Maggio 25th, 2021 Riccardo Fucile
TASSA DI SUCCESSIONE E LICENZIAMENTI, IL PD CHINA IL CAPO E RINUNCIA A ESSERE MOTORE DEL GOVERNO
C’è uno spettro che si aggira per il Nazareno. Ed è lo spettro di Mario Monti, esperienza che, in nome della responsabilità, si rivelò una donazione di sangue per il Pd.
Mario Draghi non è Monti, per agenda nient’affatto rigorista e per sensibilità politica. Però come allora il “forgotten man”, il ceto medio spezzato dalla crisi, si affidò alla rivolta populista, oggi il “licenziato Covid” è un soggetto che prefigura una nuova possibile bomba sociale, in un contesto in cui ci vuole tempo per riattivare la crescita e non è ancora stato predisposto un sistema di ammortizzatori sociali dopo la fase dei “tamponi” emergenziali.
Anche i sindacati e in particolare la Cgil che per prima si era fatta promotrice di una soluzione di emergenza, mentre la sinistra politica era ancora intenta a elaborare il lutto di Conte, hanno cominciato a rialzare i decibel della protesta sociale.
Insomma, aleggia una certa inquietudine, per quel che sta accadendo e per quel che accadrà, e per chi ne pagherà il prezzo più impegnativo.
Il partito delle vedove del governo precedente vede in questo contesto la conferma delle proprie funeste previsioni. E cioè che, in fondo, questo governo di emergenza è solo l’incubatore di una svolta a destra, nel modello di sviluppo prefigurato dal Recovery e negli effetti sociali che produce.
A conferma di questa tesi si dice che proprio la struttura di comando del Recovery ne rappresenta la prova più lampante, perché il grosso dei capitoli di spesa è nelle mani dei ministri “tecnici” da Cingolani a Colao che, per dirne una, sta smontando l’operazione sulla rete unica provando a parcellizzare gli interventi sui territori.
Poi ci sono quelli dei centrodestra, da Brunetta a Giorgetti e poi, da ultimo, quelli del Pd, titolari di ministeri meno coinvolti. Il risultato è che alcune parole d’ordine come “pubblico” sono avvolte da una nuvola di ambiguità: vale per l’efficientamento energetico delle scuole, su cui non è sciolto il nodo delle private, come per la sanità.
Nello spazio di pochi giorni poi sono successi un paio di fatti di non banale rilevanza. La proposta del segretario del Pd di una tassa di successione sui grandi patrimoni, misura spot dal sapore dal sapore “di sinistra”, è stata liquidata dal premier con una battuta.
E l’ipotesi di una norma anche di buon senso, predisposta del ministro Orlando, di prolungare di fatto per un paio di mesi il blocco dei licenziamenti è stata respinta dall’offensiva di Lega e di Confindustria, anche con una certa aggressività.
Tutto il racconto ruota attorno a una situazione subita e di disagio, in cui la buona volontà si infrange contro il muro di una situazione oggettiva proibitiva, quasi di un destino cinico e baro.
In fondo, era prevedibile che il “cambio pagina” dall’emergenza sanitaria a quella economico sociale avrebbe reso il gioco duro. Il punto è come a questo cambio pagina si è arrivati, se per destino o per scelte compiute.
E la sensazione è che il nodo della collocazione del Pd nel governo sia ancora irrisolto. Resta cioè quel paradosso che ne ha accompagnato la nascita, mal gestita e mal digerita, con la conseguente rinuncia a esserne il “motore” politico – perché chi avrebbe potuto esserlo, forse i partiti populisti o i Cinque Stelle al collasso o Forza Italia all’estinzione? – in nome di un grande progetto di ricostruzione nazionale. E invece è difficile trovare un terreno di iniziativa politica del Pd in grado di influenzare l’azione del governo: le riaperture lasciate a Draghi, la pubblica amministrazione a Brunetta, il codice degli appalti a Landini.
In assenza di questa discussione mai svolta, il segretario, che ha ereditato una situazione storta nel manico, ha affidato il recupero identitario alla polemica con Salvini ma, nonostante la sua cultura politica e l’affinità di linguaggio con l’attuale inquilino di palazzo Chigi, si è ritagliato il ruolo di motore del prossimo, con proposte buone per la legislatura che verrà.
