Maggio 13th, 2021 Riccardo Fucile
BIOGRAFIA O ROMANZO? LA MADRE DELLA MELONI E’ RIMASTA INCINTA NELL’APRILE DEL 1976, GIORGIA E’ NATA IL 15 GENNAIO DEL 1977, LA LEGGE CHE PERMETTEVA L’ABORTO E’ DEL 22 MAGGIO 1978: COME POTEVA ESSERSI RECATA IN UNA STRUTTURA DUE ANNI PRIMA?
Il libro di Giorgia Meloni ha un incipit forte, di quelli che invitano il lettore a riflettere sulla caducità della vita, sulla forza delle donne, su quanto nascere, talvolta, sia pura coincidenza e su quante coincidenze si scriva la storia. Insomma, l’incipit perfetto per la biografia di un leader che mira- come da tempo sta accadendo- ad umanizzare la sua figura.
Giorgia Meloni infatti, a pagina 13 e 14, dice “Devo tutto a mia madre, (…) devo a lei il bisogno di dire la verità che mi porto dentro”.
A proposito di questo bisogno di verità, andiamo avanti a leggere:
“Voglio dire grazie. Anzi. La frase esatta è “Devo tutto solo a mia madre”: Perché la verità è che io non sarei mai dovuta nascere. Quando rimase incinta, Anna aveva ventitré anni, una figlia di un anno e mezzo e un compagno con cui non andava più d’accordo (…), l’avevano quasi convinta che non avesse senso mettere al mondo un’altra bambina in quella situazione. Ricordo quando me l’ha confessato, e ricordo il tempo per digerire quel sasso. Ma poi ho capito il combattimento di una donna sola: farti nascere o farti tornare nel niente.
La mattina degli esami clinici che precedono l’interruzione di gravidanza si sveglia, rimane digiuna e si incammina verso il laboratorio. A questo punto mi ha sempre raccontato, si ferma davanti al portone, esita, vacilla. Non entra. ‘No non voglio rinunciare, non voglio abortire’. È una mattina di primavera. C’è un’aria dolce e pulita. Sente di avere preso la decisione giusta. Adesso deve solo ratificarla, in qualche modo. Entra in bar: ‘Buongiorno, cappuccino e cornetto’.
Tutto molto d’effetto, molto struggente, molto poetico.
C’è solo un problema in questo racconto scritto con quell’impellente bisogno di verità che Giorgia Meloni si porta dentro: e cioè che quando la madre di Giorgia Meloni era incinta di Giorgia Meloni la legge sull’aborto non esisteva.
Giorgia Meloni infatti è nata il 15 gennaio 1977. La madre rimane dunque incinta più o meno ad aprile dell’anno prima, ed infatti nel passaggio del libro sulla mattina della decisione la Meloni specifica che era primavera.
Dunque stiamo parlando della primavera del 1976.
Nel 1976 l’interruzione volontaria di gravidanza era una pratica illegale. Abortire era un reato che prevedeva una pena dai 2 ai 5 anni.
L’aborto, nel 1976, era consentito solo secondo quanto stabilito dalla sentenza n. 27 del 18 febbraio 1975, che “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 546 del codice penale, nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venir interrotta quando l’ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo, grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della madre”.
La legge 194 sull’aborto, grazie alla quale oggi l’interruzione di gravidanza in Italia è consentita entro i primi tre mesi (escluso l’aborto terapeutico), è del 22 maggio 1978.
Giorgia Meloni, il 22 maggio del ’78, aveva un anno e 4 mesi.
A questo punto, i casi sono tre:
1) Giorgia Meloni ha mentito, infiocchettando un racconto e dunque questo è un romanzo e non una biografia.
2)La mamma di Giorgia Meloni le ha raccontato una storia un po’ diversa, perché al massimo ha tentato la via dell’aborto clandestino ma non funzionava esattamente così, con le analisi in un laboratorio, l’attesa, poi il cappuccino al bar e “vabbè ci ripenso”.
Prima del 1978 si abortiva dentro case di privati, dalle “mammane”, in poche cliniche clandestine spesso fuori dalle grandi città in un clima di segretezza e paura.
