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QUANDO SALVINI DICEVA CHE A CARLA FRACCI INTERESSAVANO PIU’ GLI IMMIGRATI DEGLI ITALIANI

Maggio 27th, 2021 Riccardo Fucile

CHE IPOCRISIA, OGGI FA UN TWEET COMMOSSO PER LEI: “HA ILLUSTRATO IL NOME DELL’ITALIA NEL MONDO” ( A PARTE CHE SI DICE “HA RESO ILLUSTRE”, ILLUSTRATA ERA LA DOMENICA DEL CORRIERE)

Oggi Matteo Salvini ha scritto un tweet commosso per salutare Carla Fracci, morta oggi a Milano a 84 anni. “È mancata stamane nella sua Milano, al cui prestigio internazionale tanto ha dato. Un commosso addio a Carla Fracci, simbolo assoluto della danza, dell’arte e della cultura, che in tanti anni di carriera formidabile ha illustrato il nome dell’Italia nel mondo”, ha scritto il segretario della Lega.
E subito la memoria di molti è andata a quando, su Twitter e Facebook, lo stesso Salvini il 19 maggio del 2017 la infilava in un lungo elenco di “amici” dei migranti.
“Centri sociali, Carla Fracci, Croce Rossa, Emma Bonino, Cgil, Roberto Vecchioni, Claudio Bisio, sindaci del Pd e Cooperative rosse. Tutti allegramente in piazza domani a Milano, col portafoglio pieno, per chiedere più diritti e più accoglienza per gli immigrati. A loro gli italiani interessano poco. Scommettiamo che tivù e radio ne parleranno per ore?”
Carla Fracci era infatti tra le personalità che avevano dato l’adesione alla marcia “Milano contro i muri” per chiedere una società più tollerante, plurale e aperta alle diversità.
E nata su ispirazione di quella “Vogliamo accogliere” di Barcellona. La marcia, nonostante Salvini, si svolse dopo che un militare e un agente di polizia avevano subito un’aggressione in stazione da un uomo di colore, Tommaso Bein Yousef Hosni Ismail, che poi si rivelò essere cittadino italiano, come spiegato all’epoca dal sindaco Peppe Sala: “Il criminale che ha accoltellato gli uomini delle forze dell’ordine è figlio di madre italiana e di padre nordafricano ed è italiano a tutti gli effetti. Ciononostante a qualcuno fa comodo buttare questo atto criminoso sul conto dei migranti”.
(da La Notizia)

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ASSOLTI DA STUPRO DI GRUPPO NEL 2015, LA CORTE EUROPEA CONDANNA L’ITALIA: “NELLA SENTENZA PREGIUDIZIO CONTRO LE DONNE”

Maggio 27th, 2021 Riccardo Fucile

“INGIUSTIFICATI RIFERIMENTI ALLA LINGERIE INDOSSATA DALLA VITTIMA E STEREOTIPI SESSISTI”

