Maggio 19th, 2021 Riccardo Fucile
TRAGICO TRIPLICE ERRORE DEL SENATORE LEGHISTA SU INSTAGRAM
Triplo epic fail di Simone Pillon, il senatore leghista noto ai più per il grande fustigatore omofobo del Ddl Zan.
Che, una volta tanto, abbandona la sua torquemadesca caccia alle streghe per gettarsi nella musica e, in particolare, nell’addio a Franco Battiato, ieri per distacco il trending topic di giornata.
Riuscendo anche qui per farsi malissimo, con una serie di errori da matita blu per chiunque abbia anche una vaga conoscenza della discografia di Battiato.
“Sono cresciuto con le tue canzoni” scrive Pillon su Instagram sotto una foto del Maestro e cantautore siciliano. E comincia ad elencare: “da Voglio vederti ballare all’era del cinghiale bianco, da Paloma alla cura”.
E noi, soliti malpensanti, non abbiamo nessun motivo di credere che non sia vero, che cioè anche Pillon sia cresciuto ascoltando come milioni di italiani alcuni dei più grandi successi di Franco Battiato.
Di sicuro non ne conosce manco per sbaglio i titoli.
Dei quattro citati, Pillon riesce nella non semplice impresa di sbagliarne tre, circa il 75% del totale.
Mica male per uno cresciuto con Battiato. Per i pochi che non lo sapessero, e a mero titolo di cronaca, infatti, “Voglio vederti ballare” era in realtà “Voglio vederti danzare”, Paloma era semplicemente il verso più evocativo di quella hit nota come Cuccurucucù, pezzo più celebre di quel capolavoro di album che risponde al nome de “La voce del padrone” (1981).
E, per essere proprio fiscali, “La cura” si scriverebbe con l’articolo, ma qui entriamo in questioni lana caprina per uno che Battiato lo ha ascoltato con la stessa attenzione con cui ha letto il Ddl Zan.
Va riconosciuto a Pillon di essere riuscito in un’impresa apparentemente impossibile: riuscire a completare un post oltre le tre righe senza inserire al suo interno qualche offesa omofoba, perla oscurantista o insulti all’intelligenza (la propria).
Un passo alla volta, dai.
(da NextQuotidiano)
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Maggio 19th, 2021 Riccardo Fucile
SA CHE DI FRONTE A UN’IMPASSE POTREBBE ESSERE COSTRETTO AD ACCETTARE
In più occasioni Sergio Mattarella ha lasciato intendere di non essere disponibile per un secondo mandato presidenziale. Lo ha fatto en passant nel discorso di fine anno con quel “care concittadine e cari concittadini, quello che inizia sarà il mio ultimo anno da presidente della Repubblica”.
Lo ha fatto indirettamente, a inizio febbraio, ricordando Antonio Segni a 130 anni dalla nascita e, in particolare, una proposta che l’ex capo dello Stato avanzò agli inizi degli anni Sessanta. Riguardava, non a caso, l’opportunità di introdurre in Costituzione la non rieleggibilità del capo dello Stato.
Stavolta, parlando ai bambini della scuola elementare Geronimo Stilton di Roma, l’ha messa giù con inequivocabile chiarezza, introducendo un elemento personale: “Il mio è un lavoro impegnativo, ma tra otto mesi il mio incarico termina, potrò riposarmi, sono vecchio”.
Il prossimo 23 luglio Mattarella compirà 80 anni che non è propriamente un’età incompatibile col ruolo. Sandro Pertini, al momento dell’elezione di anni ne aveva 82. Napolitano, alla seconda elezione 88, il che significa che alla prima ne aveva 81.
Più che il riferimento anagrafico, evidentemente vale il senso complessivo del messaggio, in relazione al rumore di sottofondo che si ode nei Palazzi sull’eventualità del suo bis, resistente anche alle insistenti precisazioni.
Anzi, i più maliziosi, avvezzi ad attribuire ai democristiani l’antica arte della simulazione e della dissimulazione, proprio in questa insistenza nel negare, vedono una preparazione ad una eventualità che deve consumare fino in fondo i suoi rituali dell’eccezionalità: l’indisponibilità, gli scatoloni a palazzo Giustiniani, fino alla grande chiamata in assenza di alternative.
La sensazione del cronista è che non ci sono ragioni per dubitare della sincerità di Mattarella.
