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BORIS JOHNSON ORA SPOSA LA LINEA ITALIANA: “PRUDENZA PER EVITARE UNA SECONDA ONDATA DELL’EPIDEMIA”

Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile

DOPO AVER VISTO LA MORTE IN FACCIA SI CAMBIA IDEA

Che dire? Dopo aver visto la morte in faccia ha cambiato idea
Il lockdown finirà  in Gran Bretagna, ma non immediatamente, anche se il picco dell’epidemia è superato, è il messaggio che il premier Boris Johnson ha comunicato al paese. “E’ cruciale evitare una seconda ondata dell’epidemia ed è per questo che dobbiamo calibrare con tanta attenzione i prossimi passi”, ha affermato Johnson che ha anticipato per la prossima settimana l’annuncio delle misure per l’allentamento del confinamento, con date e tempi “che dipenderanno dai dati a nostra disposizione”
“Se il Paese vuole rimbalzare e tornare più forte che può, non dobbiamo permetterci un’altra fase di questa epidemia”, ha sottolineato.
Johnson ha aggiunto che si ritiene di “essere stato molto fortunato, di essere stato assistito molto bene”, dopo aver contratto il Covid-19. “Obiettivo di questo governo è minimizzare le sofferenze in questo paese, dove ci sono state persone meno fortunate di me, e lo è stato sin dall’inizio dell’epidemia”, ha aggiunto.

(da agenzie)

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LA COMICA FINALE: LA LEGA IERI SERA HA SOSPESO L’OCCUPAZIONE DEL PARLAMENTO PROPRIO ORA CHE C’E’ IL PONTE DEL 1 MAGGIO

Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile

IL MOTIVO PER LA FINE DELLA PAGLIACCIATA SAREBBERO LE PRESUNTE “SCUSE DI CONTE” ARRIVATE PERO’ STAMANE ALLE 10, QUANDO I LEGHISTI ERANO DA 12 ORE A NANNA NEI LORO COMODI LETTI: LA RIVOLUZIONE PUO’ ATTENDERE

La Lega ha sospeso la scorsa notte l’occupazione delle Aule di Camera e Senato. La scelta arriva, spiegano dal Carroccio all’ANSA, dopo aver preso atto di timidi segnali del governo sulla fase 2, dalla tema della scarcerazione dei boss mafiosi all’apertura sugli asili nido, fino alle scuse di Conte per i ritardi dei pagamenti.
C’è un problema: le scuse di Conte sono arrivate alle 10 di stamattina attraverso un post su Facebook.
Perchè la Lega ha sospeso ieri se le scuse sono arrivate oggi?
Matteo Salvini aggiunge che lasciare le Aule l’1 maggio è anche un atto di rispetto per i lavoratori parlamentari. L’occupazione riprenderà , spiegano fonti leghiste, “se non arrivano fatti concreti”. — “Stanotte siamo usciti dalle Aule parlamentari perchè è la festa dei lavoratori, per far riposare” i dipendenti di Camera e Senato, spiega Matteo Salvini.
Dalla Lega aggiungono di essere pronti a ritornare a presidiare le Aule di Camera e Senato come fatto in questi due giorni, “senza fermare o rallentare i lavori previsti”.
Lo faranno, spiegano, “se il governo, dopo le rassicurazioni delle ultime ore, non passerà  a fatti concreti”.
E poi “prendiamo atto delle scuse che il governo per bocca di Conte ha rivolto al Paese per i ritardi dei pagamenti, a iniziare da quello colpevole della cassa integrazione”. Ma dimentica di dire che i ritardi nel pagamento della cassa integrazione derivano dal fatto che le Regioni del Nord non hanno trasmesso le richieste all’Inps tempestivamente.
Ora però, guardando il calendario, appare invece incontrovertibile che ieri notte scattava il ponte del primo maggio. In più, tutto quello che la Lega chiama “timida apertura” era già  sui giornali quando il Carroccio ha cominciato l’occupazione.
E allora Andreotti diceva che a pensar male si fa peccato, ma raramente si sbaglia.

(da “NextQuotidiano”)

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NELLA NOTTE DELL’OCCUPAZIONE DEL PARLAMENTO SALVINI SE N’E’ ANDATO A DORMIRE

Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile

“E’ FACILE PROTESTARE CON IL SONNO DEGLI ALTRI”: IL MALUMORE DEI LEGHISTI CHE HANNO PASSATO LA NOTTE IN PARLAMENTO

Ieri abbiamo raccontato che in Parlamento c’era molto nervosismo soprattutto tra i banchi dell’opposizione, come si è visto dalla surreale protesta del centrodestra sulla mascherina mancante di Giuseppe Conte e dalle scaramucce al Senato con spinta del leghista De Vecchis al PD Mirabelli.
Oggi Fabrizio Roncone sul Corriere della Sera svela un retroscena che spiegherebbe il nervosismo dei parlamentari, e in particolare di quelli che hanno fatto nottata a Palazzo Madama su ordine del Carroccio:
Montecitorio, Transatlantico: è cambiato tutto pure qui. Le vecchie tecniche non servono più: avvicinarti, ascoltare, blandire; e poi prenderne uno sottobraccio, portartelo alla buvette, il caffè era una ciofeca ma quello, intanto, confidava segreti, tradiva, Giuda si sarebbe scandalizzato. E ora, invece: ogni deputato con la mascherina, e certi pure con i guanti. Solo un banchetto con acqua minerale e bicchieri di carta. Dispenser di disinfettanti. Nuovi megaschermi. Dove, intanto, è comparso il presidente Roberto Fico che cerca di placare alcuni parlamentari leghisti.
Urlano che non è giusto: loro a volto coperto, e Conte no. In realtà  sono nervosi per altro. In molti hanno trascorso la notte nell’emiciclo. Ma poi sono venuti a sapere che al Senato, nell’altra occupazione, Matteo Salvini s’è tolto la sua lugubre mascherina nera e se ne è andato a dormire. «È facile protestare con il sonno degli altri». Colore. Qui, per capirci sul serio qualcosa, bisogna cambiare schema.
Anche Tommaso Rodano sul Fatto racconta di un Salvini che molla gli altri e va a casa, ma la descrizione è più circostanziata:
Il momento clou è dopo le 4: altra foto di gruppo dei senatori leghisti in piedi dietro al loro scranno; sembrano quasi alzarsi sui banchi come nell’ultima scena de L’attimo fuggente(“Capitano mio capitano”). Salvini scrive: “Qui Senato, 4.15, in collegamento notturno con Sindaci, imprenditori, Forze dell’Ordine, studenti, medici e tanti Italiani che pensano al futuro”. Tutti collegati per parlare con lui a quell’ora? Non era meglio sentirsi la mattina dopo? Qui il racconto in presa diretta si interrompe. Salvini torna a casa per una doccia e un cambio d’abito. Magari un pisolino. Alle 9 pubblica un selfie dalla macchinetta del caffè di Palazzo Madama: “Qui Senato. Non si molla”. Sull’originalità  non garantiamo: è vestito ancora come la notte prima.
Ora, Salvini alle 8,46 del mattino ieri ha pubblicato una foto in cui si faceva ritrarre alla macchinetta del caffè del Senato in giacca, cravatta e — appunto — mascherina nera.
Alle 8 del mattino un lancio dell’agenzia di stampa ANSA riportava sue dichiarazioni a Telelombardia:
“Siamo rimasti in Parlamento e andremo avanti senza disturbare nessuno o interrompere lavoro, a distanza- Non siamo stati a giocare a briscola, rispondevamo alle domande delle persone su affitto, bollette, mutui”, ha aggiunto Salvini.
Intorno a lui c’era un certo silenzio. “Adesso sono venuto a casa a farmi una doccia perchè ci sono le pulizie in corso”, dice durante la diretta, “ma alle 9 saremo di nuovo lì”.

