Maggio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
IL LEGHISTA NON LA SOPPORTA, E’ NERVOSO, TEME IL SORPASSO ENTRO NATALE…. PER RECUPERARE TERRENO FARA’ DI TUTTO CONTRO DI LEI
In assenza di fatti nuovi, presto Meloni scavalcherà Salvini. Non nel 2023, quando è previsto che torneremo a votare, ma parecchio prima, magari già a Natale.
Basta seguire la curva dei sondaggi. Un anno fa i Fratelli d’Italia erano dati al 13,5 per cento, cioè più o meno la metà della Lega che li guardava dall’alto in basso.
Ma da allora il partito di Giorgia è cresciuto, lento però inesorabile, fino a raggiungere il 17,7; mentre quello di Matteo è scivolato giù, zero virgola ogni settimana, dal 27,2 al 21 per cento
L’ingresso della Lega al governo non ha mutato la traiettoria, cosicché il distacco tra i due partiti si è andato via via riducendo di 9 punti in un anno. Oggi il gap non arriva al 4 per cento; continuando con lo stesso ritmo seguito fino a questo momento, il sorpasso di Fd’I sarà questione di sei-sette mesi al massimo. Virtualmente è già un testa a testa.
E ciò porta a chiedersi che fine farà il centrodestra, come reagirà Salvini sentendosi braccato, come si comporterà Meloni con in testa il berretto da Capitano.
Lui di certo non si darà per vinto. Né potrebbe fare diversamente: la regola mai scritta dell’alleanza, ma già in vigore dai tempi di Berlusconi, è che il candidato premier lo decidono gli elettori; chi prende più voti comanda, gli altri si adeguano.
Una volta che avrà surclassato Salvini, figurarsi se Giorgia rinuncerà a dettare le regole, a mettere condizioni per andare d’accordo con lei, a imporre giuramenti eterni di fedeltà e, nel caso di vittoria elettorale, a guidare di persona il governo diventando così la prima donna premier nella storia d’Italia.
Perché un’altra circostanza è indubbia: qualora strappasse un voto in più della Lega, Meloni rivendicherebbe Palazzo Chigi come sacrosanto diritto. Conoscendone il temperamento, non ci sarebbe verso di farle cambiare idea.
Matteo potrebbe fare al massimo il suo ministro, o l’assistente, o il vice; e sai che soddisfazione, dopo avere pregustato il trionfo, ritrovarsi numero due.
Per giunta di chi, come Giorgia, ha passato anni a dargli la caccia, a rinfacciargli l’alleanza spuria coi Cinque stelle e adesso quella con il Pd (non c’è feeling, i due letteralmente “si odiano”, testimonia una fonte altissima della Lega).
Per Salvini rassegnarsi è impossibile. Sarebbe una doppia tragedia, sul piano umano e su quello politico.
Ecco perché la Lega, quando verrà superata nei sondaggi, reagirà con ogni mezzo. Tutte le decisioni che il suo leader prenderà da quel momento in poi avranno un unico scopo: tagliare la strada alle Meloni, ricacciarla là da dove è venuta. Questo filtra dalle sue parti. Pur di recuperare terreno, Matteo sarà disposto a qualunque spericolatezza. Tirerà fuori le unghie, anzi in parte ha già cominciato.
La rissa sulla presidenza Copasir, che la Lega rifiuta di cedere ai Fratelli d’Italia, va intesa come un colpo di avvertimento. Niente mai più verrà concesso gratis; qualunque posizione di potere (Rai compresa) andrà duramente negoziata.
Meglio perdere una poltrona che concederla ai Fratelli d’Italia, bravissimi a trasformarla in voti. Guarda caso, ad oggi non c’è la minima traccia di accordo sui sindaci per le grandi città dove si voterà in ottobre (Roma, Milano, Napoli, Torino). Finora non hanno nemmeno iniziato a parlarne, perché tanto sarebbe inutile scornarsi sui nomi se manca la volontà di trovare l’accordo; idem sulle candidature per il Quirinale, dove le strategie divergono e nel centrodestra ognuno gioca per sé, guardandosi prudentemente alle spalle.