Già in tempi non sospetti, prima del default politico che ha imposto una situazione di emergenza, ha espresso le sue perplessità sul considerare ordinaria la rielezione di un capo dello Stato perché sette anni sono già un tempo congruo e raddoppiarli significa portare ai vertici delle istituzioni una anomalia politica e in fondo anche costituzionale. Proprio il citato Segni, nel presentare la sua proposta, definiva “il periodo di sette anni sufficiente a garantire una continuità nell’azione dello Stato” e aggiungeva che l’introduzione della ineleggibilità “vale anche ad eliminare qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione”.
Il che non è certo il caso di Mattarella, ma il punto è proprio questo: quanto la sua permanenza al Quirinale ne altererebbe, nella percezione e nella sostanza, il ruolo? Inevitabilmente, dopo due bis, ogni inquilino del Colle verrebbe percepito come il primo successore di se stesso e, anche involontariamente, i suoi atti durante il settennato potrebbero essere letti sotto questa luce.
E fin qui c’è la dottrina, le buone intenzioni di oggi, la stanchezza di anni pesanti, soprattutto l’ultima legislatura, iniziata con la richiesta di impeachment e le effervescenze populiste, e terminata con un governo del presidente per far fronte alla più drammatica emergenza degli ultimi cinquant’anni.
Poi c’è la situazione concreta. Domanda: si può escludere che, di fronte a una impasse di straordinaria gravità, con i partiti che non riescono a mettersi d’accordo su un nome, l’ennesimo scenario di emergenza nel quale garantire la continuità di un governo di emergenza, l’effervescenza dei mercati, Mattarella sia “costretto” a piegarsi alla ragion di Stato? La risposta è no.
E dunque, le ultime uscite del capo dello Stato, dalla convocazione dei presidenti delle Camere al Colle per sollecitare i partiti a mettere la testa sul Recovery all’appello ad evitare inutili tensioni, raccontano proprio questo: la consapevolezza che, per concedersi un meritato riposo, la precondizione è che il quadro politico sia in sicurezza.
Se altrimenti l’attuale maggioranza affronta la partita del Quirinale in ordine sparso si crea automaticamente un contesto che giustifica l’appello a rimanere contro le sue intenzioni.
Il tema politico è questo: se Draghi, l’unico che può avere un consenso largo in un Parlamento in cui né centrodestra né centrosinistra sono in grado di eleggersi il capo dello Stato da soli, è costretto a rimanere nella sala macchine di palazzo Chigi come garanzia sul Recovery, si può, ed è opportuno, cambiare presidente in una fase emergenziale di governo del presidente senza contraccolpi?
O in fondo c’è una missione comune da portare a termine che al dunque sarà più forte delle inclinazioni soggettive?
(da Huffingtonpost)
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Maggio 19th, 2021 Riccardo Fucile
SI SFILA ANCHE LA BONGIORNO… SU ROMA E MILANO E’ IL CAOS
Che Guido Bertolaso non accetti di fare il candidato sindaco del centrodestra a Roma per Giorgia Meloni è una sorta di fake news messa in giro dai giornali.
Ma, nonostante il corteggiamento asfissiante di Matteo Salvini e il via libera ufficiale da parte di FdI espresso durante il vertice di coalizione della settimana scorsa, l’ex capo della Protezione civile non ha cambiato idea e le sue dichiarazioni in tal senso sono state sempre molto chiare, ormai da mesi.
“Io ho fatto la mia scelta, finirò di vaccinare i cittadini della Lombardia e poi posso dedicarmi a fare il nonno che è la mia aspirazione principale. Sarebbe stato un sogno (correre per conquistare il Campidoglio, ndr) ma io ho dato, servono forza giovani e motivate”, una delle sue ultime affermazioni che, francamente non lascia spazio a molti dubbi.
