Maggio 14th, 2021 Riccardo Fucile
A SORPRESA LE REGIONI MIGLIORI SONO QUELLE DEL SUD, ECCO I DATI DEL MINISTERO
Non bastano le 535mila dosi al giorno raggiunte venerdì 7 maggio: l’Italia resta ancora lontana dall’obiettivo di somministrare almeno 500mila vaccini anti-Covid al giorno anche questa settimana (così come la precedente).
Il commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus, Francesco Paolo Figliuolo, e il governo guidato da Mario Draghi avevano fissato come obiettivo, per metà aprile, quello delle 500mila vaccinazioni al giorno: non un picco, ma una media giornaliera.
Che rimane lontana anche ora, circa un mese dopo.
La campagna vaccinale italiana non è decollata e la media settimanale è rimasta ben al di sotto di questo obiettivo, seppur in lieve crescita.
Finora in Italia sono state somministrate 25.849.925 dosi, a fronte di 29,58 milioni di vaccini consegnati: si tratta dell’87,7%, dato leggermente più rispetto rispetto a quanto atteso considerando che le scorte dovrebbero essere intorno al 10%.
Sulla base dei calcoli effettuati da Fanpage.it ricorrendo ai dati disaggregati messi a disposizione dal governo, nella settimana dal 7 al 13 maggio in Italia sono state somministrate 3.265.515 dosi, mentre la scorsa settimana erano state 3,13 milioni: il dato è, quindi, leggermente in crescita e non è definitivo, considerando che non si tratta di numeri consolidati ma che potrebbero ancora subire qualche variazioni tra oggi e domani. Ad ora la media, in salita, è di 466mila vaccini al giorno, contro le 449mila della scorsa settimana. Sempre al di sotto dell’obiettivo di 500mila di media giornaliera.
In generale le Regioni del Nord che hanno vaccinato di più all’inizio ora vanno a rilento, mentre recuperano terreno quelle del Sud: tra i territori che raggiungono il target quotidiano ce ne sono solamente alcuni del Mezzogiorno.
Sulla base dei target regionali forniti dal commissario straordinario per il 29 aprile, giornata in cui l’obiettivo era raggiungere le 500mila dosi totali nazionali, è possibile vedere quali Regioni riescono a raggiungere il traguardo e quali no. Target raggiunto solamente da Regioni del Sud: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.
Nella tabella sottostante sono riportate in verde e raggiungono tutte abbondantemente il target. Il blu nella tabella rappresenta le Regioni che non hanno raggiunto il target di un soffio, ma che potrebbero farlo con il consolidamento dei dati: è il caso solamente del Molise.
Sotto l’obiettivo, ma di poco, si attestano invece Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Trento, Sardegna, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto. Molto al di sotto del target ci sono Emilia-Romagna, Lombardia, Bolzano, Piemonte e Toscana.
Altro confronto è quello rispetto alla settimana precedente. A migliorare, tra le Regioni che hanno raggiunto il target, ci sono Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Molise. Non hanno raggiunto l’obiettivo ma sono comunque in miglioramento Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Bolzano, Piemonte, Sardegna, Toscana, Umbria.
Peggiora, pur restando ben al di sopra dell’obiettivo fissato dal commissario straordinario, la Campania. Mentre fanno poco peggio rispetto ai sette giorni precedenti, restando al di sotto dell’obiettivo, Abruzzo, Liguria, Marche, Valle d’Aosta, Veneto. Infine, chi peggiora di tanto e resta ben al di sotto del target è la Lombardia, insieme alla provincia autonoma di Trento.
(da Fanpage)
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Maggio 14th, 2021 Riccardo Fucile
INTERVISTA A LUCIANO MONTI, DOCENTE ALLA LUISS
“Il percorso che porta una persona ad essere autonoma e a raggiungere la maturità passa attraverso l’apertura delle famose tre porte: la prima è costituita dall’uscire dalla casa dei genitori per entrare in una casa propria. La seconda è quella, anche virtuale, della postazione di lavoro, quindi assicurarsi una lavoro stabile e dignitoso. La terza porta/tappa è avere degli eredi. In Italia la maggior parte degli under 35 non ha ancora varcato neanche la prima porta”.