Si stava commettendo un reato (sia chi praticava che chi abortiva), si rischiava di morire per un’emorragia, si rischiava di venire scoperte. In questo caso Giorgia, se inconsapevole della bugia della mamma, è comunque responsabile di una grave lacuna culturale: visto che è pro-vita e ritiene l’aborto una sconfitta, potrebbe almeno imparare la data in cui è nata la legge 194.
3) Giorgia Meloni non è nata nel 1977 ma qualche anno dopo. Probabilmente, in quanto leader di un partito, è tra le poche donne ad aumentarsi gli anni per acquisire più autorevolezza.
In ogni caso, questo incipit non è scritto con l’impellente bisogno di verità che la cara Giorgia racconta di portarsi dentro. Chissà il resto del libro e le sue dichiarazioni politiche, a questo punto.
(da TPI)
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Maggio 13th, 2021 Riccardo Fucile
FINISCE IN FARSA LA BALLA “DEI POVERI RAGAZZI SOFFERENTI, COSTRETTI ALLA DIDATTICA A DISTANZA E CHE VOGLIONO TORNARE SUI BANCHI”… FINALMENTE LA VERITA’: NON GLIENE FREGA UNA MAZZA, ERANO I GENITORI CHE NON LI VOLEVANO A CASA, MA QUANDO SI VA IN VACANZA, TANTI SALUTI ALLA DIDATTICA
Per il progetto che vorrebbe tenere gli istituti aperti tra giugno e settembre il rischio fallimento è dietro l’angolo.
Quasi nessuno, qualora la sua scuola aderisse, pensa di partecipare. D’accordo con i ragazzi anche la maggior parte di genitori e insegnanti.
La scuola d’estate potrebbe essere un flop ancora prima di cominciare. Il Piano appena ufficializzato dal ministero dell’Istruzione, che prevede l’apertura degli istituti durante i mesi estivi, non sembra infatti scatenare l’entusiasmo di nessuno degli attori potenzialmente coinvolti: studenti, docenti e genitori.
A farlo capire chiaramente sono proprio i ragazzi: tra i 6mila alunni di scuole medie e superiori raggiunti da un sondaggio di Skuola.net, circa 3 su 4 non credono sia una buona idea prolungare ulteriormente un anno già di per sé molto complicato.
Per questo, nonostante si tratterebbe di andare a scuola solo per svolgere attività non puramente didattiche – votate più alla socializzazione e all’orientamento che all’apprendimento – peraltro su base volontaria, in pochissimi, qualora il proprio istituto decidesse di aderire, parteciperebbero: quasi 8 su 10 – ma al Sud il dato arriva all′85%, proprio nei territori verso cui è principalmente rivolto il piano ministeriale – hanno espresso il desiderio di volersi godere l’estate in altro modo, come da tradizione.
In base al loro racconto, più di 7 genitori su 10 sarebbero contrari all’apertura estiva. Qualcosa di simile succede se si interpellano gli insegnanti: oltre 6 su 10, sempre tra chi ha già commentato con gli alunni la scelta del Ministero, si sarebbero schierati contro il progetto.
Ma quali sono le attività che vorrebbero svolgere quei (pochi) ragazzi che vorrebbero andare? La maggior parte (25%) un po’ a sorpresa va controcorrente e preferirebbe concentrarsi sul recupero degli apprendimenti, magari con sessioni di studio di gruppo. Tanti altri (21%), al contrario, ne approfitterebbero per focalizzarsi su aspetti psicologici, per avere l’opportunità di sfogarsi un po’ parlando di come hanno vissuto durante la pandemia. Quasi 1 su 5 gradirebbe fare laboratori musicali, di arte, di spettacolo. Il 18% vorrebbe fare sport. Il 15%, invece, vorrebbe semplicemente stare insieme agli altri dopo un anno di sostanziale isolamento.
Un esperimento già tentato, con scarsi risultati, nel recente passato: era l’anno di grazia 2016, quando sotto la guida di Stefania Giannini il Ministero dell’Istruzione metteva sul piatto 10 milioni di euro per l’iniziativa “Scuola al Centro”, che prevedeva l’apertura estiva degli istituti scolastici delle periferie di Roma, Milano, Napoli e Palermo, al fine di combattere la dispersione scolastica e dare l’opportunità di “vivere” la scuola non solo per le normali attività didattica.
