Maggio 28th, 2021 Riccardo Fucile
E QUESTO SAREBBE DARE L’ESEMPIO? IL DISCORSO VALE ANCHE PER LA GOVERNATRICE DELLA REGIONE, LA LEGHISTA TESEI
Nella giornata di oggi, venerdì 28 maggio, il generale Figliuolo è arrivato a Perugia insieme al capo della Protezione civile Fabrizio Curcio.
Scopo della visita: verificare che la campagna vaccinale prosegua con successo. Ad accoglierli la presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei, e la task force regionale.
Tutto molto bello, comprese le sue dichiarazioni: “Dobbiamo intercettare la parte della popolazione degli over 60 che ci manca in modo da mettere in sicurezza le fasce che rischiano più di finire in ospedale o in terapia intensiva”.
Peccato che all’ora di pranzo il generale Figliuolo partecipasse a un buffet al chiuso assieme a decine di persone e, soprattutto, allestito in una struttura aziendale/ospedaliera, il CREO, centro di ricerche emato-oncologiche.
Nelle foto scattate all’interno lo si nota di fianco al direttore generale della struttura, ma ci sono anche il sindaco e il presidente di Regione.
La domanda è: possibile che non ci fossero un luogo e una modalità più consoni per pranzare?
È ancora vietato mangiare nei ristoranti al chiuso per evitare che molte persone restino a lungo in spazi chiusi, insieme senza mascherine e poi il commissario straordinario per l’emergenza Covid dà il cattivo esempio?
(da TPI)
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Maggio 28th, 2021 Riccardo Fucile
UN GRANDE SUCCESSO: HANNO ADERITO APPENA 48 PERSONE… ALTRO CHE MODELLO PORTOGALLO
Attirare i pensionati dall’estero e convincerli a ripopolare i paesi del Sud Italia. Era un piano perfetto quello di Matteo Salvini, appoggiato dal governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte alla sua prima vita politica.
Il punto di partenza era chiaro: perché lasciare a Spagna e Portogallo l’esodo dei pensionati? Basta inserire una tassazione agevolata e anche l’Italia diventerà una metà perfetta per trascorrere gli anni di meritato riposo.
Così la proposta fu inserita nella Legge di Bilancio approvata il 31 ottobre 2018, con i decreti attuativi che arrivarono solo in piena primavera.
I pensionati di fonte estera (stranieri e non) hanno diritto ad una tassazione sostitutiva del 7% se trasferiscono la propria residenza in un comune dell’Abruzzo, Basilicata, Calabria, Molise, Sardegna, Sicilia o Puglia con meno di 20mila abitanti.
Il ministero dell’Economia ha pubblicato ieri i dati delle dichiarazioni dei redditi Irpef e Iva per l’anno 2019, il primo in cui l’opzione era in vigore.
Il risultato, però, non è affatto quello previsto: “Questo regime ha avuto al momento un impatto molto modesto – scrive il Tesoro in una nota – dalle dichiarazioni risultano meno di 50 soggetti che dichiarano reddito da pensione estera per un importo di 992mila euro e altri redditi di fonte estera per un ammontare di 1,8 milioni di euro, mentre l’imposta sostitutiva dichiarata è di oltre 127mila euro”.
Insomma, la proposta di Salvini si è rivelata un grande flop.
L’idea di creare una “zona di esenzione fiscale anche in Italia”, come twittava lui stesso nell’estate del 2018 (quando era vicepremier e titolare del Viminale), non ha praticamente raccolto risultati.
L’idea, che tra l’altro era condivisa anche da Fratelli d’Italia, ha attirato appena 48 pensionati dall’estero.
(da agenzie)
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Maggio 28th, 2021 Riccardo Fucile
PESA ANCHE LA CAMPAGNA ACQUISTI DI TOTI CHE SCATENA LA GUERRA DI FORZA ITALIA
Rinviato a data da destinarsi: la formula non suona benissimo ma tant’è, il vertice del centrodestra sulle amministrative in agenda ieri è saltato all’ultimo momento. Formalmente la battuta d’arresto è sopraggiunta “per motivi organizzativi, anche con l’obiettivo di avere nuovi elementi sui potenziali candidati”, trapela da fonti della Lega ma sono pesate e non poco le fibrillazioni per la “campagna acquisti” del governatore ligure e leader di ‘Cambiamo’ Giovanni Toti che mercoledì sera ha formalmente aderito al nuovo progetto politico del sindaco di Venezia Luigi Brugraro ‘Coraggio Italia’, “scippando” una dozzina di parlamentari a Forza Italia (leggi l’articolo).