(da “NextQuotidiano”)

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IN VALSERIANA LE FABBRICHE GIA’ AL LAVORO PRIMA DEL 4 MAGGIO

Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile

CHI NON HA MAI CHIUSO NONOSTANTE NON RIENTRASSE NELLA CATENA DEI BENI ESSENZIALI, GRAZIE ALL’ASSENZA DI CONTROLLI… PER MOLTI CONTANO SOLO I SOLDI

Primo maggio, festa del lavoro. Un lavoro che in Val Seriana, uno dei territori della Bergamasca più colpiti dal coronavirus, in molti casi è già  ripreso prima del 4 maggio, data indicata dall’ultimo Dpcm per la ripresa dell’attività  produttiva in tutta Italia. Tante le fabbriche già  aperte, come documentato da Fanpage.it: tra queste vi sono anche attività  che non sembrano proprio essenziali, come una ditta che lavora componenti per la barca a vela Luna Rossa.
“Preoccupati, ma prima o poi bisogna pur iniziare”. È questa la frase che riassume lo stato d’animo di coloro che già  da giorni o settimane prima del 4 maggio, giorno in cui riapriranno le aziende in tutta Italia, è tornato al lavoro.
E lo ha fatto in un territorio, Nembro, la Val Seriana, che è stato tra i più colpiti dal coronavirus.
I giornalisti di Fanpage.it Simone Giancristofaro e Carla Falzone hanno fatto un giro tra alcune aziende che hanno ripreso l’attività  prima della data indicata dall’ultimo Dpcm (Decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri), firmato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte lo scorso 26 aprile, decreto che difatti ha fissato in lunedì 4 maggio l’inizio della cosiddetta “Fase 2” dell’emergenza Covid-19.
Molte delle fabbriche che hanno riaperto i cancelli in anticipo sono quelle che, dopo il parziale allentamento del Dpcm del 10 aprile (entrato in vigore lo scorso 14 aprile), avevano inviato un’autocertificazione al prefetto, riprendendo la produzione.
Tra queste aziende però non ci sono solo quelle impegnate in attività  essenziali, ma anche ditte come la Persico impegnata nella consegna di componenti per la barca a vela Luna Rossa, come conferma un lavoratore: “Abbiamo ripreso a lavorare martedì scorso (21 aprile, ndr). Adesso stiamo producendo dei pezzi che andranno poi assemblati sulla barca Luna Rossa. È strano — spiega a Fanpage.it —   però prima o poi bisogna pur iniziare. Due settimane prima non sono pochissime, però visto che siamo a norma con tutto non vedo perchè non reiniziare”.
Lo stesso dipendente è conscio che non si tratti di un’attività  essenziale: “È una roba indispensabile per quanto riguarda la barca, Luna Rossa, visto che è uno sport. Però sì, ovviamente non stiamo parlando di un’industria alimentare”. La responsabile della sicurezza dell’azienda ha preferito invece non rilasciare dichiarazioni.
Non tutti sono spaventati dal possibile contagio: “È normale, io non ho paura, abbiamo tutte le precauzioni del caso. Bisogna anche reiniziare prima o poi”, dice il dipendente di una ditta che produce schede elettroniche.
E un altro lavoratore della zona conferma: “Non è strano tornare, perchè io ho fatto comunque cinque settimane a casa e dopo cinque settimane non si riesce più a stare a casa”.
Ma se la paura di un possibile contagio non lo investe direttamente, l’operaio non nasconde un certo timore per i figli: “Più che altro ho paura per i bambini che sono a casa da metà  febbraio, quindi io che esco, rientro.. Per mia moglie, che ha ricominciato a lavorare, è la stessa cosa”.
“Siamo preoccupati come tutti — dice un’altra lavoratrice della zona già  tornata in fabbrica — ma d’altronde bisogna riprendere”. Anche se nel viaggio tra le fabbriche in Val Seriana c’è anche chi, più che riprendere, non ha mai smesso: “Abbiamo chiuso per una settimana — dice un lavoratore — da quando hanno fatto il decreto del 22 marzo (con cui erano state chiuse le attività  non essenziali, ndr). Dopo gli hanno dato l’autorizzazione, il prefetto”.
E così, nel cuore della Val Seriana, il lavoro di cui oggi si celebra la festa in alcuni casi non si è mai fermato, nonostante l’emergenza sanitaria.

