Maggio 30th, 2021 Riccardo Fucile
NEL DUALISMO SALVINI-MELONI EMERGE L’ASSENZA DI UN FEDERATORE
Le settimane scorrono via, l’appuntamento elettorale si avvicina, ma sui nomi siamo ai blocchi di partenza tanto per il Campidoglio quanto per Palazzo Marino. Matteo Salvini pudicamente minimizza, “abbiamo un problema di abbondanza” va spiegando, folle di aspiranti Nobel che sgomitano per fare il sindaco, la cernita richiede tempo.
Purtroppo, la realtà risulta diversa. Usciti di scena Gabriele Albertini e Guido Bertolaso, adesso si sta discutendo di figure improbabili, cercate col lanternino. Enrico Michetti, ad esempio: l’avvocato-tribuno sponsorizzato a Roma dai Fratelli d’Italia ha un profilo che lascia perplesso perfino un campione della destra-destra come Francesco Storace, ex presidente della Regione Lazio e brillante penna del quotidiano “Il Tempo”. Con lui, spiega Storace, “rischieremmo di fare una campagna elettorale in difesa” per via di certi risvolti giudiziari non ancora venuti a galla. Meglio, molto meglio Nerone.
Una classe dirigente seria (sinistra compresa) si domanderebbe come mai scarseggiano i nomi all’altezza.
Contrasterebbe l’impoverimento della politica cercando di affrontarne le cause, che vengono da lontano: dalla fine dei partiti novecenteschi entrati in crisi con Mani Pulite e soppiantati da movimenti carismatici, totalitari, dove il dissenso non è tollerato e conta soltanto la figura dei leader assecondati dai loro cerchi magici.
Bilancerebbe i tratti “identitari” con la capacità di ascolto. Correggerebbe un sistema elettorale concepito apposta per nominare i servi e punire chi ragiona con la propria testa. Lancerebbe ami verso la società civile, sperando che qualche “personaggio del fare” si lasci ingolosire per narcisismo o per masochismo (due facce, in fondo, della stessa medaglia).
Questa riflessione, nello schieramento politico che sfiora il 50 per cento e ambisce a governare l’Italia, sembra di là da venire, anzi non è stata nemmeno avviata.
Il gruppo dirigente leghista rimane lo stesso dell’era padana, con i druidi vestiti di verde e le ampolle del “dio Po”; quello della Meloni si è forgiato nella palestra d’ardimento di Azione giovani ai tempi in cui lei ne era presidente. In compenso sulla destra divampa lo scontro tribale.
L’ultimo esempio: anziché chiudersi in una stanza con l’impegno di non uscirne senza avere scelto i candidati sindaci a Roma e a Milano, nei giorni scorsi i nostri eroi se ne sono andati a zonzo per Europa. Salvini in Portogallo, con l’intento di rinforzare i legami con i sovranisti locali; Meloni prima a Madrid e poi a Varsavia per sventare le manovre salviniane tendenti a sfilare i polacchi dal gruppo Conservatore che lei presiede.
Nemmeno sul Copasir, dopo le dimissioni del leghista Volpi, sono riusciti a trovare uno straccio di compromesso.
L’unico vero punto d’intesa, tra Giorgia e Matteo, è su luogo e data del duello finale. I conti verranno regolati il giorno delle elezioni: vincerà, ha ripetuto Salvini con aria di sfida, chi prende anche solo uno zero virgola in più.
Su tutto il resto sarà competizione.
Ciò significa che per i prossimi due anni il Capitano e la Ducetta (come viene incensata dai quotidiani amici) passeranno il tempo a combattersi tra loro; salvo ricominciare le liti subito dopo il voto; chi verrà sconfitto cercherà di rifarsi e non darà tregua al vincitore a costo di finire male.
Perché, diversamente dalla sinistra dove sopravvive un certo tasso di ipocrisia, la destra è il regno delle pulsioni “basic”, degli istinti irrefrenabili primordiali.
A tenerli insieme un tempo c’era Silvio, il Federatore; che possano riuscirci senza di lui, è ancora tutto da dimostrare.
(da Huffingtonpost)
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Maggio 30th, 2021 Riccardo Fucile
ANCHE LA RUSSA (FDI) BOCCIA LA PROPOSTA DI SALVINI: “NESSUN GRUPPO UNICO”
La dichiarazione di Salvini, che vorrebbe un gruppo unico della sedicente destra in Europa per far contare di più le posizioni dell’area politica, non è piaciuta molto agli alleati di governo proprio di centro destra, i quali rigettano l’idea di allearsi con gli estremisti di destra in Europa
“In Italia il centrodestra è unito ma tutto ciò non può essere trasportato in Ue: per il Ppe è impossibile fare un accordo con Id. Non possiamo rinunciare alla nostra identita’”.
Così il vicepresidente del Ppe, Antonio Tajani. “Salvini fa parte del governo Draghi e ha fatto una scelta europeista, altri no: Afd e Le Pen che sono alternativi culturalmente a noi, sono antieuropeisti. L’ accordo vincente contro la sinistra è quello che portò alla mia elezione a presidente del Pe tra Ppe, Conservatori e Liberali”.