Gli azzurri hanno lanciato un avvertimento chiarissimo che non lascia spazio a libere interpretazioni: “Forza Italia non parteciperà ad alcun vertice con chi ha violato gli accordi di coalizione e l’invito rivolto nel corso dell’ultima riunione”.
Opposta la reazione di Fratelli d’Italia, per i quali il nuovo soggetto di Toti e Brugnaro – che può contare attualmente su 24 deputati e 7 senatori, – rappresenta un’occasione per consolidare il centrodestra. “Da posizioni diverse lavoreremo per rafforzare l’alleanza di centrodestra”, ha dichiarato il capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida.
Divisi pure su questo insomma, oltre che ovviamente sul resto: la vigilia del vertice che si sarebbe dovuto tenere ieri non era infatti caratterizzata certo da un’aria di concordia. La quadra sui nomi non c’è , anche perché il tatticismo che caratterizza le mosse incrociate di Lega e FdI è palese: nella Capitale il partito di Giorgia Meloni sembra gradire l’opzione Enrico Michetti saltata fuori nel tavolo di coalizione che si è tenuto lunedì scorso, anche se Simonetta Matone, giudice minorile molto conosciuta e assai spinta dal leader della Lega potrebbe far breccia nell’ottica di un possibile scontro tutto al femminile con la sindaca uscente Virginia Raggi.
Peraltro nella Capitale restano i dubbi di Forza Italia sulla scelta di schierare un civico, con Antonio Tajani che preferirebbe un politico come Maurizio Gasparri.
Difficile, tuttavia, che Meloni ceda la piazza (ad un ex An, per giunta).
Resta ancora coperta la carta leghista su Milano – il nome di Annarosa Racca, presidente di Federfarma in Lombardia non ha scaldato molto i cuori , per usare un eufemismo e poi c’è in ballo anche Maurizio Lupi) in attesa che Meloni schieri apertamente Michetti o chi per lui indicando un suo candidato di partito e non un semplice ‘gradimento’.
Una partita a scacchi insomma, dove per muovere una pedina si aspetta la mossa dell’avversario (anche se stiano parlando di alleati…).
Le incognite non finiscono qui. A Napoli è ufficiale la candidatura del magistrato anti mafia Catello Maresca, più volte invocato dal centrodestra (soprattutto da Salvini e dall’area di FI che fa capo a Mara Carfagna) ma il diretto interessato ha però già ha apertamente dichiarato senza troppi giri di parole di non voler portare nelle sue liste i simboli di partito: “Io mi sento il candidato Catello Maresca. Se dovete cercare qualcosa da affibbiarmi, scrivete che sono un moderato di ispirazione cattolica”, si è definito così ieri rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se fosse il candidato del centrodestra.
La speranza nella coalizione è che si apra una ‘reciproca’ collaborazione, altrimenti nella lunga lista di incognite si aggiungerebbe anche il capoluogo partenopeo dove proprio ieri il fronte progressista unito – Pd, M5S e LeU – ha ufficializzato (leggi l’articolo) che marcerà compatto con l’ex ministro Gaetano Manfredi.
A Torino è in campo il civico Paolo Damilano e la partita è chiusa, apertissima invece a Bologna i. Il puzzle insomma è ben lontano dall’essere completato, e l’affaire Toti certo va a complicare la situazione.
(da TPI)
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Maggio 28th, 2021 Riccardo Fucile
INTERVISTA AL POLITILOGO CAMPI SULLE DIFFICOLTA’ DEL CENTRODESTRA A TROVARE CANDIDATI: “C’E’ UN PROBLEMA ENORME DI CLASSE DIRIGENTE”
“Abbiamo Salvini e Meloni: non puoi sperare che diventino o siano Churchill e la Thatcher”. Alessandro Campi insegna Storia delle dottrine politiche a Perugia, da sempre attento osservatore della destra.