Caratterizzano ma incidono poco, mentre nel presente, in fondo, si accetta tutto. Da che mondo è mondo, un grande partito, garante del progetto di ricostruzione dell’Italia, non si espone a una bocciatura delle sue proposte, su temi così delicati, redistribuzione e licenziamenti, se ci crede davvero.
Se li ritiene cruciali, magari non fa cadere il governo, ma quantomeno lo fa ballare, ci fa una battaglia, insomma mica molla così. Invece sono già archiviati. E l’impressione è che il posizionamento a sinistra, così concepito, rende poco credibile l’azione nel governo, e l’azione del governo rende poco credibile il posizionamento a sinistra.
(da Huffingtonpost)
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Maggio 25th, 2021 Riccardo Fucile
IL NODO DEI DEBITI FRENA L’INTESA, FINIRE IN TRIBUNALE ORMAI E’ INEVITABILE
Ormai è diventata una saga a puntate, quella fra il M5S e l’associazione Rousseau, non è dato sapere come si concluderà ma quel che è certo è che il lieto fine è pressoché impossibile.
E, nell’ultima “puntata” non ha certo usato giri di parole Enrica Sabatini, braccio destro di Davide Casaleggio (nella foto con Crimi) e socia della piattaforma di democrazia partecipata che consente agli iscritti di esprimere il proprio parere sulle scelte del Movimento.
E proprio gli iscritti, come è noto, sono il nodo del contendere, le cui generalità Casaleggio e Sabatini si rifiutano di fornire per motivi di privacy sia al leader in pectore Giuseppe Conte che al reggente Vito Crimi, con il quale i rapporti sono tesissimi, come testimonia l’intervista rilasciata al Corriere della sera qualche giorno fa dalla stessa Sabatini: “Fino a che ci sarà Vito Crimi le possibilità di un accordo tra il M5S e Rousseau saranno zero. Da 10 mesi fa saltare ogni possibile serena collaborazione. Purtroppo – ha spiegato – se cerchi autorevolezza politica in un foglio di un tribunale, si arriva alla situazione imbarazzante che viviamo oggi”, aggiungendo che l’unico interlocutore serio e legittimato probabilmente potrebbe essere Luigi Di Maio che “è un decisionista a differenza di tanti procrastinatori seriali”.
Elogio a Di Maio a parte, la situazione non è delle più serene e l’eventualità che la partita finisca per essere giocata nelle aule giudiziarie si fa sempre più concreta.
Anche perché, al netto del nuovo “capitolo” nella contesa in corso a Cagliari, dove il tribunale ha revocato la nomina del curatore Silvio Demurtas per nominare un nuovo avvocato delegato a rappresentare il M5S nel giudizio sulla consigliera regionale Carla Cuccu espulsa e allo stesso tempo ha respinto l’istanza di De Murtas, che andando oltre le funzioni che gli erano state conferite aveva chiesto che il magistrato ordinasse all’associazione Rousseau di consegnargli l’elenco degli iscritti, fra quest’ultima e i pentastellati la questione a monte è sempre la medesima, inutile giraci intorno: follow the money, un buco da 450mila euro.
Nell’intervista al Corriere è infatti ancora una volta sottolineato dalla Sabatini “Che ci sono stati dei confronti con Conte, ma anche qui il problema è Crimi: mentre lui garantiva, anche pubblicamente, che i debiti sarebbero stati onorati, Crimi inviava email per dire che il M5S non li avrebbe invece riconosciuti”.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2021 Riccardo Fucile
AL CORO DI INDIGNAZIONE LA SINGOLARE RISPOSTA DEL PROPRIETARIO: “CHI SI LAMENTA FA CAPIRE LO SPESSORE DELLA GENTE CHE C’E’ IN GIRO” … E I TURISTI DOVREBBE VENIRE IN ITALIA PER SENTIRSI INSULTARE?
Caffè “salati” a Positano, perla della Costiera Amalfitana, nella provincia di Salerno, dove torna a far discutere, ancora una volta, il caro prezzi, riservato soprattutto ai turisti. Oggetto della discussione, questa volta, il conto di uno dei tanti bar della cittadina, pubblicato su Facebook da una donna della provincia di Napoli che si era concessa una sosta a Positano insieme alla famiglia: un totale di 46 euro per due caffè, due coca cola e due bottigliette d’acqua.
