Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile
“NON SI PUO’ MULTARE UNA PERSONA PER IL FATTO CHE NON HA UNA CASA”
In pieno lockdown, per paura del contagio da Coronavirus, aveva deciso di lasciare il dormitorio in
cui trascorreva la notte insieme ad almeno altri quattro senzatetto, ma mentre era in sella alla sua bici era stato intercettato e sanzionato da una pattuglia della polizia municipale.
Ma Francesco (nome di fantasia), clochard di quaranta anni, ha fatto ricorso e ha vinto. La storia di questo clochard multato durante il lockdown arriva da Bologna.
Quando è stato intercettato dalla polizia municipale l’uomo viaggiava in bicicletta con guanti, mascherina e gel disinfettante. La paura del contagio lo aveva convinto ad allontanarsi dal dormitorio di Bologna dove c’erano anche altre persone. Temeva che quel posto potesse trasformarsi in un focolaio di Covid-19 e sperava di poter trovare una sistemazione più sicura andando via.
Quando i vigili lo hanno fermato ha avuto una multa di 533 euro per aver violato le norme del governo per il contenimento del Coronavirus. Nelle scorse settimane il ricorso presentato al Prefetto è stato vinto, uno dei primi casi in Italia. Multa cancellata, quindi, “lo spostamento del ricorrente” è da ritenersi “legittimo” ai sensi della normativa Covid-19.
“Non si può multare una persona per il fatto che non ha una casa”
La storia di Francesco “è solo la punta di un iceberg che fotografa un fenomeno. Non si può multare una persona per il fatto che non ha una casa. Non si può sanzionare la povertà . Situazioni come queste si stanno ripetendo. Pensiamo siano centinaia i casi simili in tutta Italia”: ha commentato con l’Agi il presidente dell’Associazione Avvocato di strada, Antonio Mumolo, che ha difeso il clochard impugnando la sanzione.
“Ci sono stati altri casi a Roma, Milano, Napoli, Como, Genova ma purtroppo chi ha il coraggio e la forza di presentarsi ai nostri sportelli rappresenta solo una piccola parte dei senza tetto ‘sanzionati’. In molti la multa la strappano perchè tanto non hanno i soldi per pagare. Ma poi se riusciranno ad uscire dalla strada e a trovare un lavoro si troveranno lo stipendio pignorato, per un quinto, con il rischio di ricadere nella povertà “, ha aggiunto Mumolo.
(da Fanpage)
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Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile
I GIUDICI: “IL FATTO NON SUSSISTE”…. LEI: “HO PERSO SETTE ANNI DI SERENITA'”
Assolta perchè il fatto non sussite. Si è conclusa con l’assoluzione di Nunzia De Girolamo, il processo per le consulenze all’Asl di Benevento.
I pm avevano chiesto per l’ex ministra dell’Agricoltura 8 anni e 3 mesi di reclusione. Secondo la Proscura di Benevento l’ex ministro avrebbe fatto parte di un “direttorio” in grado di condizionare le scelte della Asl su nomine e appalti per raccogliere consenso.
Nel processo erano impuate altre otto persone e, oltre a De Girolamo, sono stati assolti gli ex collaboratori Luigi Barone e Giacomo Papa (per entrambi erano stati chiesti 6 anni e 9 mesi), l’ex direttore dell’Asl Michele Rossi (anche per lui la richiesta era 6 anni e 9 mesi), l’ex direttore amministrativo Felice Pisapia (la richiesta era 3 anni e 4 mesi), l’ex direttore sanitario Gelsomino Ventucci (richiesta 2 anni e 3 mesi), l’ex responsabile del budget Arnaldo Falato (richiesta 2 anni e 8 mesi) e il sindaco di Airola Michele Napoletano, per il quale i pm avevano chiesto l’assoluzione”Oggi ha vinto la giustizia, io ho solo perso 7 anni di serenità “, ha commentato De Girolamo. “Mi sono dimessa da ministro – ricorda – pur non essendo indagata, per difendere la mia dignità . L’ho fatto sempre nel processo e non dal processo. Oggi le tre donne del collegio mi restituiscono fiducia e voglia di continuare a combattere per le cose giuste”.