La sentenza della Corte d’appello di Firenze che nel 2015 ha assolto sei imputati accusati di uno stupro di gruppo avvenuto nella Fortezza da Basso nel 2008 utilizza “un linguaggio e argomenti che veicolano pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana” e, in alcuni passaggi, “non rispetta la vita privata e l’integrità personale” della vittima.
Per questo la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione dei diritti di una presunta vittima di stupro, accordando un risarcimento per danni morali di 12mila euro.
A ricorrere alla Corte di Strasburgo la stessa presunta vittima della violenza, che nel 2016 aveva fatto ricorso non per l’assoluzione dei sei giovanissimi, tutti tra i 20 e i 25 anni all’epoca dei fatti, ma proprio per il comportamento delle autorità nazionali che, secondo la ragazza, non avevano “tutelato il suo diritto al rispetto della vita privata e la sua integrità personale”. Il ricorso, inoltre, denunciava discriminazioni in base al sesso e pregiudizi sessisti durante il procedimento penale.
I giudici della Corte, che si sono espressi in maggioranza di sei contro uno, si legge nella sentenza, ritengono che i diritti della ragazza non siano stati “adeguatamente tutelati” nella sentenza della Corte d’Appello di Firenze.
Violazione che invece non risulta negli atti precedenti, gli interrogatori della presunta vittima e il processo in Aula. Secondo Strasburgo però, il problema è proprio in alcuni passaggi delle quattro pagine di motivazione della sentenza in cui le autorità “hanno omesso di proteggere” la ragazza “dalla vittimizzazione secondaria”.
Ingiustificati, secondo la Corte, “i riferimenti fatti alla lingerie rossa ‘mostrata’ dalla ricorrente durante la serata” del presunto stupro, ma anche “le osservazioni riguardanti la bisessualità, le relazioni, il rapporto sessuale sentimentale e occasionale” della ragazza prima del fatto.
Secondo i giudici, inoltre, i giudizi sulla scelta della vittima di denunciare la presunta violenza, che secondo la Corte d’Appello sarebbe scaturita “dalla volontà di ‘stigmatizzare’” un suo stesso “momento di fragilità e debolezza”, e il riferimento alla sua “vita non lineare”, sono da considerare “deplorevoli e irrilevanti”.
Insomma, quelli della sentenza sono osservazioni, linguaggi e argomenti che, sottolineano i giudici, “trasmettono pregiudizi sul ruolo della donna che esistono nella società italiana” rischiando quindi di “ostacolare una protezione efficace dei diritti delle vittime di violenza” nonostante un quadro legislativo “soddisfacente”.
Secondo la Corte, infatti, l’azione penale e le sanzioni, in particolare, “svolgono un ruolo cruciale” sia nella “risposta istituzionale alla violenza” sia nella “lotta alla disuguaglianza” di genere”. Per questo proprio le autorità dovrebbero “evitare di riprodurre stereotipi sessisti nelle decisioni dei tribunali”, evitando anche di esporre le donne alla “vittimizzazione secondaria” con “parole colpevoli e moralistiche” che rischiano di “scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia”.
Da una parte quindi Strasburgo riconosce che “nel caso di specie la questione della credibilità” della ragazza “era particolarmente cruciale” e per questo era possibile “riferirsi alle sue relazioni passate” con gli imputati o “ad alcuni suoi comportamenti durante la serata” del presunto stupro.
Dall’altra la Corte “non vede come la condizione familiare” della ragazza “i suoi rapporti sentimentali o orientamenti sessuali o le sue scelte di abbigliamento” così come “l’oggetto delle sue attività artistiche” possano essere rilevanti per la “credibilità dell’interessato”.
Quindi, secondo Strasburgo, in questo caso, sulla libertà dei giudici di esprimersi e sull’indipendenza della magistratura doveva prevalere la protezione delle presunte vittime di violenza di genere, e cioè il dovere di “tutelarne l’immagine, la dignità e la privacy” compresa “la non diffusione di informazioni e dati personali estranei ai fatti”.
Nella sentenza di assoluzione della Corte d’Appello, in sostanza, la vicenda veniva definita “incresciosa”, “non encomiabile per nessuno”, ma “penalmente non censurabile”. Secondo i giudici, il comportamento della ragazza, che nel 2008, all’epoca dei fatti, aveva 23 anni, faceva supporre “anche se non sobria” fosse comunque “presenta a se stessa”.
Il racconto della giovane, inoltre, nelle motivazioni della sentenza, veniva ritenuto ricco di “contraddizioni” e la versione quindi era “vacillante” e smentita “clamorosamente” dai riscontri. All’epoca già l’avvocato della ragazza, Lisa Parrini, aveva denunciato che nella sentenza c’erano diversi “giudizi morali”.
Come il passaggio sulla vita “non lineare” della ragazza, o la definizione della giovane: “Un soggetto fragile ma al tempo stesso creativo, disinibito, in grado di gestire la propria (bi)sessualità, di avere rapporti fisici occasionali di cui nel contempo non era convinta”
Un’accusa, quella mossa nel 2015 dalla legale della ragazza, oggi appoggiata anche dalla sentenza della Corte europea che nelle conclusioni scrive: “Pur riconoscendo che le autorità nazionali hanno garantito l’articolo 8 della Convenzione nelle indagini e negli interrogatori, la Corte ritiene che i diritti e gli interessi dello stesso articolo non sono stati adeguatamente tutelati nel contenuto della sentenza della Corte d’Appello di Firenze. Ne consegue che le autorità nazionali non hanno tutelato il ricorrente dalla vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento di cui la sentenza è parte integrante e di grande importanza, vista la sua natura pubblica”.
(da il Fatto Quotidiano)