“Non so che ne pensate voi, ma 46 euro non si può sentire” scrive Stefania, la diretta interessata, sul social network, pubblicando la foto dello scontrino. Dall’immagine è possibile vedere come un caffè costi 10 euro, così come una coca cola, mentre una bottiglietta d’acqua costa invece 3 euro.
La vicenda ha generato moltissimi commenti, dividendo l’opinione degli utenti che si sono imbattuti nel post della donna: se molti, infatti, condannano conti così salati, tanti altri trovano sia giusto pagare tale cifra in un posto esclusivo come Positano.
“Positano è così. Io quando mi siedo da quelle parti, chiudo gli occhi” scrive, invece, un utente.
Non è la prima volta che la cittadina affacciata sul Golfo di Salerno finisce sotto i riflettori per il suo caro prezzi. Nell’estate del 2013, due turisti italiani, seduti a un bar di Positano, si videro addebitare in conto 12 euro per una insalata, 8 euro per una granita, ma soprattutto 9 euro per una bottiglia d’acqua.
Anche in quel caso, arrabbiati e amareggiati, i turisti pubblicarono la foto dello scontrino sui social network, generando tantissimi commenti e interazioni, da parte di utenti per la maggior parte indignati.
“Bastava che la cliente consultasse i menù che abbiamo”. Il proprietario del locale di Positano, in penisola sorrentina, dove una cliente ha pagato un caffè 10 euro postando poi lo scontrino sui social, si difende. E spiega che i prezzi sono ben chiari sui menu presenti nel proprio locale, e se non avesse voluto avere sorprese sarebbe bastato appunto leggere le cifre riportate.
Ma iamo sicuri che il menù sia fatto visionare ai clienti?
“Tra l’altro”, ha spiegato il proprietario del locale intervistato da Positanonews, “dovrebbe sapere che esiste una differenza tra un bar di una stazione o di Marano. Qui ci si gode la consumazione seduti sulla spiaggia di Positano con un panorama mozzafiato.
Inoltre”, ha continuato il titolare del locale, “abbiamo la musica dal vivo e quindi è chiaro che non si può pagare una bottiglietta d’acqua oppure un caffè 1,50 euro. I musicisti vanno pagati, è normale. Questo fa capire lo spessore della gente che c’è in giro”, ha continuato il titolare, evidentemente seccato dalle polemiche di questi giorni verso lui ed il suo locale.
(da Fanpage)
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Maggio 25th, 2021 Riccardo Fucile
“PERDIAMO UN AMICO, UNA PARTE DELLA NOSTRA FAMIGLIA, E’ STATO UN ONORE LAVORARE CON TE” SCRIVONO I TITOLARI DELLA GELATERIA… GIUSTO PER RISPONDERE A CERTI INFAMI CHE HANNO INSINUATO POTESSE ESSERE UN ATTENTATORE
Mohammadreza Shahaisavandi, detto Hesam, è tra le quattordici vittime dell’incidente di domenica scorsa della funivia del Mottarone sul Lago Maggiore.
Originario dell’Iran, viveva a Roma, dove studiava Ingegneria civile all’Università La Sapienza e lavorava nella gelateria Lemongrass in via Ottaviano.
Hesam è morto a trentadue anni insieme alla fidanzata Serena, con la quale aveva progettato un futuro. La notizia della sua tragica scomparsa, insieme alle altre persone decedute nei drammatici fatti di Stresa, si è diffusa in poco tempo.
Anche Roma piange la sua vittima, in particolare, il quartiere Prati, i cui residenti hanno ricordato Hesam, con tanti messaggi di cordoglio pubblicati sui social network. Tra gli altri, c’è il ricordo della gelateria Lemongrass, dove Hesam lavorava per pagarsi gli studi: “Domenica è stato il giorno più triste per tutti noi – si legge in un post su Facebook della gelateria che ha chiuso per lutto – Perdiamo un amico, una parte importante della nostra famiglia. È stato un onore lavorare con te. Ci hai insegnato a sorridere e non mollare mai di fronte alle avversità della vita e tutto queste battaglie insieme rimarranno per sempre in noi!”.
Insieme ad Hesam a rimanere coinvolta nel crollo della funivia Stresa Mottarone anche Serena Cosentino, ventisettenne originaria di Diamante, in provincia di Cosenza, dove entrambi erano residenti.