Luciano Monti, docente di Politiche dell’Unione europea alla Luiss Guido Carli e condirettore scientifico della Fondazione Bruno Visentini, spiega ad HuffPost perché i propositi del Governo Draghi che nel decreto “Imprese, lavoro, professioni” mira a garantire ai giovani condizioni maggiormente favorevoli per l’acquisto della prima casa e ad abbatterne gli oneri fiscali, potrebbero rivelarsi fallimentari come spesso sono state le facilitazioni per l’accesso ai mutui nelle politiche che lo hanno preceduto.
“Nella piattaforma della proposta Draghi”, ci spiega il Professore, ”si stima ci siano 55 milioni di euro per il rifinanziamento del Fondo: con la volontà di rinforzare il sistema e agevolare l’accesso a una casa per i giovani”.
Quali strumenti intende utilizzare?
Essenzialmente due: agevolazioni fiscali di deducibilità e garanzia per i mutui. La prima è una misura inefficace per natura.
Ci spieghi meglio.
La deducibilità fiscale per giovani con reddito molto basso ha poco senso e andrebbe a favorire quella percentuale minima di coloro che possono contare su un reddito più alto. Auspicherei che in tutte queste bozze qualsiasi strumento di deduzione fiscale venga abbandonato perché non è quello che può aiutare i giovani. Da uno studio fatto dal Consiglio nazionale giovani (CNG) e Eures, su quasi 1000 giovani intervistati (under 35) nei mesi di marzo e aprile 2021 di prossima pubblicazione, ben oltre la metà ha avuto negli ultimi tre anni mediamente un reddito inferiore a 10mila euro. Soltanto il 7,4% sopra i 20 mila euro. Immaginare detrazioni fiscali su redditi mediamente così bassi è una misura inefficace.
Perché?
Molto semplice: se lei ha un reddito basso, e qui la maggioranza dei possibili beneficiari posiziona buona parte del suo reddito nella No-Tax Area, la detrazione è inutile. Un conto è dedurre una spesa da qualcuno che ha il 43% di imponibile e un conto dedurla da qualcuno che ha il 27%, che è poco più della metà.
Quindi no alla detrazione fiscale. Quale è il secondo strumento di cui si doterà lo Stato?
Come ho detto, l’aumento delle garanzie dello Stato per l’acquisto della prima e/o agevolazioni al mutuo. Misure sicuramente efficaci che sono già in atto, tant’è che dal 2013, da quando è stato istituito il Fondo Consap, l’acceso alla prima casa è migliorato a livello teorico. Ma a livello pratico no, i giovani non stanno acquistando. Le do un po’ di dati che aiutano a capire meglio.
Prego.
Nel 2007 i giovani che ancora vivevano nella famiglia natale erano il 59,10%. Nel 2019 sono saliti al 64.3% (dati Istat). E’ evidente che questa è una cartina di tornasole: qualsiasi intervento sia stato fatto per rendere autonomi i giovani e assicurare loro l’apertura della prima porta è stato inefficace. Non solo. Sa quante sono state le richieste dei mutui dei giovani sul totale delle richieste dei mutui fatte in Italia in un anno?
Quante?
Fonte Crif: nel 2016, primo trimestre, fatto 100 la richiesta dei mutui, un quinto soltanto era degli under 35, il 20%. Nel primo trimestre del 2020, siamo al 22%. La situazione è pressoché invariata. E attenzione: parliamo di richieste, non di mutui concessi.
Dunque perché questi ragazzi se ne stanno a casa dei genitori?
Non perché sono dei bamboccioni, ma perché non vedono delle prospettive. La prima causa è la mancanza di reddito autonomo o poter contare su un reddito che è comunque insufficiente. Molti di loro lavorano in nero. Sempre secondo l’indagine Eures-Cng viene fuori che tra gli intervistati il 74,2% ha un lavoro precario o è disoccupato. Un dato coerente con la percentuale (il 64,3%) dei ragazzi che non hanno la possibilità di uscire dall’abitazione dei propri genitori.
Diventa impossibile chiedere un mutuo
Ovvio. Il problema vero è il lavoro. Se non si crea lavoro per i giovani è inutile spingere sui mutui: è come spingere sulle auto elettriche quando la gente non ha i soldi per comprarle.