A conservare un simulacro di centrodestra rimane la convenienza elettorale. Il “Rosatellum” punisce chi rifiuta di fare alleanze, per cui di qui a due anni “un punto di incontro dovremo per forza trovarlo”, sospira il coordinatore azzurro Antonio Tajani. Quando Berlusconi e Fini litigarono (“che fai, mi cacci?”) fu una tragedia per entrambi, nessuno è sopravvissuto.
Le premesse della catastrofe ci sono pure stavolta. Poi si sa: tutto potrebbe accadere. Perfino che Salvini e Meloni imparino a convivere, ad aiutarsi a vicenda dividendosi i ruoli. Ma finora non è successo, anzi vediamo il contrario.
E tra non molto voleranno gli stracci.
(da Huffingotonpost)
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Maggio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
LE BALLE SOVRANISTE: NON E’ VERO CHE ISTITUISCE NUOVI REATI, CHE REPRIME LA LIBERTA’ DI PAROLA O INTRODUCE TEORIE GENDER
Tutti ne parlano ma, forse, qualcuno non lo ha letto. Cosa prevede davvero il ddl Zan, quello sul contrasto all’omotransfobia di cui si parla tanto in queste ore a causa della polemica tra Fedez e la Rai?
Il disegno di legge n. 2005, approvato dalla Camera a novembre 2020, composto da 10 articoli, prevede «misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità».
Insomma, discriminare o insultare una persona in quanto gay o disabile sarà considerata un’aggravante.
Il ddl Zan (che prende il nome dal suo promotore, il deputato Pd Alessandro Zan), però, diversamente da quanto insinuato da alcuni esponenti politici, Matteo Salvini in testa, non istituisce affatto nuovi reati e non reprime la libertà di parola né tanto meno impone uteri in affitto, adozioni per gay o teorie gender.
Istituisce, invece, una Giornata nazionale contro l’omofobia e, di fatto, aggiorna la già esistente legge Mancino. Le critiche al testo, tuttavia, non arrivano solo dal centrodestra. Come ha spiegato Open, anche tra i dem si chiedono alcune modifiche. Ecco, nel dettaglio, cosa prevede la legge più chiacchierata delle ultime ore.
Il ddl Zan istituisce nuovi reati?
Il ddl Zan non istituisce nuovi reati: “aggiorna” quelli già esistenti. L’articolo 2, infatti, modifica l’articolo 604-bis del codice penale che parla di «propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa». Il ddl Zan aggiunge nel testo dell’articolo, dopo «discriminazione razziale, etnica e religiosa», anche la frase «oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità».
Allo stato attuale, infatti, la legge punisce solo chi «istiga a commettere o commette atti di discriminazione o istiga o commette violenze o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi». Mancano, dunque, quelli sessuali.
Quali sono le pene previste?
Si rischia il carcere fino a 18 mesi o una multa fino a 6mila euro in caso di atti di discriminazione (prima per motivi razziali, etnici e religiosi, ora anche sessuali). Previsto il carcere da 6 mesi a 4 anni per chi istiga a commettere o commette violenza per gli stessi motivi; reclusione da 6 mesi a 4 anni per chi partecipa o aiuta organizzazioni che hanno tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza sempre per gli stessi motivi.
La pena viene aumentata fino alla metà per qualsiasi reato commesso per le finalità di discriminazione o di odio (questa è la modifica all’articolo 604-ter del codice penale, che descrive «le circostanze aggravanti» e che, dunque, esiste già, viene solo “aggiornato” dal ddl Zan).
Cosa dice la “clausola salva idee”?
Nel ddl Zan, inoltre, entra anche un articolo ad hoc sul pluralismo delle idee e la libertà delle scelte (è la cosiddetta “clausola salva idee”) che dice: «Sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». In altre parole, ognuno potrà continuare a dire di non gradire, ad esempio, le adozioni, i matrimoni gay o l’utero in affitto. Non potrà più dire, invece, – o meglio potrà continuare a farlo ma rischiando delle sanzioni – “disabile di merd*a” o “froc*o di merda”.
Perché si parla di Giornata nazionale contro l’omofobia?
Con il ddl Zan viene istituita per il 17 maggio la Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, «al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere». Per il 17 maggio possono essere organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa.
Un emendamento, approvato in commissione Giustizia di Montecitorio, però, ha reso meno impegnativo il riferimento alle scuole, criticato da alcuni ambienti della politica, che temono l’ingresso della fantomatica ideologia gender nelle scuole italiane. Nel ddl Zan non si accenna a questo.