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LUCA BIZZARRI DICE LA VERITA’ SUI MANESKIN E PAGANINI E LA LEGA LIGURE CHIEDE CHE VENGA CACCIATO DALLA PRESIDENZA DELLA FONDAZIONE DI PALAZZO DUCALE

Maggio 27th, 2021 Riccardo Fucile

L’ATTORE REPLICA: “NON CAPISCONO NEANCHE L’ITALIANO”

Luca Bizzarri, l’attore comico genovese presidente della Fondazione Cultura di Palazzo Ducale, torna di nuovo nel mirino della Lega.
Questa volta il Carroccio non ha gradito le sue esternazioni sulla vicenda Maneskin. “Non ho ben capito perché un cantante debba fare un test antidroga dopo aver vinto un festival. Anche perché così Paganini non ne avrebbe mai vinto uno – ha scritto su Facebook l’attore – quando la smetteremo di considerare la droga un problema etico forse potremmo cominciare a capire qualcosa della droga, ad affrontarne l’uso e gli abusi un poco più seriamente evitando il moralismo ipocrita che pervade ogni momento di questa disgraziata epoca”.
Tra gli altri interventi social, Bizzarri ha anche postato un breve video di Vasco Rossi che dice ironicamente: “lo faccio anche io il test antidroga”.
Ma per il capogruppo della Lega in Consiglio Regionale della Liguria, Stefano Mai, “l’ennesimo commento sui social network di Luca Bizzarri sull’uso di droghe non lascia spazio a equivoci. La Lega oggi ha quindi depositato un’interrogazione in Regione Liguria per chiedere al governatore Giovanni Toti come intenda affrontare le irresponsabili dichiarazioni del presidente della Fondazione Palazzo Ducale e quali azioni intenda perseguire sulla compatibilità fra il ruolo istituzionale e le reiterate dichiarazioni pubbliche sul consumo di sostanze stupefacenti, che appaiono in grave contrasto con le finalità dell’ente che Bizzarri presiede”.
Bizzari era stato scelto come presidente della Fondazione Cultura di Palazzo Ducale nel corso del primo mandato della Giunta Toti.
“Mi piace quando ci sono delle figure istituzionali che candidamente ammettono di non capire l’italiano scritto”. E’ il commento laconico postato da Bizzarri su Facebook dopo le critiche della Lega alle sue posizioni sul consumo di droghe, riferite alla vicenda dei Maneskin all’Eurovision.
Non è la prima volta che le posizioni prese pubblicamente da Bizzarri sui suoi profili social provocano più di qualche mal di pancia nel centrodestra ligure. Era successo, ad esempio, in occasione dell’inaugurazione del nuovo Ponte Genova San Giorgio, quando il presidente della Fondazione Palazzo Ducale si era schierato apertamente contro la spettacolarizzazione della celebrazione.
(da agenzie)

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IL POLITICO DI FORZA ITALIA CHE DICE CHE I GESTORI DELLA FUNIVIA SONO “VITTIME DI REGOLE ASSURDE PERCHE’ COSTRETTI ALLA FAME E DISPERATI”