Stessa cosa vale per l’affitto
Gli affitti sarebbero in parte una soluzione al problema. Ma prendere una casa in affitto non significa solo pagare il canone, ma farsi carico della gestione intera di tutte le utenze. Considerando i redditi bassi dei giovani, una fetta altissima sarebbe dedicate alle spese di casa. Dunque anche questa soluzione diventa impraticabile
Se aggiungiamo poi che i canoni degli affitti nelle grandi città sono altissimi…
Per questo ho avanzato una proposta, sposata anche da Confedilizia: complice la diffusione dello smartworking, portiamo i giovani verso i borghi, verso i comuni più piccoli. Visto che abbiamo dei luoghi molto belli che stanno perdendo residenti, soprattutto nelle aree interne c’è rischio estinzione e il termometro di questo è la chiusura delle scuole primarie, invertiamo questa tendenza. Indirizziamo i giovani verso questi centri. Come? Rendendo competitivi questi borghi: da questo punto di vista bene il PNRR che prevede banda larga, digitalizzazione, servizi primari, guardia medica, ritorno delle scuole, stanziando, tra l’altro, 1,04 miliardi di euro per un piano nazionale borghi. L’altra spinta potrebbe arrivare dai privati.
In che modo?
Indennizzando i piccoli comuni affinché possa essere tolto l’Imu dalle seconde case dai proprietari a condizione che vengano affittate a prezzi calmierati ai giovani che vogliano trasferirsi. Misura stimata da Confedilizia in circa 280 milioni di euro, cifra grande ma non grandissima nell’economia di un Paese. Invece di gonfiare un Fondo di Garanzia per l’acquisto delle prime case, forse sarebbe meglio provare a agevolare lo spostamento dei giovani in affitto nei piccoli centri. E poi c’è un altra cosa: oramai pensare alla casa di proprietà è un ragionamento da Baby Boomer.
Ci spieghi meglio
La generazione Erasmus è più mobile, pensare alla casa di proprietà non è un pensare contemporaneo e non conviene. In Inghilterra prima della crisi finanziaria, sono stati concessi mutui a chiunque: gli under 35 hanno acquistato e a seguito della crisi non solo non sono stati in grado di rimborsare il mutuo, ma si sono trovati con patrimonio personale negativo. Un incubo: senza più la casa (messa all’asta) e con lo stipendio pignorato.
Mi sta dicendo che il futuro per poter uscire dalla casa dai genitori, è tentare una vita in affitto?
Esattamente. E non dimentichiamo che esiste un asset patrimoniale notevole rappresentato dalle famiglie italiane che arriverà in successione a questi soggetti. E qui attenzione: no alla tassa di successione che sarebbe l’ennesima beffa per questi giovani ai quali prima rendi impossibile la vita e poi quando finalmente riescono a guadagnarsi la casa dei genitori devo anche pagare la successione, e nella maggioranza dei casi magari costretti a svenderla in fretta per pagarne gli oneri. Si tratta di una misura decisamente antigenerazionale.
Se si mettesse davvero in atto lo spostamento in smartworking nei piccoli centri alle condizione che ci siamo detti fino a questo momento, che ne sarebbe delle case delle grandi città?
Bisognerà riqualificare quelle strutture. Il mercato si tranquillizzerebbe, gli affitti si adeguerebbero, ma non possiamo pensare di concentrare tutto nelle grandi città. Bisogna rendere più accessibili i nostri capoluoghi, non trascurando i comuni di piccole e medie dimensioni che rappresentano un numero diffusissimo in Italia.
Che cosa guadagnerebbero le aziende decentrando il lavoro nei piccoli borghi, incentivando lo smartworking?
La produttività del lavoratore che alterna lavoro in presenza a lavoro in smartworking aumenta ed è un aumento a due cifre. Vuol dire che l’azienda riuscirebbe a contare su lavoratori più competitivi: non perderebbero tempo nell’attività di commuting, banalmente i trasferimenti per andare a lavoro, e si presenterebbero a lavoro più freschi. E poi c’è un non indifferente impatto ambientale: una riduzione del commuting porta con sé una riduzione dei veicoli che gravitano intorno alla metropoli. Le grandi aziende, anche in Italia, hanno già capito i vantaggi di un sistema ibrido, lo capiranno anche le aziende più piccole. Ma non si torna indietro: si chiama Resilienza Trasformativa.
Quale potrebbe essere invece una politica vincente per garantire ai giovani un lavoro stabile che permetta loro di garantirsi una vita autonoma?