E adesso cosa succede?
Il ddl – che ha già ricevuto l’ok della Camera – è stato calendarizzato in Senato dopo mesi di stallo in commissione Giustizia. Il 28 aprile il ddl è stato sbloccato, la legge calendarizzata. Il relatore resterà il senatore Andrea Ostellari, presidente della commissione Giustizia citato da Fedez nel corso del suo intervento sul palco del Concertone come una delle personalità più ostili al testo.
(da Open)
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Maggio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
“IL GOVERNATORE DELLA NOVA SCOZIA, IN CANADA, CON 90 CASI HA ORDINATO UN LOCKDOWN DI DUE SETTIMANE”
“Ci sono politici che sconcertano gli esperti perché, incredibilmente, ascoltano i loro suggerimenti, quei paesi stanno molto, molto meglio”. Parola di Walter Ricciardi.
Si parla sempre di chiusure e riaperture causa Covid, lo spunto arriva dalle decisioni del governatore della Nuova Scozia, Canada, il riferimento – impossibile non pensarlo – è a quelle assunte dai nostri, di governatori.
Nessun intervento in televisione, non un’intervista a un giornale, il commento è affidato a Twitter, la ribalta dalla quale il consigliere del ministro della Salute, Roberto Speranza, docente di Igiene e Sanità pubblica all’Università Cattolica di Roma, in passato presidente dell’Istituto Superiore di Sanità e oggi alla guida del Mission Board for Cancer”, l’organismo dell’Unione Europea chiamato a decidere le strategie comunitarie contro il cancro, continua a esprimere il suo punto di vista e le sue valutazioni sulla situazione del Paese.
Qualcuno, in queste settimane di polemiche infuocate sull’opportunità delle prime riaperture avviate lunedì 26 aprile e la necessità di tenere fermo il coprifuoco alle 22 si sarà accorto della sua assenza, magari si sarà chiesto dov’è finito e perché abbia deciso di tenersi in disparte.
Da quando si è insediato il nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi, gli interventi pubblici del consigliere di Speranza, sin dagli inizi della pandemia sostenitore della linea del rigore da impostare sulla base delle evidenze scientifiche, sono diminuiti di molto, quasi azzerandosi.
E in effetti, eccezion fatta per un editoriale scritto per “Avvenire”, delle dichiarazioni di Walter Ricciardi sulle decisioni assunte dal Governo rispetto allo scenario epidemiologico e sulle possibili evoluzioni della curva dei contagi, non c’è traccia nel dibattito degli ultimi giorni. Né del suo primo piano sovente affacciato dagli schermi dei talk show televisivi.
Nei Palazzi c’è chi collega il passo indietro di Ricciardi, molto cercato dai giornalisti e sempre prodigo di considerazioni sullo stato dell’epidemia e indicazioni da seguire per tenere a bada il virus, all’intenzione del consulente di non mettere in difficoltà il suo ministro di riferimento – “già nel mirino di una parte della maggioranza e dell’opposizione” – soprattutto adesso che l’esecutivo pare orientato “a una posizione più aperturista”.
Qualcuno dice pure che “gliel’hanno chiesto proprio, di non essere più così presente come prima”, qualcun altro, stavolta dal Ministero della Salute, sospira un “però poi ha sempre avuto ragione”. Come che sia, Ricciardi non rilascia dichiarazioni e in questi ultimi tempi ha rifiutato di farsi intervistare.
Su Twitter, però, il consigliere di Speranza è presente e dai messaggi che scrive – da quelli che ritwitta, soprattutto – si intende alla perfezione qual è il suo pensiero, quali i timori per il futuro e per gli effetti che la pandemia fa registrare in Italia e nel mondo.
Si capisce che per lui le riaperture andavano rimandate. Ricciardi probabilmente avrebbe prolungato le restrizioni per un altro paio di settimane.
Come si è fatto nella Nuova Scozia canadese. Su Twitter il consulente del ministro Speranza scrive: “Il governatore della Nova Scotia in Canada fa un lockdown di due settimane dopo poco più di 90 casi, avessimo fatto così a ottobre e febbraio avremmo evitato due ondate, migliaia di morti e avremmo una migliore situazione economica psicologica e sociale, non è mai troppo tardi”.
