Maggio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
FORZA ITALIA SCENDE AL 6,6%, AZIONE 3,5%, SINISTRA 2,9%, ITALIA VIVA 1,7%
La Lega di Matteo Salvini in una settimana perde quasi un punto percentuale (-0.9%). Lo rileva un sondaggio Swg per il Tg La7.
Segue il Pd, praticamente stabile al 19% con un meno 0,1, mentre prosegue l’avanzata di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che con un più 1,1% arriva al 18,7.
Il Movimento 5 Stelle sale al 17.8% (+0.4%), Forza Italia scende al 6.6% (-0.2%). In calo anche Azione, al 3.5%; Sinistra italiana al 2.9% e Italia viva all’1.7%.
(da agenzie)
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Maggio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
IL NOSTRO PAESE FINANZIA UNO STATO DI TRAFFICANTI TRAVESTITI DA GUARDIA COSTIERA
Non parliamo dopo. Parliamo, e scriviamo, prima. Quella che si sta preannunciando è una estate di morte nel Mediterraneo. Le avvisaglie ci sono tutte.
Ancora una tragedia nel Mediterraneo. Cinquanta migranti sarebbero morti al largo della Libia nel naufragio di un barcone. E’ quanto riferisce la Mezzaluna Rossa libica, citata in un tweet da Al Arabiya.
Precedentemente, l’Oim, l’agenzia dell’Onu per le migrazioni aveva riferito della morte di almeno 11 persone dopo che il gommone su cui viaggiavano era affondato. A bordo di quest’ultimo vi erano in tutto 24 migranti, erano diretti in Europa.
Oltre 700 migranti sono stati riportati in Libia negli ultimi giorni, “solo per finire in detenzione arbitraria” afferma Tarik Argaz, portavoce dell’Unhcr in Libia.
Le Ong avevano chiesto l’intervento di mercantili che erano stati inviati sul posto. Davanti al Paese africano ieri è avvenuto l’ennesimo naufragio con 11 corpi recuperati e 12 migranti tratti in salvo.
Inerzia complice
La sensazione”, dice il sindaco di Lampedusa, Salvatore Martello, è che “con l’arrivo della bella stagione ci saranno sbarchi di massa”, perché “da qualche settimana ha ripreso impulso la rotta libica con barconi carichi di migranti” mentre “di barchini con tunisini a bordo se ne vedono meno”. In poche ore sabato nell’hotspot si è toccato il picco di 723 persone, a poco a poco il centro è stato svuotato: 274 migranti sono stati trasferiti nella nave quarantena Allegra, che si trova in rada, e altri 190 sono stati portati col traghetto, stamattina, a Porto Empedocle e poi nel centro di Caltanissetta.
E un motoveliero con a bordo una sessantina di migranti è stato intercettato domenica da mezzi navali della Guardia di Finanza al largo del Capo di Leuca. A bordo anche 7 donne e 13 minori, alcuni dei quali molto piccoli. L’imbarcazione è stata condotta nel porto di Santa Maria Leuca dove i migranti sono stati soccorsi dai volontari della Croce Rossa e dai medici.
E ieri la Guardia costiera tunisina è riuscita a salvare 172 migranti di nazionalità africana, che si trovavano in rotta verso le coste europee a bordo di un gommone, a nord di Zaouia. Dell’episodio riferisce anche l’Oim in Libia su Twitter scrivendo che ieri “172 migranti, tra cui donne e bambini, sono stati rimpatriati in Libia dalla guardia costiera. Le nostre squadre hanno fornito assistenza di emergenza a oltre 600 migranti intercettati nelle ultime 48 ore. Ribadiamo che la Libia non è un porto sicuro“.
Diritto violato
Scrive Fabio Albanese, corrispondente de La Stampa da Catania: “La vicenda dei 95 migranti riportai nella notte nella base di Abu Sitta, a Tripoli, ha dei risvolti che si possono configurare come violazioni alle norme internazionali sul soccorso in mare. Il barcone chiedeva aiuto dal giorno del primo maggio. Ieri mattina Alarm Phone aveva anche diffuso la registrazione di una drammatica telefonata con cui i migranti chiedevano di fare presto perché la barca era con il motore guasto e alla deriva e a bordo c’era paura e panico: «Temiamo di morire tutti, aiutateci!», il grido lanciato da qualcuno a bordo, in lacrime. La Guardia costiera libica, responsabile di quel tratto di mare che è zona Sar (di ricerca e soccorso) di sua competenza, aveva chiesto aiuto all’Mrcc di Roma affinché inviasse sul posto le navi mercantili che fossero state più vicine. Cosa che Roma ha fatto. Ma le due navi, una petroliera e un rimorchiatore a servizio delle piattaforme petrolifere della zona, dopo aver raggiunto la barca non sono intervenute pure restandole accanto per ore.