L’ex ministra di Forza Italia e Nuovo Centodestra ha poi aggiunto all’Adnkronos: “”Io non ho mai avuto paura della magistratura, ma della cattiveria che mi ha circondato in questi anni”.
De Girolamo ha poi ringraziato ” tanti amici, fra tutti Massimo Giletti, per aver creduto in me in questi anni e per non aver mai ceduto al fango di tanti che hanno provato a colpire me, lui e il suo programma solo perchè non si è piegato a qualche articolo feroce pubblicato nei miei confronti”.
A commentare l’assoluzione di De Girolamo è anche il suo avvocato difensore, Giandomenico Caiazza. “Siamo enormemente soddisfatti del risultato e di aver incontrato un collegio di giudici sereni, equilibrati, che hanno saputo restituire dignità ad una persona ingiustamente colpita nella sua carriera pubblica, oltre che nella sua vita privata”, dice il legale.
(da agenzie)
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Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile
L’APPELLO DELLA CROCE BIANCA DI SEVESO, IN BRIANZA
“Siamo stanchi. Non vogliamo ritornare ai ritmi del mese scorso quando in una notte facevamo una
media di cinque uscite per Covid. Per questo chiediamo a tutti di stare attenti durante le feste di Natale”.
Lanciano un appello i volontari della Croce Bianca della sezione di Seveso, paese della provincia di Monza e Brianza che, insieme al resto del territorio brianzolo, è stato uno dei più colpiti durante la seconda ondata pandemica.
Stefano, 48 anni, Adriana, 45 anni e Roberto, 52enne, raccontano a Fanpage.it le ultime settimane di emergenza Covid tra un servizio e un altro a bordo della loro ambulanza fuori dal pronto soccorso dell’ospedale di Desio, sempre in Brianza.
“Oggi (sabato 5 dicembre) stiamo ricevendo una chiamata dietro l’altra, ma per ora ancora nessun servizio Covid”. Segno che la curva dei contagi sta veramente rallentando: “Il mese scorso durante i nostri turni in ambulanza di notte la maggior parte dei pazienti che abbiamo assistito erano positivi al Covid. Rispetto alla scorsa primavera, però, ora conosciamo meglio il nemico e siamo più preparati quando dobbiamo intervenire. Anche i protocolli da seguire rispetto alla prima ondata sono molto più chiari. E questo aiuta”, precisa Roberto, da otto anni volontario della Croce Bianca di Seveso.
“Anche se l’emergenza sta calando, non bisogna abbassare la guarda”, aggiunge subito Stefano, alla guida delle ambulanze da 20 anni. “Bisogna sempre rispettare le norme anti contagio, indossare la mascherina e igienizzarsi il più possibile le mani. Anche e soprattutto in questi giorni di festa”.
A fine servizio la stanchezza si sente
Perchè alla fine caleranno anche i contagi, ma l’attenzione e l’impegno dei paramedici del 118 rimane sempre alto. Anche se la stanchezza a fine turno si fa sentire: “Prima della pandemia potevamo aiutarci di più tra noi volontari. Più di uno entrava in casa ad assistere il paziente nei primi minuti. Ora invece, nei tempi della pandemia, solo uno può venire a contatto per primo con il paziente, esattamente come previsto dai protocolli. A fine servizio quindi la stanchezza fisica e mentale non manca”.
Il timore è che si ripeta quanto successo durante l’estate
Ora la loro preoccupazione, così come per gli altri operatori sanitari, è che con la possibile entrata in vigore della zona gialla in Lombardia e l’inizio del periodo di festività si ritorni presto a fare cinque uscite Covid in una notte.
“Il nostro timore è che si ripeta quanto successo le settimane successive le vacanze estive. Che a gennaio ricadremo in un’altra ondata e noi ritorneremo a combattere in prima linea. Invitiamo tutti, quindi, ad affrontare queste settimane facendo appello al buon senso”. Perchè quello che “non potremo mai dimenticare sono i volti dei pazienti che sono saliti sulla nostra ambulanza — conclude Adriana, da 15 anni in Croce Bianca -. E soprattutto quelli dei parenti che vedono il proprio caro andare via con noi senza sapere se lo rivedranno ancora. In tanti si sentono soli, per questo cerchiamo anche di confortarli”.