Neanche a dirlo, solo 6 milioni vennero effettivamente richiesti e utilizzati dalle scuole. Per quella che, in realtà, doveva essere la prova generale per un progetto molto più ampio, da realizzarsi l’anno successivo con un finanziamento di 120 milioni di euro.
Il Governo lo portò effettivamente avanti, aumentando le risorse fino a 187 milioni e ammettendo ai finanziamenti oltre 4 mila scuole; tuttavia solo il 10% di queste presentò programmi che prevedevano aperture durante il periodo estivo.
Dopodiché il progetto venne messo in un cassetto.
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2021 Riccardo Fucile
E POI SI LAMENTA PERCHE’ QUALCUNO COMMENTA IL SUO POST INVOCANDO UN TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO
Che la Lega sia da sempre oppositrice del Ddl Zan, la legge contro l’omotransfobia che, dopo essere stata approvata alla Camera, è da mesi impantanata al Senato, è cosa nota.
Il provvedimento, che porta il nome del dem Zan, è sostenuta da Pd e Ms5, mentre per i leghisti non sono d’accordo nell’approvare il testo
Sicuramente contrario al Ddl Zan è il consigliere regionale umbro Daniele Carissimi, che ha invocato persino l’intervento della Madonna per bloccare la legge.
In un post su Facebook, l’avvocato Carissimi, ha chiesto addirittura una intercessione divina affinché il disegno di legge contro l’omotransfobia non veda la luce.
“Maggio è il mese mariano e alla Madonna rivolgo la mia richiesta di aiuto contro l’aberrazione del DDL Zan”, ha scritto il consigliere regionale, riportando poi il testo dell’Ave Maria. “Vi invito a rivolgere una preghiera per salvaguardare i fondamentali della nostra società naturale che difenderò fintanto che avrò forza di respirare”, ha detto in conclusione, lanciando questo accorato appello.
Forse la Madonna ha cose più serie a cui pensare, ma per il leghista è irrilevante.
E dato che il suo post trova più critiche che consensi, trova anche il tempo di polemizzare con chi, nei commenti, invoca per lui un TSO urgente. In fondo anche questa è un’invocazione…
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2021 Riccardo Fucile
“IN CASO DI TERREMOTO IL PONTE UNIRA’ DUE CIMITERI”… “SOLO IL 25% DELLA POPOLAZIONE DI REGGIO E DI MESSINA RISIEDE IN ABITAZIONI ADEGUATE”
“Costruire il ponte sullo stretto antisismico con denaro pubblico significa scegliere di unire due cimiteri in caso di terremoto, visto che solo il 25% della popolazione di RC e ME risiede in case adeguate. E non è questione di se, ma di quando”.
Parola del geologo Mario Tozzi che in un tweet boccia l’ipotesi di costruire il Ponte sullo Stretto di Messina, tema al centro del dibattito politico in questi giorni
Già in passato Tozzi aveva fermamente criticato il progetto per la costruzione di un ponte per unire la Calabria alla Sicilia.
Nel 2011, in un articolo su National Geographic, il geologo e conduttore televisivo aveva definito l’opera inutile, dannosa e diseducativa individuando una decina di problemi tecnici.
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2021 Riccardo Fucile
DOPO 20 MULTE E 7 SIGILLI (ROTTI DAL RISTORATORE) FINALMENTE IL PROVVEDIMENTO PER “MANIFESTO DISPREGIO DELLE REGOLE DI SALUTE PUBBLICA”
Doveva essere “Io apro”, è finita con “Io chiudo”. O, meglio, ti chiudiamo.
E’ quello che è accaduto a Momi El Hawi, ristoratore di Firenze e volto noto del movimento “Io apro” che nei mesi scorsi ha attirato decine di migliaia di adesioni e che ha organizzato centinaia di manifestazioni in tutta Italia, la più nota quella del marzo scorso davanti a Montecitorio, con tanto di cariche alla polizia e lanci di bottiglie contro le forze dell’ordine.