Il motivo, all’inizio un timore per i migranti, si è concretizzato nella notte quando è apparsa una motovedetta libica: le navi hanno dunque sorvegliato il barcone in attesa che i libici riportassero indietro i naufraghi: «La guardia costiera libica sta rimpatriando in Libia circa 80 persone. Non possiamo ancora confermare che questo sia lo stesso gruppo accanto alla Vos Aphrodite. Se è così, sarebbe inaccettabile. Speriamo ancora che questi migranti possano essere salvati dalle barche europee nelle vicinanze e portati in un porto sicuro», aveva avvertito poco prima il portavoce Oim per il Mediterraneo, Flavio Di Giacomo.
Le cose sono andate proprio come si temeva e questi 95 sono gli ultimi dei circa settemila migranti riportati indietro dalla Guardia costiera libica da inizio anno (erano stati 11mila in tutto il 2020), 700 dei quali solo negli ultimi giorni”.
I migranti in Libia
Si stima che circa 1,3 milioni di persone abbiano bisogno di assistenza umanitaria in Libia. Le famiglie sfollate, le persone rifugiate e migranti sono tra le più vulnerabili e a rischio sicurezza in un paese che è diviso internamente da fazioni contrastanti e differenze inter-tribali.
Di questi 1,3 milioni, 348 mila sono minori, bambini e bambine che hanno urgente bisogno di ogni genere di sostegno per poter vivere dignitosamente.
Circa 393 mila sono sfollati interni e più di 43 mila sono rifugiati e richiedenti asilo che provengono principalmente dall’Africa sub-sahariana. Persone, spesso anche minori soli non accompagnati, che affrontano viaggi estenuanti, dove il rischio di non arrivare a destinazione, che non è la Libia bensì l’Europa, è altissimo.
Scrive Giovanni Bianconi sul Corriere della Sera: “Nel suo rapporto sui diritti umani, Amnesty International scrive che nel 2020 la guardia costiera libica ha «intercettato in mare 11.891 rifugiati e migranti, riportandoli indietro sulle spiagge libiche, dove sono stati sottoposti a detenzione arbitraria e indefinita, tortura, lavoro forzato ed estorsione».
Ma neppure questi conti vergognosi tornano. Il capo missione dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), Federico Soda, osserva che se gli ospiti dei campi ufficiali sono circa quattromila, mancano all’appello ottomila dei migranti catturati solo lo scorso anno. Alcuni vengono assistiti nei programmi dell’Unhcr o dell’Oim. Ma ne risultano svaniti ancora troppi.
«Dobbiamo pensare che vengano trasferiti in campi non ufficiali, di cui nessuno conosce il numero», dice Soda. Di recente la Brigata 444 ha fatto irruzione nei centri clandestini di Bani Walid, liberando profughi torturati e stuprati, per ricondurli nel circuito formale. Ma la differenza tra strutture legali e illegali in Libia spesso è solo burocratica. E talvolta il percorso è inverso.
Scrive Amnesty: «A migliaia sono sottoposti a sparizione forzata, dopo essere stati trasferiti in luoghi di detenzione non ufficiali, compresa la ‘Fabbrica del Tabacco’ di Tripoli, sotto il comando di una milizia affiliata al Gna (il governo nazionale). Di loro non s’è saputo più nulla».
Già dai rapporti Onu del 2018 era noto come profughi e migranti fossero catturati, seviziati e ricattati da gang spesso «parastatali», nelle quali confluivano banditi e funzionari governativi.
Già da allora la famosa guardia costiera libica veniva definita alla stregua di una confraternita di pirati. A settembre dell’anno scorso l’Unhcr ha rilasciato una nota formale in cui si rigetta la nozione della Libia come posto sicuro di sbarco e «si invitano gli Stati a trattenersi dal rimandare in Libia qualsiasi persona salvata in mare».
Nella mappa dei luoghi più mortali per i migranti in Africa, subito dopo il deserto tra Niger e Libia c’è la costa libica, con Bani Walid, Sabratha, Zuwara e Tripoli. E, appena venerdì scorso, l’Alto commissario Filippo Grandi è tornato a sollecitare «la fine delle detenzioni abusive», auspicando che «la nuova amministrazione libica dia segnali più forti di voler bloccare lo sfruttamento di migranti e rifugiati» (non va certo in questo senso la recente scarcerazione e promozione a maggiore della guardia costiera del trafficante Bija)”.
Finanziati i lager
Il 28 gennaio scorso, l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi) ha presentato un esposto alla Corte dei Conti chiedendole di indagare sulla destinazione di alcuni fondi pubblici italiani in Libia, destinati alle ong, ma che potrebbero essere finiti nelle mani o a beneficio delle milizie che gestiscono i centri di detenzione per migranti, dove avvengono torture e soprusi.
La vicenda era stata sollevata dalla stessa Asgi nell’estate scorsa, quando aveva rilevato numerose criticità circa l’utilizzo di quei fondi. Ora l’associazione di giuristi interessa la magistratura italiana per fare chiarezza.