E infine lo ripetono ancora: “Mai abbassare la guardia, rispettiamo le regole”. Perchè gli “eroi”, come sono stati chiamati spesso i volontari, medici e infermieri, meritano anche loro di festeggiare il Natale con la propria famiglia.
(da Fanpage)
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Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile
“IL RISCHIO CHE IL GIALLO VENGA INTERPRETATO COME UN LIBERI TUTTI”
“L’imminente passaggio dell’intero Paese nella fascia gialla e l’entusiasmo per il vaccino in arrivo sono gli elementi che possono innescare la tempesta perfetta della terza ondata”.
Il presidente di “Gimbe”, Nino Cartabellotta, invita a tenere alta l’attenzione. Anche perchè il virus continua a circolare, come risulta dal monitoraggio svolto dalla Fondazione indipendente dal 2 all’8 dicembre che fa registrare un leggero rallentamento nella crescita dei nuovi casi, ma un crollo totale dei tamponi.
Oltre135mila i nuovi casi rilevati rispetto alla settimana precedente, 4879 i morti. La pressione sugli ospedali è in calo, ma in 15 Regioni i ricoveri negli ospedali e nei reparti di terapia intensiva restano sopra la soglia di saturazione.
Numeri alla mano, i nuovi positivi scendono a 136.493 da 165.879, a fronte di una riduzione di oltre 121 mila casi testati (551.068, erano 672.794) e di una sostanziale stabilità del rapporto positivi/casi testati (24,8%, era 24,7%).
Diminuiscono del 5,4% i casi attualmente positivi (737.525 da 779.945) e, sul fronte degli ospedali, diminuiscono sia i ricoveri con sintomi (30.081 da 32.811) che le terapie intensive (3.345 da 3.663).
Cala leggermente anche il numero dei morti (4.879 da 5.055). Riduzioni non innescate “solo dalle misure introdotte”, sottolinea Cartabellotta. Il rapporto positivi/casi testati resta infatti stabile e, soprattutto, si registra un’ingiustificata riduzione di oltre 121 mila casi testati (-18,1%), che solo in 5 Regioni aumentano rispetto alla settimana precedente. Le misure introdotte hanno frenato il contagio, ma il loro “effetto sull’incremento dei nuovi casi è sovrastimato da una consistente riduzione dell’attività di testing”, aggiunge il presidente di “Gimbe”, puntualizzando che “a invarianza di misure restrittive, la discesa della curva sarà molto lenta, certo non paragonabile a quella della prima ondata”
Anche perchè nelle ultime settimane c’è stata una riduzione di tamponi e casi testati: dal 2 all’8 dicembre si è registrato un decremento del 36,8% (-45.851 casi testati al giorno). Meno evidente la riduzione dei tamponi totali, passati da una media di 214.187 al giorno della settimana 12-18 novembre ai 179.845 della settimana 2-8 dicembre, con un calo giornaliero medio di 27.907 tamponi (-13,4%). –
E negli ospedali la soglia di occupazione per pazienti Covid continua a rimanere oltre il 40% nei reparti di area medica e del 30% nelle terapie intensive in 15 Regioni, mentre la curva relativa al numero dei morti comincia a salire in maniera meno ripida. Insomma, il quadro generale è ancora instabile e l’epidemia è in una fase “estremamente delicata”, spiega Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione bolognese. Per tre ragioni: con oltre 700 mila positivi, è impossibile riprendere a tracciare i contatti; i mesi invernali che verranno favoriscono la diffusione di tutti i virus respiratori e l’incertezza sull’impatto dell’influenza – “fino a metà gennaio non sapremo se l’impatto sarà , come auspicato, più contenuto rispetto alle stagioni precedenti”, ragiona Gilli.
A completare quella che Cartabellotta definisce “la tempesta perfetta che rischia di innescare la terza ondata”, ci sono altri due elementi: il passaggio di tutte le Regioni, atteso per la settimana prossima, nell’area di minor rischio, la fascia gialla e “l’auspicato e speriamo imminente arrivo del vaccino”, dice il presidente.