Dubbi che invece non ci sono sul fatto che la leader di FdI abbia il vento in poppa – l’ultimo sondaggio di Swg per il Tg de La7 accredita il partito al 19,5%, davanti al Pd e a un passo dalla Lega che è al 21% ma con una perdita costante di settimana in settimana – e questo, ovviamente, non può che avere pesanti ripercussioni sulle trattative in corso per individuare i candidati comuni alle amministrative d’autunno
Oltre che chiaramente per le future Politiche, ma questo è un altro discorso, step by step, e ora è davvero tempo di chiudere il cerchio anche perché l’unica certezza per le grandi città al voto a ottobre è Torino dove l’imprenditore Paolo Damilano è in campo da dicembre scorso con la sua lista civica “Torino bellissima” e ha già incassato l’endorsement del leader della Lega e, sembra, di tutto il centrodestra
Ma fino a quando non ci sarà l’ok definitivo su tutte le cinque metropoli anche il suo nome non è ufficiale (l’altra è Bologna, dove il centrodestra è in alto mare e, in ogni caso, in tutti i capoluoghi citati si parte da uno 0-5, visto che tutti i sindaci uscenti sono di centrosinistra e nel caso di Beppe Sala a Milano e della pentastellata Virginia Raggi a Roma anche ben piazzati nei sondaggi).
Vincere nella Capitale e nel capoluogo lombardo sarebbe fondamentale e l’unico che forse avrebbe avuto chance per giocarsela con il favorito Sala sarebbe stato Gabriele Albertini, che ha cortesemente declinato l’invito.
Si scalda Maurizio Lupi, ex ministro azzurro ora leader di Noi con l’Italia, spinto da FI ma che non fa impazzire gli alleati.
E Roma? Governare Roma spaventa tutti, compresa l’avvocata di ferro e senatrice leghista Giulia Bongiorno il cui nome era girato nelle ultime ore ma più come suggestione giornalistica che altro, visto che la diretta interessata ha già fatto sapere di non pensarci proprio.
Urge dunque, come peraltro ha chiesto espressamente ieri la Meloni in diretta tv, che “Salvini convochi un tavolo nei prossimi giorni”, visto che quello che si è tenuto mercoledì scorso è stato una sorta di vertice di ‘secondo livello’, con i rappresentati degli enti locali dei partiti della coalizione, con l’impegno che oggi ci sarebbe stato l’incontro probabilmente decisivo tra i leader nazionali: e invece niente da fare, anche quella in programma oggi è una riunione fra i ‘colonnelli’ di Lega, FdI, FI e partiti minori della coalizione; per il faccia a faccia tra i big si dovrà aspettare forse venerdì se non addirittura la settimana prossima.
(da La Repubblica)
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Maggio 19th, 2021 Riccardo Fucile
TRANSFUGHI DI FORZA ITALIA POTREBBERO UNIRSI AL PARTITINO DI TOTI PER GARANTIRSI LA CANDIDATURA ALLE PROSSIME POLITICHE
Il nome c’è già ed è stato depositato il 15 aprile scorso: ‘Coraggio Italia’.
Anche il simbolo, dal punto di vista grafico, sarebbe pronto (qualche bozzetto circola già). Da più parti danno per imminente il lancio ufficiale del progetto politico di Luigi Brugnaro.
Il sindaco di Venezia potrebbe accelerare i tempi e, secondo le ultime indiscrezioni raccolte dall’Adnkronos, sarebbe pronto a scendere in campo nei prossimi giorni per dar vita a un nuovo contenitore moderato, con tanto di manifesto dei valori per provare ad aggregare un’area centrista oggi non rappresentata, primo passo verso un nuovo partito.
Il patron di ‘Umana’ potrebbe contare su un drappello di parlamentari alla Camera disposti a seguirlo nella nuova avventura. Soprattutto tra le fila di Forza Italia, dove sono tanti i moderati insofferenti, preoccupati dall’assenza di Silvio Berlusconi e da un futuro sempre più incerto.
I boatos parlano di almeno una quindicina di deputati ‘attenzionati’ da Brugnaro (big e peones) che, se dovessero cedere alle sirene del sindaco-imprenditore, si sommerebbero agli esponenti di ‘Cambiamo’, ora nel Misto: i ‘totiani’ sono dieci, ma potrebbero ridursi a 8 con l’addio dei giovani bergamaschi Alessandro Sorte e Stefano Benigni, dati in uscita verso Fdi.
In tutto, dunque, potrebbero essere quasi una trentina i deputati coinvolti per costituire un gruppo autonomo. Come sempre capita in questi casi, la maggior parte uscirebbe allo scoperto solo all’ultimo momento.
La sensazione è che stavolta, rispetto alle voci di qualche mese fa, Brugnaro sia molto avanti. Tant’è che i vertici di Fi, annusato il pericolo di ‘fuga’, avrebbero iniziato a fare telefonate per blindare i gruppi.