Continuare a pensare che l’obiettivo sia necessariamente il posto da impiegato è sbagliato. L’ Osservatorio delle politiche giovanili dalla Fondazione Bruno Visentini, tempo fa ha svolto un’indagine presso studenti tra i 14 e i 19 anni. Alla domanda ‘che cosa vorresti fare da grande: impiegato, lavoratore autonomo o imprenditore?’, solo una quota minima ha risposto l’impiegato. Questo vuol dire che andiamo verso dinamiche che vanno ricostruite, non cercherei di irrigidire il mercato del lavoro verso forme stabili. Purtroppo manca nel PNRR un incentivo per l’autoimprenditorialità giovanile, quando sappiamo che nell’economia circolare, nell’ambito della transizione ecologica e digitale sono tantissime l’opportunità di autoimpiego per i giovani.
In molti persiste la paura di mollare il posto fisso per lanciarsi in avventure di autoimprenditorialità..
E’ vero, ma perché c’è insicurezza sociale. Oggi la contribuzione di un lavoratore autonomo non si sa bene dove realmente vada a finire. Le partite Iva sono i reietti. C’è scarsa mobilità sociale, anche perché chi è meno abbiente non ha tutte le opportunità di formarsi che hanno gli altri. In questo senso abbastanza bene le borse di studio introdotte nel PNRR, ma male che le abbiano dimezzate dalla bozza Conte a quella Draghi. E questo è un elemento di debolezza dell’Italia: bisogna accompagnare quelli che hanno la vocazione al lavoro autonomo, al rischio, perché il futuro è in quella direzione. Il passo dal lavoro dipendente a quello autonomo è difficile perché si ha paura di passare nella schiera dei “non tutelati”: bisogna immaginare forme di tutela per quel sempre maggior numero di giovani che sceglieranno il lavoro autonomo. Andiamo verso modelli che ci sono anche in altri Paesi occidentali dove si passa dal lavoro dipendente a quello autonomo e viceversa.
Sarebbe bello avere anche in Italia questo tipo di possibilità…
L’obiettivo è di arrivarci nel 2030. La Germania è molto più avanti di noi perché ha investito molto sulla digitalizzazione e le formazione duale. Ma dobbiamo metterci in testa che è finita l’era dell’unico lavoro in tutto l’arco della propria vita, come è finita la dualità del prima si studia e poi si lavora: nel PNRR sono stati stanziati fondi per attività lavorative durante percorsi scolastici. Ci sono segnali che si vada in quella direzione: alcuni il PNRR li ha colti, altri rimangono in chiaroscuro. La pecca del PNRR è che è fatto con occhi da adulti e prova a tracciare dei percorsi che non sono congeniali per i giovani. Infatti il piano italiano non ha il Pilastro Giovani, ad esempio, nonostante Bruxelles l’avesse inserito tra le sei priorità assolute del Recovery Plan.
(da Huffingtonpost)
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Maggio 14th, 2021 Riccardo Fucile
IL FINANZIAMENTO DI 81 MILIONI ALLA BIOTECH DI CASTEL ROMANO GIUDICATO ILLEGITTIMO E QUINDI NULLO
La Corte dei Conti ha bloccato i fondi per ReiThera. La biotech di Castel Romano che sta sperimentando il vaccino italiano non riceverà gli 81 milioni promessi a gennaio da Invitalia.
Il progetto, arrivato alla fase due delle sperimentazioni, rischia di finire qui. Senza quei finanziamenti ReiThera non potrà avviare la fase 3 né ricevere l’autorizzazione all’uso. Il vaccino aveva avuto risultati positivi nella fase uno. Ha appena completato la fase due su circa mille volontari ed è in attesa di raccogliere i risultati.
La palla passa ora al governo, che dovrà decidere come procedere, e in particolare al Ministero per lo sviluppo economico, che all’inizio dell’anno aveva approvato il cofinanziamento.
“Lo schema dell’investimento è illegittimo e quindi nullo” si è limitata a commentare la Corte, il cui parere era atteso da un mese e mezzo circa.
I vertici di ReiThera, che nel progetto del vaccino ha investito 12 milioni propri, hanno accolto la notizia – arrivata tramite la stampa, senza alcuna comunicazione ufficiale – con sorpresa. Il loro unico commento è che restano in attesa di leggere il parere formale della Corte.