Il “giallo” non deve essere inteso come un via libera agli assembramenti e il vaccino “non deve costituire un alibi per abbassare la guardia”, anche perchè, pure con un’adesione massiccia degli italiani alla campagna vaccinale, “nella più ottimistica delle previsioni – conclude Cartabellotta – un’adeguata protezione a livello di popolazione potrà essere raggiunta solo nell’autunno 2021”.
(da agenzie)
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Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile
“TUTTI I SEGNALI VERSO UN ALLENTAMENTO DIVENTANO PERICOLOSI”
Tanti vogliono aperture ma non si rendono contro che abbiamo ancora tre mesi freddi, che il vaccino
non c’è e la somministrazione sarà graduale e che in molti hanno dimostrato di non saper convivere con il virus visto che appena un divieto viene allentato scatta l’assalto alla diligenza, come si è visto nelle piste da sci e nello shopping.
Una terza ondata di Covid-19 dopo le feste di Natale e Capodanno “non l’ha necessariamente ordinata il dottore”, quindi va fatto il possibile per scongiurarla.
Ma “se non prendiamo tutte le necessarie precauzioni, e non continuiamo a mantenerle, non posso che accodarmi alle posizioni già espresse da alcuni miei illustri colleghi e dire che la ripresa della malattia a gennaio è un fatto quasi scontato”
Parola di Massimo Galli, primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano e docente all’università Statale cittadina, che rilancia un richiamo alla responsabilità – individuale e istituzionale – anche in vista del passaggio della Lombardia da zona arancione a zona gialla. “Non ci possiamo permettere di non essere prudenti – spiega- E’ una banalità , ma tutti i segnali che tirano verso il ‘liberi tutti’ diventano pericolosi”.
Per lo specialista quella che viviamo “è oggettivamente una situazione che non consente in linea generale, e in particolare in alcune zone della Lombardia in cui il virus è comunque ancora molto presente, di applicare degli avventurismi, di avere atteggiamenti” che poi possono comportare effetti “estremamente negativi”.
Galli ammette che tutto sembra un po’ “scaricato sui cittadini”, ma innegabilmente “la responsabilità individuale è un fatto importante – ammonisce – Non possiamo andare nei luoghi dove più facilmente le persone si concentrano e rimanere stupiti dicendo ‘ma guarda quanta gente c’è!’. La domanda è ‘è tu? Anche tu sei lì insieme a loro'”
Certo che “è una situazione non facile – osserva l’infettivologo – in cui avere posizioni fortemente restrittive è evidentemente triste e limitante, però è così”: una terza ondata di Covid è un pericolo concreto.
Ciò confermato, avvertita la popolazione, al di là dell’invito a mantenere comportamenti di estrema prudenza Galli rivolge anche un messaggio ai decisori politici: “Le chiusure sono una resistenza passiva”, fa notare, mentre “io credo che si debba cambiare registro in un’altra direzione”, quella della “resistenza attiva” ossia di “interventi di altro genere e più incisivi. Per esempio un utilizzo estensivo dei test, o misure che riescano veramente a migliorare e organizzare i trasporti, solo per citare un settore. Il punto – conclude lo specialista – è che per svariati mesi la convivenza con questa infezione è ancora obbligata”.
(da agenzie)
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Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile
“SI ARRIVERA’ ALLA TERZA ONDATA SENZA UNA RIDUZIONE DEI CONTAGI DELLA SECONDA”
Ci sarà una quarta ondata di contagi di Coronavirus a marzo 2021, ma prima a gennaio: «sappiamo che ci sarà una terza, probabilmente peggiore della seconda perchè non ci arriveremo con gli ospedali scarichi e sarà concomitante con l’influenza».
Secondo il presidente regionale dell’Ordine dei Medici della Liguria, Alessandro Bonsignore mai come nel 2021 sarà fondamentale il rispetto di tutte le regole di precauzione per contenere i contagi, anche perchè i tempi per raggiungere l’immunità di gregge con l’arrivo dei primi vaccini sono ancora troppo lunghi, almeno un altro anno.