Oggi uno dei suoi protagonisti principali, sempre presente nelle piazze più calde, microfono alla mano, per aizzare il popolo dei ristoratori a ribellarsi contro il governo per le chiusure, si è visto arrivare quella che è una sorta di revoca della licenza. Tradotto?
Locale chiuso definitivamente e attività sospesa. Una misura estrema, quella presa dal Comune di Firenze d’intesa con la Prefettura del capoluogo toscano, che arriva dopo una lunga serie di violazioni (ben 20 le multe) e anche la rottura volontaria e ripetuta dei sigilli che per ben sette volte le forze dell’ordine avevano posto al locale negli scorsi mesi in seguit alle ripetute inadempienze da parte del titolare nel rispetto delle norme anti-Covid.
Insomma, un provvedimento duro ma inevitabile con cui Palazzo Vecchio ha deciso di “procedere con gli atti necessari per la chiusura definitiva dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande nei confronti di un esercente del territorio fiorentino”.
A motivarlo quello che nella nota lo stesso comune definisce una “chiara manifestazione del dispregio delle regole di condotta per la salvaguardia della salute e della sicurezza pubblica”.
“Momi adesso ha dieci giorni di tempo per presentare le priorie contro deduzioni” si legge sull’edizione online de “La Nazione”, “e successivamente entro trenta giorni Palazzo Vecchio potrà emanare il provvedimento.
Il comunicato del Comune di Firenze spiega che si è arrivati a questo passo perché «le violazioni contestate hanno riguardato la reiterata inosservanza dell’obbligo di rimanere chiuso e la rimozione dei sigilli apposti al locale, chiara manifestazione del dispregio delle regole di condotta a presidio della salute e della sicurezza pubblica e dei criteri di leale concorrenza che dovrebbero orientare il comportamento non solo di chi opera in un delicato settore del commercio pubblico, ma di qualunque cittadino”.
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2021 Riccardo Fucile
DAVIDE E’ FURIOSO E AMAREGGIATO PER LA DIFFIDA DI CHI NON HA TITOLO PER PARLARE A NOME DEL MOVIMENTO
“Se vogliono andare in tribunale andremo in tribunale”. È furioso Davide Casaleggio. Sul tavolo del suo ufficio a Milano è appena piombata la diffida di Vito Crimi. Nel testo si intima l’associazione ad “astenersi da qualsiasi trattamento dei dati degli iscritti, che non sia finalizzato alla consegna dei medesimi dati al Movimento entro 5 giorni”.
Il capo reggente dei 5 stelle è deciso a valersi del provvedimento d’urgenza ex. Articolo 700 del codice di procedura civile. Fuori dal giuridichese: la richiesta al tribunale è quella di far valere da subito l’obbligo di consegna del database degli attivisti “evitando che il tempo occorrente a far valere il proprio diritto nel processo ordinario di cognizione possa produrre un pregiudizio imminente e irreparabile”.
Come a dire: dacci i dati, perché altrimenti ci crei un danno grave.
O come lo interpretano in molti sia nella stanza dei bottoni M5s sia nel capoluogo lombardo: non ci fidiamo di che fine possano fare i dati qualora dovessimo aspettare l’esito di un processo.
Anche perché, al momento, non si vede come si possa evitare una guerra che di politico ha ben poco, con stracci che volano da una parte all’atra tra denunce, avvocati, carte bollate e tribunali.
Casaleggio è furioso e amareggiato. Nonostante il precipitare sempre più vorticoso dei rapporti con gli ex compagni di strada, chi l’ha sentito nelle ultime ore racconta che non si aspettava un tale inasprimento della situazione, soprattutto per i toni e i modi utilizzati.
Da Rousseau si sottolinea velenosamente che una medesima richiesta è arrivata anche dall’avvocato Silvio Demurtas.
Un piccolo riassunto: nel caos pazzesco che è diventato il Movimento, davanti ad alcuni ricorsi, il tribunale di Cagliari ha stabilito che i 5 stelle attualmente non hanno un responsabile legale, nominando a tal fine proprio l’avvocato Demurtas. Pronunciamento contro il quale Crimi ha fatto ricorso, venendo bocciato.