Maggio 27th, 2021 Riccardo Fucile

ALLA FAME? UN FATTURATO DI 1,6 MILIONI E UN AMMINISTRATORE CHE PERCEPIVA UNO STIPENDIO DA 100.000 EURO L’ANNO

Klevis Gjoka è coordinatore del IV municipio e responsabile commercio e lavoro di Forza Italia Giovani Milano.
In queste ore su Twitter sta girando molto un suo tweet in cui, parlando dell’incidente alla funivia Stresa-Mottarone, dice che tra le vittime ci sono “i gestori dell’impianto”, perché “costretti alla fame da regole assurde e tanto disperati all’idea di dover ritardare la riapertura da arrivare a voler riaprire ad ogni costo, anche della sicurezza”.
In realtà gli ultimi bilanci dell’azienda Ferrovie Mottarone non descrivono una situazione di disperazione: il fatturato superava un 1,6 milioni l’anno, dal Comune di Stresa l’azienda riceve un contributo annuo da 130 mila euro.
L’amministratore unico Luigi Nerini, chiamato in causa da Gabriele Tadini, il dipendente che non ha rimosso il forchettone dal freno d’emergenza, riceveva un compenso annuo da 100 mila euro.
Come ha raccontato Repubblica, la nota a corredo dell’ultimo bilancio registrava che “l’operatività del 2020 è andata avanti fino al 7 marzo, giorno dei lockdown, “con un significativo incremento di fatturato rispetto al medesimo periodo dell’esercizio precedente”.
La società ha la concessione dell’impianto funiviario fino al 2028, per la quale ha depositato al Comune di Stresa due fidejussioni da 12 e 97 mila euro. Le Ferrovie hanno segnato ricavi poco sotto i 2 milioni e utili per 440 mila euro, in espansione dai 350 mila euro del 2018. I debiti, a quota 2,6 milioni, erano per 1,6 milioni soldi dovuti le banche.
Alle Ferrovie del Mottarone fa capo anche la 4 MG srl (per il 63% del capitale): è la società che gestisce una delle attrazioni principali del Mottarone, Alpyland. Si tratta di simil-montagna russa che parte dai 1.400 metri della vetta e si sviluppa in un percorso di oltre un kilometro “con curve, dossi, cambi di pendenza e un dislivello di 100 metri – si legge sul sito internet – Il divertimento in vetta al Mottarone”.
Gabriele Tadini ha detto che la funivia ha funzionato senza il freno d’emergenza per un mese. Quanto ha incassato nei giorni di viaggi senza freni di sicurezza? Alla domanda risponde oggi La Stampa:
Non 140 mila euro, certo. Molti, molti meno. Forse 30 o 40 mila. Una scelta criminale. Per una manciata di soldi – che mai avrebbero salvato i bilanci si è scommesso sulla vita dei passeggeri. Quattordici sono morti domenica a mezzogiorno. Tra loro anche due bambini.
(da la Notizia)

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LA VERGOGNA DELLA SICUREZZA SACRIFICATA AL PROFITTO

Maggio 27th, 2021 Riccardo Fucile

DALLA FUNIVIA AL PONTE MORANDI: DIETRO CI SONO I PRENDITORI DI STATO

La recente tragedia della caduta della funivia del Mottarone, richiama quella del Ponte Morandi. In entrambi i casi si tratta di beni pubblici in concessione ai privati che, stando a quanto si è appreso, non hanno prestato la giusta attenzione alla manutenzione.
Quando Romano Prodi per entrare in Europa incominciò il suo piano di privatizzazioni aveva previsto dei controlli, ma aveva evidentemente sopravvalutato le virtù umane del capitalismo spesso predatorio che ha caratterizzato il nostro Paese il cui mantra, dai tempi della Fiat, è quello di privatizzare gli utili e socializzare le perdite.
E se da un lato lo Stato si è dimostrato ampiamente insufficiente a gestire l’Economia – vedi quello che è accaduto nei Paesi dell’Est – dall’altro però il capitalismo predatorio enotrico ha fatto ancora più danni, perché c’ha messo in mezzo la sicurezza dei cittadini. Ecco perché occorre non solo riflettere attentamente su queste questioni, ma occorre anche mettere in atto dei provvedimenti precisi ed efficaci per riportare la situazione sotto controllo.
Infatti, era più che prevedibile quello che sarebbe successo. Lo scopo del privato è prosciugare ogni risorsa pubblica dando il meno possibile.
Anni ed anni di ubriacatura liberal a cui – si badi bene – la sinistra non è stata certo immune hanno prodotto l’attuale disastro.
Chissà quanti Morandi e quanti Mottarone ci sono disseminati in tutta Italia, pronti solo a qualche accidente fortuito come una raffica di vento eccessivo per sfragnarsi, mi si perdoni il francesismo che rende però bene l’idea- al suolo.
I nostri imprenditori sono abituati a mangiare in un pascolo sicuro e ben protetto, una sorta di alpeggio naturale che nella loro mente è dovuto. Abbiamo ieri scritto di Carlo Bonomi, il presidente di Confindustria, che si crede il ministro dello Sviluppo Economico e che quindi si sente autorizzato dalle colonne del suo giornale, Il Sole24 Ore, a dettare la linea al governo dai licenziamenti al codice degli appalti.
Ma la vicenda del Mottarone ci fa capire che la questione è molto più complessa perché ormai il Pubblico si è ritirato da tutto anche dalle piccole opere, come può essere ad esempio una funivia.
Si tratta quindi di cambiare paradigma culturale e non di mettere una delle tante toppe che hanno ridotto l’Italia a un Arlecchino.
(da La Notizia)