Di fronte alla difficoltà della coalizione Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia a esprimere candidature di livello nelle grandi città ha pochi dubbi: “C’è un problema enorme di classe dirigente: erano i partiti organizzati e di massa che selezionavano, all’interno dei propri ranghi, le figure da destinare a ruoli di rappresentanza e governo. Una volta c’erano anche le grandi aziende del parastato a funzionare da scuole quadri: penso all’Eni. Ma tutti questi meccanismi sono entrati in crisi”.
Fatica il modello di reclutamento di nomi di sintesi pescati all’esterno: “I civici di cui si parla oggi sembrano le terze o quarte fila della società civile. Per carità, persone rispettabilissime, ma possibile che Milano e Roma non abbiano altro da offrire?”.
E allora “non restano che gli interni, spesso politici di lungo corso o vecchi marpioni sempre a galla”.
Il punto è che “se si guarda fuori dai partiti non è per favorire la partecipazione o per aprirsi alle istanze dal basso (questa è fuffa retorica), ma perché ci si rende conto di non avere nelle proprie fila personalità spendibili o politicamente vincenti. Il mito della società civile è nato in Italia dal fallimento della politica”.
Professor Campi, partiamo dalle candidature a Roma e a Milano. Il centrodestra è partito da Bertolaso e Albertini, due punte di diamante di quell’area politica, ma di vent’anni fa.
L’usato sicuro non funziona più nemmeno per l’acquisto di una vettura, figuriamoci nella politica divenuta ormai spettacolarizzata e prêt-à-porter. Oggi ti danno una vettura fiammante da pagare comodamente a rate e quando ti sei stancato puoi prenderne un’altra anch’essa nuova. E come i consumatori vogliono sempre nuovi modelli, così gli elettori vogliono anch’essi facce sempre nuove, salvo poi stancarsene rapidamente.
La difficoltà è evidente. I nomi rispolverati dai partiti, penso a Roma, sono quelli di Gasparri e Storace, anche questi espressione di una destra che guarda a quello che era piuttosto a quel che dovrebbe diventare
Alla fine qualcuno o qualcuna bisogna pur candidare. E se non si trova nessun esterno, non restano che gli interni, spesso politici di lungo corso o vecchi marpioni sempre a galla. Ma meglio loro, alla fine, che lo sconosciuto della porta accanto: incompetente e magari anche disonesto.
Che ne pensa dei cosiddetti civici? Racca a Milano, Michetti a Roma.
Mi sembra si stia definitivamente sgonfiando il mito della società civile come riserva dei migliori e dei più competenti che si mettono al servizio della cosa pubblica per senso del dovere. Una stagione finita che ha come ultimo esponente Beppe Sala a Milano. I civici di cui si parla oggi sembrano le terze o quarte fila della società civile. Per carità, persone rispettabilissime, ma possibile che Milano e Roma non abbiano altro da offrire? La verità è che quelli che possiedono una posizione socialmente solida e un loro prestigio intrinseco di sporcarsi con questa politica non hanno nessuna voglia. La borghesia media e grande che riteneva quasi un onore, oltre che un dovere sociale, essere coinvolta direttamente nella guida della civitas oggi se ne sta a casa o in ufficio: osserva, critica e si fa gli affari propri. L’impegno pubblico-partitico lo lascia ai parvenu o a quelli che non hanno niente da perdere.
Le faccio un’osservazione. Questo tipo di profilo civico è molto ricercato (anche se con insuccesso) da Pd e M5s, una coalizione in embrione, che ha bisogno ad oggi di piccoli papi stranieri per trovare una sintesi. Il centrodestra, pur con le stradi differenti prese con Draghi, non dovrebbe avere un bagaglio di storia e rapporti che dovrebbe rendere tutto più facile
In effetti anche il M5S e il Pd pare abbiano difficoltà a trovare figure di esterni che possano, nel loro caso, fare da collante di un’alleanza che stenta peraltro a nascere. A Napoli in realtà sembrerebbe fatto l’accordo sul nome dell’ex ministro Manfredi, ma ancora una volta alle condizioni non del Pd ma del M5s. Tra l’altro, diciamolo una volta per tutte: se si guarda fuori dai partiti non è per favorire la partecipazione o per aprirsi alle istanze dal basso (questa è fuffa retorica), ma perché ci si rende conto di non avere nelle proprie fila personalità spendibili o politicamente vincenti. Il mito della società civile è nato in Italia dal fallimento della politica.
Veniamo al punto: c’è un problema di classe dirigente?