(da Fanpage)

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L’ODIO VERSO CHI CI SALVA LA VITA: “AVETE PORTATO IL COVID NEL PALAZZO”

Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile

LO SCONCIO MESSAGGIO ANONIMO CONTRO DUE INFERMIERI DI TORRE DEL GRECO CHE LOTTANO IN PRIMA LINEA … LA LORO RISPOSTA: “MI FATE SCHIFO”

“Grazie a te e a tua figlia per averci portato il Covid nel palazzo”. È il messaggio che Franco e Teresa, padre e figlia infermieri di Torre del Greco impegnati in prima linea nell’emergenza coronavirus in due diversi ospedali, hanno trovato nella loro buca delle lettere. A riportare la notizia è Il Mattino.
Un gesto che ha addolorato i due infermieri, tra l’altro mai contagiati dal Covid-19 e sempre attenti nelle misure di prevenzione e tutela. Franco lavora come infermiere nel reparto Covid del Loreto Mare di Napoli mentre Teresa, appena 25enne, lavora nel reparto pediatrico Covid del Policlinico di Napoli.
Solidarietà  è stata espressa dal gruppo ‘Nessuno tocchi Ippocrate’ che su Facebook segnala aggressioni al personale medico di Napoli e che ha pubblicato copia della lettera.
“Piena solidarietà  alla collega, ai condomini del palazzo di Teresa invece va tutto il nostro disprezzo, addirittura ridursi a comporre una missiva anonima con ritagli di lettere modello ‘banda del torchio’ in un noto film di Totò? Una sola parola: patetici! – scrivono sul social network – Il nostro messaggio a questi ignobili esseri viventi: se vi dovesse venire una crisi respiratoria dovuta al Covid-19 non chiamate Teresa, rivolgetevi direttamente a Batman, Superman o al limite a Ironman, questi sono gli eroi che meritate!”.
Postata su Facebook anche la risposta della infermiera: “Al bellissimo messaggio lasciato nella nostra buca della posta, troverete una risposta abbastanza ‘educata’ nella bacheca condominiale, ma sul mio profilo personale una cosa ve la vorrei dire: mi fate schifo”.

(da Fanpage)

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RENZI E I BERGAMASCHI MORTI CHE DIREBBERO “RIPARTITE PER NOI”

Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile

LA FRASE DI RENZI GIUDICATA “GRAVISSIMA E INCOMMENTABILE” DAI SINDACI DI BRESCIA E BERGAMO

È arrabbiato anche Giorgio Gori, che pure era un renziano. Ma la frase del senatore di Rignano sui bergamaschi morti che “se potessero parlare” direbbero “ripartite per noi” ha fatto arrabbiare molti in una delle zone falcidiate dal Coronavirus SARS-COV-2 e da COVID-19.
Un’uscita che ha lasciato senza parole i sindaci di Brescia e Bergamo, entrambi esponenti della maggioranza di cui il leader di Italia Viva fa parte.
Il Fatto Quotidiano dice che è stata “Una dichiarazione gravissima e incommentabile”, secondo il sindaco di Brescia Emilio Del Bono, che sul territorio della provincia ha visto morire in due mesi più persone di quelle che morirono sullo stesso territorio in tutta la seconda guerra mondiale.
Ma il clou è quello che dice Gori:
“Mi pare un’uscita a dir poco infelice. Se Renzi voleva rendere omaggio ai nostri morti, il modo — coinvolgerli a sostegno della sua proposta di riapertura Renzi ha pieno rispetto del dolore di queste province: quella pronunciata al Senato — conclude — è però una frase decisamente fuori luogo.”
È proprio quell’attaccamento al lavoro, per usare le parole di Gori, tra le altre cose, quello che ha fatto sì che in queste settimane di lockdown le province di Bergamo e Brescia fossero quelle in cui la chiusura ha funzionato meno: decine di migliaia di aziende aperte, molte grazie al sistema delle autocertificazioni in prefettura, che hanno continuato a produrre in nome delle attività  essenziali e che hanno indubbiamente contribuito alla circolazione delle persone, e con loro del virus.
Non solo: anche Il sindaco di Albino, 17 mila abitanti in provincia di Bergamo, Fabio Terzi, è costernato: “Passavo il mio tempo a fare le condoglianze. Certi giorni ne morivano anche sette od otto”.
Eppure in Senato Renzi ha detto che i morti riaprirebbero se potessero. Ha sbagliato?
Tutti noi sindaci della Bassa Valle Seriana siamo molto provati. Per questo io dico che non ci devono essere fughe in avanti sulle riaperture, questo è fondamentale. Servono ancora tante precauzioni.
È ancora tempo di stare fermi e tenere tutto chiuso, quindi?
Io posso anche aprire i parchi, ma poi ci metto il personale a controllare. E se il personale non ce l’ho, faccio come con il mercato ambulante: ieri ho fatto una ordinanza per annullarlo. Ovviamente i commercianti si sono lamentati. Ma dobbiamo seguire la linea della cautela.

(da “NextQuotidiano”)

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“SE IL VIRUS ENTRA NELLE TENDOPOLI, SARA’ UN DISASTRO”: EMERGENCY TRA I BRACCIANTI NELLA CALABRIA MIRACOLATA

Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile

LA TESTIMONIANZA DALL’AMBULATORIO EMERGENCY DI POLISTENA: “PER I MIGRANTI QUA IL MEDICO SIAMO NOI”