Intanto, pronta a lasciare il Cav per approdare a ‘Coraggio Italia’ sarebbe una berlusconiana doc come Michaela Biancofiore. Tra gli azzurri contattati da Brugnaro ci sarebbero Marco Marin e Stefano Mugnai, già coordinatori regionali del Veneto e della Toscana: in questi giorni il pressing su di loro sarebbe forte, ma, ad oggi, nessuno dei due parlamentari avrebbe dato risposta affermativa.
Anche Cosimo Sibilia, storico esponente forzista in Campania e attuale presidente della Lega nazionale dilettanti, avrebbe avuto contatti con il primo cittadino della Serenissima.
Le trattative di Brugnaro con Giovanni Toti sarebbero molto avanzate (hanno pranzato a Roma il 12 maggio scorso e si rivedranno a breve). Il punto di riferimento resta sempre il perimetro di centrodestra.
L’obiettivo è raccogliere soprattutto pezzi di Fi e persino della Lega, ma pure chi a sinistra e tra i Cinque stelle sente la mancanza del centro, per poi presentarsi alle politiche del 2023.
Magari provando a contarsi già alle amministrative di ottobre con una lista ad hoc. Non si sa se il suo sarà solo un ruolo di padre nobile o king maker. Ma, riferiscono, ”quel che conta è partire, ora è prematuro parlare di chi fa che cosa…”.
Forte della sua rete di conoscenze, a tutti i livelli, soprattutto nel mondo delle imprese, il patron di ‘Umana’ (holding che raggruppa una ventina di società, dall’edilizia allo sport) considera Matteo Salvini e Giorgia Meloni interlocutori importanti e sarebbe legato ancora da un rapporto personale con Berlusconi, ma solo con lui dentro Fi.
Per partire Brugnaro ha bisogno di una ‘stampella’ in Parlamento e per questo vede in ‘Cambiamo’ un partner ideale per imbarcarsi in questa avventura. Tutti si chiedono chi è disposto a seguirlo alla Camera e magari al Senato. Forza Italia è sul chi va là, perché anche se i sondaggi la danno al 6-7 per cento, resta il problema della prospettiva politica e delle future candidature.
(da agenzie)
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Maggio 19th, 2021 Riccardo Fucile
TRIBUNALE SEMPRE PIU’ VICINO
L’ultima mediazione è naufragata alla fine della scorsa settimana, il rapporto tra M5s e Rousseau è sempre più destinato a risolversi in un’aula di tribunale.
Emissari di Giuseppe Conte sono entrati in contatto con il notaio Valerio Tacchini. Amico storico di Beppe Grillo, Tacchini ha un consolidato rapporto anche con Davide Casaleggio e con il mondo di Rousseau, che conosce molto bene anche perché è proprio lui che negli ultimi anni ha certificato la validità e la sicurezza dei voti sulla piattaforma telematica.
“Si sono parlati”, si confidavano tra loro i maggiorenti M5s, speranzosi che una schiarita fosse alle porte. Ma le trattative tra gli emissari dell’una e dell’altra parte si sono concluse con un nulla di fatto, e il sospiro di sollievo è rimasto strozzato nella gola.
La situazione si è avvitata, la spirale di disgregamento ha iniziato nuovamente ad esercitare la propria forza centrifuga e le artiglierie si sono rimesse in attività. Parte da lì la mossa di Vito Crimi. Il capo reggente ma disconosciuto ha inviato alcuni emissari alla sede milanese della Casaleggio Associati, con l’obiettivo di farsi consegnare il database degli iscritti. Missione fallita.
La risposta dei Rousseau non si è fatta attendere. Come in una commedia dell’assurdo è arrivata sul Blog delle stelle, organo politico di M5s del quale però M5s non ha le chiavi.
È stata Enrica Sabatini, fondatrice insieme a Casaleggio della piattaforma, a spiegare quale sarà la linea: i dati verranno consegnati solo al legale rappresentante, e nei tempi che richiederà il raccoglimento del consenso di tutti gli iscritti, uno ad uno.
Un post che continua a far discutere oggi nelle chat dei parlamentari, molti dei quali allibiti soprattutto alla notizia, comunicata sempre da Sabatini, che oltre mille attivisti avrebbero chiesto la rimozione dal blog: “È un pizzino in piena regola – commenta un senatore – un messaggio per dire tra le righe di stare attenti a come ci muoviamo”.