“Sebbene i centri libici siano universalmente ormai riconosciuti come luoghi di tortura e mortificazione della dignità umana – scrive Asgi – il Governo italiano non ha condizionato l’attuazione degli interventi ad alcun impegno alle autorità di Tripoli di migliorare in modo duraturo la condizione degli stranieri detenuti».
L’esposto di Asgi solleva dubbi sulla destinazione effettiva dei beni e dei servizi erogati, anche in luce del divieto del Ministero per il personale italiano di recarsi in Libia.
In particolare, i soldi pubblici italiani potrebbero essere stati utilizzati per rafforzare le recinzioni dei centri e per altre opere che poco o nulla hanno a che fare con la cooperazione internazionale.
“Tutto nasce – spiega l’avvocato Alberto Pasquero di Asgi sintetizza la vicenda: dalla stipula del Memorandum Italia-Libia del febbraio 2017. I progetti di cui parliamo sono stati approvati pochi mesi dopo, sono sei milioni di euro, tutti destinati ad attività all’interno dei centri di detenzione libici”.
I progetti sono stati attuati da una serie di ong italiane, che per ragioni di sicurezza non intervenivano direttamente coi propri operatori, ma hanno subappaltato ad ong libiche gli interventi.
Questi ultimi hanno riguardato azioni umanitarie, come la costruzione di aree ludiche per i bambini reclusi o la donazione di latte in polvere alle madri, dall’altro lato, però, ci sono anche attività inquietanti, come la manutenzione stessa dei centri o il rafforzamento dei cancelli.
Asgi mette in dubbio anche la natura degli interventi umanitari, perché agiti in quel modo e in quei contesti finiscono per legittimare il sistema di detenzione dei migranti.
Di sicuro, però, la realizzazione di opere per il mantenimento dei centri presenta un’ulteriore gravità, anche e soprattutto perché quelle risorse, più o meno direttamente, potrebbero essere finite nelle tasche delle milizie.
“I rendiconti delle ong sono in molti casi abbastanza approssimativi – sottolinea Pasquero – per cui non possiamo escludere che quelle risorse siano finite alle milizie, anche per il fatto che si tratta di carceri, nei quali non si entra senza il consenso di chi li gestisce”.
Alla Corte dei Conti, dunque, Asgi chiede di approfondire e verificare se vi siano stati danni erariali e di immagine per lo Stato italiano. «Questi soldi sono stati stanziati per la cooperazione e lo sviluppo – conclude Pasquero – e ce li vediamo spesi per mantenere in funzione dei carceri che sono intrinsecamente inumani».
La “nuova” Libia
Rimarca Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia: “In Libia violenze e atrocità non colpiscono solo i migranti e i rifugiati, ma anche la popolazione autoctona. Non è una novità, dato che i dieci anni seguiti alla fine della dittatura di Gheddafi sono stati segnati da arbitrio, assenza di legge, conflitti interni e dominio delle innumerevoli milizie armate.
A ricordare come stanno le cose nell’est del paese è una denuncia di Amnesty International. Vi si legge che chiunque sia sospettato di esprimere critiche od opposizione alle Forze armate arabe libiche che rispondono al comando di Khalifa Haftar rischia l’arresto, la tortura, un processo irregolare in corte marziale, il carcere e persino la morte.
Va sottolineato che nonostante il 10 marzo sia stato proclamato un governo di unità nazionale e sia stata sancita nominalmente l’unificazione delle istituzioni libiche, nell’est della Libia il potere continuano a esercitarlo le Forze armate arabe libiche di Haftar e le milizie loro alleate. Di fronte ai giudici militari finiscono giornalisti, manifestanti pacifici, utenti dei social e difensori dei diritti umani. Tra il 2018 e il 2021 sono state emesse almeno 22 condanne a morte e centinaia di persone sono state condannate a pena detentiva, in molti casi dopo aver subito torture: isolamento prolungato per mesi se non anni, percosse, minacce di morte e di stupro e “waterboarding” (la simulazione di annegamento).
I processi celebrati dai tribunali militari sono una vera e propria farsa: molti imputati hanno riferito di non aver potuto incontrare il proprio avvocato durante il periodo di detenzione preventiva e, in alcuni casi, anche durante le udienze. In molti casi, fino alla prima udienza gli imputati non sanno esattamente di cosa siano accusati, non hanno accesso ai fascicoli e alle prove a loro carico e, una volta terminato il processo, non ricevono le motivazioni della sentenza.
La completa mancanza d’imparzialità dei giudici è resa evidente dai loro ruoli, passati e presenti, all’interno delle Forze armate arabe libiche”.
E Roma finanzia questo Stato dei trafficanti travestiti da guardie (costiere).
(da Globalist)
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Maggio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
LA DENUNCIA DEL SINDACATO DI POLIZIA: “IN ITALIA AGGREDIRE UN AGENTE E’ ORMAI UNO SPORT”
Una vicenda molto spiacevole e grave è accaduta a Vercelli. Una poliziotta in servizio è stata picchiata durante dei normali controlli anti-Covid.