Il riferimento al coprifuoco è nel retweet a un messaggio in cui elencando i dati – numero dei contagi, dei morti, Rt e i ricoveri nei reparti di terapia intensiva, l’esperto che lo aveva scritto concludeva: “Altro che coprifuoco rischiamo di giocarci la prima parte dell’estate”.
Ancora un retweet a proposito dei 23 passeggeri che viaggiavano sull’aereo atterrato a Roma da Delhi tre giorni fa risultati positivi. “L’Italia senza controlli seri e veri alle frontiere – si legge nel tweet rilanciato da Ricciardi – è un paese totalmente vulnerabile a nuove varianti e contagi di ritorno”.
Per il consulente del ministro “ci sono tanti che si illudono e non imparano dalle lezioni dell’anno scorso” e non si può non prendere in considerazione quello che sta succedendo in India. Il motivo è contenuto nel messaggio scritto da Gianluca Pistore, autore del libro “Il virus che non esisteva” e ritwittato da Ricciardi un giorno fa: “In India 400.000 nuovi casi in un solo giorno. Ecco cosa succede a lasciar fare al virus”.
(da agenzie)
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Maggio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
VERDI 27%, CDU-CSU 24%, SPD 15%
Più si avvicina la fine del mandato della cancelliera Angela Merkel, carica da rinnovare a settembre, più scende insorabilmente nei sondaggi, ma anche in alcuni passaggi elettivi, l’alleanza Cdu-Csu. Segno che i tempi stanno cambiando e che la Merkel è l’unico vero collante della coalizione cristiana-democratica.
Cdu-Csu infatti perde tre punti percentuali in vista delle elezioni politiche del 26 settembre, che vedrebbero i Verdi come prima formazione politica nelle urne.
E’ quanto attesta un sondaggio realizzato da Kantar per l’edizione domenicale della Bild, secondo il quale il blocco conservatore che esprime come candidato alla Cancelleria Armin Laschet, raccoglierebbe nelle intenzioni di voto il 24%, rispetto al 27% dei Verdi, che propongono Annalena Baerbock alla guida del governo.
Il sondaggio rivela anche che il Partito socialdemocratico (Spd) ha guadagnato due punti percentuali, raggiungendo il 15%, così come i Liberal democratici della Fdp, che si attestano all’11%.
Invariati i consensi per la Linke, al 7% e per la formazione di destra Afd, al 10%.
(da Globalist)
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Maggio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
SALVINI ORA DICE “FRASI DISGUSTOSE, DA PUNIRE”, MA QUANDO ERA IL MOMENTO NON HA MOSSO UN DITO… ECCO LE STORIE, SONO ANCORA NELLA LEGA E HANNO PURE FATTO CARRIERA
Sei frasi, sette nomi: sul palco del Concertone del primo maggio Fedez ha riportato le parole pronunciate dagli esponenti della Lega contro la comunità Lgbt, senza nascondere chi ne fossero gli autori.
Frasi omofobe, solo in un caso ufficialmente smentite, a cui non hanno fatto seguito prese di posizione dure o provvedimenti del partito.
Oggi Matteo Salvini, ospite a Domenica Live su Canale5, dice che quelle frasi “sono disgustose. Chi augura la morte va curato e punito“.
Quattro persone delle cinque citate dal cantante che all’epoca dei fatti ricoprivano una carica pubblica, però, ancora oggi ricoprono una carica e fanno parte del Carroccio. Anzi, in alcuni casi hanno anche fatto carriera.
Ecco quando sono state dette quelle frasi e che fine hanno fatto i politici citati sabato da Fedez nel suo discorso:
“Se avessi un figlio gay, lo brucerei nel forno”.
Questa è la frase riportata dal presidente genovese dell’associazione Agedo (Associazione genitori di omosessuali) Giovanni Vianello: ha raccontato di averla sentita pronunciare da Giovanni De Paoli nel febbraio 2016 a margine di un’audizione nella commissione salute e sicurezza sociale della Liguria. L’allora consigliere regionale della Lega ha sempre smentito, sostenendo di aver aggiunto un “non” tra le sue parole. Intanto, dopo gli esposti presentati da Agedo e dal Comitato per gli immigrati e contro ogni forma di discriminazione, De Paoli è a processo per diffamazione aggravata a causa della sua frase: primo caso in Italia di estensione delle legge Mancino, che prevede l’aggravante per le dichiarazioni razziste, anche a quelle omofobe.
