Aprile 23rd, 2020 Riccardo Fucile
“NON MANCANO I TAMPONI MA LA VOLONTA’ DI FARLI”
Andrea Crisanti è un cervello di ritorno: professore di parassitologia molecolare all’Imperial college di
Londra, è rientrato in Italia come direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell’Università (e azienda ospedaliera) di Padova, portando competenze preziose.
In questi giorni è infatti noto soprattutto per essere l’uomo che ha guidato il Veneto fuori dall’emergenza coronavirus, risparmiando alla regione uno scenario catastrofico come quello lombardo e che è stato indicato da Ernesto Burgio come uno dei pochi se non l’unico vero esperto italiano.
In controtendenza netta e isolata con le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), Crisanti ha insistito per fare i tamponi a tutti i contatti dei presunti infetti, riuscendo a bloccare l’epidemia sul territorio prima che dilagasse negli ospedali.
Eppure, dice, che ancora oggi “questa decisione strategica non è stata fatta propria da altre regioni”. Gli abbiamo chiesto allora di spiegarci il mistero dei tamponi che non si fanno e il nuovo fiorire di test sierologici (“Non servono assolutamente a nulla”).
Ci aiuta a capire una volta per tutte perchè ancora ci sono malati o persone che chiamano con sintomi a cui non vengono fatti tamponi? Mancano i materiali? Non c’è la volontà ?
È un insieme di cose. All’inizio sicuramente i reagenti sono mancati, ma non credo che adesso siano più un grandissimo problema: penso che ora la vera questione sia che non si è capito perchè è così importante fare i tamponi. E non si è capito che fare i tamponi, e particolarmente farli ai contatti e a quelli che potenzialmente sono entrati in contatto con la persona infetta, abbatte la trasmissione. Se non si capisce l’importanza di questa strategia di fatto rimarremo sempre con queste polemiche…
La strategia in Veneto ha funzionato, possibile che ancora gli altri non abbiano capito?
Possibile, sì. In altre regioni si pensa che il tampone serva solo a fare la diagnosi. In realtà , se arriva una persona che sta male, da sette-otto giorni, con tutta la sintomatologia canonica e il quadro radiologico, il tampone non c’è nemmeno bisogno di farlo: dovrebbero farlo invece tutte le persone con cui la persona è entrata in contatto. È, insomma, essenzialmente una questione di decisioni strategiche.
Se non si cambiano queste decisioni strategiche corriamo dei rischi il 4 maggio, alla riapertura?
I rischi esistono perchè c’è ancora tantissima trasmissione: tremila casi al giorno sono ancora molti, mica pochi.
Vengono raccontati però come fossero un successo.
Certo, perchè eravamo abituati ad altri numeri.
Dove ci si contagia oggi, quali sono i focolai presumibili?
Principalmente a casa e nelle istituzioni, cioè nelle Residenze sanitarie per anziane (Rsa). E poi, ovviamente, nelle fabbriche o in altri ambienti di lavoro: ci sono anche tantissime attività produttive o commerciali che sono attive.
A questo proposito servirebbero informazioni più certe sul virus stesso. Molti dovranno per esempio riaprire gli studi professionali nei prossimi giorni, dovranno aprirsi al contatto col pubblico. Di cosa devono preoccuparsi, concretamente: disinfettare le superfici, mettere divisori in plexiglass o che?
Se le persone usano le mascherine le possibilità che il virus si depositi sulle superfici è di fatto limitata. Certo, il virus resiste sulle superfici in determinate condizioni di temperatura e umidità , come è stato dimostrato in diversi studi: tuttavia, le mascherine aiutano anche in questo, perchè bloccando il passaggio delle goccioline danno al virus meno possibilità di depositarsi. Detto questo, certo, anche i plexiglass aiutano.
Cosa sappiamo dell’immunità e di possibili riattivazioni, come quelle denunciate in Corea?
Nulla, assolutamente nulla.
Quindi i test sierologi che ci apprestiamo a fare che valore hanno?
Nessuno, soltanto, chiamiamolo così, un valore epidemiologico, per capire dove il virus si è diffuso in maniera più estesa.
Esistono però casi di persone che erano convinte di aver fatto la malattia, anche se in forma debole, a cui i sierologici non hanno rilevato nulla…
Appunto, continuo a ripeterlo: non servono a nulla questi test.
Con queste pochissime certezze, a che estate andiamo incontro?
È difficile da dire, onestamente non lo so. Stiamo affrontando questa cosa in maniera troppo caotica: ogni regione si sta organizzando in maniera diversa mentre ci vorrebbe invece una risposta unitaria.
Ma il governo sta cercando di stroncare le spinte regionali e riaprire con regole condivise il 4 maggio.