La giovane da alcuni mesi si era trasferita a Verbania, dove aveva vinto un concorso come borsista di ricerca al Cnr Istituto di Ricerca sulle Acque.
I due fidanzati la scorsa domenica avevano programmato una gita sul Lago Maggiore, Hesam era infatti andato a trovarla e avevano approfittato del tempo insieme per uscire, riappropriandosi dei primi spiragli di normalità con le riaperture.
I due sono tra le quattordici vittime, il crollo della funivia è avvenuto intorno a mezzogiorno, quando la fune dell’impianto improvvisamente ha ceduto e la cabina è precipitata per un centinaio di metri.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2021 Riccardo Fucile
LICENZIAMENTI E APPALTI, GOVERNO SEMPRE PIU’ VICINO AGLI INTERESSI DEI POTERI FORTI
Appare sempre più evidente che nel “governo arcobaleno” del premier Mario Draghi si sia creato – e nel tempo fortificato – un asse strategico tra la Lega e Confindustria.
E certamente una chiave interpretativa di questo è che il ministro dello Sviluppo Economico sia Giancarlo Giorgetti che rappresenta l’ala economicista e liberale del partito e che infatti soffrì non poco ai tempi del populismo gialloverde del Conte I, quando Salvini era al potere non a caso in un ministero “ideologico”, come quello dell’Interno che gli permetteva di controllare uno dei punti chiave del programma del suo partito, il contrasto all’immigrazione.
La nomina di Giorgetti è il segno questo di uno spostamento di potere del baricentro leghista.
Questa riflessione è dettata da fatti concreti. Il decreto semplificazioni contiene due proposte – i subappalti senza limite e al massimo ribasso -, che sono due misure che hanno provocato immediate prese di posizione da parte anche degli stessi costruttori. “Buttare il codice e usare quello europeo vorrebbe dire bloccare la macchina operativa – taglia corto il presidente dell’Ance Gabriele Buia -. Adesso non si può fare, è l’ora delle misure strategiche. Azzerare tutto non è la via d’uscita”.
E non è tutto. “Il piano Next Generation Ue porterà all’Italia tantissime risorse in tempi molto stretti e ciò ovviamente aumenterà anche eventuali appetiti criminali sulla spesa pubblica – gli fa eco il presidente dell’Anac, Giuseppe Busia -. Quindi, è necessario adottare dei contrappesi che non rallentino la spesa, visto che la stessa deve essere strumento di innovazione e sviluppo. Dobbiamo però dare massima trasparenza agli appalti e garantire che le istituzioni competenti e tutti i cittadini li possano controllare. Inoltre, e soprattutto, abbiamo bisogno di una Pubblica amministrazione più forte e competente: è la migliore misura anticorruzione”.
Il primo punto contestato – e cioè quello dell’abolizione del limite del 40% sui subappalti – è infatti visto come un chiaro esempio di aperture alla criminalità.
E Busia lo dice chiaro: “Se la paura legata all’abolizione di un limite fisso si giustifica con il timore dell’infiltrazione criminale o mafiosa – che costituisce effettivamente un rischio legato ai subappalti incontrollati – dobbiamo anche riconoscere che anche il precedente limite del 30%, come pure quello del 40% non vanno bene. Non possiamo essere così ipocriti da dire: accetto la presenza delle mafie negli appalti, purché rimanga nel limite del 40% o del 30%”.
Insomma non si può dire che l’Anac abbia usato il fioretto quanto piuttosto la spada, anzi lo spadone. Poi c’è il secondo punto, quello del massimo ribasso.
Contro si sono espressi già il Partito democratico e i sindacati, mentre Lega e buona parte di Forza Italia sono favorevoli.
Dietro c’è una partita essenziale e cioè quella della sicurezza e la vicenda del ponte Morandi crollato a Genova qualcosa dovrebbe insegnare e cioè che il privato è bravissimo ad analizzare e trovare immediatamente il punto debole di una legge per curvarla a suo favore.
Nel frattempo Salvini, da bravo soldato di Giorgetti, rilancia, chiedendo addirittura l’abolizione del Codice sugli appalti, tanto per far capire quanto la Lega sia determinata ad aiutare i suoi elettori imprenditori che hanno annusato l’oceano di denaro che si sta per riversare da Bruxelles e non vogliono certo farsi trovare impreparati.