È il deputato Aldo Penna a dare corpo ai dubbi di una larga maggioranza di colleghi: “Casaleggio coltiva ormai l’idea non più segreta di impadronirsi dell’elenco degli iscritti del Movimento Cinque Stelle. Per farne la base per un soggetto politico sotto il suo totale controllo”.
Non mancano le critiche anche a Crimi e a una gestione che in molti ritengono fallimentare di questo delicato passaggio: “Ha mandato gli emissari alla Casaleggio tipo i bravi dei Promessi sposi”.
Proprio a questo proposito raccontano che Beppe Grillo abbia proposto di delegare a Luigi Di Maio la trattativa con Casaleggio, una sorta di plenipotenziario con il compito di trovare una mediazione.
Ipotesi alla quale si sarebbe opposto il figlio del fondatore, deciso a legittimare unicamente il rappresentante legale del Movimento. C’è chi malignamente sostiene che sia stato Conte a non avallare questa soluzione, ma questa seconda versione non trova conferme.
“Crimi e Conte adesso procederanno con la richiesta urgente al tribunale per farsi consegnare i dati” spiega un colonnello M5s, certificando come una soluzione sia lontanissima e come tutto potrebbe concludersi in un’aula di tribunale.
In mezzo una differenza mai colmata tra la richiesta di 450mila euro di arretrati avanzata da Rousseau e i 200mila che sono arrivati a offrire gli emissari M5s, ma anche rapporti ormai segnati da sgarbi e ripicche: raccontano che a Casaleggio non sia andata giù l’ingiunzione avanzata da Crimi per la consegna dei dati, una mossa inaspettata e comunicata con una mail all’una di notte, modi e metodi che l’imprenditore ha giudicato inaccettabili.
(da Huffingtonpost)
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Maggio 19th, 2021 Riccardo Fucile
RICHIESTE DI OLTRE 100.000 DOLLARI, SE NON PAGHI TI PIGNORANO LA CASA E PARTE DELLO STIPENDIO: NONOSTANTE MOLTI GOVERNATORI ABBIANO CHIESTO DI BLOCCARE LE CAUSE, VI SONO AZIENDE OSPEDALIERE CHE SE NE FREGANO
La pandemia non è riuscita a mettere un freno ad alcune delle pratiche più aggressive del sistema sanitario degli Stati Uniti, dove milioni di persone si trovano ancora ad affrontare spese mediche “catastrofiche” nonostante le riforme degli ultimi anni.
Nell’ultimo anno infatti, una delle principali catene di ospedali del paese ha continuato a portare in tribunale i propri ex pazienti, chiedendo di rimborsare somme che in alcuni casi hanno superato i 100.000 dollari.
Lo ha riportato CNN, rivelando come Community Health Systems (CHS), che controlla 84 ospedali in tutto il paese, ha aperto circa 19.000 cause nei confronti dei propri ex pazienti da marzo 2020.
Questo nonostante gli appelli lanciati dalle amministrazioni di diversi stati che hanno chiesto agli ospedali di sospendere le cause dopo lo scoppio della pandemia, a cui molte aziende ospedaliere hanno dato seguito.
Non CHS, che secondo CNN ha portato i propri ex pazienti in tribunale per chiedere di pagare somme che vanno da 201 a 162.000 dollari.
L’emittente ha dichiarato che, in molti dei casi, i giudici si sono pronunciati automaticamente a favore dell’azienda dal momento che gli ex pazienti rinunciavano a difendersi, esponendoli al rischio di ricadute finanziarie pesanti in un periodo già segnato da una recessione senza precedenti.
Secondo CNN, quando vincono le cause, gli ospedali possono agire per ipotecare l’abitazione degli ex pazienti o pignorare parte del loro stipendio.
“Al momento sto facendo del mio meglio per non annegare”, ha detto una donna citata da un ospedale di CHS in Oklahoma, in una lettera inviata al tribunale lo scorso ottobre. “Non ho più niente da dare. Se vi prendete il mio assegno, non avrò un posto dove vivere”, ha aggiunto la donna, una lavoratrice part-time senza copertura sanitaria, affermando che il suo compagno aveva perso il lavoro a causa delle chiusure per la pandemia.