“I gay? Che inizino a comportarsi come tutte le persone normali”.
Sono le parole pronunciate dal consigliere leghista Alessandro Rinaldi durante la seduta del Consiglio comunale di Reggio Emilia in diretta streaming di inizio aprile. Nel video si vede Rinaldi discutere di una mozione presentata da due consiglieri per agevolare il turismo Lgbt. Durante la sua dichiarazione di voto, il consigliere leghista dice: “Lo trovo discriminatorio nei confronti degli etero. Non capisco perché perseverate in queste cose. Proclamate l’uguaglianza, volete essere considerati uguali e vi ponete in una condizione di differenza”. Poi Rinaldi aggiunge: “Volete l’uguaglianza? Iniziate a comportarvi come tutte le persone normali“.
Dopo le polemiche, il 9 aprile lo stesso consigliere leghista non ha ritrattato ma anzi su Facebook ha aggiunto: “Sinceramente sono stufo delle iniziative da baraccone della lobby LGBTQ, che non tutela diritti ma si occupa solo di rimarcare in modo ormai ossessivo e grottesco una differenza dell’orientamento sessuale”.
“Gay vittime di aberrazioni della natura”.
È la frase scritta in una nota da Luca Lepore e Massimiliano Bastoni, allora consiglieri comunali della Lega a Milano, in occasione della Milano Pride 2015, tenutasi tra il 22 e il 28 giugno di quell’anno.
I due leghisti definirono l’evento un “deprimente palcoscenico di qualche migliaio di frustrati, vittime di aberrazioni della natura”. Oggi sono ancora iscritti alla Lega e ricoprono cariche pubbliche: Luca Lepore è assessore per la Lega nel Municipio 2 di Milano, Massimiliano Bastoni è consigliere regionale della Lombardia per il Carroccio.
“I gay sono una sciagura per la riproduzione e la conservazione della specie”.
Parole di Alberto Zelger, ancora oggi consigliere comunale della Lega Nord a Verona. Le disse a la Zanzara, su Radio 24, il 6 ottobre 2018, insieme ad altre frasi come “il sesso omosex fa male alla salute, fa venire malattie di tutti i tipi”, oppure “l’aborto non è un diritto, ma un abominevole delitto”.
Poche ore prima il Consiglio comunale di Verona aveva approvato la mozione per inserire nell’assestamento di bilancio fondi per iniziative e associazioni contro l’aborto firmata proprio da Zelger.
Molti anni prima, nel 2014, aveva proposto un ordine del giorno (anche questo approvato) in cui si prevedeva di delegare “al Coordinamento famiglia-Servizi Educativi l’onere della raccolta delle segnalazioni dei genitori e degli insegnanti sui progetti di educazione all’affettività e alla sessualità, come pure sugli spettacoli e sul materiale didattico, che risultino in contrasto con i loro principi morali e religiosi”. In pratica, la possibilità di segnalare i docenti che in classe parlano di omosessualità a scuola.
“Il matrimonio gay porta all’estinzione della razza”.
È stato scritto nero su bianco nell’agosto 2020 in un post su Facebook da Stella Khorosheva, candidata leghista al consiglio comunale di Lavis in Trentino (non eletta). ”I gay hanno preso l’attenzione della gente”, ”L’obiettivo dei manipolatori è distruggere il cristianesimo”, ”il matrimonio tra gay porta alla estinzione della razza umana”, sono le frasi contenute nel post, che citava il fondamentalista omofobo Scott Lively.
Khorosheva fu difesa dalla candidata sindaca della Lega a Lavis, Monica Ceccato (oggi consigliera comunale), sostenendo che l’intento di quel post era condannare il pensiero di Lively. Il quotidiano online ilDolomiti.it ricostruì però altre prese di posizione della stessa Khorosheva, che per esempio commentando la nascita del figlio di Nichi Vendola nel 2016 scriveva: “La morale, l’unica legge del mondo è violata“, e poi ancora “un finocchio è un finocchio“, aggiungendo anche nei commenti che “è arrivato satana con i sodomiti”.
“Fanno iniezioni ai bambini per farli diventare gay”.