Ecco la linea di Casaleggio, che disconosce Crimi quale legale rappresentante dei 5 stelle: se Demurtas ha presentato un’analoga richiesta, significa che Crimi non ha titolo ad avanzarla, o che per lo meno la materia è controversa, consentendogli di prendere tempo e tenere sotto chiave in un server il database tanto agognato dai colonnelli pentastellati.
Niente database, niente possibilità di votare Giuseppe Conte capo politico, un loop che tiene inchiodato l’intero partito in un limbo dal quale rischia di uscire a pezzi. Perché Casaleggio non ha nessuna intenzione di fare un passo indietro, convinto di avere ragione, convinto di poterla ottenere, se costretto, anche da un tribunale.
Una soluzione per avviare intanto il nuovo Movimento ci sarebbe, ma piace molto poco a Conte e a gran parte dei maggiorenti pentastellati.
Ovvero quella di procedere intanto alle votazioni per l’organo collegiale a cinque votato a inizio anno, votazione a seguito della quale Crimi è formalmente decaduto. Non piace politicamente per l’incertezza assoluta del risultato che ne uscirebbe fuori.
E non piace perché comunque prevederebbe un qualche tipo di accordo con il figlio del co fondatore, che dovrebbe attivarla su Rousseau del quale detiene le chiavi.
È anche una questione di soldi. Casaleggio continua a pretendere 450mila euro, cifra che comprende le morosità di tutti i parlamentari eletti nel 2018, senza distinzione alcuna per espulsi e fuoriusciti.
L’ultima offerta del Movimento arriva a quota 200mila, un calcolo che comprende gli arretrati solo di chi è attualmente nel Movimento.
Colmare questa distanza potrebbe sbloccare la situazione, “ma ormai siamo al braccio di ferro, la cosa è andata troppo avanti, dubito che si arriverà a un accordo da quel punto di vista”, dice chi ha sentito il fondatore di Rousseau.
Alcuni dirigenti pentastellati hanno presentato a Conte una soluzione: tassiamo con un’una tantum i parlamentari per colmare il “buco” che c’è tra domanda e offerta, all’incirca un migliaio di euro a testa, in modo tale da archiviare la questione e ripartire senza il fardello di una decisione del tribunale da attendere.
Soluzione che convince poco l’ex premier, che teme di diventare estremamente impopolare nel gruppone parlamentare esordendo alla guida con una richiesta pecuniaria.
Gli espulsi anti-draghiani intanto si organizzano. Ieri una riunione che ha visto partecipare 14 deputati e 5 senatori, e continuano le interlocuzioni anche con le teste più pesanti cadute dopo il no al governo dell’ex governatore della Bce, come Barbara Lezzi e Nicola Morra.
È soprattutto quest’ultimo a meditare l’opportunità di dare vita a liste civiche sul territorio che si possano appoggiare a Rousseau per portare avanti i temi fondativi della creatura di Beppe Grillo.
Casaleggio al momento aspetta, in altre faccende affaccendato, e timoroso che mettere la firma su un’operazione che elettoralmente potrebbe racccogliere un bottino piuttosto magro possa essere controproducente.
“Non abbiamo nessuna preclusione, nei confronti di Casaleggio”, dice Pino Cabras, deputato e rappresentante del gruppo dei fuoriusciti che hanno dato vita a L’Alternativa c’è, una prudenza dettata dal fatto che anche da quelle parti la figura di Casaleggio raccoglie consensi non unanimi.
“Ma sarebbe interessante organizzare con loro eventi, per esempio sull’innovazione”, aggiunge Cabras, specificando che “non vogliamo dare le chiavi della macchina in mano a nessuno, ma una collaborazione potrebbe essere importante”.
Da quelle parti si guarda piuttosto ad Alessandro Di Battista, perché “in questa fase potrebbe riunire l’opposizione al governo, e lo inviteremo a fare una battaglia comune su questo”. Al momento l’unica vera battaglia è però quella che continua tra il partito e Rousseau, che sta già lasciando macerie dietro di sé, e che si preannuncia ancora lunga e sanguinosa.