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“NON VOLEVANO PERDERE I SOLDI DELL’INCASSO”: I FRENI BLOCCATI PER SCELTA

Maggio 27th, 2021 Riccardo Fucile

NELL’ULTIMO MESE LA STRUTTURA DEL MOTTARONE HA INCASSATO 140.000 EURO: ECCO QUANTO VALE PER I “PRENDITORI” LA VITA DEGLI ITALIANI

C’era un’anomalia dei freni che bloccava all’improvviso la cabina numero 3 della funivia Stresa Mottarone e i tecnici non erano riusciti a risolvere il problema.
Per evitare di dover intervenire ogni volta con un azione manuale per far ripartire la cabina, è stato deciso di inserire entrambi i forchettoni sui freni d’emergenza: una mossa vietata, che ha impedito alla cabina di frenare la fatale domenica in cui il cavo trainante si è rotto, determinando la morte 14 persone e il ferimento di un bambino di 5 anni che si trova ancora ricoverato in ospedale.
È questo il quadro che è emerso dall’attività degli inquirenti, guidati dalla procuratrice capo di Verbania Olimpia Bossi, e che ha portato ieri ai fermi del gestore Luigi Nerini, del direttore d’esercizio Enrico Perocchio e del caposervizio Gabriele Tadini.
Secondo gli inquirenti, tutti loro erano a conoscenza del fatto che i forchettoni, ovvero i divaricatori che impedivano al sistema frenante d’emergenza di scattare, erano stati inseriti. Ora i tre sono accusati di omicidio colposo plurimo, lesioni gravissime e di aver rimosso “sistemi finalizzati a prevenire infortuni e disastri”, un reato con pene fino a 10 anni.
È stato Tadini, il caposervizio delle funivie che domenica mattina ha messo in funzione l’impianto senza rimuovere i forchettoni, a dire di aver informato sia il gestore sia il direttore, come riporta oggi un articolo di Repubblica. Una circostanza che Perocchio, consulente esterno per la funivia e dipendente della Leitner che nell’impianto di Stresa ha in carico la manutenzione straordinaria e ordinaria, nega tramite il suo legale, escludendo “di aver autorizzato l’uso dei forchettoni e di essere a conoscenza di questa pratica suicida“.
Nerini per ora non ha commentato pubblicamente, ma ad Andrea Lazzarini, l’editore che gestisce il sito della funivia, che lo ha sentito lunedì mattina, secondo il Corriere della Sera ha detto: “Se sapevo che c’era qualcosa di pericoloso non avrei mai rischiato la vita dei miei figli”. La mattina del disastro, infatti, sia Federico che Stefano Nerini, che lavorano nell’azienda paterna, sono saliti in vetta. “Avrebbero potuto esserci loro”, ha detto Nerini a Lazzarini.
Entrambi i dispositivi, in ogni caso, sono stati in ogni caso ritrovati sul luogo del disastro. Erano stati dipinti di rosso, proprio affinché fosse impossibile dimenticarli inseriti, segno che si era coscienti della pericolosità legata al loro utilizzo. Non era la prima volta che i forchettoni venivano inseriti consapevolmente: secondo la procura sarebbe accaduto più volte da quando l’impianto aveva riaperto dopo il lockdown, a partire dal 26 aprile. “Certamente domenica non è stato il primo giorno e questo è stato ammesso”, fanno sapere gli inquirenti.
Lo scopo era evitare il blocco dell’impianto, che avrebbe comportato la rinuncia ai cospicui incassi: la struttura ha incassato 140mila euro nell’ultimo mese.
Per il momento Nerini, Perocchio e Tadini hanno trascorso la prima notte in carcere, domani e sabato si svolgeranno gli interrogatori di garanzia per la convalida del fermo. Ma le indagini proseguono: “Valuteremo altre posizioni”, spiega la procuratrice. Forse altri sapevano dell’anomalia e della tecnica usata per aggirare il problema. Inoltre, sarà necessario capire perché la fune trainante si è spezzata, l’altra causa che – insieme alla mancata attivazione dei freni – ha determinato la strage di Mottarone.
(da agenzie)