E qui qualche osservazione politica è d’obbligo. Cosa vuole fare da grande Draghi? Lo spirito che lo anima è solo quello liberal sviluppista, senza alcuna considerazione per l’etica?
Se così fosse rischierebbe di creare rapide condizioni di instabilità della sua maggioranza nella componente M5S-Pd ed abbiamo visto che poi certe instabilità possono aumentare fino a diventare un grosso problema per la tenuta del governo. Sottovalutare questo aspetto sarebbe un grave errore per l’ “ex uomo di Francoforte”.
Qui infatti non si tratta più di economia, ma di politica. E Draghi non può pensare di fare come gli pare per due motivi che gli dovrebbero essere molto chiari.
Il primo è che l’ombrello protettivo del Quirinale su di lui ha cominciato a ritirarsi anche con la dichiarazione da parte di Sergio Mattarella di non volere ricandidarsi al Colle. E il secondo è sempre lo stesso, ma declinato diversamente: se il premier volesse puntare, come è più che plausibile, alla Presidenza della Repubblica dovrebbe avere il supporto di tutti e non solo di Salvini che prima faceva di professione il “mangia-Draghi”, una sorta di San Giorgio laico che odiava i banchieri e l’Ue e che ora è stato fulminato sulla via di Bruxelles.
Una conversione che sa molto di tattica e di do ut des. Ma così facendo Draghi perderebbe il supporto di tutti gli altri, a cominciare da Pd e M5S e il Colle lo vedrebbe col binocolo.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2021 Riccardo Fucile
GUAI A DISTURBARE IL MANOVRATORE, MA IN DEMOCRAZIA DECIDONO I PARLAMENTI, QUALCUNO SE LO E’ DIMENTICATO
In quest’arietta da regimetto, non nuova peraltro nel Paese con l’intellighenzia più serva del mondo, sta passando l’idea che i partiti debbano stare a cuccia e lasciar fare tutto a Draghi, il nostro Ronaldo (che peraltro ha appena trascinato la Juve al minimo storico del decennio).
Ogni proposta è bollata come un fastidioso disturbo al Manovratore, ogni protesta come un sabotaggio delle magnifiche sorti e progressive dei Migliori e dai giornaloni si levano moniti contro i partiti che “piantano bandierine”.
Prima che la sindrome di Stoccolma renda le forze politiche ancor più paralizzate e afasiche di quanto già non siano, è il caso di ricordare a lorsignori alcuni fondamentali della democrazia parlamentare: Draghi e i suoi tre o quattro “tecnici” non hanno mai preso un voto, diversamente dai partiti.
E alle prossime elezioni, verosimilmente, Draghi siederà sul Colle o su qualche altra poltrona oppure a casa, mentre a chiedere i voti agli elettori saranno i partiti.
Il governo esiste in quanto e finché il Parlamento gli dà la fiducia. Ciascun partito è liberissimo di votarla o di negarla in base a quello che il governo fa. E non c’è “Europa”, o suo improvvisato portavoce, che possa dire ai rappresentanti del popolo cosa devono fare.
Semmai è Draghi che dovrebbe pensarci mille volte prima di mettere le mani sulla Rai e sulle altre partecipate di Stato senza consultarli.
Quanto ai miliardi del Recovery, peraltro procacciati dal governo precedente, arriveranno in base al Piano presentato alla Ue (per il 95% copiato da quello di Conte e per il 5% modificato in peggio) e alle riforme promesse su giustizia, lavoro, ambiente, burocrazia. Ma non le decide l’Europa e nemmeno il governo: le decide il Parlamento, libero di votarle o bocciarle o modificarle in base ai programmi e alle aspettative degli elettori dei vari partiti.
Se i 5Stelle vogliono il salario minimo e il sorteggio dei togati del Csm e non vogliono la prescrizione, la separazione delle carriere, l’azione penale discrezionale, l’abolizione del codice degli appalti e altre deregulation foriere di stragi tipo Morandi e Mottarone, nessuno può obbligarli a votare l’opposto in nome di presunte urgenze europee o esigenze di unità nazionale.
Lo stesso vale per Pd e Lega&FI sulla tassa di successione.
I partiti non solo possono, ma devono “piantare bandierine”, cioè combattere le battaglie promesse agli elettori, anche a costo di disturbare i manovratori senza elettori.