”Una collega in servizio di volante a Vercelli è stata presa a calci e pugni da una donna durante un servizio per il contenimento dell’emergenza Covid. Un colpo l’ha raggiunta vicinissimo a un occhio e lei se l’è vista molto brutta. L’esagitata che l’ha aggredita è stata arrestata, ma quale concreta punizione possiamo aspettarci per lei?”.
Lo afferma Valter Mazzetti, Segretario Generale Fsp Polizia di Stato, commentando quanto avvenuto a Vercelli ieri sera, quando una volante è intervenuta a piazza Cavour, davanti a un bar, dove diverse persone, assembrate, stavano protestando con forza per i controlli effettuati dalla polizia locale e da altri colleghi
Nel gruppo anche una donna che incitava tutti a ribellarsi ai controlli e che ha reagito al tentativo di identificarla inveendo, scagliandosi contro i poliziotti, e in particolare colpendo con pugni e calci una agente donna.
Quando quest’ultima è stata raggiunta all’altezza del cinturone da un calcio che le ha fatto cadere la radio di servizio, si è chinata per raccoglierla e, a quel punto, ha ricevuto un altro calcio, stavolta in faccia all’altezza dello zigomo. La poliziotta è stata affidata alle cure del caso, un minimo di una settimana la prognosi per lei.
”Il lavoro del poliziotto – incalza Mazzetti – è sempre stato complicato e difficile, ma gli atteggiamenti di violenza diffusa, certamente resi ancor più arroganti da un vergognoso senso di impunità, sono ormai tanti e tali da rendere veramente un’impresa ardua finire la giornata senza grane, senza danni, senza incidenti di ogni genere.
Quello della collega presa a pugni e calci a Vercelli, cui manifestiamo la più totale solidarietà e auguriamo una prontissima guarigione, è solo l’ultimo episodio che conferma questo triste assunto: nel nostro paese aggredire gli appartenenti alle forze dell’ordine è praticamente ormai uno sport.
In pratica non esiste una risposta del sistema adeguata a certi atteggiamenti che, oltre a mettere a rischio l’incolumità degli operatori, calpestano la dignità loro e delle istituzioni che rappresentano”
(da agenzie)
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Maggio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
DEPOSITATI GLI ATTI, CI SONO TRE FOTO INEQUIVOCABILI
“Mi hanno fatto bere la vodka, afferrandomi per il collo. Poi mi hanno portata nel letto e mi hanno stuprata. Mi tenevano ferma su un letto e mi penetravano a turno, dicendosi dai ora tocca a me, per sei o sette volte”, è il drammatico racconto della giovane studentessa di 19 anni vittima dei presunti abusi sessuali avvenuti in una villa di Cala di Volpe, in Sardegna, nel luglio del 2019 e di cui sono accusati Ciro Grillo, il figlio di Beppe Grillo, e suoi 3 amici: Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. Tutto è iniziato con l’incontro tra la ragazza e il gruppo di giovani durante una serata nella discoteca Billionaire dove la 19enne era andata insieme ad una compagna di classe.
La prima violenza sulla 19enne
Secondo la ricostruzione fornita ai carabinieri dalla vittima, al momento di lasciare il locale, alle 5 del mattino del 17 luglio, non c’erano taxi e così e le due giovani hanno accettato l’invito dei ragazzi a fermarsi a dormire a casa loro.
Qui, secondo i verbali delle dichiarazioni rilasciate dalla giovane milanese e pubblicati sul quotidiano “La Verità”, si sarebbe consumata la violenza sessuale di gruppo. Dopo una cena insieme e le prime avance rifiutate, per la ragazza sarebbe iniziata la notte da incubo. Il primo rapporto sessuale sarebbe avvenuto con Corsiglia una volta a letto. “Mi ha preso per i capelli indirizzandomi la testa verso il suo pene, dicendomi cagna apri la bocca e mi chiedeva di fargli sesso orale. Inizialmente ho resistito ma lui continuava a farmi violenza. Io mi dimenavo perché non volevo, ma non riuscivo a contrastarlo completamente perché non mi sentivo bene” è il terribile racconto della giovane. La violenza sarebbe poi proseguita anche in bagno, sotto la doccia: “Mi teneva con la mano il collo, tenendomi bloccata di spalle e mi penetrava. Per due volte gli ho detto di smetterla, che era un animale, uno stronzo, ma lui ha continuato più forte, tirandomi i capelli e baciandomi sul collo”.
La vittima in lacrime convinta a restare
Dopo la violenza subita, la ragazza in lacrime si sarebbe rivolta all’amica che stava dormendo sul divano in salotto per invitarla ad andare via, spiegandole la situazione. Questa però non l’ha assecondata: “Le dicevo ‘mi hanno violentata’. Inizialmente non capiva e glielo ripetevo, poi le chiedevo se potevamo andare a casa. Si è seduta sul divano e mi ha fatto spallucce”. A questo punto l’intervento degli altri ragazzi che l’avrebbero convinta a desistere dall’andare via e poi avrebbero violentato a loro volta la giovane.