Il punto è che aprire tutti il 4 maggio è sbagliato! Non tutte le regioni sono pronte, non si conosce l’incidenza della malattia per giorno, per regioni e per classi di popolazione… insomma, è un pasticcio. E d’altronde è sotto gli occhi di tutti: può la Lombardia essere paragonata alla Calabria o alla Sicilia? Sono regioni che hanno casi diversi e capacità di affrontarli diversi, e comunque nè per l’una nè per le altre sappiamo quali sono i contagi giornalieri. Io rimango basito. Queste sono le cose che non vanno bene: sa quante persone sono state abbandonate a se stesse in questo periodo? Non ne ha idea…
Con chi dovremmo prendercela?
Chiaramente l’epidemia era un evento in qualche modo imprevedibile, nel senso che non era successo in 80 anni: il fatto che non fossimo preparati è deprecabile ma può essere in qualche modo giustificato. Quello che non è giustificabile è riaprire essendo ancora impreparati: questo proprio non va bene.
Molti hanno seguito le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), ma si sono rivelate sbagliatissime. Perchè l’Oms ha sbagliato?
Perchè non prevedevano il fatto che ci fosse un grande numero di asintomatici, essenzialmente. Si sono basati su studi cinesi e i cinesi non sono mai stati trasparenti, nè sull’inizio della malattia nè sul numero dei casi: parliamo di un Paese in cui la trasparenza non è un valore e tutte le informazioni che fornisce vanno prese come un certo scetticismo. Invece l’Oms le ha prese come oro colato e la ha trasmesse a tutto il mondo, con le conseguenze che stiamo vedendo.
E lei come ha fatto a decidere che l’Oms stava sbagliando?
Noi ce ne siamo accorti facendo i tamponi a Vo’: ci siamo resi conto che c’era una percentuale grandissima di persone asintomatiche ma positive.
Aver insistito sui tamponi è stato essenziale, insomma. Ma voi lo avete detto a tutti gli altri per avvertirli?
Certo. Lo abbiamo detto a tutti e si trattava inoltre di dati disponibili, forniti a tutti dal Veneto. Chi avesse voluto, avrebbe potuto vederli, capirli, usarli.
(da Business Insider)
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Aprile 23rd, 2020 Riccardo Fucile
PARTITA SUI BOND PER FINANZIARLO E TEMPI DI ATTIVAZIONE: SI DISCUTE SU QUANTI FONDI SARANNO A FONDO PERDUTO E QUANTI ANDRANNO RESTITUITI
Si parte alle tre di oggi pomeriggio per il quarto vertice in videoconferenza dei leader europei dall’inizio della pandemia.
Questa volta un risultato, arriverà , parziale ma non per questo meno importante: dopo mesi di litigi, ora i capi di stato e di governo dell’Unione daranno il via libera al Recovery Fund con un piano da 1000 miliardi raccolti sui mercati per salvare dal default i paesi più colpiti dal virus e con meno possibilità di spesa a causa dell’alto debito pregresso.
Questi soldi si sommeranno al normale bilancio Ue 2021-2027, per un totale di 2.000 miliardi.
I leader però non sono d’accordo sui dettagli, fondamentali in una colossale operazione finanziaria come questa. Ecco perchè i primi ministri daranno mandato alla Commissione europea di presentare una proposta che poi sarà negoziata dai ministri delle Finanze (Eurogruppo) nella speranza che torni agli stessi capi di governo a giungo per il via libera finale.
Ursula von der Leyen ha già pronto il testo, ma vista la mole di dettagli da sistemare probabilmente non lo pubblicherà la prossima settimana, come inizialmente previsto, ma ai primi di maggio.
Oggi però i grandi d’Europa una decisione definitiva la prenderanno: il via libera finale al pacchetto da 540 miliardi per la reazione immediata alla crisi preparato dall’Eurogruppo (il Recovery servirà alla ripresa economica di lungo periodo): 200 miliardi di investimenti della Bei, 100 miliardi del fondo ‘Sure’ per gli ammortizzatori sociali e i 240 miliardi del Mes senza condizionalità macroeconomiche, senza troika e senza ricette greche.
Tra due settimane sarà in funzione e toccherà al governo se attivarlo o meno (per l’Italia ci sarebbero 36 miliardi a tassi molto più bassi dei Btp). Con annesse fibrillazioni – se non implosione – nella maggioranza.
Tornando al Recovery Fund: come detto von der Leyen punta a 1.000 miliardi. 320 saranno raccolti direttamente con gli Ursula Bond, titoli di debito comune garantiti dal bilancio Ue 2021-2027 emessi dalla Commissione.