Se troveranno buoni compromessi per le famose “riforme”, bene. Sennò si saluteranno, manderanno Draghi al Quirinale o dove vuole lui, e torneremo a votare per chi pare a noi. Non alla fantomatica “Europa”, che fra l’altro non ha fra i suoi compiti quello di insegnarci a votare.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 25th, 2021 Riccardo Fucile
SI POSIZIONA MANUALMENTE E INIBISCE IL FUNZIONAMENTO DEI FRENI DI EMERGENZA
È una piastra metallica, pesa cinque chili, e non doveva essere lì.
Se le cause dell’incidente alla funivia del Mottarone sono ancora da accertare, una foto potrebbe chiarire il perché non hanno funzionato i freni d’emergenza: in una delle immagini della cabina accartocciata scattata dai Vigili del Fuoco si vede un pezzo di acciaio rosso tra il groviglio di cavi e che potrebbe essere quello che in gergo si chiama ‘forchettone’.
Si tratta, spiega un esperto che da domenica ha seguito le operazioni di soccorso e i successivi accertamenti, di una piastra di metallo che viene inserita manualmente nella parte alta del carrello della cabina dove ci sono le rulliere (quella sorta di rotelle che scorrono sulla fune) e che viene utilizzata per tenere forzatamente in posizione aperta proprio i freni di emergenza.
Ma perché si utilizzano? Servono per esigenze di manutenzione, spiega l’esperto, dunque ad esempio per lavori sulle funi, ingrassaggi dei cavi o prove di carico o della linea. Oppure anche per altri motivi: ad esempio per riportare a valle a fine giornata la cabina che è a monte senza correre il rischio che per un qualsiasi motivo questa possa bloccarsi lungo la linea, magari con l’operatore che lavora nella stazione a monte e che deve rientrare a casa.
I forchettoni servono per intervenire esclusivamente sui freni di emergenza: quelli ‘normali’, che servono a fermare la cabina quando arriva in stazione, si trovano sulle pulegge, quelle grandi ruote sulle quali scorre la fune traente che si trovano in tutte le stazioni di funivie, cabinovie o seggiovie.
Il forchettone, se verrà confermato che di quello si tratta, non doveva dunque stare lì. Generalmente si trovano nelle stazioni di arrivo e partenza, dice ancora l’esperto, e vengono messi manualmente, non sono pezzi “organici” delle cabine.
Ma quando potrebbe essere stato messo? Con certezza difficile saperlo, sottolinea l’esperto, poiché i forchettoni impediscono l’entrata in funzione dei freni di emergenza: se non succede nulla, quei freni non devono operare.
La piastra potrebbe essere stata dunque posizionata dopo il 3 maggio, data dell’ultimo controllo ai freni, ed essere rimasta lì tutto questo tempo, oppure la sera prima, quando si è fatta tornare la cabina a valle.
In proposito, secondo quanto si apprende, ci sarebbe anche una testimonianza raccolta dai soccorritori in base alla quale proprio il giorno prima della tragedia sarebbe stata fatta una prova di emergenza rimandando a valle la cabina che era a monte. Una di quelle situazioni in cui viene utilizzato il forchettone.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2021 Riccardo Fucile
A SCANSO DI FIGURE DI MERDA NESSUN CONFRONTO SULLA LEGGE CONTRO L’OMOFOBIA… PER ORDINI DALL’ALTO OSTELLARI, CECCARDO E CRIPPA RIFIUTANO L’INVITO DI OPEN
Ostellari, Ceccardi, Crippa: ogni tentativo di coinvolgimento di esponenti leghisti nel confronto organizzato da Open con il deputato Pd è fallito. E l’ordine di non esporsi è arrivato dall’alto
Nuova settimana, nuovo giro di discussioni, fraintendimenti e ostruzionismi sul ddl Zan, approvato lo scorso novembre alla Camera, ma ancora fermo nella commissione Giustizia al Senato. I suoi membri, dopo la decisione del presidente del collegio, il leghista Andrea Ostellari, di abbinare la proposta alternativa Ronzulli-Salvini, non conoscono ancora il numero di audizioni né quali esperti saranno ascoltati.