La violenza di gruppo
“A quel punto intervenne un altro dei ragazzi, Vittorio Lauria, che nonostante io gli dicessi che un loro amico mi aveva violentata e che loro non erano intervenuti, ha cominciato a provarci. Poi verso le 9 del mattino mi hanno fatto bere la vodka, afferrandomi per il collo. Sentivo che mi girava la testa dopo aver bevuto, non ricordo bene. Poi mi hanno portata nel letto matrimoniale e mi hanno stuprata” ha raccontato la ragazza. A questo punto la violenza di gruppo. Documentata in parte dai video girati con i telefonini dai presunti violentatori.
Terribile la sequenza raccontata dalla vittima: “Sentivo che si chiamavano per nome tra di loro e si dicevano ‘ora tocca a me, dai spostati’ e sentivo che si davano il cambio. Uno mi tirava i capelli e mi tiravano schiaffi sulle natiche e sulla schiena. Mi girava la testa e continuavo a cadere in avanti. Ho visto nero, da quel momento non ricordo più nulla, ho perso conoscenza”. La vittima dello stupro però l’indomani si sarebbe confidata con altre ragazze, una milanese e due norvegesi.
Intanto i genitori la raggiungono in Palau due giorni dopo. Ma lei solo una settimana dopo, il 24 luglio, a Milano avrebbe confidato tutto alla mamma. Il 26 luglio la denuncia ai carabinieri.
Le foto
Grillo, Capitta e Lauria sono accusati di violenza sessuale di gruppo anche ai danni di Roberta, l’amica di Silvia. In particolare il figlio del fondatore del M5s avrebbe «appoggiato i propri genitali» sulla testa della ragazza alla presenza di Lauria, mentre Capitta scattava una foto. Roberta, anche questo un nome di fantasia per tutelare la vittima, era «in stato di incoscienza perché addormentata» e veniva «costretta a subire tale atto sessuale». Agli atti sono state allegate in particolare tre fotografie, di cui inizialmente non si conosceva la responsabilità riguardo le singole condotte. Gli interrogatori di tutti e quattro i ragazzi, richiesti dai difensori e avvenuti nel corso degli ultimi 15 giorni, invece, hanno reso possibile modificare il capo d’accusa in questione, come riportato dall’agenzia di stampa Adnkronos, nel nuovo avviso di chiusura delle indagini notificato oggi.
(da agenzie)
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Maggio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
51 ANNI, ELETTO CON UNA LISTA CIVICA, UN PASSATO NEL PARTITO DELLA MELONI
C’è anche un consigliere comunale di San Lorenzo al Mare tra i 15 arresti eseguiti dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’operazione antidroga coordinata dalla Procura della Repubblica di Genova – Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo, in collaborazione con la Procura della Repubblica di Imperia.
Il consigliere arrestato è Giovanni Stramare, 51 anni, ex Fratelli d’Italia, eletto nella lista Civica San Lorenzo Oggi, a sostegno del candidato Sindaco Lorenza Bellini, oggi all’opposizione.
Stramare è stato tratto in arresto all’alba di martedì mattina dalla Guarda di Finanza, a San Lorenzo al Mare. E’ accusato di aver ceduto cocaina a diverse persone. Dopo essere stato accompagnato presso la Caserma delle Fiamme Gialle, in piazza De Amicis, a Imperia, è stato tradotto in carcere.
Contattato da ImperiaPost, il Sindaco Paolo Tornatore ha preferito non rilasciare alcuna dichiarazione.
L’inchiesta
Le indagini, inizialmente finalizzate a determinare i contorni delle attività di spaccio di alcuni dei soggetti indagati, operanti tra Imperia e i comuni limitrofi, hanno consentito di individuare un’associazione a delinquere, facente riferimento ad una famiglia di residente a Loano (SV), che si avvaleva di una capillare schiera di pusher, anche italiani, attivi tra le province di Imperia e Savona.
Le indagini, eseguite dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Imperia, hanno consentito di documentare e ricostruire oltre 7 mila episodi di minuto spaccio, in gran parte riguardanti la cessione di un grammo, o anche meno, di cocaina, nei confronti di una platea alquanto eterogenea di assuntori per età, estrazione sociale e attività lavorativa svolta.
Come ricostruito dalla Fiamme Gialle, a fronte di un giro di affari di circa 520.000 euro, prodotto in circa un anno, l’organizzazione criminale conseguiva guadagni netti prudenzialmente quantificati in 225.000 euro.
(da Imperiapost)
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Maggio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
“DICEVANO CHE VOLEVO FAR DIVENTARE GAY I BAMBINI”… LA LEGHISTA CHE L’HA DIFFAMATA HA PAGATO 2.000 ALL’ARCI GAY PER EVITARE UNA CONDANNA
«In un video fa le iniezioni ai bambini per farli diventare gay». Questa l’accusa che è stata mossa, quattro anni fa, a Elisa Serafini, nel corso della campagna elettorale per le amministrative a Genova.