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“CORAGGIO ITALIA”, IL NUOVO PARTITO DI TOTI E BRUGNARO SOFFIA 14 PARLAMENTARI A FORZA ITALIA

Maggio 27th, 2021 Riccardo Fucile

ANCHE 4 EX PENTASTELLATI E UN LEGHISTA HANNO ADERITO ALL’ENNESIMO PARTITITO DI CENTRO… CI SONO I PARLAMENTARI, MANCANO GLI ELETTORI

Nella giornata di venerdì, infatti, il sindaco di Venezia e il governatore della Regione Liguria hanno dato il via alla presentazione di una nuova creatura politica (che si aggiunge alla vasta moltitudine già presente tra Camera e Senato).
Si chiama Coraggio Italia e sembra avere già buoni numeri sia a Montecitorio, sia a Palazzo Madama. A rischiare grosso è il partito di Silvio Berlusconi che, di fatto, ha già perso una dozzina di deputati e un senatore. E la grande fuga sembra essere solamente all’inizio.
Il simbolo verrà ufficializzato oggi, ma già nella giornata di ieri tutti i personaggi politici coinvolti (compresi i parlamentari che hanno già aderito) si sono ritrovati all’Hotel Eden di Roma per la firma dell’atto costitutivo davanti a un notaio. Ora Coraggio Italia avrà 60 giorni per lavorare, effettivamente, alla nascita di questa nuova creatura politica che si pone sulla via mediana tra destra e sinistra, secondo quanto dichiarato dai vertici.
“Questo progetto politico sta chiamando a raccolta tutte quelle persone di buona volontà che hanno scelto e sceglieranno di mettersi generosamente a disposizione per il futuro dell’Italia – ha detto Luigi Brugnaro commentando la nascita della sua nuova creature politica di Centro -. Non possiamo più far finta di niente, dobbiamo da subito sostenere le riforme, creare lavoro e rilanciare il nostro Paese, tutti insieme. È il momento di fare scelte coraggiose”.
La composizione del gruppo in Parlamento
La pattuglia dei 24 (forse 25) a Montecitorio parte dallo zoccolo duro dei “totiani” Daniela Ruffino, Guido Della Frera, Osvaldo Napoli, Giorgio Silli, Manuela Gagliardi e Claudio Pedrazzini, più Gianluca Rospi e Fabiola Bologna di ‘Popolo Protagonista’. A loro si sono aggiunti quattro ex M5S e una leghista: Martina Parisse e tre ex M5S Fabio Berardini, Carlo De Girolamo, Marco Rizzone e Tiziana Piccolo.
Poi i 12 (forse 13, come riporta AdnKronos) che hanno deciso di lasciare Silvio Berlusconi passando da Forza Italia a Coraggio Italia: Marco Marin, Stefano Mugnai, Michaela Biancofiore, Matteo Dall’Osso, Maurizio D’Ettore, Guido Germano Pettarin, Cosimo Sibilia, Elisabetta Ripani, Simona Vietina e Maria Teresa Baldini (sembrerebbe esserci anche Raffaele Baratto, ma ieri era assente per malattia). Mentre Fucsia Nissoli Fitzgerald ha detto di aver incontrato Brugnaro, ma di voler rimanere con Berlusconi.
Al Senato, invece, i numeri sono leggermente più bassi.
Luigi Brugnaro, infatti, può contare (per il momento) solamente su sette nomi: Paolo Romani, Gaetano Quagliariello, Maria Rosaria Rossi, Massimo Berutti, Raffaele Fantetti e Marinella Pacifico (che facevano già parte del Gruppo Misto, ma sono i “totiani” di Idea-Cambiamo) e l’ormai ex forzista Sandro Biasotti. Mancano tre unità per costituire un gruppo parlamentare.
Quindi, in attesa di nuovi innesti (che, a quanto pare, sembrano essere probabili e provenienti da Forza Italia), per il momento rimarranno nel Gruppo Misto.
(da agenzie)