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2021 Riccardo Fucile
LA GIOVANE SPORGE DENUNCIA ALLA POLIZIA POSTALE
“Fate schifo, suicidatevi, tutti nelle camere, bruciati. Vi brucerei nei forni”.
Una serie di insulti sono stati rivolti negli ultimi giorni ad una ragazza lesbica barese di 18 anni su una chat di Instagram da un account anonimo.
Lo denuncia l’associazione Mixed lgbti di Bari, alla quale la ragazza ha raccontato la vicenda, fornendo screenshot della chat e anche registrazioni di alcune telefonate ricevuto dallo stesso falso profilo che, stando alla voce, dovrebbe appartenere ad un uomo.
In una di queste chiamate la 18enne invita la persona dall’altro lato della cornetta, che continua ad insultarla a partecipare alla manifestazione che si terrà domani anche a Bari a sostegno della legge Zan. Lui declina l’invito continuando con gli insulti: “Non so se questa malattia è trasmissibile”.
L’associazione evidenzia che l’autore degli insulti lo avrebbe fatto “unicamente per farla sentire sbagliata a causa del suo orientamento sessuale. L’omofobia ha un volto, e forse chi giudica inutile il ddl Zan non ha la più pallida idea di quale questo volto possa essere”.
“La decisione di denunciare – spiega la 18enne, che intende sporgere anche formale denuncia alla Polizia postale – deriva dalla necessità di far sentire meno soli tutti coloro che subiscono insulti omofobi. Io ho un bel rapporto con la mia famiglia, ma qualcun altro avrebbe reagito molto male a tutto questo odio: è bene che la gente sappia cosa subiamo ancora nel 2021″.
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2021 Riccardo Fucile
200 FEDELI DELLA COMUNITA’ MUSULMANA HANNO COSI’ POTUTO CELEBRARE LA FESTA DI “ID EL FITR”
La comunità musulmana di Fossano aveva richiesto al comune di poter celebrare la festa di «Id el fitr» in una piazza o in un altro luogo pubblico idoneo. Ma non hanno mai ricevuto una risposta. L’anno precedente invece la richiesta era stata negata per le restrizioni antivirus sugli assembramenti e per «carenze documentali relative alla modalità di organizzazione». Proprio le norme anti virus impedivano alla comunità di festeggiare nella moschea locale, troppo piccola per poter contenere tutti e rispettare il distanziamento. Racconta La Stampa Cuneo:
«A Fossano è accaduta una cosa speciale – dice il parroco, don Flavio Luciano, che ha reso disponibili i locali per la celebrazione islamica -. Alle 8,30 noi pregavamo con la messa di sopra, in chiesa, e loro nei locali esattamente sotto. L’ho fatto notare ai fedeli, riflettendo sul salmo che dice: “Dio vuole la salvezza di tutti i popoli”».
«Ci siamo sentiti accolti e siamo molto riconoscenti nei confronti di don Luciano e di tutta la Chiesa fossanese – sottolinea Adbelhadi Moujeahid, uno dei responsabili della comunità musulmana -. Il locale è grande e ci siamo sistemati anche nei corridoi all’esterno, riuscendo a stare tutti comodamente. Quella per la fine del mese di Ramadan è una celebrazione speciale: si prega, si fa un discorso e poi ognuno lascia un’elemosina per i bisognosi, uno dei nostri doveri come fedeli».
«È stato emozionante vedere arrivare queste persone in un silenzio raccolto, con i loro tappetini. Hanno una dignità incredibile – osserva don Luciano -. Anche da parte loro arriva una predicazione sulla fratellanza universale, sul fatto che il vero musulmano cerca di costruirla».
Fino all’anno precedente al 2020 invece «Id el fitr» a Fossano veniva festeggiata nella palestra comunale, sempre concessa dalla precedente amministrazione.
Secondo la comunità musulmana il comune non l’ha resa disponibile .
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2021 Riccardo Fucile
SERVE LA RATIFICA DI TUTTI I PARLAMENTI UE, MANCANO ANCORA ANCHE UNGHERIA, POLONIA, AUSTRIA, ROMANIA E PAESI BASSI
L’ultima minaccia al Recovery Fund si chiama Cappuccetto Rosso e viene da Helsinki. Dall’inizio di questa settimana la confusione regna sovrana all’interno del Parlamento finlandese chiamato a ratificare il fondo di recupero Ue da 750 miliardi per contrastare il crollo economico causato dalla pandemia.