Una circostanza del tutto inventata, tirata fuori dalla candidata della Lega Giuliana Livigni che ha provocato non pochi problemi alla Serafini. Una frase che, adesso, è stata ripresa da Fedez all’interno del suo discorso pronunciato durante il Concertone dell’1 maggio in cui ha elencato tutti gli episodi omotransfobici di alcuni esponenti della politica. Un discorso che al cantante è costato lo scontro con la Rai (accusata di aver tentato di “limare” il suo testo).
Risarcimento da 2mila euro devoluto ad Arcigay Genova
«Non me l’aspettavo. Grazie Fedez, hai dato l’esempio che bisogna sempre denunciare. La sua è un’azione che potrà ispirare altre persone. Un vero e proprio incoraggiamento», ha detto Elisa Serafini a Open.
Ancora oggi, a distanza di anni, non crede a quello che le è accaduto. Al fatto che sia stata raccontata una storia, di sana pianta inventata, che le ha reso la vita un inferno. «Ho querelato la candidata della Lega Giuliana Livigni, colpevole di aver messo in giro la voce che avrei fatto delle iniezioni ai bambini per farli diventare gay. Alla fine siamo arrivati a una conciliazione: si è scusata – anche se la sua lettera non l’ho mai voluta leggere, non so nemmeno dove sia – e ha pagato il risarcimento che ho devoluto ad Arcigay Genova». Si tratta di circa 2mila euro.
«Il video nemmeno esisteva, una follia»
Ma il punto più brutto di questa vicenda è che si tratta di una storia del tutto inventata: «Persino il cardinale Bagnasco ha chiamato il sindaco dicendogli di non farmi fare l’assessora. Hanno fatto pressioni per farmi ritirare la querela, Livigni mi ha persino inseguita per strada urlando e dicendomi che dovevo rispondere per quello che avevo fatto. Stalking, insomma. Ma cosa avevo fatto? Dov’è questo video che citavano?
“Era solo sulla Rai, poi è sparito”, dicevano. Forse – spiega – tutto parte da un video di una conferenza del 2014 in cui dicevo che sarebbe stato bello vedere, anche in una tv italiana, una trasmissione che parlasse della transizione che fanno i transgender dal punto di vista medico. Da questo hanno costruito la loro follia».
«La gente ci credeva, ero sconvolta e confusa»
Il dramma – prosegue – è che «la gente ci credeva, dicevano “però qualcosa ci sarà dietro”, pur non avendolo visto. Tra loro c’erano anche una consigliera del municipio e una insegnante di asilo».
La “colpa” della Serafini? «Essere a favore dei diritti civili, della cannabis, dell’eutanasia. Mi sono messa a piangere dalla rabbia, non riuscivo a controllare una cosa che era davvero assurda. Ero sconvolta, confusa».
Fake news che hanno rischiato di distruggerle la vita e sulle quali, stando al suo racconto, è stata lasciata da sola: «La Lega? Non mi hanno difesa, anzi mi hanno fatto la guerra».
Ora, invece, il leader del Carroccio Matteo Salvini sembra essersi ricreduto: «Frasi disgustose», ha detto a Domenica Live, su Canale 5, riferendosi, appunto, alle parole pronunciate dagli esponenti, anche del suo partito, contro la comunità Lgbtq+ e lette da Fedez nel corso del Concertone.
Ipocrisia allo stato puro
(da Open)
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Maggio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DELLA GIORNALISTA ELISA SERAFINI, EX ASSESSORE ALLA CULTURA DEL COMUNE DI GENOVA (DI CENTRODESTRA)
Tra gli episodi omotransfobici di esponenti della politica citati da Fedez sul palco del concertone del Primo Maggio, ce n’è uno che mi ha vista come vittima e che mai avrei pensato potesse raggiungere una visibilità nazionale.
Fedez ha infatti raccontato il caso della candidata della Lega Giuliana Livigni, che aveva parlato dell’esistenza di “iniezioni per far diventare i bambini gay”. La persona che avrebbe fatto quelle iniezioni ero io. Ma per capire la vicenda serve fare un passo indietro.
Nel 2017 ero candidata in una lista civica al Consiglio comunale di Genova. Sostenevo i diritti per le persone LGBTI+ e questo aveva creato molti malumori tra ambienti conservatori e ultra-religiosi della città.
Dopo azioni di dossieraggi, intimidazioni, telefonate minatorie, una candidata della Lega (e del movimento Le Manif Pour Tous), aveva iniziato a raccontare di mie presunte inoculazioni di iniezioni a bambini che avrebbero avuto l’obiettivo di farli diventare omosessuali.
Un racconto “fantasy”, come lo ha definito lo stesso Fedez, ma che in realtà aveva avuto una certa capacità di convincere numerosi cittadini che ci fosse qualcosa che non andava nella mia figura di candidata.