Il primo anno della pandemia è stato molto positivo per CHS, dopo quattro anni consecutivi in rosso tornata a far registrare un utile, pari a 511 milioni di dollari, grazie anche ai 705 milioni di dollari ottenuti in finanziamenti federali e statali. Secondo CNN, grazie ai risultati conseguiti, i dirigenti dell’azienda sono stati anche in grado di pagarsi bonus milionari.
Uno studio pubblicato a settembre 2020 sulla rivista scientifica Jama afferma che circa 11 milioni di cittadini statunitensi hanno dovuto affrontare spese mediche “catastrofiche” nel 2017, ultimo anno coperto dallo studio.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), per spese sanitarie catastrofiche si intendono quelle superiori al 40 percento del proprio reddito, al netto dei costi per gli alimenti e l’abitazione, in grado cioè di portare le persone all’impoverimento.
Nonostante l’aumento del numero di persone coperte da assicurazioni sanitarie grazie alla riforma del 2010 nota come “Obamacare”, milioni di persone rischiano ancora di diventare povere a causa di spese sanitarie eccessive, in termini di aumento dei premi e di somme spese direttamente per curarsi.
Quasi il 54 percento degli 11 milioni citati dallo studio sono infatti coperti di un’assicurazione privata, ottenuta tramite i datori di lavoro o sui mercati online.
A gennaio la catena Northwell Health ha annunciato che avrebbe smesso di fare causa ai propri ex pazienti, dopo la pubblicazione di un’inchiesta del New York Times.
Il quotidiano aveva rivelato come nel 2020 l’organizzazione, una delle più grandi a New York e New Jersey, avesse presentato più di 2.500 cause contro ex pazienti, contravvenendo alla richiesta fatta a marzo del 2020 dal governatore Andrew Cuomo.
Ad aprile è emerso come il Trinitas Hospital, uno dei più grandi ospedali no-profit del New Jersey, abbia continuato a fare causa ai suoi ex pazienti durante l’anno della pandemia, chiedendo quasi 350.000 dollari in più di dieci azioni legali.
Poco prima l’Health System dell’Università della Virginia (UVA) ha annunciato che avrebbe annullato migliaia di fatture arretrate e ipotechi a ex pazienti, risalenti fino agli anni ’90.
L’annuncio è seguito a un’altra inchiesta di Kaiser Health News (KHN), che nel 2019 aveva rivelato che UVA Health System aveva chiesto più di 100 milioni di dollari in 36.000 cause indette contro ex pazienti nell’arco di sei anni. KHN aveva anche scoperto che l’università impediva agli studenti di completare gli studi che avevano debiti sanitari, una pratica che terminerà, secondo quanto dichiarato da un portavoce di UVA.
(da agenzie)
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Maggio 19th, 2021 Riccardo Fucile
LA STORIA DI MAMADOU: “PER MANGIARE ACCETTO LO SFRUTTAMENTO”… LAVORATORI ITALIA E STRANIERI PAGATI 3,5 EURO L’ORA NEL SILENZIO COMPLICE DELLA POLITICA
“Abbiamo manifestato perché per troppo tempo il sangue che scorre lungo la filiera agricola, l’inferno dello sfruttamento, si è scontrato contro il muro dell’indifferenza”. Aboubakar Soumahoro ieri era a Roma, a guidare il corteo dei braccianti.
Sono arrivati fino a piazza Montecitorio, per far salire il loro grido di sofferenza fino alle stanze della politica, per gettare luce su un “dramma disumanizzante che si sta consumando tra le mura di casa loro”.
“La filiera fa oltre 538 miliardi di euro di valore di mercato, ma poi ci sono donne che non hanno la possibilità di fare visite ginecologiche perché non hanno la residenza” dice Soumahoro ad Huffpost, “Ci sono lavoratori a cui è stato negato tutto: lavorano 12 ore al giorno per un salario misero, di 3 euro e 50 all’ora. Dormono nei tuguri, nelle baraccopoli, tra le lamiere. Non possono affittare una casa, non possono permetterselo. Lavorano 20 giornate al mese, ma all’Inps ne vengono notificate quattro, il che significa che non avranno i requisiti per la disoccupazione agricola”.
Si definiscono “invisibili” perché è come se nessuno li vedesse, nessuno si interessasse a loro, nonostante sia anche per il loro sfruttamento che paghiamo poco il cibo che mettiamo sulle nostre tavole.