Enorme. E parte dai livelli più bassi: la scuola nei suoi diversi gradi sino all’Università, che per definizione dovrebbe essere il luogo dove si formano i gruppi dirigenti di un Paese (e dove si inculca la consapevolezza di farne parte). Quanto alla politica, erano i partiti organizzati e di massa che selezionavano, all’interno dei propri ranghi, le figure da destinare a ruoli di rappresentanza e governo. Una volta c’erano anche le grandi aziende del parastato a funzionare da scuole quadri: penso all’Eni. Ma tutti questi meccanismi sono entrati in crisi. Oggi è rimasta, come palestra di formazione per i ruoli direttivi politico-amministrativi, l’alta burocrazia ministeriale. Ovvero la Banca d’Italia, che non a caso è la riserva alla quale negli ultimi vent’anni si è continuamente attinto per supplire il deficit di competenze della politica.
Vediamo anche i volti nuovi che hanno acquisito un certo peso negli ultimi tempi. Un esempio su tutti: Massimiliano Fedriga, quarantenne, apprezzamenti bipartisan, fresco presidente della conferenza delle Regioni. Ma anche lui è cresciuto con la generazione di Bossi.
Quelli bravi, per così dire, hanno sempre alle spalle una solida formazione politica in senso tradizionale. Gli altri vanno e vengono e spesso fanno solo danni.
In questo vede differenze tra Fratelli d’Italia e Lega?
Sono in modo diverso partiti all’antica: un capo, un gruppo dirigente, quadri e militanti, una discreta presenza sul territorio, una cultura politica di riferimento, linee di comando chiare. Anche il Pd ha quest’impostazione di massima: ma negli ultimi anni gli scontri interni tra cacicchi e capi-corrente lo hanno molto indebolito, come si vede nel rapporto tra centro e periferia. I suoi governatori sul territorio – Bonaccini, De Luca, Emiliano – vanno praticamente per conto proprio, rispondono solo a se stessi.
Però Salvini e Meloni hanno due storie toste da questo punto di vista. Il primo s’è preso il Carroccio e l’ha trasformato in un partito nazionale tirandolo su dal 3/4% sul quale viaggiava. La seconda ha rotto con il centrodestra in cui è cresciuta fondando un partito che all’inizio in molti ritenevano residuale. La loro storia e i loro successi non dovrebbero aver insegnato qualcosa?
Insegnano che il professionismo politico vince sul dilettantismo. Ma insegnano anche che oggi si sale facilmente nei consensi e altrettanto facilmente si scende. I trionfi elettori sono spesso effimeri o di breve durata, come ben sanno Renzi e appunto Salvini. La Meloni, a sua volta, è avvisata.
C’è poi anche Forza Italia, che forse è un caso ancora diverso. Però anche lì il nuovo che avanza si fatica a vederlo.
Forza Italia in questo momento è alle prese con lo spettro del dopo-Berlusconi. Lunga vita al Cavaliere, ovviamente, ma il partito-padronale è giunto alla fine della sua storia e chi si chiede giustamente se possa sopravvivere a chi l’ha fondato e mai ha voluto pensare ad un suo possibile successore. In Forza Italia c’è da aspettarsi un rompete le righe verso tutte le direzioni. A meno che non emerga un federatore sufficientemente forte e credibile in grado di salvare il salvabile di quell’esperienza. Se dovessi fare un nome, direi Mara Carfagna.
Se si parte dall’era Berlusconi e si passa a Salvini e Meloni, i partiti di centrodestra hanno sempre una forte connotazione leaderistica. È il capo che comanda, decide incarichi e agenda, ma è anche il capo che sposta voti e crea opinione. Un’altra destra in Italia non è possibile?
La mistica del capo è culturalmente e psicologicamente connaturata alla destra per ragioni storiche. Ma non ne farei un residuo del gerarchismo fascista duro a morire, come talvolta si pensa. Il leaderismo è la cifra di tutte le grandi democrazie contemporanee. Il problema è semmai come si esercita questo ruolo e come si arriva ai ruoli di vertice. Per chiamata dall’alto e per selezione dal basso? C’è poi un problema legato al linguaggio e ai programmi. Il rischio è di limitarsi alla propaganda e alla comunicazione tralasciando l’agenda politica in senso stretto, cioè le cose da fare e la cultura di governo. Sulla questione se un’altra destra è possibile, direi che conviene arrendersi all’evidenza: abbiamo a destra quel che l’Italia odierna riesce ad esprimere (ma lo stesso può dirsi della sinistra). Abbiamo Salvini e Meloni: non puoi sperare che diventino o siano Churchill e la Thatcher.