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LA FOLLE DIRETTA SOCIAL DI TRE DIFFAMATORI CONTRO IL DDL ZAN: “UN ADULTO DI 60 ANNI POTRA’ AVERE RAPPORTI CON UN NEONATO”

Maggio 27th, 2021 Riccardo Fucile

IL PARLAMENTARE LI QUERELA, MA IL PROBLEMA E’ UN ALTRO: IN UN PAESE NORMALE NON SI PUO’ CONSENTIRE CHE QUALCUNO DIFFONDI VOLUTAMENTE NOTIZIE FALSE ALLO SCOPO DI TURBARE L’ORDINE PUBBLICO

Ancora fake news sul ddl Zan. Gli oppositori del disegno di legge contro l’omotransfobia, la misoginia e l’abilismo stanno sfruttando tutte le frecce nella loro faretra per portare avanti la propria propaganda.
E per farlo utilizzano due strumenti che, messi insieme, danno vita a un mix esplosivo che – però – si basa sul nulla: i social network e le bufale.
Protagonisti di questo ennesimo capitolo di questo libro nero sono tre personaggi: Silvia Pini, Umberto Morazzoni e Zain, già grandi protagonisti sui social per “trasmissioni” complottiste, anche sulla pandemia.
I pochi istanti immortalati nel video sono la sintesi di tre tra le più grandi fake news sul ddl Zan:
“Un adulto di 60 anni potrà avere rapporti con un neonato”.
“Questa è gente che violenta anche i neonati”.
“Se a te piace un bambino di 3 mesi non sei perseguibile”.
Ovviamente nulla di questo è vero e basta leggere il testo (i tre personaggi in questione fanno finta di leggerlo, mistificando le interpretazioni) dando vita a queste fake news che si uniscono a tutte le altre bufale messe in giro nel corso degli ultimi mesi.
“Queste sono solo tre frasi agghiaccianti riferite al ddl Zan dette da questi tre signori in una diretta Facebook durata quasi due ore e vista da oltre 75mila persone – ha scritto su Facebook il deputato del Pd, primo firmatario del disegno di legge in attesa di approvazione al Senato dopo il parere positivo della Camera -. È sconcertante il livello di gravità di fake news che stanno circolando sulla legge contro i crimini d’odio, menzogne che stanno degenerando nell’attacco personale verso chi lotta per questo traguardo di civiltà. È ora di porre fine a questo delirio. Cara Silvia Pini, caro Umberto Morazzoni, caro Zainz: sarà un piacere trascinarvi in tribunale”.
(da NextQuotidiano)

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OMOTRANSFOBIA, ALESSANDRO ZAN: “TRA LE 170 AUDIZIONI CHIESTE DALLA LEGA ANCHE IL FIGLIO DEL LEADER DI FORZA NUOVA, MANCA SOLO IL MAGO OTELMA”