La campagna diffamatoria era stata spietata: oltre a questa accusa, erano stati inviati dossier ai giornali con trascrizione di tutti i miei interventi in conferenze su temi LGBTI (risultati poi molto utili come archivio) e persino tentativi da parte della Curia e di esponenti del Vaticano di impedire la mia nomina ad assessore, nonostante avessi preso oltre 800 preferenze.
La vicenda è stata sì fantasy e surreale, ma anche dolorosa e sconvolgente perché la diffamazione è una forza difficile da fermare, soprattutto quando alle spalle non hai un partito o una protezione politica.
Dopo qualche settimana querelai la candidata, destinando il risarcimento ad Arcigay Genova con l’obiettivo di costruire campagne e azioni di sensibilizzazione contro l’omotransfobia.
Fu per me l’unico modo possibile per dare un senso ad un episodio che senso non aveva, e che venne raccontato esclusivamente dall’edizione locale di Repubblica.
Dopo un anno scelsi di dimettermi dall’incarico perché in contrasto con indirizzi dei vertici locali su spesa pubblica e diritti civili, lo raccontai in un esposto e nel libro di denuncia “Fuori dal Comune”, insieme ad altri episodi di illegalità locale.
La vicenda dei vaccini gay non è una storia di politica locale: come dimostrano i fatti sintetizzati da Fedez, esiste un pattern di messaggi, di culture, e di azioni politiche che hanno l’obiettivo di screditare le istanze a favore dei diritti civili.
Un pattern che rivediamo rappresentato da una parte della nostra società e, purtroppo, da una parte della nostra classe politica. Messaggi come quello di Fedez servono per rendere visibili storie invisibili, per dare coraggio a chi ha paura a denunciare, a farlo e basta. Perché, anche se passa il tempo, e bisogna aspettare con pazienza, la verità arriva. E spesso, anche la giustizia.
(da TPI)
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Maggio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
ANTONIO CIONTOLI DOVRA’ SCONTARE 14 ANNI PER OMICIDIO VOLONTARIO…. LA MOGLIE E I FIGLI 9 ANNI E 4 MESI PER CONCORSO
Sull’assurda morte di Marco Vannini la giustizia italiana ha messo la parola fine.
La Cassazione ha infatti confermato la condanna a 14 anni di carcere per Antonio Ciontoli, accusato dell’omicidio volontario del ventenne, allora fidanzato della figlia. Confermate anche le condanne a nove anni e quattro mesi per la moglie di Ciontoli, Maria Pizzillo e ai due figli Federico e Martina Ciontoli.
Rigettati tutti i ricorsi delle difese. La sentenza, accolta da un lungo applauso, è arrivata, dopo quasi quattro ore di camera di consiglio, dalla quinta sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Paolo Antonio Bruno.
L’unica modifica apportata dai giudici della Cassazione al dispositivo della sentenza d’appello riguarda la specificazione del reato per Maria Pezzillo e i figli Martina e Federico. I giudici, spiegano fonti della difesa, hanno trasformato il “concorso anomalo” in “concorso semplice attenuato dal minimo ruolo e apporto causale”.
Ma con questa modifica nulla cambia ai fini delle pene, che restano le stesse inflitte nell’appello bis nel settembre scorso.
L’accusa. “Tutti mentirono. Tutti hanno tenuto condotte omissive e reticenti”. È quanto sostenuto dal sostituto procuratore generale della Cassazione, Olga Mignolo, nel corso della requisitoria nel processo per l’omicidio di Marco Vannini, morto con un foro di pistola al petto, nel maggio 2015, nel bagno della casa della sua fidanzata, Martina Ciontoli, a Ladispoli.
La procuratore generale ha sottolineato come “l’unico a poter mettere in crisi la ricostruzione di Antonio Ciontoli e riferire cosa accadde quella notte era proprio Marco Vannini”, per gli imputati dunque era “preferibile alla sua sopravvivenza”.
La difesa. Una “sentenza di una illogicità grossolana”, “disseminata di insensatezze argomentative”. Così l’avvocato Gian Domenico Caiazza, uno dei difensori della famiglia Ciontoli, ha definito quella emessa dalla Corte d’assise d’appello di Roma. “Chiediamo alla Cassazione – ha detto Caiazza, interpellato durante una pausa dell’udienza – di annullare con rinvio quella sentenza, nella quale ci sono eclatanti contraddizioni”. Parlare di omicidio volontario con dolo eventuale, secondo il penalista, “non è compatibile con il fatto che sono stati chiamati i soccorsi, avvisati i genitori di Vannini quando era ancora in vita e parlato con il medico”.
I fatti. Torniamo alla sera del 17 maggio 2015, sera in cui Marco Vannini, 20 anni, viene colpito a morte da un proiettile. Marco è a Ladispoli, ospite nella casa della famiglia della sua fidanzata, Martina Ciontoli. Si conoscono da tre anni ed è normale che il ragazzo rimanga lì a dormire. In casa ci sono i genitori di Martina, Antonio Ciontoli e Maria Pezzillo, il fratello Federico e la sua fidanzata Viola. Antonio Ciontoli è un uomo piuttosto in vista in città, ricoprendo il ruolo di sottufficiale della Marina militare distaccato ai servizi segreti.