Questa è l’accusa che Elisa Serafini, attivista genovese ed ex assessore alla Cultura, si sentì muovere durante la campagna per le Comunali di Genova del giugno 2017 dall’allora candidata della Lega, Giuliana Livigni, anche sostenitrice di ‘Generazione famiglia’. Il pm Michele Stagno aprì un’indagine per diffamazione, ricostruendo che Livigni aveva diffuso online e ripetuto verbalmente davanti a diversi testimoni la tesi secondo cui “su Youtube gira un video in cui si vede la Serafini iniettare a dei bambini un siero per farli diventare gay”. Ovviamente una bufala, tanto che la stessa candidata leghista per evitare il processo ha poi scritto una lettera di scuse e pagato un indennizzo a Serafini, che ha deciso di devolvere la somma ad Arcigay.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
IL POST DELL’ARTISTA HA RACCOLTO FINORA OLTRE 2 MILIONI DI VISUALIZZAZIONI E UN MILIONE E MEZZO DI LIKE… LA REPLICA DEL LEGHISTA SI FERMA A 40.000
È una cavalcata. Che Fedez avesse qualche familiarità con i social si poteva già intuire. I suoi esordi sono stati su YouTube, con una serie di video autoprodotti.
La sua consacrazione su Instagram, dove ha oltre 12 milioni di follower. La sua ultima primavera su Twitch, piattaforma in cui è arrivato da poco ma con cui è riuscito a inserirsi senza troppe difficoltà nella community di streamer italiani.
Con il suo intervento sul palco del Primo Maggio la sua eco sui social è arrivata a un altro livello. È stato un attacco senza precedenti alla Lega, finora regina politica dei social.
Il messaggio di Fedez sul ddl Zan ha attraversato tutti i media: è partito dalla televisione e poi è rimbombato su tutte le piattaforme social. Matteo Salvini non ha potuto fare molto per fermarlo, nonostante negli anni il leader della Lega abbia trasformato i social in una delle chiavi più importanti del suo successo. È il politico europeo più seguito su Facebook, con una pagina che è arrivata a oltre 4,8 milioni di like. È il politico italiano più seguito su Instagram, con 2,3 milioni di follower e ha anche un canale TikTok, oltre che Twitter e Telegram. Per ora niente Twitch. Nonostante questo, il confronto con i post di Fedez nelle ultime ore va in un’unica direzione.
In 12 ore il post di Fedez con il suo intervento contro la Lega ha sfondato il muro di 2 milioni di like con migliaia di riprese da altri influencer.
Il suo tweet con la telefonata a Ilaria Capitani, vicedirettrice di Rai3, ha superato i 50 mila retweet, sempre in mezza giornata.
Il post di risposta di Salvini su Facebook, suo terreno privilegiato, ha superato di poco le 3 mila condivisioni. Totalizzando, quando scriviamo, circa 40 mila like. Confronto impari.
L’attenzione di Fedez verso la politica ha radici ben più antiche del Ddl Zan e della campagna per le vaccinazioni contro il Covid in Lombardia. Nell’ottobre 2011 Fedez aveva 22 anni, compiuti da qualche settimana. La sua carriera era appena iniziata. Alle spalle qualche singolo e l’ep Penisola che non c’è, una manciata di canzoni prodotte da Jt e Dj Harsh che gli avrebbero permesso di entrare in Tanta Roba, l’etichetta appena fondata da Gue Pequeno. Eppure si è era già fatto notare. Tanto che il quotidiano la Repubblica aveva deciso di dedicargli un’intervista su doppia pagina dal titolo Impegno Rap.
I primi testi di Fedez erano molto politici, a partire da Anthem pt.1: «I partiti sono finiti. Sia quelli delle libertà che quelli democratici e onestamente più che un Parlamento sembra un centro di villeggiatura per anziani aristocratici. La situazione è diventata critica da quando la politica parla solo di politica». Il video della canzone inizia con l’intervista a una donna di mezza età, disoccupata. Era la madre di Fedez, poi sarebbe diventata la sua manager.
(da Open)
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Maggio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
LE INCREDIBILI DICHIARAZIONI DI UNA CONSIGLIERA DI ROMA, SOSTENITRICE DI SGARBI ED EX M5S
Un miscuglio di frasi complottiste e senza alcun senso quelle proferite da Francesca Benevento, consigliera al XII municipio di Roma, ora nel gruppo Misto (“Ma sono vicina a Rinascimento con Sgarbi”) già del M5s ma che ha lasciato il Movimento fin dal 2019.