Bonsignore ha poi proseguito con un confronto tra la pandemia da Covid-19 a quella spagnola del 1920. «I due trend sono esattamente sovrapponibili, quindi noi sappiamo a cosa stiamo andando incontro» ha spiegato Bonsignore, sottolineando come il vaccino al momento sia l’unica soluzione per invertire la rotta «e spezzare il trend».
Sui tempi più prossimi che ci aspettano invece Bonsignore sembra non avere dubbi: «Non arriveremo alla terza ondata con una riduzione dei contagi come avvenuto tra la prima e la seconda», spiega, «siamo in un periodo invernale e le aperture in corso fanno sì che non si arriverà a una riduzione importante dei positivi».
(da agenzie)
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Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile
IL RISCATTO DI NOI ITALIANI CHIAMATI “ZINGARI” DAGLI ELVETICI
Mundial 1982. “…Allo stadio, ad Aarau o a Wettingen, ci andavo con lo zio Nino. Ogni volta che però
l’Italia affrontava la Svizzera sentivo mio padre dire “con noi si impegnano sempre allo spasimo”. Non era calcio, era la vita…”
Ho visto Italia-Brasile 3-2 in Svizzera, da emigrato. Gli svizzeri tifavano tutti per la Selecao. A scuola, la mattina, un tipo grande e grosso mi affrontò con aria canzonatoria: “Stavolta potete fare tutto il catenaccio che vorrete, ve ne faranno quattro lo stesso”.
Il Brasile, qualche giorno prima aveva fatto a pezzi la Scozia, giocando un calcio da playstation, e un giornale calcolò persino la velocità supersonica dei tiri di Eder. Non avevamo scampo.
All’epoca essere italiano in Svizzera voleva dire essere uno Tschingg, uno zingaro, sinonimo di furbo, levantino, traditore, di gente brava solo a farsi largo in contropiede. Vivevamo di rivalse. Quasi tutti gli stagionali avevano ancora i poster di Rivera o Mazzola appiccati con lo scotch alle pareti delle baracche e che quell’estate in tanti, persino gli svizzeri, ballassero cantando “Un’estate al mare” di Giuni Russo era per noi motivo di orgoglio.
Era un lunedì pomeriggio. Splendeva il sole sul paese di Staufen, quando mi ritrovai nell’appartamento della famiglia Mirra, che abitava sopra di noi; erano originari del Beneventano; la signora Giorgina preparò una merenda, al marito, ai due figli e a me, e ci piazzammo rassegnati nel salotto, davanti alla tv. La Rai non si prendeva ancora in Svizzera (sarebbe arrivata soltanto nel gennaio 1986) e ci sintonizzammo sul canale ticinese. Telecronista Giuseppe Albertini. Ricordo bene? Non lo so più. Però rammento che quando Rossi segnò l’1-0 pensai, “ecco, e ora ce ne faranno quattro”. Socrates pareggiò subito, confermando gli inevitabili presagi. La mattina, al chiosco della piccola stazione di Lenzburg, avevo comprato La Gazzetta dello sport, devo averla conservata tra qualche parte. Non ho dimenticato il titolo: “Provateci ancora!” E il sottotitolo: “Questi undici artisti del calcio sono proprio invincibili?”.
Mio padre non amava il calcio. Non tifava per nessuna squadra. Non guardava le partite. Non ascoltava, come tutti gli emigrati, Tutto il calcio minuto per minuto su pesanti transistor mentre passeggiavano la domenica pomeriggio nei viali deserti della Bahnhofstrasse ricolmi di nebbia impenetrabile. “Scusa, Ameri”, era la colonna sonora di ogni paisà .
Gli emigrati tifavano per l’Avellino di Juary, per il Catanzaro di Palanca e andavano a Como a vedere l’Inter o la Juve. Allo stadio, ad Aarau o a Wettingen, ci andavo con lo zio Nino. Ogni volta che però l’Italia affrontava la Svizzera lo sentivo dire “con noi si impegnano sempre allo spasimo”. Eravamo superiori, ma si faceva fatica. Non era calcio, era la vita.