E quindi è sparendo veramente che sperano di far notare la loro presenza: se le loro richieste non saranno accolte, sciopereranno in piena stagione di raccolto. I campi saranno vuoti, senza nessuno che zappi la terra, che raccolga i prodotti: “Condizioneremo la stagione di raccolta. Il ministro delle politiche agricole dovrebbe venire ad ascoltarci nel fango della miseria e dello sfruttamento. Andasse il ministro del Lavoro a zappare la terra e si renderebbe conto che la maggior parte dei braccianti hanno problemi di schiena. Il presidente Draghi venisse ad ascoltare le nostre ragioni. I campi, in piena stagione, saranno deserti”.
Quello che i manifestanti chiedono – trainati da Soumahoro, italo-ivoriano, attivista della Lega Braccianti – è anche il rilascio del permesso di soggiorno per emergenza sanitaria e il vaccino per tutti: “Serve un permesso di soggiorno per emergenza sanitaria che sia convertibile per attività lavorativa. Uno strumento indispensabile. Ci sono donne che non riescono a fare visite ginecologiche. Viviamo una disuguaglianza vaccinale. Perché non dare l’accesso ai lavoratori, agli invisibili, per metterli in sicurezza? I senza casa, i precari, devono essere vaccinati”.
Un’altra proposta da tempo portata avanti da Soumahoro è l’introduzione della “patente del cibo”: una riforma della filiera agroalimentare che parta dai semi fino alle forchette, che garantisca alle cittadine e ai cittadini un cibo eticamente sano.
Lo Stato deve intervenire per assicurarsi che a zappatori e contadini venga garantito il
rispetto dei diritti salariali, previdenziali, di sicurezza sul lavoro.
La tutela parte dai contadini, passa dai rider e arriva fino ai cittadini: “Uno strumento messo a disposizione dallo Stato e non dalla filiera delle etichette, che vedono aziende pagare strutture terze per dire che loro rispettano diritti. Lanceremo un’iniziativa di legge popolare per elaborare una proposta di legge di riforma della filiera agricola, con l’introduzione della patente del cibo”.
Braccianti, italiani e di altra provenienza geografica subiscono miseria, fame, sfruttamento, caporalato. Gli stessi ai quali durante la pandemia è stato chiesto di continuare a lavorare, a produrre cibo per le famiglie confinate in casa. Indispensabili, ma invisibili. Senza tutele: “Avevamo una norma sul caporalato, la 1369 del 1960, abolita dal governo Berlusconi nel 2003: riguardava il divieto di intermediazione e interposizione nella prestazione di lavoro. È stato distrutto tutto, delegando alla magistratura quello che deve essere il compito della politica, del sindacato, degli ispettori del lavoro, dei centri dell’impiego”.
“È giusto che in Italia mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? È giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie? È giusto questo?”.
“Accetto lo sfruttamento perché altrimenti non avrei da mangiare”
I braccianti senza diritti sono italiani o stranieri. Per entrambi lavorare in nero significa accogliere un compromesso: lo sfruttamento in cambio del cibo. Senza quel lavoro non avrebbero da mangiare, accettano allora quel lavoro nonostante le condizioni mortificanti.
Ce lo racconta Mamadou, 41 anni, partito dall’Africa nel 2015 e sbarcato a Lampedusa. Nella sua terra d’origine ha lasciato la famiglia, i genitori e il figlio sono morti poco tempo dopo che lui se ne era andato. Ora lui vive nel “Gran Ghetto” di Torretta Antonacci, in provincia di Foggia, dove tra container e baracche dormono numerosi braccianti agricoli. Un mese fa un gruppo di individui armati li ha attaccati, due raid nel giro di 48 ore, in cui i braccianti erano come prede per cacciatori. “Avevano in mano pistole. Avevo paura di morire. È stato terribile”, ricorda Mamadou.
Lui si sveglia tutte le mattine alle 4, poi lavora per circa dodici ore: “Il lavoro in nero costa poco per loro. Alcuni non ci pagano proprio: non ho un documento, non ho un contratto, non posso dimostrare di aver lavorato”. Di Soumahoro parla con ammirazione: “Ci insegna cosa sono i diritti e qui mancano. Ci fa avere del cibo ogni tanto. D’inverno c’è poco lavoro, la gente non ha i soldi neanche per comprarsi da mangiare”.