In qualche modo ci aveva provato Fini, andò male.
Malissimo, direi, anche a causa degli errori grossolani da lui stesso commessi: un eccesso d’indolenza e di politicismo, l’eccessiva personalizzazione dello scontro con Berlusconi, la brutta storia (comunque la si voglia giudicare) della casa di Montecarlo, ecc. Aggiungo che Fini non era un capo in grado di fare e disfare a proprio piacimento: all’interno di An la sua è sempre stata una leadership di compromesso. Era un classico primus inter pares, essendo questi ultimi i cosiddetti ‘colonnelli’ con cui egli ha sempre dovuto mediare e venire a patti. Quando ha provato a fare il leader sul serio, rompendo col Popolo delle Libertà e facendosi un suo partitino, non a caso lo hanno rimasto solo. Se ricorda il film, concluda lei la frase….
Questa tendenza di cui stiamo parlando è la stessa anche nel resto dell’Europa
La destra europea conservatrice – quel che ne restava – si è ovunque radicalizzata, nello stile e nel linguaggio, anche per contrastare la sfida ad essa portata dal nazionalismo populista. Guardiamo alla parabola dei repubblicani negli Stati Uniti, ai tories britannici, alla Francia dove la Le Pen si è sostanzialmente mangiata i gollisti, ecc.
Ci sono invece modelli a cui guardare?
La ricerca di modelli stranieri, oltre ad essere indice di provincialismo, non serve a nulla nella misura in cui non sono imitabili e replicabili. La politica nel mondo globalizzato è ancora nazionale quando alla sua ispirazione e ai fattori socio-culturali che la nutrono. In tempi recenti la destra italiana ha guardato al conservatorismo sociale di David Cameron e al nazional-conservatorismo di Sarkozy, ma guardi che brutta fine che hanno fatto entrambi. Ma anche con l’imitazione di Trump e del trumpismo non sembra andata benissimo.
Concludiamo tornando alle città. Al di là della questione in sé, anche la fatica a trovare disponibilità tra le personalità della società civile è indicativa di una poca attrattività al di fuori dello zoccolo duro o del perimetro del partito. C’entra qualcosa con quello che stiamo dicendo?
La poca attrattività della carica di primo cittadino, anche in grandi e prestigiose città come Roma, Milano, Napoli dipende da molti fattori. Innanzitutto, le casse dei municipi, piccoli e grandi, sono vuote da anni e adesso più di prima. Ti assumi grandi responsabilità per poi scoprire che non hai una lira da spendere, semmai bilanci in dissesto da ripianare. C’è poi quella che chiamerei la ‘sindrome Marino’ con cui fare i conti: chi ha un suo autonomo prestigio sociale o un suo rispettabile status professionale perché dovrebbe vedersi distrutta l’immagine e la carriera solo perché hai sbagliato la firma su un atto amministrativo o perché un giornale che non ti ama ha deciso di prenderti come bersaglio? Tra magistratura troppo facilmente inquirente, utenti social impazziti e stampa che alla cronaca preferisce lo scandalismo, oramai fanno politica a livello locale solo quelli che non avendo nulla da perdere hanno tutto da guadagnare, almeno in termini di pubblicità, anche se li si mette sotto inchiesta o li si copre d’insulti. Insomma, fare il sindaco è un mestiere che al momento non conviene.
(da Huffingtonpost)
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Maggio 28th, 2021 Riccardo Fucile
E ALLORA NE HA DA ASPETTARE, LE SCUSE SONO COSA DA UOMINI VERI
“Esprimo le mie scuse a Simone Uggetti”. Luigi Di Maio ha affidato a una lettera inviata al quotidiano Il Foglio nella quale tornato sulla vicenda giudiziaria dell’ex sindaco di Lodi che è stato prima condannato e poi assolto in appello nel processo che lo vedeva accusato di turbativa d’asta. Il 3 maggio 2016 Uggetti venne arrestato aver modificato il bando per la gestione delle piscine estive Belgiardino e Ferrabini.