La discussione sarebbe dovuta terminare mercoledì ma l’ostruzionismo dell’opposizione, e in particolare della destra dei Veri Finlandesi, ha ritardato il dibattito: l’ultima sessione della plenaria si è dilungata per 20 ore di fila, iniziata mercoledì sera e terminata giovedì mattina.
Tra varie interruzioni, riunioni del Comitato di diritto costituzionale e proteste, sono stati ascoltati più di 150 interventi, portati avanti soprattutto dalla destra euroscettica.
I deputati del partito di opposizione Veri finlandesi, contrari ovviamente al Fondo Ue, hanno fatto ricorso a ostruzionismo e tecniche dilatorie, compresa la lettura di lunghi estratti dalle fiabe come Cappuccetto Rosso (come ha fatto il parlamentare Sheikki Laakso) e da testi di inni liturgici, come riferisce l’emittente “Yle”.
Il presidente del Parlamento, Anu Vehvilainen,ha annunciato la sospensione già ieri ma oggi altri contrasti sulle procedure parlamentari da seguire hanno di nuovo fatto slittare l’aula.
Gli equilibri parlamentari sono abbastanza precari. Per dare il via libera al Recovery in Finlandia servirà la maggioranza dei due terzi dell’aula, per motivi costituzionali. Le cinque forze politiche al Governo da sole non hanno i numeri (117 su 200) e si aspettano il contributo dei partiti di opposizione.
Sicuramente non ci sarà la disponibilità del Finns party, ma chi nei giorni scorsi ha aperto al Governo guidato dalla socialdemocratica Sanna Marin è il Partito di Coailzione Nazionale di centrodestra.
Dopo diversi negoziati sia con le forze di maggioranza sia soprattutto con funzionari e rappresentanti politici di Bruxelles, il leader del partito Petteri Orpol ha lasciato libertà di voto, consapevole tuttavia che all’interno del suo gruppo parlamentare ci sono molti favorevoli ma pure molti contrari al fondo Ue .
Dopo il via libera arrivato ieri da Estonia e Irlanda, sono al momento sei gli Stati che ancora devono ratificare la legge nazionale per far partire il Recovery.
Sono l’Austria, la Polonia, i Paesi Bassi, la Romania e l’Ungheria, oltre naturalmente alla Finlandia.
A loro ieri il Commissario Ue al Bilancio Johannes Hahn ha lanciato l’appello per “accelerare il processo per iniziare in tempo con l’attuazione di Next Generation Eu che fornirà i soldi tanto necessari per la ripresa dell’Europa”.
I timori maggiori arrivano però da Helsinki, non tanto per una mancata approvazione della legge che consentirà alla Commissione Europea di indebitarsi sui mercati per finanziare il fondo, quanto per una sua approvazione in ritardo.
Di tempo ne è rimasto poco: serve che il via libera da parte dei Parlamenti nazionali di tutti i Ventisette Paesi Ue arrivi entro fine maggio per non far slittare di un mese l’erogazione della prima tranche di sussidi ai Paesi che li aspettano con ansia, Italia in testa.
Pochi giorni fa la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha ricordato come tutto dipenda “dal mese in cui gli Stati ratificano, noi possiamo andare sui mercati il mese successivo. Se ratificano il 2 giugno, ad esempio, possiamo andare a luglio”.
Il Finns Party non pare intenzionato a desistere nel suo ostruzionismo anche per ragioni politiche dal momento che a breve, il 13 giugno, si terranno le elezioni comunali e il partito euroscettico, tra i favoriti, vuole capitalizzare il suo peso politico.
Ma che la situazione in Finlandia non sia da prendere sotto gamba lo dimostra anche l’inversione a U di due giorni fa del vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis. Parlando in audizione al Parlamento Europeo lunedì scorso, il commissario lettone ha condiviso la disponibilità del collega italiano Paolo Gentiloni ad aprire una riflessione, in futuro, per rendere il Recovery uno strumento permanente dell’Ue: ”È prematuro aprire un dibattito ora, ma più successo avremo nella sua implementazione, più spazio ci sarà per una discussione su uno strumento permanente di natura simile”, aveva detto Dombrovskis agli eurodeputati.