Bruxelles immagina di darne 160 ai governi più in crisi sotto forma di aiuti a fondo perduto (in modo da non gravare sui debiti sovrani già appesantiti dalla crisi) e 160 come prestiti a costo zero e a lunghissima scadenza (quindi più convenienti dei buoni di debito nazionali).
Il resto dei soldi sarebbe raccolto con differenti leve legate agli investimenti e spalmato su altri tre programmi per il rilancio dell’economia.
I governi però litigheranno, e tanto, su tutti questi dettagli. Primo, la quantità di bond veri e propri. Secondo, quanto dare come sussidio da non rimborsare e quanto come prestiti. Ovviamente il fronte del sud spinge per la generosità , i nordici per la parsimonia.
E infine il nodo più grande: il piano partirebbe non prima del 2021. I governi infatti si devono mettere d’accordo sul bilancio 2021-2027, dossier titanico sul quale litigano da due anni. Poi sul Recovery Fund.
Tutto quanto andrà ratificato dai parlamenti nazionali, con tempi incerti e soprattutto con rischio bocciatura. Ma l’Italia – su questo punto la Francia ha meno fretta – consapevole della sua precaria posizione sui mercati, vuole che i soldi di Bruxelles arrivino già nei prossimi mesi.
Si immagina allora una soluzione ponte che inizi a far partire un progetto pilota che poi sfocerebbe nel grande piano: ma convincere i nordici non sarà facile.
Unica speranza: la diplomazia europea parla di una Angela Merkel completamente arruolata alla causa, convinta che l’Italia vada aiutata a reggere l’urto di una crisi della quale nessuno ha colpa. Se il Belpaese crollasse, ragionano alla Cancelleria, l’industria tedesca rimarrebbe inchiodata senza indotto. E soprattutto, crollerebbero l’euro è l’unione.
(da “La Repubblica”)
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Aprile 23rd, 2020 Riccardo Fucile
LA BOZZA SU CUI STA LAVORANDO LA COMMISSIONE
Il 4 maggio torneranno al lavoro 2,7 milioni di italiani su 8 attualmente fermi: la fase 2 dell’emergenza
Coronavirus SARS-COV-2 e COVID-19 sarà incentrata sulla ripartenza di alcuni settori produttivi e del commercio, ma non ci sarà una tana libera tutti e infatti alcune attività — come centri estetici e parrucchieri — dovranno differire almeno di una settimana la riapertura, mentre per altri — bar e ristoranti — si immaginano tempi ancora più lunghi.
Non solo: alcune limitazioni agli spostamenti rimarranno valide anche dopo il 4 maggio.
Ma ci sono anche settori che anticiperanno la ripartenza al 27 aprile.
Le imprese che sono pronte e che rispettano i criteri di sicurezza per i dipendenti, potrebbero riaprire anche prima del 4 maggio: il 27 aprile. I settori: automotive, moda,cantieri edili, produzione di macchine agricole e industriali.
Per questi settori che verranno definiti tramite i codici ATECO sarà possibile inviare un’autocertificazione per dimostrare di aver rispettato i criteri che verranno definiti questa settimana dal governo, per poi attendere eventuali controlli che saranno fatti comunque a campione.
Il Messaggero spiega oggi che viene comunque confermato il divieto di allontanarsi, senza un valido motivo, dalla propria Regione (non dal Comune) anche per raggiungere le seconde case.
E tutta l’attenzione è stata dedicata alle regole severe che dovranno accompagnare la ripresa delle attività produttive che riporterà a lavoro i dipendenti. Ci sarà da compilare un’autocertificazione per gli spostamenti fuori città .
Indipendentemente dalla data («si deciderà entro sabato»), aziende, fabbriche e uffici (questi possibilmente in smart-working) per riaprire dovranno avere una sorta di “patente di sicurezza”, garantendo sanificazione degli ambienti, termoscanner e misurazione della saturazione all’ingresso, distanza di sicurezza e protezioni personali. Queste misure dovranno essere accompagnate da un potenziamento del trasporto pubblico per evitare il sovraffollamento di bus e metro (indice di occupazione di ogni mezzo non superiore al 50% dei posti disponibili) e da uno scaglionamento delle aperture dei negozi e degli uffici fino a notte e da turni di lavoro anche nel weekend.
Inoltre, in vista di una probabile modularità Regione per Regione, il governo terrà in considerazione su suggerimento della task force tre criteri: la situazione epidemiologica, l’adeguatezza del sistema sanitario locale, la disponibilità dei dispositivi di protezione personale. Tre aspetti che potrebbero ritardare l’allentamento del lockdown in Lombardia e Piemonte. Che sono attualmente il vero problema che spinge la tesi della riapertura differenziata tra regioni.
Dal 4 maggio quindi ripartono cantieri edili e fabbriche.