(da Huffingtonpost)
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Maggio 13th, 2021 Riccardo Fucile
ASSUMEREBBE LA DIREZIONE DI TUTTE LE TESTATE DEL GRUPPO
Alessandro Sallusti ha rimesso il mandato da direttore de “Il Giornale”, di cui era alla guida dal 2010, dove aveva cominciato insieme a Indro Montanelli nel 1987.
Il giornalista avrebbe rassegnato già le dimissioni.
La famiglia Angelucci ha proposto ad Alessandro Sallusti la direzione di tutte testate del Gruppo, tra cui i quotidiani ‘Libero’ e ‘Tempo’, secondo quanto apprende l’AGI da fonti qualificate.
Si tratta di un episodio di stampamercato in campo sovranista: evidentemente l’offerta è stata giudicata adeguata per cambiare quotidiano, in fondo è gratificante scrivere sempre le stesse cose a fronte di un compenso maggiorato.
Non è che ha cambiato direzione un Montanelli…
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2021 Riccardo Fucile
TRE LE IPOTESI: RINVIO A GIUDIZIO, NON LUOGO A PROCEDERE O ULTERIORE FASE ISTRUTTORIA
E’ attesa per domani la decisione dell’udienza preliminare a Catania sul caso Gregoretti. Il Gup Nunzio Sarpietro, si ritirerà in camera di consiglio e poi dovrebbe leggere, nell’aula bunker di Bicocca, la sua decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio per sequestro di persona per l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini.
I fatti si riferiscono ai ritardi nello sbarco di 131 migranti dalla nave della Guardia costiera italiana nel porto di Augusta. Era il luglio del 2019.
Tre le ipotesi che si potrebbero delineare domani: un decreto di rinvio a giudizio, con la fissazione della prima udienza dell’eventuale processo, una sentenza di non luogo a procedere o un’ordinanza che dispone un’ulteriore fase istruttoria.
Il tribunale dei ministri di Catania aveva chiesto l’autorizzazione a procedere per sequestro di persona, mentre la Procura si è sempre schierata con le tesi della difesa e ha chiesto il non luogo a procedere. Tutti ricorderanno le prese di posizione del procuratore capo Zuccaro a difesa delle tesi “sovraniste”. Meglio stendere un velo pietoso. Vediamo se il Gup avrà la forza giuridica (chiamiamola così) di contraddire la Procura. A chi obietta che in questo caso anche altri ministri e il premier erano complici delle scelte di Salvini rispondiamo che per quanto ci riguarda possono andare pure tutti sotto processo, perchè il reato esiste. E la correità non esclude il processo.
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2021 Riccardo Fucile
DUEMILA IN PIAZZA A DENUNCIARE LA POLITICA DI NEGAZIONE DEI DIRITTI DEL POPOLO PALESTINESE DA PARTE DI UN PREMIER A PROCESSO PER CORRUZIONE
Dopo la manifestazione pro-Israele che si è tenuta ieri 11 maggio nel quartiere ebraico di Roma, la risposta a sostegno della popolazione palestinese passa da Milano. In piazza del Duomo, infatti, si è tenuto il sit-in “(R)esistiamo”, evento organizzato dai Giovani palestinesi d’Italia e Assopace Palestina a cui hanno aderito associazioni e gruppi del territorio milanese come Cantiere Milano.
L’iniziativa arriva dopo l’escalation militare registrata in Israele e nella Striscia di Gaza negli ultimi giorni.
Il raduno anticipa una serie di manifestazioni in diverse città italiane promosse dagli stessi organizzatori del sit-in di oggi pomeriggio, che si svolgeranno in concomitanza con l’anniversario dell’esodo palestinese del 1948 noto come Nakba.
«La manifestazione nasce dall’iniziativa delle due realtà filo-palestinesi e dall’adesione di realtà sociali della città di Milano attive da decenni come la nostra», fanno sapere a Open dall’organizzazione Cantiere, «tuttavia non c’è stato il supporto istituzionale o di personalità della politica”
Rende di più farsi vedere sul palco pro-Israele a Roma che denunciare la violazione dei diritti dei palestinesi.
(da agenzie)
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