Parole che hanno fatto saltare sullo scranno buona parte dei parlamentari finlandesi che a fatica hanno digerito l’attuale strumento, nato per far fronte solo e soltanto alla pandemia. Non è un caso quindi che, nemmeno 24 ore dopo, il vicepresidente lettone della Commissione sia tornato sui suoi passi e lo abbia fatto ricorrendo alla lingua finlandese su twitter: “Per la Commissione europea è chiaro che il programma Next Generation EU è uno strumento una tantum, non ricorrente e strettamente limitato nel tempo” e rappresenta “la nostra occasione per riprenderci da questa crisi eccezionale”. Tweet subito rilanciato dall’account finlandese di Bruxelles.
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2021 Riccardo Fucile
IL POST DEFINITO “INDEGNO” DAL RETTORE, MA CI SONO VOLUTI SEI MESI PER DELIBERARE UNA SANZIONE RIDICOLA
«Se vai a letto con gli uomini giusti e ‘ammanicati’, allora puoi anche fare da spalla a un uomo affetto da demenza. Praticamente è la storia di Cenerentola», aveva scritto il professorr Bassani lo scorso novembre
Alla fine, a distanza di sei mesi, i provvedimenti disciplinari sono arrivati. Il professor Marco Bassani, docente dell’Università statale di Milano, autore del post sessista contro Kamala Harris, è stato sospeso dall’insegnamento e dovrà rimanere senza stipendio per un mese.
Il contenuto apparso sulla bacheca Facebook del docente lo scorso novembre era stato pubblicato dopo l’elezione della vicepresidente americana e aveva scatenato subito una serie di accese polemiche tra studenti e insegnanti.
La decisione di sospendere il docente di Storia delle dottrine politiche è arrivata oggi, nel corso della riunione del consiglio di amministrazione della Statale di Milano.
Il contenuto del post che finì nella bufera – definito «indegno» dal rettore della Statale – non lasciava dubbi di interpretazione. «Se vai a letto con gli uomini giusti e ‘ammanicati’, allora puoi anche fare da spalla a un uomo affetto da demenza. Praticamente è la storia di Cenerentola»: le parole usate dal professor Bassani per riassumere il successo della vicepresidente Usa Harris.
Il post, rimosso in meno di 24 ore, risale all’8 novembre dello scorso anno e fu screenshottato come prova da molti studenti del docente ora sospeso dall’insegnamento.
(da agenzie)
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Maggio 14th, 2021 Riccardo Fucile
PER LEI DISINFORMAZIONE E’ SOLO “SERVIZIO SARCASTICO”
Ecco, fino a quando scambieremo le offese per battute e la disinformazione per sarcasmo, non potremo mai restituire la giusta dimensione alle vicende storiche che stanno attraversando l’Italia nell’ultimo periodo.
Vi abbiamo parlato già del servizio andato in onda nel corso della trasmissione Anni 20, che – utilizzando luoghi comuni e voli pindarici – gettava discredito sulle decisioni dell’Unione Europea.
Ora, Giorgia Meloni su Anni 20 intende intervenire nella polemica, schierandosi al fianco della trasmissione, nonostante sia stata la stessa Rai ad annunciare provvedimenti nei confronti di chi ha permesso la messa in onda di quel servizio.
Per Giorgia Meloni le critiche a questo servizio altro non sono che un tentativo di imporre la censura e il bavaglio. Come se ci volessero tutti portare in Corea del Nord.
In realtà, la questione è molto più profonda di come è stata impostata dalla leader di Fratelli d’Italia, che ha cercato di buttare la palla in tribuna parlando di «servizio sarcastico».
Cosa fa questo servizio? Informa? Se sì, lo fa nel modo corretto e documentato? La risposta a queste domande è no, visto che – come abbiamo spiegato nel nostro articolo – c’è tanta confusione e disinformazione, con tematiche complesse trattate con superficialità.
Stando a quanto riportato dall’Ansa, inoltre, Fabrizio Salini – amministratore delegato della Rai – sarebbe furioso con la trasmissione e starebbe pensando a prendere provvedimenti.