Sotto il sole già  caldo della Piana di Gioia Tauro, il furgoncino di Emergency va. Fa tappa nei principali comuni della Piana (Rosarno, Rizziconi, Taurianova, San Ferdinando), di fronte alla ‘nuova’ baraccopoli e in mezzo alla campagna, dove sorgono gli insediamenti informali in cui vivono migliaia di braccianti, soprattutto africani.
La navetta carica a bordo chi ha bisogno di farsi vedere da un medico ed è diretta a Polistena, uno dei principali comuni della Piana, dove in un palazzo confiscato alla ‘Ndrangheta ha sede l’Ambulatorio di Emergency.
Qui la ong offre gratuitamente servizi di medicina di base e specialistica – oltre a educazione sanitaria e orientamento – a chi non ha accesso al Sistema sanitario nazionale perchè irregolare o comunque ai margini.
La comparsa di Covid-19, però, ha sconvolto anche questa routine, come ci racconta Mauro Destefano, coordinatore di progetto a Polistena.
“Già  da fine febbraio, da quando è stata dichiarata l’emergenza coronavirus, abbiamo istituito un protocollo di triage: una sorta di questionario che il sanitario sottopone alla persona che vuole accedere al nostro servizio, sia in ambulatorio che alle fermate della navetta. A seconda della sintomatologia, la persona può accedere o meno al nostro servizio. Se non può accedere, in base alla gravità  dei sintomi, o si segnala al Dipartimento di prevenzione o si indica alla persona l’isolamento domiciliare, per poi monitorare gli sviluppi nel tempo. Per ora, fortunatamente, la spia rossa non si è accesa, ma dobbiamo tenere alta la guardia perchè se il virus dovesse entrare nella baraccopoli, o in un insediamento informale, sarebbe un disastro…”.
Già , un disastro. Perchè l’isolamento domiciliare, nelle condizioni in cui vivono queste persone, è pura utopia.
Nonostante siano passati 10 anni dalla rivolta di Rosarno, e nonostante le promesse della politica locale, non si è mai trovata una soluzione ai bisogni abitativi dei lavoratori stagionali.
La ‘nuova’ baraccopoli — 450 posti in tutto – si è riempita subito all’inizio della stagione, e tutti gli altri — circa 3mila persone — si sono dovuti arrangiare tra la ‘vecchia’ baraccopoli di San Ferdinando e i cosiddetti ‘insediamenti informali’.
Si vive in tende o baracche, in uno spazio vitale dove è quasi un insulto parlare di distanziamento sociale. “Questa emergenza ha fatto luce su quelle che sono le falle di questo sistema, a ogni livello. Tutto ciò che è stato gestito in maniera emergenziale, oggi viene fuori con particolare virulenza”, osserva Destefano. “Fin da subito abbiamo chiesto alle istituzioni locali e regionali quale tipo di intervento fosse previsto. Ma la risposta è stata nulla. E sono dieci anni che si aspettano soluzioni all’emergenza abitativa”.
“Per fortuna il contagio in Calabria non è esploso, però siamo sempre lì a incrociare le dita e sperare che non accada. È un paradosso che la Calabria sia tra le Regioni che più spingono per la ripartenza, pur avendo questa potenziale bomba sanitaria al suo interno, e pur essendo una delle Regioni più deboli sul piano della Salute: mancano i posti in terapia intensiva, gli ospedali non sono messi in sicurezza, ci sono strutture abbandonate da anni. Qualora dovesse venir fuori un numero più alto di contagi, qui la situazione può diventare drammatica in un baleno”.
Covid o non Covid, i braccianti intanto continuano ad aver bisogno di cure mediche. “Per gli irregolari, che non possono avere un medico di base, il medico siamo noi e basta. Ma l’accesso all’assistenza sanitaria, in queste zone, è difficile anche per i braccianti che, in teoria, ne avrebbero diritto”.
All’ambulatorio — dove arrivano grazie alle navette di Emergency, vista l’atavica insufficienza dei trasporti pubblici — si rivolgono soprattutto lavoratori stagionali: migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana, che tipicamente popolano la Piana da ottobre a inizio aprile per la raccolta agrumicola e dei kiwi (ma che quest’anno, a causa del mix infernale Covid-decreti Sicurezza, sono rimasti bloccati). Ma non solo: “tra i nostri pazienti ci sono anche molti irregolari che arrivano da Romania, Bulgaria, Ucraina, Marocco. Gli uomini lavorano nell’agricoltura; le donne sono soprattutto badanti”.
Per tutti, la cifra comune è la marginalità  estrema. “Tra i braccianti africani, gran parte versa in una situazione di labile regolarità  che non è molto migliore dell’irregolarità ”, spiega Destefano.
“Queste persone, anche se in possesso di permessi di soggiorno temporanei, hanno comunque difficoltà  ad accedere al Servizio sanitario nazionale. In questi casi interviene Emergency a far da ponte, offrendo sia un servizio di medicina generale, sia di orientamento ai servizi dell’Asp e mediazione culturale. Se c’è bisogno di un percorso di cura specialistico, orientiamo il paziente a ottenere la tessera sanitaria (se possibile) o l’Stp (un codice che consente l’accesso all’assistenza sanitaria di base anche a chi versa in condizioni di irregolarità )”.
Quest’anno le novità  introdotte dai decreti Sicurezza e il lockdown imposto dalla pandemia hanno generato una situazione ancora più difficile. “I braccianti che sarebbero dovuti andare via in questo periodo sono rimasti bloccati qui, anche a causa del Covid. Non possono lavorare, non guadagnano e in molti non hanno di che mangiare”.
Nè la regolarizzazione di cui si parla in queste settimane può bastare, da sola, a risolvere la situazione. “Nella maggior parte dei casi, queste persone sono in uno status di precaria regolarità : le nuove tipologie di permesso di soggiorno sono difficilmente convertibili in permessi di lavoro”, osserva il coordinatore Emergency. “Avere un ricorso in atto, e quindi essere sulla carta regolari, non garantisce alcuna stabilità , anzi: non è possibile avere un contratto di lavoro, o comunque si hanno poche giornate registrate (motivo per cui nella stragrande maggioranza dei casi non è stato possibile accedere al bonus dei 600 euro)”.
Per Destefano, “è importante parlare di sanatorie per gli irregolari, ma bisogna comprendere anche i migranti ricorrenti. Anzichè procedere con i ricorsi, bisognerebbe facilitare l’accesso a veri permessi di soggiorno. Allo stesso tempo vincolare l’ottenimento del permesso di soggiorno a una proposta di assunzione non può funzionare, perchè molti non riescono ad avere una proposta di contratto in anticipo. Tra l’altro, nel caso dei braccianti, si tratterebbe di ottenere una proposta di contratto da un’altra Regione, come ad esempio la Puglia, dove molti vorrebbero dirigersi per la stagione che deve iniziare. Bisognerebbe fare un ragionamento più globale che consenta a queste persone di procurarsi da vivere. Finora li abbiano sempre considerati invisibili, ma la loro salute è un problema di tutti”.