E, spiega oggi La Stampa, non è un caso che nella serata di ieri sia trapelata una frenata da Palazzo Chigi, per dire che nella fase due le misure restrittive «saranno allentate e non stravolte», e che la ripartenza sarà sempre all’insegna della massima cautela, «per tenere sotto controllo la curva epidemiologica e non farsi trovare impreparati in caso di una possibile risalita».
È il segno di un braccio di ferro in corso tra chi vorrebbe aprire di più e chi resiste, come lo è lo slogan che va ripetendo Roberto Speranza in queste ore: «Non sarà certo un libera tutti». Accompagnato da un «ci mancherebbe», che fa capire come il ministro della Salute sia restio a troppe concessioni in questa fase, anche se consapevole che bisogna far ripartire il motore produttivo.
Il Governo riporta dal 4 maggio in fabbrica, nei cantieri edili e, chissà , in qualche negozio, due milioni e 700 mila lavoratori, in base al piano esposto da Colao al premier e poi a parti sociali ed enti locali. Anche se le idee tra Conte e il manager messo a capo della Task force per la fase 2 non sempre collimano.
Colao per esempio ha escluso qualsiasi riapertura dei negozi. Il premier ha invece parlato anche di riavvio delle «attività commerciali più funzionali alle filiere che vanno a ripartire».
Come dire che se riparte il tessile, poi devo avere anche i negozi di abbigliamento dove vendere quel che produco. E un momento di imbarazzo c’è stato anche quando alle parti sociali il premier ha chiesto di non prendere in considerazione la slide di Colao che esonerava gli over 60 dalla ripresa lavorativa. «Il governo non la accoglierà perchè ha implicazioni sociali troppo forti», ha tagliato corto Conte, immaginando le ripercussioni di chi, già prima del Covid, era a rischio di esclusione anticipata dal mondo lavorativo.
Seguendo questa logica riaprirebbero con il primo step anche i concessionari auto, i negozi di scarpe e quelli di arredamento. Tutte merci per le quali è prevista la riapertura delle aziende che le producono.
Se le saracinesche dovessero alla fine rimanere abbassate per tutti l’attesa non durerebbe più di una settimana. Il secondo step del Piano Colao prevede infatti la riapertura dei negozi già l’11 maggio, mentre per i ristoranti e i bar se ne riparlerebbe il 18, ferma la possibilità di poter vendere da subito piatti da asporto.
E il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che intanto oggi ha un appuntamento decisivo al Consiglio Europeo?
A quanto pare si è rassegnato alla riapertura e all’allentamento del lockdown ma ha ben presente che questo rallenterà la scomparsa di SARS-CoV-2 dall’Italia: «Dobbiamo dare per scontata la risalita della curva epidemiologica». :«Gli scienziati vorrebbero che l’indice di contagiosità , l’R con 0, fosse uguale a zero o a zero virgola uno, ma pagheremmo un costo sociale insostenibile.
La proposta (della task force, ndr) prefigura un meccanismo di allentamento del lockdown. Protrarlo per un lasso di tempo diventerebbe troppo per il tessuto sociale del Paese. Dobbiamo riprendere le attività . Ma — aggiunge — in condizioni di massima sicurezza perchè se allentassimo le misure in modo indiscriminato saremmo degli irresponsabili».
(da “NextQuotidiano”)
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Aprile 23rd, 2020 Riccardo Fucile
“GLI ANZIANI DEVONO ESSERE DISPOSTI A MORIRE PER IL BENE DEGLI STATI UNITI”: SONO I DISCEPOLI DI TRUMP, QUELLI CHE PIACCIONO TANTO AI SOVRANISTI NOSTRANI
Come in tutti i Paesi, anche negli Stati Uniti il Coronavirus si è concentrato specialmente nelle grandi città , lasciando però praticamente intoccate grandi zone rurali come il Texas.
E non è un caso che la maggior parte dei senatori di queste zone (molti dei quali Repubblicani) stanno chiedendo con insistenza che le misure di lockdown vengano allentate, nonostante gli Usa siano il paese più colpito al mondo dalla pandemia globale di Covid-19.
Uno di questi è Dan Patrick, vicegovernatore del Texas, che in un’intervista a Fox News (canale ultraconservatore vicino a Donald Trump) ha dichiarato che “ci sono cose più importanti della vita umana, ossia salvare questo paese: nessuno vuole morire, ma dobbiamo assumerci qualche rischio e tornare in gioco se vogliamo rimettere in piedi il paese”.
Patrick non è nuovo a uscite del genere: un mese fa aveva affermato che gli anziani dovrebbero essere “disposti a morire” per il bene degli Stati Uniti.
(da agenzie)
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