Italia-Brasile 3- 2 è il romanzo del calcio italiano, e Pietro Trellini vi ha dedicato un libro mondo, che merita di stare nella biblioteca di ogni sportivo. Lì ritrovate tutto. Che tenessimo testa ai brasiliani con tale bravura ci lasciò inizialmente sgomenti, invece il tempo passava ed eravamo sempre in partita. 2-1. 2-2. 3-2.
Possibile? Dopo il terzo gol di Rossi restammo in piedi ad urlare, dai balconi delle case attigue arrivavano grida di giubilo o di imprecazioni in tutti i dialetti possibili. Stavamo battendo il Brasile di Zico e Falcao! Era la cosa più incredibile che ci potesse capitare.
Poi suonarono alla porta. “E’ tuo padre”, disse la signorina Giorgina.
Entrò nel salotto in preda a un’eccitazione che non gli avevo mai visto addosso. “Non riesco a vederla da solo”, disse. Rimase in piedi con noi, davanti allo schermo, mentre l’assedio dei brasiliani si fece più pressante. Quando Zoff fermò con un balzo felino la palla sulla linea dopo il colpo di testa ravvicinato di Oscar all’89 (al Brasile bastava pareggiare), esultammo come dopo un gol.
“Fischia!” gridava mio padre all’arbitro Klein. “Fischia!”
Lo guardai incredulo.
Se penso alla gioia che sa dare il calcio penso a quel pomeriggio. Non ne ho mai più provata una più pura. Abbracciai papà , che al fischio finale aveva alzato i pugni al cielo, indossai in gran fretta una vecchia maglietta dell’Italia che mi avevano regalato per gli Europei dell’80 e in bicicletta mi presentati alla serata danzante della festa della gioventù di Lenzburg.
Ogni italiano che t’incontrava ti stringeva forte urlando e piangendo. Incrociai il tipo grande e grosso della mattina: “Catenaccio eh!” gli dissi trionfante. Grugnì.
Valse quella vittoria al Mundial spagnolo a cambiare per sempre la percezione che gli svizzeri avevano di noi, e inaugurò un amore sincero per il made in Italy che negli anni si è rafforzato. Fu una cesura culturale e civile.
Ogni tanto mi capita di incontare delle persone con cui si parla appassionatamente di calcio, e di match memorabili, ma quando scopro che nel 1982 non erano ancora nati, o erano troppo piccoli per ricordarsene, dico sempre: “Sì, ma tu non puoi capire cosa è stata Italia-Brasile 3-2”.
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile
DICEVI: “PUO’ COLPIRTI LA SFORTUNA, SCONVOLGERTI L’INGIUSTIZIA. MA TU NON MOLLARE MAI. FORZA E CORAGGIO CHE I SOGNI A VOLTE SI AVVERANO”
Non posso crederci, Pablito. Campione lucente, amico caro. Non posso crederci. È così forte il dolore, già così struggente la nostalgia. Arrivano i ricordi, come un vento senza fine. Ti ricordo al Vicenza, già campione. Eri l’asso, fin da quel tempo, del sorriso: in ogni occasione, per gentilezza, per allontanare la malinconia. Eri un centravanti leggero, ma in area di rigore ti trasformarvi in un gigante: ogni spiraglio era tuo, possedevi l’istinto della rete, sapevi trovarti sempre al posto giusto nel momento giusto. Un attaccante imprendibile e imprevedibile.
Ti ritrovo, soprattutto, con la Nazionale. In quel delirio, in quella allegria, in quella utopia realizzata del Mundial di Spagna del 1982. Prima le fatiche di Vigo, i tre pareggi con Polonia, Perù e Camerun. Le polemiche, il silenzio stampa, voi tutti raccolti intorno a Enzo Bearzot, il grande Vecio. L’allenatore che aveva sempre creduto in te, fin dall’Argentina del ’78, dove diventasti Pablito; che ti aveva convocato per l’avventura spagnola anche se avevi appena scontato una ingiusta squalifica per il calcio scommesse. Tre partite con la Juve bastarono a Bearzot per chiamarti, per preferirti al posto di Pruzzo. E ti difese anche dopo quel primo girone, nessun gol, molti critici che ti volevano fuori squadra. Ma Bearzot era irremovibile. Aveva fiducia in te ed era pronto a combattere contro tutto e tutti, da nobile Don Chisciotte. Andate, voi azzurri, a Barcellona contro Argentina e Brasile. Scrivevano, in tanti, in troppi, della cronaca di una eliminazione annunciata. Ma voi vincete contro Maradona e compagni. Ancora non segni. Perchè non mettere Altobelli?, suggeriscono al Vecio. Ma il Vecio sapeva di te, della tua forza interiore, ti conosceva nell’anima e ti voleva bene come a un figlio.