(da “Huffingtonpost”)

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INTERVISTA A MAURIZIO LANDINI: “UN SINDACATO DI STRADA PER LA RICOSTRUZIONE”

Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile

IL LEADER DELLA CGIL CHIEDE UN NUOVO STATUTO DEI LAVORATORI E PARLA DI UN NUOVO MODELLO PRODUTTIVO E SOCIALE

Segretario Maurizio Landini, che effetto le fa questo Primo maggio senza piazze?
Sarà  un primo maggio di speranza. Di fiducia nella capacità  dei ricercatori, quelli italiani innanzitutto, di trovare rimedi e cure adeguate per il virus, e di aspettative per il futuro, per una ripresa economica in tempi rapidi, per un’efficace azione contro il pericolo di nuove povertà  e diseguaglianze. Le piazze sono la Democrazia, ancor più il primo maggio, quando si festeggia il lavoro. Abbiamo dovuto reinventare la festa, trasferirla nello spazio della rete che per quanto grande sia fatica lo stesso a contenere l’immensità  del mondo del lavoro.
Parafrasando l’abusata metafora della guerra, diciamo che la guerra (al virus) continua. Teme che un periodo così lungo si sospensione della socialità  possa aver infettato la democrazia?
Non mi piace la metafora della guerra. È bugiarda e sbagliata, può arrivare a giustificare qualunque cosa, anche la limitazione della libertà  e della democrazia. Siamo in uno stato di emergenza sanitaria per contrastare una pandemia e bloccare un virus nei luoghi di lavoro e nel Paese. Penso che dobbiamo, tutti, trovare il modo di garantire la tutela della salute, del lavoro, la difesa e sviluppo dell’economia mantenendo e, se possibile, aumentando la democrazia e la partecipazione.
In questa crisi, in campo c’è il governo, con le sue misure eccezionali, le sue task force, la sua comunicazione. Dove è il sindacato? Sembra si sia occultato nel suo ruolo di supporto al governo.
Sindacato significa milioni d’iscritti, decine di migliaia di delegate e delegati che, nei luoghi di lavoro e nei territori, sono in campo, fin dal primo giorno, per la tutela della salute e della sicurezza economica di tutti. E penso che proprio tutti dovrebbero ringraziare il mondo del lavoro per ciò che ha fatto e sta facendo. Non abbiamo pensato solo alle lavoratrici e ai lavoratori.
Parlo della sua capacità  di incidere politicamente.
C’è stata. Abbiamo sostenuto misure anche a favore delle imprese, nel contrasto alle forme di povertà  e diseguaglianza che il coronavirus rischia di aumentare. Penso che una forza responsabile, quali noi siamo, debba sempre essere in campo coerentemente con le proprie proposte e, lealmente, farle valere nei confronti di tutti. Questo è quello che abbiamo fatto anche in questa occasione.
Segretario, diciamo le cose come stanno. Questa fase 2 è una confusione totale. E lo è perchè manca al Governo un’idea di ricostruzione. È ora di uscire dalla tenaglia “lockdown sì” “lockdown no”. Condivide?
Che ci siano stati momenti di confusione è fuori dubbio. È anche vero che mai si era avuta una situazione così complessa. Sul futuro penso sia indispensabile aprire un’ampia riflessione su cosa fare e su come farlo. Il virus inciderà  profondamente nelle relazioni geopolitiche e geoeconomiche, nell’economia, nella politica, negli aspetti più banali della società . Probabilmente inciderà  anche sulle singole persone.
Oltre a riflettere, forse, bisognerebbe prendere decisioni, subito. Dia il suo indirizzo.
Ripartire dove ci siamo fermati con la stessa “macchina” di prima, sarebbe un errore imperdonabile. Dobbiamo ripensare l’intera organizzazione sociale del lavoro, ridando valore al lavoro, facendo contare di più i lavoratori nelle scelte, a tutti i livelli. E dobbiamo ripensare l’economia, dal fisco e dal welfare; la sanità ; la formazione e l’istruzione; la pubblica amministrazione; la politica industriale; gli investimenti; la sostenibilità  ambientale. Abbiamo bisogno di una nuova prospettiva politica, sindacale e culturale.
Regioni di destra contro Regioni di sinistra, Sud contro Nord, siamo assistendo a uno scollamento del tessuto unitario. O no?
Sì, e questo dimostra che lo slogan “ognuno padrone a casa propria” è terribilmente, e non lo uso a caso, sbagliato. Sì c’è stata confusione. Ci sono stati sbagli che stanno facendo pagare alle fasce più deboli, agli anziani, prezzi altissimi e su cui bisognerà  andare sino in fondo nell’accertamento delle responsabilità . C’è stato, in qualche caso, irresponsabilità  e pressapochismo. Quando saremo fuori dall’emergenza, dovremo pensare di modificare il titolo V della Costituzione. Non è di questa o di maggiore autonomia differenziata che abbiamo bisogno. C’è stata anche la dimostrazione che il pubblico è fondamentale, non sostituibile neanche con il migliore privato.
Ma lei adesso è favorevole a una regionalizzazione delle aperture?
Il tema delle riaperture è delicato. Vanno fatte con le cautele del caso seguendo le indicazioni degli esperti e valutandole politicamente. Di sicuro dove si apre, si deve fare nell’assoluto rispetto dei protocolli di sicurezza, monitorando l’epidemia e attuando tutte le precauzioni e le prevenzioni possibili.
Lei si è battuto far tornare i lavoratori in una condizione di sicurezza assoluta. Basta la sorveglianza interna dei lavoratori nelle aziende? Oppure era il caso di chiedere un intervento di controllo più pervasivo dello Stato, che ne so tramite i prefetti o altre figure dentro l’azienda?
Il nostro obiettivo primario è stata la tutela della salute di tutti i lavoratori è cioè di tutti i cittadini. Con il Governo e con le imprese abbiamo concordato un Protocollo condiviso di regole che è la strada per riaprire in sicurezza le aziende e gli uffici. È un impianto condiviso che ha assunto un valore giuridico e ora va fatto applicare. Con Cisl e Uil sui luoghi di lavoro e sul territorio siamo impegnati a farlo rispettare. Certo bisogna che siano potenziati i servizi ispettivi del Ministero del Lavoro e dei servizi di prevenzione e sicurezza del lavoro delle Asl.
E questo vale per chi torna al lavoro. C’è il problema della Cassa integrazione con i soldi che ancora non arrivano, così come i 600 euro mancano ancora a molte categorie. Non sarebbe il caso di finirla con gli annunci?
Ora si tratta di far rispettare a tutti gli impegni assunti. Le misure che lei cita sono state le nostre priorità  assieme alla sicurezza nei luoghi di lavoro: evitare i licenziamenti e continuare a dare a tutti un reddito. Abbiamo chiesto e ottenuto l’allargamento della Cig a tutti i settori e un’azione di sostegno ai lavoratori autonomi e alle partite Iva, oltre che alle fasce più deboli e più povere della popolazione. Poi abbiamo rivendicato con forza la necessità  di sostenere le imprese dando liquidità  alle aziende. Abbiamo poi chiesto di favorire l’apertura di una linea di credito a tassi bassissimi, se non a fondo perduto. L’unico vincolo che chiediamo e di condizionare questi aiuti al mantenimento dell’occupazione e alla non delocalizzazione. Ora, dicevo, gli impegni si rispettano.