La calendarizzazione per l’approvazione e il passaggio in aula del disegno di legge che porta il nome del deputato del Pd è lontana. La cifra della tensione tra centrosinistra e centrodestra si misura anche con il diktat arrivato dall’alto agli esponenti della Lega: nessuno deve partecipare a dibattiti con Alessandro Zan.
Open, che ha deciso di inaugurare il format di eventi live Open incontra affrontando proprio il tema delle leggi contro le discriminazioni e le violenze omolesbobitransfobiche, ha ospitato un confronto tra il deputato Zan e l’europarlamentare di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza. Certo, il punto di vista di un esponente del partito di Giorgia Meloni, il quale ha siglato la proposta Ronzulli-Salvini, è stato interessante.
Peccato che, però, al tavolo non si sia seduto anche un esponente della Lega, forza politica di maggioranza che, contro il ddl Zan, si è scagliata più volte. A pochi giorni dall’evento, da via Bellerio è arrivato un secco “no” a qualsiasi tipo di confronto.
E dire che, in un primo momento, l’ufficio stampa del Carroccio si era dimostrato collaborativo. Dopo il rifiuto di Ostellari, Open ha chiesto di contattare l’europarlamentare della Lega – sconfitta alle elezioni regionali in Toscana da Eugenio Giani -, Susanna Ceccardi. A quel punto è scattato un veto su ogni nome proposto: «Della Lega non partecipa nessuno».
Mancando l’appoggio degli addetti stampa del Carroccio, è stato proposto direttamente ad Andrea Crippa, vicesegretario federale della Lega, di partecipare all’evento di Open incontra. Crippa ha dato l’ok e, dopo una settimana, ha confermato la sua disponibilità a discutere con Zan del disegno di legge arenato nella seconda commissione di Palazzo Madama.
Open, per venire incontro alle esigenze di calendario di Crippa, ha posticipato di una settimana l’incontro. Era tutto pronto, con tanto di posto in prima fila riservato alla fidanzata del vicesegretario.
Quando mancavano pochi giorni all’evento, l’ufficio stampa del Carroccio ha mandato un sms alla direzione di Open: né Crippa, né qualsiasi altro leghista – questo il contenuto del messaggio – si sarebbe confrontato con il deputato Zan sul ddl che porta il suo nome.
A quel punto, il vicesegretario del partito di Matteo Salvini non ha più risposto alle chiamate di Open: non c’è stato alcun tipo di chiarimento o giustificazione per il silenzio forzato dei leghisti.
Perché la Lega non vuole confrontarsi sulle leggi che contrastano l’omofobia, avendone appena sottoscritta una? Fidanza e Zan, nell’accesa ma leale discussione avuta a Open incontra, le proprie posizioni le hanno espresse e difese. I leghisti, invece, hanno preferito rimanere zitti e buoni.
(da Open)
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Maggio 25th, 2021 Riccardo Fucile
QUESTO E’ STATO MINISTRO DEGLI INTERNI E NEANCHE CONOSCE CHI PARTECIPA A QUESTO TIPO DI OPERAZIONI
Matteo Salvini, quello definito “cazzaro verde” da molte persone, è stato ministro dell’Interno, cioè, al vertice della polizia di Stato e di tutti i suoi apparati, nazionali ed internazionali
Arrestato ieri il n. 2 dei latitanti più ricercati, Morabito, dalla polizia brasiliana con il supporto investigativo dei carabinieri del ROS e dei comandi provinciali dell’Arma di Torino e Reggio Calabria e dalle rispettive procure, dalla DEA, FBI, e dal supporto del Servizio internazionale della Direzione centrale della Criminalpol, che è una delle tante direzioni del ministero dell’Interno a struttura interforze ma pur sempre della polizia, infatti diretta da un prefetto proveniente dalla carriera della polizia.
L’unico che non se ne è accorto pare sia proprio Salvini che si complimenta solo con il Ros e non, per esempio, con i carabinieri di Torino e Reggio e dimentica lo sforzo incredibile di tutti gli altri apparati, tra cui, appunto, quello della polizia anche brasiliana
Il ministero di giustizia brasiliano, per esempio, parla di lavoro congiunto con l’Interpol che per definizione è interforze con queste parole su Twitter: “…graças ao trabalho conjunto com a Interpol”
Da un piccolo particolare si può capire tanto dell’uomo.
Figurarsi del politico
(da Infosannio)
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