Maggio 27th, 2021 Riccardo Fucile

“UNA SFILATA DI ESTREMISTI”… LA LEGA, CASO STRANO, ATTACCA ANCHE LA LEGGE MANCINO CHE PREVEDE PENE CONTRO I RAZZISTI

“Dispiace che ancora una volta, con il loro comportamento, partiti come la Lega e Fratelli d’Italia siano complici dell’omotransfobia, della misoginia, e dell’abilismo che in questo Paese sono una vera e propria emergenza. Dispiace perché questa è una legge che non deve avere una bandiera ideologica perché contrasta le discriminazioni e le violenze e dunque tutela, sostiene e protegge le persone più vulnerabili”.
Lo ribadisce ai microfoni di Radio Radicale il deputato del Pd, Alessandro Zan, a proposito delle 170 audizioni stabilite dal presidente della Commissione Giustizia del Senato, il leghista Andrea Ostellari, al fine di approfondire i due ddl sull’omofobia, incardinati in Commissione: il ddl Zan e quello del centrodestra, a firma Ronzulli.
Zan fa un breve riepilogo dell’iter travagliato suo ddl al Senato: “È passato molto tempo da quando abbiamo approvato alla Camera, con larga maggioranza, questa legge. Era il 4 novembre 2020. Poi il 5 novembre è andata al Senato e lì si è fermata. Ma si sarebbe fermata comunque perché il presidente della Commissione Giustizia, il leghista Andrea Ostellari, ha dimostrato di non essere super partes ma al servizio di Salvini. Questo è molto triste. Prima ha cercato di tenere la bozza in cassetto, poi la maggioranza della Commissione, che vuole la legge, ha votato la calendarizzazione – continua – ma da lì ci si aspettava un atteggiamento di responsabilità da parte del presidente della Commissione Giustizia, che peraltro si è pure nominato auto-relatore. Ieri abbiamo saputo che ha fissato 170 audizioni. Questo numero enorme di audizioni non è stato presentato nemmeno per cambiare la Costituzione. Centosettanta audizioni per una legge di iniziativa parlamentare sono una enormità, perché, fissando un’audizione alla settimana, si va avanti per mesi se non anni. Dunque, è evidente che la Lega e Fratelli d’Italia non vogliano questa legge e che queste 170 audizioni servano solo per allungare il bordo“.
E sugli auditori scelti dalla Lega, osserva: “Ricordo che in Commissione Giustizia alla Camera abbiamo presentato tante audizioni. Potevano utilizzare quelle. E invece convocheranno tante persone che vanno da Platinette agli integralisti cattolici fino al figlio del leader di Forza Nuova. C’è anche un perito agrario. Manca solo il mago Otelma, che peraltro è una persona molto simpatica e forse sosterrebbe questa legge. Fedez? Non l’hanno ovviamente chiamato, perché non è interesse della Lega ascoltarlo – spiega – Vogliono chiamare tutti gli estremisti che sono contro la legge. Ma il Paese non è fatto di estremisti, bensì di persone di buonsenso che, nella stragrande maggioranza, come si evince dai sondaggi, vogliono questa legge. Dunque, è importante farla uscire subito dalle pastoie della Commissione Giustizia, portarla in Aula al Senato per poi capire quali saranno le forze politiche che la vogliono sostenere e quali invece la vogliono affossare”.
Zan conclude: “È un fatto di democrazia: sottrarre la discussione al Senato è una forzatura democratica. La legge è stata fatta tenendo conto di sensibilità diverse. Ora basta, le mediazioni sono state fatte, bisogna andare in Aula e votarla. Il testo alternativo presentato dalla Lega? Mi chiedo perché Salvini si sia svegliato solo adesso. Perché non l’ha presentato alla Camera quando si discuteva e si faceva una sintesi dei testi? Lo presenta solo adesso perché l’onda montata nel Paese su questa legge lo ha costretto a non dire più che non gliene frega nulla. In più, il testo che ha presentato attacca la legge Mancino, costringendoci a passi indietro rispetto all’odio razziale e religioso – chiosa – Di fronte a questo, io dico francamente: anche no. Quello di Salvini è un testo tardivo e molto pericoloso. Dunque, si parta dalla legge votata alla Camera e il Senato valuti se approvarla immediatamente. Tornare invece alla Camera significherebbe probabilmente far morire questa legge. Le senatrici e i senatori devono decidere se vogliono una legge contro i crimini d’odio dopo 6 tentativi falliti in Parlamento oppure continuiamo con un Paese che discrimina, bullizza e fa oggetto di violenza le persone con un Parlamento che sta a guardare“.
(da Il Fatto Quotidiano”)

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