Su ciò che accade in realtà dentro a quella villetta di certo c’è ben poco, a parte il colpo di pistola che uccide Marco. Perché gli unici presenti sono coloro che oggi sono stati condannati e che in questi anni, questo lo sappiamo con certezza, hanno raccontato più di una bugia.
Innanzitutto sulla dinamica, che rimane ancora abbastanza oscura. Secondo il suo ricordo, Antonio Ciontoli avrebbe puntato la sua Beretta calibro 9 contro Marco che in quel momento si stava lavando nella vasca. E poi sarebbe partito un colpo in maniera accidentale. Ma da quel momento la famiglia Ciontoli decide di fare qualsiasi cosa, tranne l’unica da fare realmente. Ovvero chiamare i soccorsi. Con tutta probabilità, soprattutto nel capofamiglia, prevale il timore che la sua reputazione possa essere infangata
In nessuna delle due chiamate al 118 infatti i Ciontoli avvertono che Marco è stato ferito con un’arma da fuoco. Anzi mentono. Prima Antonio, spiegando a una infermiera che il ragazzo si è ferito con una punta del pettine. Poi la moglie di Antonio che, nell’avvisare i genitori del ricovero in ospedale del figlio, afferma: “È caduto dalle scale ma non dovete preoccuparvi”.
Antonio Ciontoli poi giustificherà in lacrime la sua bugia con la paura di perdere il lavoro. A noi rimangono solo gli audio delle due telefonate al 118 e in sottofondo le urla straziate dal dolore di Marco che chiede aiuto.
Vannini morirà dopo quasi quattro ore di agonia. I medici sono certi che se fosse stato trasportato in emergenza subito dopo lo sparo, ora sarebbe vivo. Pensiero che viene ripreso dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 7 febbraio 2020 con cui è stata annullata la decisione della Corte d’Appello in cui si derubricava l’omicidio in colposo, anziché volontario, e si riduceva la pena per Antonio Ciontoli a cinque anni di carcere. In primo grado era stato riconosciuto colpevole per omicidio volontario con dolo eventuale e condannato a 14 anni di reclusione.
(da agenzie)
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Maggio 3rd, 2021 Riccardo Fucile
E CONCLUDE: “CHI CHIAMA LA POLIZIA E’ UN VERME”… DICONO LA STESSA COSA I MAFIOSI, EVVIVA IL SOVRANISMO DELL’OMERTA’
Francesca Donato è un’eurodeputata della Lega. E non è nuova ad uscite social piuttosto discutibili. Ora, secondo lei, chi denuncia le feste contro le regole anti covid è simile a chi faceva scoprire gli ebrei nascosti durante il nazismo
Chissà cosa avrà da dire al riguardo Alessandro Gassmann che sui social aveva rivendicato il suo diritto di non “lasciare perdere”. La leghista ha pubblicato un tweet che dice: “Quelli che oggi denunciano i vicini che “festeggiano abusivamente”, nel ventennio avrebbero chiamato i nazisti per denunciare chi nascondeva gli Ebrei. Questo è il loro livello etico e morale. Vermi”.
La Donato si riferisce al weekend passato che complice la festa del primo maggio, la primavera e le zone gialle è diventato l’occasione per molti per trasgredire le regole, e per altri di denunciarli: party clandestini, riunioni in bedeì & breakfast, assembramenti per lo scudetto. Gli italiani non hanno in tanti casi dato prova di buon senso e le multe sono state tante, come racconta il Corriere:
Il primo weekend in zona gialla per molte regioni ha fatto segnare un’impennata di controlli — il Primo maggio oltre 93 mila persone identificate e quasi duemila multe, il doppio del giorno precedente — come anche di «spiate» da parte di vicini di casa stufi di schiamazzi e rumori molesti. Chiamate al 112 che hanno comportato contravvenzioni e, in certi casi, denunce nei confronti di chi aveva organizzato le feste clandestine, non solo nella propria abitazione, ma anche in B&B e affittacamere. Ormai una moda, con controlli incrociati delle forze dell’ordine anche sui proprietari degli immobili e le agenzie che li affittano per verificare la regolarità dei contratti e il rispetto delle regole condominiali, oltre che di quelle anticontagi
Certamente due situazioni, quella in cui il vicino chiama il 113 per denunciare gli schiamazzi e quella in cui i delatori mandavano nei campi di concentramento gli ebrei, che non si somigliano neanche un po’.
Ma non per la Donato che del resto anche in passato aveva fatto paragoni azzardati. Come quello tra chi difende l’utilità e l’importanza delle vaccinazioni, in base a dati scientifici, e quei medici che torturavano gli ebrei nei campi di concentramento
(da NextQuotidiano)
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