Sì, però vorrei porle una questione più di fondo. Di fronte al disastro che abbiamo davanti, Pil, disoccupazione, investimenti, cosa è disposto a fare il sindacato, che nella migliore tradizione nazionale, ha sempre avuto un ruolo di protagonismo, una visione generale si sarebbe detto?
Vorrei dirle che il sindacato sta già  facendo molto. Intanto ha una proposta complessiva di riforma per il Paese, a cominciare dal lavoro. È tempo di un nuovo Statuto dei Diritti che si riferisca alle persone che lavorano e non semplicemente al tipo di rapporto attivato. Il lavoro non può più essere solo un fattore della produzione, un numero, un costo sempre e comunque comprimibile. Il diritto del lavoro deve essere riconfigurato, deve comprendere, ad esempio, il diritto alla formazione permanente, deve tutelare e promuovere le nuove condizioni che globalizzazione e innovazione tecnologica pongono. I meccanismi economici vanno ripensati in modo profondo. Per dirla con uno slogan, va ripensato il nostro modello di sviluppo e il nostro sistema sociale.
Col declassamento delle agenzie di rating è evidente che non si può scialare. Teme in autunno che si porrà  il tema della ristrutturazione del debito?
Io lascerei stare le previsioni delle agenzie di rating. Forse ce lo siamo scordati, ma nel recente passato hanno causato danni enormi all’economia mondiale.
Per carità , però ci sono.
Siamo di fronte a una crisi che non ha nulla a che vedere con i meccanismi economici e finanziari che abbiamo visto finora. Gli Stati stanno investendo trilioni di dollari nella risposta alle difficoltà  economiche del coronavirus. Inevitabilmente lo fanno in deficit. Ragionare con i parametri del passato è sbagliato. L’Europa deve essere in campo. Rappresenta la terza economia del mondo, non può attardarsi. Si è aperto uno spiraglio per cambiare la politica dell’austerità .
E, tutto sommato, l’Europa ha dato un segnali di vita a riguardo. Tuttavia resta il problema del nostro debito, che avevamo prima e abbiamo adesso. Per il momento abbiamo solo ottenuto spazio per prestiti a basso costo.
Dobbiamo insistere e proseguire su quella strada presa insistendo perchè l’Europa possa usufruire di nuovi strumenti e di fondi capaci di supportare i grandi investimenti che tutti i paesi dell’Unione dovranno mettere in campo.
Lei è molto indulgente con questo governo. Non crede che, tra cessione di sovranità  ai tecnici, annunci senza soldi che arrivano, assenza di un’idea di ricostruzione, sta favorendo un deflault della politica? E che questo default inevitabilmente porti a una soluzione di emergenza?
La Cgil è abituata a giudicare in autonomia ciò che fanno gli governi, non da chi sono composti. La nostra coerenza programmatica è certificata. Del resto negli ultimi dieci anni abbiamo già  avuto sette diverse compagini governative e il problema di un rischio default della politica, come dice lei, c’era anche prima del virus.
Appunto, il virus è arrivato su un equilibrio instabile.
L’epidemia è un fatto inedito con cui fare i conti. La prima fase ha prodotto una serie di provvedimenti importanti come, ad esempio, il sostegno al reddito e gli ammortizzatori sociali, la liquidità  per le imprese, il blocco dei licenziamenti, il protocollo sulla sicurezza assunto con valore giuridico, l’aumento degli investimenti a cominciare da quelli nella sanità  pubblica. La “ricostruzione” porrà  il tema di non usare una logica emergenziale, ma di tracciare un vero e proprio progetto di Paese e di Europa.
Quindi, lei è contrario a una situazione di emergenza.
In politica non c’è bisogno di soluzioni emergenziali, di salvatori della patria o di governi tecnici. C’è bisogno del coinvolgimento delle parti sociali per discutere e tracciare un nuovo assetto sociale, economico e produttivo. O si cambia tutti insieme o non si va da nessuna parte.
Quale è dal suo punto di vista l’alternativa a questo Governo? Il voto?
Ma davvero qualcuno può pensare che sia l’ora di far cadere il Governo? Come se la crisi di Governo agostana, quella del Papeete, ritenuta folle da tutti, non avesse insegnato nulla. E adesso, in piena pandemia, qualcuno davvero può pensare di far cadere un Governo? Davvero c’è qualcuno che pensa di rompere le alleanze invece di allargarle? Via…
Questa crisi, diceva giustamente lei, è uno spartiacque della storia. Il modello produttivo non regge più. Prefigurate un nuovo modello di concertazione o una nuova conflittualità  imprese-lavoro?
Il virus ha fatto emergere tutte le fragilità  del modello produttivo e sociale che si è affermato negli ultimi decenni. Credo sia necessario un accordo tra Governo e parti sociali che, dopo aver definito il Protocollo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, definisca le linee guida e le risorse finanziarie per disegnare uno sviluppo sicuro, di tutto il Paese. In questo ambito penso che, rispetto al sistema di relazioni industriali, sia il momento di avviare una stagione legislativa sulla rappresentanza che recepisca gli accordi interconfederali e, certificando la rappresentanza delle organizzazioni sindacale e datoriali, rafforzi il diritto alla contrattazione collettiva, dando così valore erga omnes ai contratti nazionali di lavoro. Finalmente si avrebbe la certezza del diritto democratico delle lavoratrici e dei lavoratori di partecipare e di votare.
Condivide le critiche che fa Carlo Bonomi, il presidente designato di Confindustria, alla politica? Dice: troppe chiacchiere, troppe task force, c’è, in materia di riaperture, uno spirito “anti-industriale”.
Non ho ancora avuto occasione di parlare con il presidente Bonomi, a cui rinnovo i miei auguri e i miei complimenti. Alcune sue prime dichiarazioni non le ho capite. Si può dire tutto, ma non che nella maggioranza di questo Paese ci sia uno spirito anti-industriale. Al contrario. Penso che il cambiamento debba riguardare tutti, imprenditori compresi, e quindi anche il modo di fare ed essere impresa.
Come interpreta il nuovo corso di Confindustria?
Prima di parlare è bene sapere. La squadra che ha proposto il presidente incaricato è certamente di qualità , con alcuni ho già  lavorato bene in passato, altri non ho ancora avuto modo di incontrarli, cosa che farò con piacere in prossimo futuro. A tutti vanno i miei auguri e quelli della Cgil. Ma prima di dire ciò che penso voglio conoscere bene il programma della nuova Presidenza.
Se è vero che le grandi categoria della macroeconomia sono cambiate, se è vero che dopo il virus nulla sarà  come prima, non crede che anche quelle del sindacato debbano innovarsi? Ricordo uno delle ultime riflessioni di Trentin, aveva nella testa lo smart working prima che si compisse la rivoluzione tecnologica. Quale sforzo di innovazione sta facendo la Cgil?