Forte dell’insegnamento di Soumahoro, Mamadou è pronto a chiedere di più: “Non sappiamo quando questo finirà, continueremo a manifestare per avere un cambiamento. Anche se non possiamo avere tutto quello che chiediamo, ci basta qualcosa per migliorare”.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 19th, 2021 Riccardo Fucile
“LA CASSAZIONE HA FISSATO DUE PRINCIPI: SOCCORRERE PERSONE IN PERICOLO IN MARE E’ UN DOVERE E QUESTE PERSONE DEVONO ESSERE SBARCATE IN UN PORTO SICURO”
“La richiesta di archiviazione per Carola Rackete è stata accolta ed è stato emesso il decreto di archiviazione, quindi possiamo considerare ufficialmente chiusa la vicenda che ha visto Carola indagata per essere entrata in un dichiarato stato di necessità nel porto di Lampedusa nel giugno del 2019″.
Lo ha detto Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch parlando dell’archiviazione dell’inchiesta a carico della comandante della nave arrestata nel giugno 2019 per resistenza dopo avere forzato il blocco navale.
“E’ una conclusione logica e necessaria di una vicenda rispetto alla quale la Corte di Cassazione, responsabile per l’interpretazione dei diritti nel nostro paese si era già espressa sottolineando due importantissimi principi – dice Linardi – quello per cui soccorrere chiunque si trovi in pericolo in mare costituisce l’adempimento di un dovere e pertanto non può essere criminalizzato e il principio per cui la nave e che presta soccorso non può essere considerata un porto sicuro e il soccorso stesso si può considerare concluso solo nel momento in cui le persone giungono in un porto salvo”.
E poi aggiunge: “Ci preme sottolineare come questo sviluppo arrivi in un momento in cui la prassi istituzionale continua quotidianamente a calpestare lo stato di diritto, abbandonando le persone in mare, omettendone il soccorso e disponendo fermi amministrativi nei confronti delle navi umanitarie mentre continua anche l’attacco anche sul piano penale nei confronti delle ong indagate per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in un contesto in cui viene calpestato il dovere di soccorrere chiunque si trova in pericolo in mare e il diritto delle persone in pericolo ad essere assistite”
(da Globalist)
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Maggio 19th, 2021 Riccardo Fucile
“SE FOSSERO STATI ASCOLTATI ALLARMI, IL PONTE NON CROLLAVA”… LE RESPONSABILITA’ DEL MINISTERO DELL’ALLORA GOVERNO M5S-LEGA
“Se si fossero ascoltati gli allarmi, se si fosse tenuto conto delle relazioni di esperti e tecnici, chissà come sarebbe andata. Sicuramente il Morandi non sarebbe crollato”.
E’ l’amara constatazione del procuratore capo di Genova Francesco Cozzi che arriva nella settimana in cui sono cominciati gli interrogatori delle nove persone che hanno chiesto di essere sentite dopo la chiusura delle indagini sul crollo del viadotto (14 agosto 2018, 43 vittime).
Tra gli allarmi inascoltati anche quello del professor Antonio Brencich, indagato nell’inchiesta. L’architetto il 29 febbraio 2018 mandò una mail a Salvatore Buonaccorso del Provveditorato alle opere pubbliche per Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta.
In quella mail, mandata a ridosso della riunione per approvare il progetto di retrofitting sul Morandi, Brencich sottolineava come emergesse “uno stato di degrado del ponte impressionante, addirittura con la rottura di alcuni dei cavi metallici degli stralli… uno stato generale di degrado del calcestruzzo e delle armature dell’impalcato, un pessimo stato di conservazione e una incredibile pessima prestazione del manufatto. Quello che emerge dalla lettura dei documenti progettuali è la discrasia estrema tra l’attenzione nel controllo e nella manutenzione del ponte posta dal gestore e l’incredibile pessima prestazione di una struttura con soli 50 anni di servizio”.
Quella stessa mail venne poi inoltrata da Buonaccorso al provveditore Roberto Ferrazza e altri dipendenti del provveditorato. Ma, come emerso dalle indagini, quei rilievi non vennero presi in considerazione e il progetto di retrofitting per le pila 9 (quella crollata) e 10, previsto per ottobre 2018, non si concretizzò perché il crollo avvenne prima.
Se fossero stati considerati, hanno scritto i pm Massimo Terrile e Walter Cotugno, “il ponte andava interdetto al traffico”.
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(da agenzie)
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