Per dare adito a chi la segue e non crede nei vaccini, ma nella dittatura sanitaria questo è un vademecum niente male. E per non farsi mancare nulla, anche l’offesa antisemita è servita.
Parole incredibili: “Speranza è un ebreo che risponde agli che risponde agli ordine dei suoi padroni, di origine ebraica, quelli che hanno creato la dittatura sanitaria in Israele, e ora vogliono fare lo stesso qui”.
Nei suoi ultimi post, su Facebook, non ha nascosto la sua idea sul covid e il suo antisemitismo: “Dietro tutto quello che stiamo vedendo c’è la McKinsey, che ha formato sia l’ebreo askenazita Speranza, che il ministro Colao”.
“Il vaccino è illegale perché le cure esistono ed il Comitato scientifico è chiamato a ritirare il vaccino secondo il regolamento dell’UE 507/2006 – assicura Benevento – . Un vaccino può essere ammesso solo se non esistono cure alternative e come sappiamo e lo hanno dichiarato i medici facendo ricorso al protocollo di Speranza le cure esistono e sono molteplici.
Anche Bill Gates sta giocando sporco: “ha venduto l’antivirus per i computer, dopo aver creato i virus informatici, ora sta facendo lo stesso con il covid”. Il risultato è che “fanno di tutto per spaventare la gente, si è creato un regime fascista e nazista, la gente teme il peggio e si fanno inoculare anche i veleni”. “Vogliono fare come in Israele – conclude – dove il 70% della popolazione è vaccinata”.
(da Globalist)
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Maggio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
CI SONO RAGIONI TECNICHE E DI CONTENUTO
Uno dei commenti più pertinenti di questo day after rispetto al discorso di Fedez al Primo Maggio, alle polemiche che ne sono seguite, al balletto dei comunicati stampa e – soprattutto – delle smentite, è stato quello di Luca Bizzarri che, non a caso, vive a cavallo di due mondi – quello della tv generalista e quello del social influencing – e che questi due mondi comprende alla perfezione: «Ieri si è ribadito – ha scritto su Twitter – che la comunicazione è cambiata: la tv generalista è sempre più piccola e irrilevante in confronto al web. Nello scontro tra due poteri, il più forte ha vinto».
Abbiamo assistito a un confronto Fedez contro tv, che è un po’ l’opporsi del mondo vecchio e del mondo nuovo (quelli che Antonio Gramsci, non a caso, metteva in contrasto in una delle sue frasi più celebri), proprio nella confusa zona grigia che c’è nel passaggio dall’uno all’altro. Anche se, dopo ieri, l’altro è di gran lunga più vicino.
Fedez ha dimostrato che, in un confronto tra influencer e televisione, i primi avranno sempre la meglio. E che, nonostante i tentativi della seconda di mettere un argine, la televisione sarà sempre un passo indietro per codici, modalità di comunicazione e contenuti. Forse la stessa cosa vale anche per la politica, ma questo è un discorso più ampio ancora.
Ripercorriamo brevemente le tappe di quanto accaduto ieri. Il concertone del Primo Maggio stava andando avanti. Qualcuno aveva iniziato a sussurrare di una possibile bomba che Fedez stava per sganciare sull’evento. La politica direttamente interessata ha provato ad anticipare i tempi, mettendo in gioco i suoi pezzi da novanta, come gli account social di Matteo Salvini che – senza fare riferimenti espliciti – hanno iniziato ad attaccare la manifestazione del Primo Maggio partendo dai soliti canoni: evento pubblico, pagato con i soldi degli italiani, che non può essere strumentalizzato dalla politica.
Frasi che, in passato, nessuno avrebbe osato nemmeno immaginare, ma che nella retorica populista, che fino a un anno e mezzo fa ha dominato la scena, trovano il loro humus perfetto.
Fedez, a quel punto, ha risposto. Lo ha fatto con tre stories davanti a un pubblico virtuale di 12 milioni e passa di followers. Che da soli valgono molto di più dei punti di share di un singolo programma della Rai e hanno – in più – il vantaggio di potersi replicare con effetto onda, andando a coinvolgere le fanbase di altri influencer o, semplicemente, di altre persone comuni.