Nella sua lettera il ministro degli Esteri ricorda che “nella stessa piazza e nello stesso week-end, prima il Movimento 5 stelle con la mia presenza e il giorno dopo la Lega di Matteo Salvini, con Calderoli, organizzarono dei sit-in contro il dottor Uggetti fino a spingerlo, un mese dopo l’arresto, alle dimissioni. L’arresto era senz’ altro un fatto grave in sé, ma le modalità con cui lo abbiamo fatto, anche alla luce dell’assoluzione di questi giorni, appaiono adesso grottesche e disdicevoli. Il periodo dell’arresto di Uggetti coincise con le campagne elettorali che nel 2016 coinvolsero le città di Roma, Torino, Napoli, Milano e Bologna: una tornata, lo ricorderà, senza esclusione di colpi. Anche io contribuii ad alzare i toni e a esacerbare il clima. Sul caso Uggetti fu lanciata una campagna social molto dura a cui si aggiunse il presidio in piazza, con tanto di accuse alla giunta di nascondere altre irregolarità, insinuazioni che suonano come indicative, con il senno di poi, credo siano stati profondamente sbagliati”. Nel suo mea culpa pubblico Di Maio aggiunge di non voler essere frainteso: “Sono fortemente convinto che chi si candida a rappresentare le istituzioni abbia il dovere di mostrarsi sempre trasparente nei confronti dei cittadini, e che la cosiddetta questione morale non possa essere sacrificata sull’altare di un “cieco garantismo” – ha concluso – il punto qui è un altro e ben più ampio, ovvero l’utilizzo della gogna mediatica come strumento di campagna elettorale”.
La risposta
“Ho letto la dichiarazione di Di Maio nei miei confronti ma, su quanto detto, devo ragionarci bene prima di commentare”.
“Aspetto le scuse di Salvini”
“Ho sofferto e la sto superando: spero non si facciano più gli stessi errori, francamente – ha aggiunto l’ex sindaco -. Bene le scuse di Di Maio ma adesso aspetto quelle di Salvini, perché, quando venne a Lodi, mimò il gesto delle manette. Io avevo solo lavorato nell’interesse della mia comunità”.
(da agenzie)
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Maggio 28th, 2021 Riccardo Fucile
LA SUCCESSIONE A SALLUSTI AL CENTRO DI STRANI INCONTRI
C’è ancora incertezza per la successione ad Alessandro Sallusti alla guida del Giornale. A quasi due settimane dalla clamorosa fuoriuscita dell’ex direttore dal portone di via Negri, sotto la Madonnina, sembrano essersi improvvisamente accesi degli appetiti editoriali. Vittorio Feltri, in una intervista al Corriere della sera, ha rivelato che a portare Sallusti al timone di Libero è stato lui.
Ma perché lo stallo per trovare un direttore al Giornale? I più maliziosi sostengono che possa essere dovuto a possibili ‘sondaggi’ riguardanti la proprietà del Giornale (considerato il pezzo pregiato dell’editoria di centrodestra); c’è chi guarda a Maurizio Belpietro, chi agli Angelucci tanto che c’è chi ritiene che il pranzo a tre dei giorni scorsi Angelucci-Feltri-Sallusti sia servito anche per fare un pensierino sull’operazione. Che lo stallo sulla scelta del nuovo direttore del Giornale sia dunque dovuto all’attesa di eventuali manifestazioni d’interesse?
Anche l’arrivo di Ernesto Mauri (ex Ad del gruppo Mondadori) voluto espressamente dalla famiglia Berlusconi per rimettere in sesto i conti lascia la porta aperta ad ogni possibile ipotesi.
Nell’attesa a firmare il Giornale resta Livio Caputo.
E l’incontro dei due Mattei, Matteo Renzi e Matteo Salvini avvenuto, a quanto Tpi è in grado di rivelare proprio a casa degli Angelucci, in occasione del compleanno di Giampaolo (gli Angelucci sono stati visti conversare a lungo con i due Mattei) non fa che rinfocolare le indiscrezioni.