Trentin ci ha insegnato ad assumere la realizzazione delle persone e la loro libertà  nel lavoro quali obiettivi strategici dell’azione politica e contrattuale dell’organizzazione sindacale e fondamento di un nuovo modello sociale.
Tradotto?
Significa superare l’idea prevalsa in questi anni di una competizione al ribasso sui diritti e le condizioni salariali tra le persone che hanno ridotto il lavoro ad essere considerato una merce da comprare e vendere sul mercato e determinato una precarietà  nel lavoro e nella vita senza precedenti. L’emergenza sanitaria, l’emergenza climatica e la rivoluzione digitale, che stiamo vivendo rimette al centro il lavoro, il diritto alla formazione permanente, il diritto delle persone di poter partecipare alle decisioni che si   prendono nei luoghi di lavoro e nella società . Certo, questo richiede un cambiamento culturale ed organizzativo anche per la Cgil e per tutto il sindacato Confederale.
Lo dica in un titolo cosa sarà  la sua Cgil in questa fase. A me sembra che, proprio lei che è stato il più movimentista, si è molto istituzionalizzato.
Sbaglia, non sono cambiato. Il nostro compito, attraverso l’azione contrattuale nazionale ed articolata, è quello di sperimentare, nei luoghi di lavoro e sul territorio, un nuovo modo di lavorare e di vivere, dando più spazio alle delegate ed ai delegati così come alle generazioni. Vogliamo essere un sindacato di strada capace di agire sul territorio e nei luoghi di lavoro. Vogliamo costruire l’unità  del mondo del lavoro e quella sindacale, un più corretto sistema di contrattazione nelle imprese private e nella pubblica amministrazione. Questo è il cambiamento e l’innovazione di cui abbiamo bisogno.
La crisi sta ridisegnando le classi sociali. Ad esempio, i nuovi poveri: colf, badanti, lavoratori ambulanti, camerieri, lavoratori in nero. Chi pensa a loro?
Noi. Il sindacato confederale. Sono le nostre radici, è la nostra storia. Quando a partire dal 1891 nascevano in Italia le prime Camere del Lavoro tra i promotori non c’erano solo i lavoratori salariati o dipendenti ma la Lega dei fornai o dei ciabattini, per fare degli esempi, che oggi definiremmo commercianti o artigiani. Insieme con giustizia è il significato della parola sindacato. L’emancipazione della classe lavoratrice in tutte le forme con cui oggi al lavoro si esprime, dal lavoro dipendente alla partita Iva, rimane un obiettivo e un valore fondante della nostra azione.
E cosa propone per loro?
Dobbiamo oggi battersi per un nuovo Statuto del lavoro che ponga i diritti in capo alla persona che lavora e non al tipo di rapporto di lavoro. Cinquant’anni fa il Parlamento, votando lo Statuto, fu capace di far entrare la Costituzione in tutti i luoghi di lavoro. Oggi vogliamo di nuovo far vivere la Costituzione in un mondo del lavoro così diverso.
La nuova povertà  si fronteggia col reddito di emergenza? È la logica dell’una tantum, del sostegno provvisorio. Basta?
No, la povertà  e la diseguaglianza non hanno bisogno di una tantum, bonus o sostegni provvisori. La lotta alla povertà  e alla diseguaglianza è un valore e una progettualità  o non è. Penso che tutti dovremo impegnarci di più su questo fronte. Dobbiamo mettere in campo politiche subito politiche specifiche e universali che ci aiutino a scongiurare questo pericolo, perchè poi sarà  tardi. La nostra proposta parte dall’idea di un reddito di garanzia e continuità , esteso a tutti e collegato all’obbligo di percorsi formativi e di ricollocazione. Poi ci sono le povertà  e le diseguaglianze immateriali. La conoscenza, la formazione, la scuola. Sono molto preoccupato per quello che potrà  accadere a una generazione che ha perso una parte importante della formazione scolastica. Dobbiamo rimediare e dobbiamo farlo in fretta.
A proposito degli ultimi, condivide l’appello lanciato da Emma Bonino su HuffPost, a favore di un provvedimento straordinario sugli immigrati, che vada a svuotare il bacino degli irregolari e consenta di affrontare il futuro in condizioni di sicurezza per tutti?
Sì, serve un atto di coraggio, di civiltà  e di umanità . Queste persone assicurano il cibo sulle nostre tavole. Ci portano i prodotti che compriamo seduti nel nostro salotto. Curano i nostri anziani e puliscono, oggi igienizzano, dove noi sporchiamo. La Cgil da tantissimo tempo si batte per la regolarizzazione dei lavoratori migranti. Il coronavirus ha aggravato le loro condizioni di vita e di lavoro. Si tratta di lavoratori tenuti spesso in condizione di vera e propria schiavitù. Ora con l’emergenza nell’emergenza, per la sicurezza di tutti e per ragioni di giustizia, umanità , civiltà , diritto queste persone vanno messe in condizioni di vivere, lavorare, curarsi, di aiutare il nostro Paese e la nostra economia, senza più essere sfruttati e senza doversi nascondere. Questa è la prospettiva non certo quella di chi vuole reintrodurre voucher, tenere il caporalato, continuare a sottopagare i lavoratori.
Più in generale, si sta mandando il Paese avanti con i bonus e la cassa integrazione. La famiglia con i voucher, le imprese con le garanzie mentre i pochi soldi freschi, a fondo perduto, solo a poche microimprese. È una strategia economica?
No, guardi quella è l’emergenza. Di fronte a scelte così drastiche come il blocco produttivo d’interi settori, il distanziamento sociale, la chiusura di aree del Paese, misure che tutti i Paesi del mondo hanno dovuto prendere, c’è una sola strada da percorrere: finanziare il lavoro, le famiglie e le imprese. Qualcuno è rimasto fuori? È possibile e bisogna rimediare al più presto. Poi bisognerà  affrontare la progettazione del futuro.
Anche in questo caso: non ha ragione Bonomi che i decreti varati per dare soldi alle imprese sono un labirinto burocratico?
Può essere che ci siano stati ritardi e che alcuni meccanismi siano complicati. Si può sempre migliorare. Se il problema è la burocrazia, sono il primo a chiedere semplificazione aggiornamento delle procedure, maggiore informatizzazione, più personale, organizzazione della pubblica amministrazione, del sistema finanziario e delle banche. Se la richiesta è di saltare i controlli necessari a evitare truffe o, peggio, che le risorse vadano in mano alla criminalità  organizzata, diciamo no.
Guardi il Ponte di Genova. Perchè non può essere un modello di ricostruzione?
Per molti aspetti è lo stesso problema. Si tratta di velocizzare le procedure ambientali o di rendere più trasparenti e quindi più rapidi gli appalti? Vogliamo rendere più veloci i lavori di progettazione e messa in opera? Si sfonda una porta aperta. Se invece si vogliono superare verifiche sulla sicurezza ambientale, cancellare la concorrenza e avere solo ad affidamenti diretti, eludere controlli di legittimità , sulle infiltrazioni della criminalità  organizzata, sulla correttezza e sicurezza del lavoro, mi spiace ma ci opporremo. Ci sono molte cose che si possono fare per migliorare, ma i limiti sono chiari e ineludibili.
Grazie, anche per il tempo dedicato. Buon Primo maggio.
Buon Primo maggio a tutti.