Non si discute di un pezzo di satira o di un’opinione personale: la satira e l’informazione corretta dovrebbero viaggiare su binari diversi e – soprattutto – nettamente separati.
Rettificare un servizio che contiene informazioni parziali o errate non può essere messo sullo stesso piano della censura alle opinioni.
(da Giornalettismo)
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Maggio 14th, 2021 Riccardo Fucile
INESATTEZZE, BALLE E DISINFORMAZIONE PER METTERE IN CATTIVA LUCE LA UE A VANTAGGIO DEI SOVRANISTI
Un servizio che in due minuti passa dal via libera dell’Unione Europea all’alimentazione a base di “insetti” e vino annacquato, all’abolizione dei campi rom.
In mezzo, tutte le tematiche collegate all’approvvigionamento dei vaccini, il riferimento a un «bavaglio al ddl Zan», l’esaltazione nemmeno troppo velata della Brexit.
Tutto questo è possibile ascoltarlo sul servizio pubblico, in onda su Raidue, nel corso della puntata della trasmissione di approfondimento Anni 20, condotta da Francesca Parisella.
Prendiamo in considerazione i dati. Certo, gli ascolti non procedono benissimo per questo spazio di approfondimento serale di Raidue. Ma la posizione destinata alla trasmissione Anni 20 nel palinsesto è comunque di pregio e prestigio. È necessario, dunque, quantomeno cura e approfondimento nel confezionare servizi che verrano proposti all’audience del giovedì sera di Raidue.
Non si può limitare a ripetere il vecchio mantra ce lo chiede l’Europa e accostarlo a elementi molto suggestionanti senza spiegarli con dovuto approfondimento.
In primo luogo c’è stata una sorta di battaglia contro le nuove norme in termini alimentari che coinvolgono l’Unione Europea.
La trasmissione ha messo sullo stesso piano, ad esempio, il via libera dell’UE al consumo delle larve delle tarme della farina, un coleottero il cui nome scientifico è Tenebrio molitor, presentata come una vera e propria zuppa di vermi vivi e vegeti (mentre la proposta approvata dalla commissione europea il 3 maggio scorso prevede il loro utilizzo soltanto nelle forme disidratate e intere, oppure come farina da usare come ingrediente di altri alimenti) con l’ipotesi – ancora tutta da confermare e da affrontare con gli opportuni distinguo – della proposta di un vino a basso contenuto alcolico
Quante inesattezze nel servizio di Raidue
Ma poi, passare dall’alimentazione ai vaccini – mettendo sempre al centro della critica la gestione dell’Unione europea – è un attimo. E allora, ecco che conviene attaccare la campagna vaccinale centralizzata, con le trattative condotte per conto della Commissione Europea (e non per singoli Paesi, quindi con una potenza di fuoco decisamente più alta rispetto a un possibile incrocio tra case farmaceutiche e Paesi singoli come l’Italia o, ad esempio, Grecia, Malta, Spagna, Belgio), mettendo sull’altro piano la gestione virtuosa del Regno Unito che si godrebbe così i benefici della Brexit.
Una vera e propria perla – nel servizio intitolato Il Contrappunto – arriva al momento di parlare del Recovery Fund.
Il cronista che lo ha realizzato afferma: «Con il recovery fund, poi, il pacchetto europeo prescrive non solo debiti, riforme e nuove tasse, ma ci chiede anche di munirci di bavaglio, raccomandano una sorta di Ddl Zan in scala continentale».
Non si capisce il riferimento e il confronto tra una misura economica e una che, invece, dovrebbe tutelare una comunità dalle discriminazioni a carattere sessuale, mentre è chiarissimo che – per chi ha mandato in onda il servizio – il disegno di legge debba essere considerato a prescindere una misura che limita la libertà di espressione.
Un concetto, insomma, degno della migliore propaganda della destra sovranista sul tema.
Finita qui? Nemmeno per idea. Il cerchio si chiude su un’Europa che invece sarebbe silente (e che direbbe chissenefrega, con tanto di animazione con il gesto dell’ombrello) sulla riforma della giustizia, sul codice degli appalti (strano, perché si tratta proprio di paletti indispensabili per andare avanti proprio con il tanto vituperato Recovery Fund) e sull’abolizione dei campi rom. Ché i rom, buttati in mischia alla fine di un servizio del genere, ci stanno bene sempre.
(da Giornalettismo)
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