Basterebbe questo stesso meccanismo a far comprendere da chi arriverà il messaggio dominante. Un programma della Rai, in diretta, viene trasmesso in un lasso di tempo ben preciso; una stories di un influencer può essere vista, a ciclo continuo, per 24 ore.
Poi, è stata la volta di Raitre, con un comunicato stampa (non sapete, oggi, quanto sia anacronistica questa parola!) che ha provato a smentire la ricostruzione di Fedez, facendo addirittura la voce grossa («è ingiusto parlare di censura» o qualcosa del genere: tipo, voi vi ricordate tutti le parole di Fedez, ma chi se le ricorda più quelle del “comunicato stampa”?).
Qui l’influencer ha messo in campo l’altro strumento a sua disposizione: la vita in diretta. Una sua telefonata viene documentata in video, esattamente come si fa – su Instagram – con una cena al ristorante, una sessione di fitness, una cucinata in famiglia, un gioco con i propri figli.
Del resto, per antonomasia, cosa fa un influencer? Vive in diretta, mostra al pubblico quello che sta facendo minuto per minuto. Come si può competere con una persona che fa della sua vita in vetrina il suo principale core business? Possibile che i vertici della Rai – compresa la vicedirettrice Ilaria Capitani – non lo avessero capito al momento della telefonata?
Fin qui i mezzi, ora passiamo ai contenuti. Un programma televisivo, un evento pubblico, che ha le sue regole, i suoi codici, i suoi paletti, non può mai essere definito completamente libero di fronte alla scelta, totalmente personale, di un influencer di dar voce a ogni suo pensiero, «secondo la sua diretta responsabilità» (avete notato che Fedez, nel corso della giornata di ieri, lo ha ribadito più volte?).
Nelle proprie stories, l’utente dei social con grande seguito può dire quello che vuole. In un programma della tv generalista, invece, deve rispettare una scaletta, deve confrontarsi con degli autori che, a loro volta, lo inseriscono più o meno avanti nel palinsesto della serata. Questa, quantomeno, è la percezione del pubblico (chi legge Giornalettismo, invece, sa bene quanto i grandi big del tech e dei social network sappiano essere invasivi nelle loro scelte di mercato). Ieri, il delitto perfetto è stato consumato.
Ecco perché serve una nuova riflessione sui codici della comunicazione, ecco perché serve una consapevolezza – al di là dei singoli episodi – su cosa sia o cosa non sia libero sui social network, ecco perché serve un nuovo modo per affrontare gli argomenti che – si diceva un tempo – dettavano l’agenda setting. E che, ora, non possono far altro che inseguire, in affanno.
(da Open)
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Maggio 2nd, 2021 Riccardo Fucile
IL RETTORE: “PRENDEREMO PROVVEDIMENTI”… E POI QUALCUNO DICE CHE UNA LEGGE CONTRO L’OMOFOBIA NON E’ NECESSARIA
Insulti omofobi da parte di un docente dell’università di Messina a uno studente.
“Per questo militanza è parlare dei suoi pruriti sessuali”, “Fatelo tornare giù e vedi come lo pestano, tanto a questi piace pure”: sarebbero queste alcune delle frasi che il professore ha rivolto su Facebook a un ragazzo queer bisessuale, subito dopo che quest’ultimo aveva pubblicato sui social una riflessione sul “cat-calling”.
Lo studente, 24 anni, ha denunciato il docente che lo ha insultato.
Interviene il rettore Salvatore Cuzzocrea che parla di “riprovevole vicenda che ha visto coinvolto un nostro studente, oggetto di reiterati insulti di stampo omofobo”. E aggiunge: “L’università di Messina condanna fermamente quanto accaduto”.
I fatti, viene spiegato, sono già all’attenzione dell’amministrazione universitaria per il tramite del presidente dell’Arcigay Messina, Rosario Duga, che è stato ricevuto dal rettore e dal prorettore vicario, ed è stato invitato a inviare tutta la documentazione necessaria “al fine di attivare le dovute procedure disciplinari”.
L’ateneo di Messina, peraltro, si è dotato anche di recente – fa rilevare il rettorato – di “strumenti e regolamenti stringenti che consentano di sanzionare eventuali comportamenti inaccettabili di siffatta natura. Il rettore, comunque, rimane come sempre disponibile a incontrare le associazioni studentesche”.
(da agenzie)
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