(da “Huffingtonpost”)

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LO STUDIO CHE DICE CHE LA PANDEMIA DURERA’ ALTRI 18-24 MESI

Maggio 1st, 2020 Riccardo Fucile

LA RICERCA DELL’UNIVERSITA’ DEL MINNESOTA E I TRE POSSIBILI SCENARI

La pandemia di coronavirus durerà  ancora per 18-24 mesi, ovvero fino a quando il 60-70% della popolazione mondiale non avrà  contratto la malattia, e un vaccino potrebbe aiutare ma non in tempi rapidi: è la previsione del ‘Center for Infectious Disease Research and Policy’ (CIDRAP) dell’Università  del Minnesota, riportata in un articolo della Cnn.
“Questa cosa non si fermerà  finchè non infetta il 60-70 percento della popolazione”, ha detto all’emittente Usa Mike Osterholm, direttore del CIDRAP e uno degli autori dello studio: “L’idea che finirà  presto sfida la microbiologia”.
Da parte sua, l’epidemiologo della Harvard School of Public Health e un altro autore dello studio, Marc Lipsitch, hanno sottolineato che, “sulla base delle più recenti pandemie di influenza, questa (pandemia) durerà  probabilmente dai 18 ai 24 mesi”.
Un periodo, questo, durante il quale “l’immunità  di gregge si sviluppa gradualmente nella popolazione”. Un vaccino potrebbe aiutare, sottolinea lo studio, ma “probabilmente non sarà  disponibile almeno fino ad una data imprecisata del 2021”.
Secondo questo studio sono possibili tre scenari.
Nel primo la prima ondata di COVID-19 della primavera del 2020 sarà  seguita da una serie di ondate più piccole durante l’estate per un periodo che andrà  avanti da uno a due anni, diminuendo gradualmente fino alla fine del 2021.
Il secondo scenario è catastrofico e prevede un’ondata più grande dall’autunno all’inverno nel 2020 e uno spegnimento nel 2021 ma questo modello prevede che ci sia un ripristino delle misure di quarantena in autunno per fermare l’esaurimento dei posti in terapia intensiva.
Si pensa a un modello simile a quello dell’epidemia di Spagnola nel 2018 e nel 2019.
Il terzo scenario prevede invece una combustione lenta della trasmissione in corso senza collasso delle strutture ospedaliere ma secondo gli esperti stati e territori dovrebbero prepararsi alla pianificazione dello scenario peggiore.
Intanto un altro studio di alunni e di personale scolastico testati positivi al Covid-19 nel New South Wales, il più popoloso degli stati australiani, ha rilevato un tasso di trasmissione “straordinariamente basso” nelle scuole.
La ricerca del National Centre for Immunisation Research and Surveillance — citata dal governo federale nel premere sugli stati verso la riapertura delle scuole — ha studiato i 18 casi di Covid-19 riscontrati nello stato, in 15 delle 3000 scuole pubbliche.
Sono stati rintracciati per 28 giorni i nove insegnanti e nove alunni contagiati e i loro 863 contatti ravvicinati. Ha individuato due soli casi di contagio, entrambi di alunni, e non risulta che alcuno di loro lo abbia trasmesso ad altri. “La nostra investigazione non ha trovato evidenze di alunni che abbiano infettato insegnanti”, ha sottolineato la responsabile della ricerca, l’immunologa Kristine Macartney.
“Abbiamo rilevato un tasso straordinariamente basso di trasmissioni nelle scuole ed è stata una sorpresa nella comunità  pediatrica, perchè siamo così abituati a vedere i bambini come ‘super diffusori’ di altri virus, specie dell’influenza”, ha aggiunto Macartney.
“Questo virus sembra diffondersi principalmente fra adulti. Non si è trasmesso fuori controllo nelle scuole perchè i sistemi immunitari reagiscono differentemente quando la persona è giovane”.
Il governo federale sta aumentando la pressione sugli stati perchè facciano tornare le scuole alla normalità  al più presto possibile, mentre le giurisdizioni statali continuano a adottare una varietà  di approcci.
Il primo ministro Scott Morrison ha detto che la consulenza medica al governo conferma che non è necessario applicare i requisiti di distanziamento sociale alle aule scolastiche, il che apre la strada al ritorno degli alunni a scuola. “La consulenza ricevuta è chiara: la distanza di 1,5 metri non è un requisito raccomandato nelle aule scolastiche”, ha dichiarato.

(da agenzie)

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