(da TPI)
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Maggio 28th, 2021 Riccardo Fucile
ARRESTATE DUE PERSONE, SEQUESTRATI BENI PER 1,8 MILIONI DI EURO… COME MAI I LEADER SOVRANISTI NON FANNO POST PER DENUNCIARE IL FATTO? HANNO LA MANO BLOCCATA QUANDO I DELINQUENTI SONO ITALIANI
Turni massacranti che andavano dalle 7 alle 12 ore, anche sette giorni su sette, per una retribuzione oraria media che non superava i 4 euro e 50. In questo modo avevano drasticamente abbattuto il costo del lavoro e quello della sicurezza dei lavoratori, aumentando a dismisura i guadagni.
Il paradiso di imprenditori e caporali, a cui corrispondeva l’inferno per i braccianti che erano finiti nel giro di quello che, più che a un lavoro, era associabile alla schiavitù. Tutto ricostruito nelle indagini di carabinieri e Guardia di Finanza, che hanno arrestato un imprenditore e un “caporale”, responsabili di avere sfruttato per anni nei campi centinaia di lavoratori stranieri pescando da un bacino di disperazione
I braccianti scelti per sesso e nazionalità
I caporali, è emerso dalle indagini, avevano anche una sorta di catalogazione, stilata sulla base dell’esperienza di sfruttamento: le più richieste erano le donne ma, a seconda del tipo di lavoro richiesto, che fosse nel campo o in serra, sceglievano se portare con sé uomini o donne e provenienti dall’Africa o dall’Est Europa. Tutti i braccianti venivano scelti tra i più disperati, disposti a lavorare intere giornate per paghe misere, che ogni giorno aspettavano il “padroncino” sperando di venire scelti.
Per osservare i campi, e monitorare quell’esercito di lavoratori sottopagati, sono stati utilizzati anche i droni. Le tre aziende coinvolte, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, ogni giorno sfruttavano una ventina di braccianti, e questo modus operandi andava avanti almeno dal 2017: un numero preciso di stranieri impiegato in questo modo non è possibile calcolarlo, ma si stima che si tratti di diverse centinaia di persone, probabilmente oltre un migliaio.
Braccianti sfruttati: 2 arresti e sequestri per 1,8 milioni di euro
L’operazione è scattata questa mattina, 27 maggio, in esecuzione di una ordinanza applicativa di misure cautelari personali e reali emessa dal gip di Santa Maria Capua Vetere, al termine delle indagini svolte in collaborazione tra carabinieri e Guarda di Finanza di Mondragone e coordinate dal procuratore di Santa Maria Capua Vetere Maria Antonietta Troncone. Sotto sequestro due imprese agricole, beni e denaro per complessivi 1,8 milioni di euro.
Agli arresti, con destinazione carcere, il legale rappresentante di una società di capitali, attiva nel settore ortofrutticolo; in manette anche un imprenditore agricolo di Mondragone (Caserta), per il quale sono stati disposti i domiciliari. Per altri due “caporali” è scattata la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Le accuse sono di associazione per delinquere dedita allo sfruttamento del lavoro e all’intermediazione illecita di manodopera a beneficio di aziende agricole di Mondragone, Falciano del Massico e altre località limitrofe.
(da Fanpage)
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Maggio 28th, 2021 Riccardo Fucile
IL DUBBIO DELLA PROCURA: PER NON PERDERE INCASSI, DA ANNI DI FACEVA COSI’
Potrebbero aggiungersi nuovi indagati nell’indagine sulla tragedia della funivia Stresa-Mottarone, a cominciare da chi materialmente aveva lasciato i forchettoni all’interno del sistema frenante
I tre arrestati per la strage della funivia Stresa-Mottarone in cui sono morte 14 persone non potevano essere gli unici a sapere che la cabina numero 3 viaggiasse senza freni di emergenza. Il sospetto emerge chiaro negli atti della Procura sugli arresti del titolare delle Ferrovie del Mottarone, Luigi Nerini, il caposervizio Gabriele Tadini e il direttore di esercizio, Enrico Perocchio. L’elenco degli indagati potrebbe rapidamente allungarsi e coinvolgere chi materialmente ha lavorato sull’impianto nell’ultimo mese, periodo in cui come ormai assodato la cabina precipitata stava viaggiando con il divaricatore inserito nel sistema frenante: «Un’intera squadra di operai ha fatto funzionare la funivia con questo bypass – ha detto il capitano dei carabinieri a Repubblica, Luca Gemiale – Difficile dire al momento quanti siano e chi siano, ma di certo non è un sistema che si può far funzionare con una persona sola».
