell’Università Cattolica, sulla manovra tragta Lega-M5s.
“Il miglioramento di cui si parla – afferma Cottarelli in un’intervista ad Avvenire – è contenuto, magari può aiutare a calmare i mercati. Il problema è che se anche quegli obiettivi di deficit sono raggiunti sono altri tre anni in cui l’Italia rimanda l’aggiustamento dei conti pubblici. Fra tre anni ci ritroveremo comunque con un deficit vicino al 2%, che vorrebbe dire più o meno ai livelli del 2018: se le regole sono applicate come scritte, questa piccola riduzione non è sufficiente”.
Magari l’Ue potrebbe apprezzare lo sforzo – ha aggiunto l’ex commissario alla spending review – ma diventa una questione di interpretazione molto generosa delle regole, non so se è possibile farla.
Bruxelles potrebbe temporeggiare e rinviare il suo giudizio alla primavera: alla fine l’Ue è sempre stata molto morbida con tutti”.
“A me – ha proseguito Cottarelli – preoccupano più i mercati che l’Europa, probabilmente se il governo non avesse deciso di rivedere verso il basso il deficit lo spread sarebbe salito ancora. Il punto però è un altro: io credo che eviteremo una crisi in questo momento, ma partendo da un deficit a questo livello e da un debito che si riduce minimamente ci vuole poco perchè uno choc esterno come un brusco rallentamento dell’economia faccia ripartire la corsa del debito”.
Si rischia un’uscita dell’Italia dall’Unione monetaria? “Un paese con un debito pubblico alto e uno spread alto – ha risposto Cottarelli – è chiaro che ha una forte tentazione di uscire e i mercati incorporano nei tassi di interesse il rischio di un’uscita”.
(da Globalist)
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Ottobre 4th, 2018 Riccardo Fucile
IL GOVERNO BRUCIA I MILIARDI PROMESSI AGLI ELETTORI
Missing in action. La nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Def) 2018 è dispersa. Caduta sul campo.
Non lo sono, invece, i danni collaterali che ha provocato il pasticcio del governo Conte: il 26 settembre, quando il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, aveva tracciato la sua linea del Piave con il deficit all’1,6%, lo spread era calato ai minimi del mese a 226 punti base.
§Lo sfondamento della retroguardia del ministero da parte di Lega e 5 Stelle hanno spinto verso il fondo il debito pubblico italiano con lo spread arrivato fino a 302 punti (ieri ha ritracciato a 285 punti).
Il conto del danno è presto fatto: un aumento dello spread di 100 punti costa il primo anno 1,8 miliardi maggiori interessi sul debito pubblico, 4,5 miliardi il secondo anno e 6,6 miliardi il terzo.
Vuol dire che la spesa per interessi aumenterà dello 0,1% del Pil quest’anno per arrivare allo 0,4% in più nel 2020.
Anche perchè prima delle elezioni di marzo la differenza tra Btp e Bund era a 130 punti base: di conseguenza l’aumento è ben superiore ai 100 punti. Tradotto: buona parte di quello 0,8% per cui di Maio e Salvini sono disposti ad andare alla guerra con Bruxelles verrà mangiata dal debito.
La responsabilità , però, è tutta dell’esecutivo. A cominciare dal ministro Tria.
Dopo essere stato ripreso come uno scolaro indisciplinato durante l’Eurogruppo di lunedì ha disertato l’Ecofin di martedì per tornare a Roma a fare i compiti.
Ma i problemi, e i dubbi, restano. Per Michele Anzaldi, deputato Pd, “il Consiglio dei ministri del 27 settembre non ha approvato alcuna Nota di aggiornamento al Def, perchè il testo della Nota in quella data non esisteva e ancora oggi non esiste” prefigurando addirittura “un falso in atto pubblico”.
Una teoria difficile da dimostrare che, però, il governo stesso tende ad alimentare: “Quando spiegheremo il Def, i mercati capiranno”; “quando spiegheremo il Def, l’Europa capirà ”. Frasi retoriche che lasciano il tempo che trovano: Tria avrebbe avuto tutto il tempo e il modo di parlare ai mercati e ai colleghi europei, se solo avesse voluto (o potuto).
D’altra parte Di Maio, al termine del vertice di Palazzo Chigi, ha detto: “Possiamo mandare la manovra in Parlamento e alla Ue”, a conferma del fatto che poco o nulla fosse stato messo nero su bianco.
Non era mai successo che la nota di aggiornamento al Def venisse approvata senza alcun numero: neppure il deficit al 2,4%, seppure ribadito ieri sera, è ufficiale.
Certo Di Maio e Salvini lo sbandierano ai propri elettori come la vittoria del popolo, ma nessuno lo ha messo nero su bianco.
Al termine del Consiglio del ministri del 27 settembre, a notte fonda, è stato pubblicato solo un generico comunicato che parla di reddito di cittadinanza e flat tax, ma non cita alcun dato macroeconomico. Eppure le norma recita chiaramente che “la “Nota di aggiornamento” viene presentata alle Camere entro il 27 settembre di ogni anno per aggiornare le previsioni economiche e di finanza pubblica del Def”.
Lo stesso Di Maio, ieri mattina, ha detto che sarebbe servita una riunione per gli ultimi ritocchi prima di inviare il documento al Parlamento.
E così a distanza di una settimana nessuno sa nulla di cosa contenga la nota al Def anche se in serata arrivano le nuove dichiarazioni di Lega e 5 Stelle che annunciano: 10 miliardi per il reddito di cittadinanza. Continuano, invece, a mancare le previsioni di crescita del Pil. Numeri dai quali dipenderà il futuro del Paese.
Nel 2015, il governo Renzi aveva licenziato il documento il 18 settembre e dopo cinque giorni era iniziato l’esame della commissione Bilancio della Camera; l’anno dopo il via libera di Palazzo Chigi arrivò il 27 settembre, quello della commissione Bilancio il 4 ottobre; nel 2017, invece, l’ok dell’esecutivo fu dato il 23 settembre: cinque giorni dopo iniziarono i lavori parlamentari.
E mentre a Roma regna il caos e proseguono i silenzi del governo, i mercati speculano sull’Italia bruciando quei miliardi che il governo aveva promesso di restituire ai propri elettori.
(da agenzie)
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