E contro il Brasile, quel grande Brasile, rinasci, ritorni a essere Pablito. Firmi una tripletta, il tuo sorriso torna a colorare il tuo cuore e le prime pagine. Due reti alla Polonia in semifinale, poi l’apoteosi del “Santiago Bernabeu”, il 3-1 alla Germania Ovest, davanti al presidente Sandro Pertini felice, in tribuna d’onore, come un bimbo. Il primo gol è tuo, d’anticipo ovviamente.
Sei il capocannoniere della manifestazione, conquisti il Pallone d’Oro, diventi l’uomo più popolare dell’universo. Tutti noi diventiamo, in ogni anfratto, in ogni paese o contrada, “paolorossi”, così, tutto attaccato. Il simbolo di un’Italia bella, di un’Italia capace di compiere qualsiasi impresa. Possibile e impossibile.
E, al massimo della gloria, sei sempre rimasto tu, con i tuoi modi garbati. Il ragazzo Pablito. Ho tra le mani la tua autobiografia, che hai scritto con tua moglie Federica Cappelletti, eccellente giornalista, “Quanto dura un attimo” e leggo la tua frase in quarta di copertina: “Può colpirti la sfortuna, sconvolgerti l’ingiustizia. Ma tu non mollare mai. Forza e coraggio, chè i sogni a volte si avverano”.
E tu sei riuscito a realizzare tutti i tuoi sogni, senza mai arroganza, senza mai presunzione.
Siamo diventati amici e ti divertivi a salutarmi, a ogni nostro incontro, facendo tre con le dita. Come i gol rifilati al mio amato Brasile. E mi confidavi che quella partita ti aveva ridato una vita, una seconda data di nascita, avevi in quel giorno di luglio, cancellato i fantasmi, le lunghe ombre, i tormenti.
Continua a essere un anno terribile, se ne stanno andando i miti. E tu sei stato un mito che non ha mai perso l’umiltà , il senso reale delle cose, sei rimasto il ragazzino di Prato che giocava, giocava e ancora giocava, sperando di arrivare in serie A.
Ti rivedo nella tua esultanza tipica: con le braccia alzate, il sorriso come un raggio di sole. Addio Pablito caro, ti piango come un fratello.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 10th, 2020 Riccardo Fucile
IL MESSAGGIO DI FEDERICA CAPPPELLETTI PER IL MARITO SCOMPARSO
“Non ci sarà mai nessuno come te, unico, speciale, dopo te il niente assoluto…”: è l’addio a Paolo
Rossi postato su Facebook dalla moglie, la giornalista perugina Federica Cappelletti.
Parole seguite da un cuore, con sotto una foto del marito e delle loro due figlie. Tutti di spalle.
Paolo Rossi, scomparso nella notte all’età di 64 anni, aveva tra l’altro militato nel Perugia nella stagione 1979-1980. E’ stata Cappelletti a dare la notizia della morte del marito, con una foto su Instagram che li ritraeva insieme, accompagnata dalla didascalia: “Per sempre”.
I due si erano conosciuti nell’estate del 2008, per poi sposarsi nel luglio del 2010. Dalla loro unione sono nate due bambine, Maria Vittoria, di 10 anni, e Sofia Elena, di otto. Negli scorsi mesi avevano rinnovato la loro promessa di matrimonio.
“Per me lui non è il calciatore, il personaggio, ma l’uomo che mi fa trovare i bigliettini disseminati per casa e scrive lettere d’amore. Un giorno mi ha detto: ‘Io nella vita ho avuto tantissimo, adesso lo voglio dare a te’”, aveva raccontato in un’intervista.
(da “Huffingtonpost”)
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