Quel che è certo finora per la procuratrice Olimpia Bossi è che i tre finiti in carcere «erano stati ripetutamente informati».
Finora sono state sentite diverse persone, compresi gli operai che sostituivano Tadini quando non era in turno. Nessuno è stato ancora iscritto nel registro degli indagati, ma l’analisi di pc e cellulari potrebbe far emergere nuovi elementi finora taciuti. Così come si attendono chiarimenti dall’analisi della scatola nera della funivia.
Cosa succedeva negli anni passati
Altro sospetto se possibile ancor più angosciante è su quanti giorni quella cabina abbia viaggiato senza freni. Come emerso dai primi interrogatori al momento dei fermi, di sicuro quella pratica era in uso da almeno il 26 aprile, quando il Piemonte è tornato in zona gialla e sono tornati i primi turisti, dopo un lungo periodo di chiusura legato alle restrizioni per la pandemia di Coronavirus.
Il dubbio che emerge ora tra gli inquirenti, scrive la Stampa, è che quella soluzione rapida ed economica di disattivare i freni pur di non fermare la funivia, e perdere altri incassi, era stata preferita già in passato, negli anni scorsi.
Resta poi il punto oscuro sulle cause che hanno portato alla rottura della fune traente, su cui l’arrivo del superesperto dal Politecnico di Torino potrà fare luce. Ieri il docente di ingegneria meccanica Giorgio Chiandussi ha trascorso fino all’ultimo minuto di luce sul luogo della tragedia. Da lui questa mattina la procuratrice Bossi aspetta le prime analisi, in vista degli interrogatori di garanzia per i tre indagati fissato per domani alle 9 nel carcere di Verbania.
(da agenzie)
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Maggio 28th, 2021 Riccardo Fucile
ENNESIMO INCIDENTE SUL LAVORO: SONO STATI INVESTITI DA UNA NUBE DI GAS TOSSICO
Si chiamavano Alessandro Brigo e Andrea Lusini le due vittime dell’ennesimo incidente sul lavoro avvenuto nella giornata di oggi, venerdì 28 maggio, a Villanterio (Pavia).
I due operai di 50 e 51 anni stavano lavorando all’interno della ditta Digima – che si occupa della raccolta e della lavorazione di sottoprodotti delle macellazioni – quando, a causa di una tubatura che si è rotta, sarebbero stati investiti da un gas tossico che viene sprigionato durante il processo di lavorazione delle ossa di questi animali. Nonostante il tempestivo intervento dei soccorsi del 118 per entrambi non c’è stato nulla da fare
La vittima era padre di due figli
Stando alle prime informazioni ottenute sembrerebbe che Alessandro Brigo avesse compiuto proprio oggi cinquant’anni. Brigo era originario di Copiano, altro paese in provincia di Pavia, ed era molto conosciuto perché prestava servizio anche come volontario della Protezione Civile. L’uomo era anche padre di due figli di 16 e 18 anni ed era sposato con Laura Romagnoli, consigliera comunale e farmacista.
Stando a quanto riportato dal quotidiano “Il Giorno”, l’uomo lavorava per la Digima da tre anni. L’altra vittima è Andrea Lusini di 51 anni che invece era stato assunto tramite un’agenzia interinale. Era originario di Siena, ma viveva a Villanterio
Si sta ricostruendo la dinamica dell’incidente
Sul posto oltre ai soccorsi del 118 sono intervenuti anche i vigili del fuoco, i carabinieri e i tecnici di Ats: i due stavano lavorando all’interno dell’azienda. Il primo a morire sarebbe stato proprio Alessandro. Andrea invece si sarebbe accorto che qualcosa non stava andando, avrebbe avvisato il proprio responsabile e poi sarebbe entrato per soccorrere il collega. Il gas però ha investito anche lui, uccidendolo. Questo vapore infatti sembrerebbe essere altamente tossico tanto che, stando a quanto appreso da Fanpage.it, basterebbero pochi secondi per morire. Probabilmente i tubi di aspirazione del gas non avrebbero funzionato e i due operai sarebbero quindi morti. Oltre ai rilievi del caso, per ricostruire l’esatta dinamica della vicenda, i tecnici cercheranno di capire se siano state rispettate tutte le norme relative alla sicurezza sul lavoro.
(da Fanpage)
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