La Russa boccia Salvini: “Gruppo unico del centro-destra a Bruxelles? Meglio in coordinamento”
Il vice-presidente del Senato: “Un gruppo unico delle forze di centrodestra a Bruxelles avrebbe anche dal punto di vista tecnico, a prescindere dalle motivazioni politiche”
Una bocciatura perché tanti sanno che la proposta di Salvini è solo una strada per tornare al centro dell’attenzione in Europa, mentre il ruolo della Lega è totalmente marginale, né civettare con post-nazisti o quelli del gruppo di Visegrad apre a grandi prospettive
“Non conosco le regole e i regolamenti europei, ma per quel po’ che so, un gruppo unico delle forze di centrodestra a Bruxelles avrebbe anche dal punto di vista tecnico, a prescindere dalle motivazioni politiche, delle controindicazioni Non vedo controindicazioni, invece, per un coordinamento stabile e proficuo tra i vari gruppi di centrodestra in Europa”.
Parole di Ignazio La Russa, vicepresidente del Senato e tra i fondatori di Fdi, commentando la proposta lanciata da Matteo Salvini di un gruppo unico di centrodestra a Bruxelles alternativo alla sinistra.
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2021 Riccardo Fucile
LA POLEMICA SULLA PRESIDENZA DEL COPASIR CHE STA FACENDO LITIGARE FDI E LEGA
Dietro lo stallo del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, organo bicamerale tra i più importanti per il funzionamento della nostra democrazia, si intravedono due faccende di non poco conto.
Una è di natura politica, tutta interna al centrodestra, e che contrappone Fratelli d’Italia (a cui spetta la presidenza in quanto unico partito di opposizione) e la Lega di Matteo Salvini (che ha il presidente uscente) per la scelta del nuovo vertice.
La seconda, invece, attiene a motivi di opportunità e di rapporti diplomatici, e da giorni mette in allarme i nostri servizi di intelligence: riguarda il senatore Adolfo Urso, esponente di Fdi, attuale vice presidente del Copasir e candidato a ricoprire la carica di presidente dopo le dimissioni dei componenti leghisti.
Urso però è anche un imprenditore che, per anni, è stato in affari con l’Iran. Non esattamente un Paese neutro e neutrale.
La storia ruota attorno alla Italy World Service srl, una società di consulenza in cui Urso ha avuto ruoli operativi e la rappresentanza legale, prima di cedere le quote al figlio nel luglio 2017.
La Iws “opera – si legge nei documenti depositati alla Camera di commercio – nel settore della consulenza e assistenza a professionisti e imprese”, in particolare “nella internazionalizzazione delle loro attività”.
Urso ha sempre sostenuto che il core business della società fosse diffuso, avendo nel portafoglio clienti aziende italiane che operano nei paesi del Golfo, ma anche in Turchia, Sudafrica e Albania.
Analizzando i bilanci, però, si scopre qualcosa di diverso. La Iws nel 2016 fattura 425mila euro, nel 2017 350mila, nel 2018 147mila e nel 2019 crolla a 57mila, quando le perdite sono addirittura superiori al fatturato.
Cosa accade? Due cose, a leggere i verbali di assemblea.
La prima. Nel luglio 2017 Urso, che ha appena compiuto sessant’anni, decide di candidarsi al Senato quindi lascia il timone della Iws al figlio, pur mantenendo una quota di minoranza nel pacchetto azionario.
La seconda: a marzo del 2018 viene chiusa la sede di Teheran dove erano impiegate una dipendente e una collaboratrice. Dunque: senza Urso e senza Iran, gli incassi si riducono quasi a zero. Com’è possibile?
Per la Lega – che in queste settimane ha colpito duro sul punto, ritenendo Urso non adatto ad assumere la guida del Copasir – la parabola societaria della Iws è la prova dei solidissimi legami di “Urso imprenditore” con la Repubblica islamica dell’Iran.
Dove, fanno notare fonti dell’intelligence, “effettivamente è impossibile lavorare senza l’appoggio del governo di Hassan Rouhani”.
Rohuani che lo stesso Urso aveva elogiato nel 2017 in un’intervista al Tempo, durante la campagna presidenziale iraniana. “Con Israele sotto attacco – dice Salvini – la Lega non darà mai il suo consenso a qualcuno che è amico del regime iraniano”.
In realtà, la posizione di Salvini è pretestuosa.
Il leader della Lega sta cercando di utilizzare politicamente una circostanza assai complessa. Il Copasir è, nell’ordinamento giuridico italiano, uno degli organi più osservati dai Paesi alleati vista la delicatezza dei dossier che tratta.
Il caso Urso sta creando, in queste ore, non pochi imbarazzi: è un fatto che un membro del Copasir abbia quote di una società che offriva e offre consulenze ad aziende italiane in nazioni sensibili. “Un problema che esiste”, fanno notare dall’interno dello stesso Comitato parlamentare, “e che esisteva anche quando Urso era vice presidente”.
Il senatore di Fratelli d’Italia più volte ha offerto la sua versione alle persone a lui vicine. In sintesi, sostiene che il calo del fatturato della Iws è figlio non della chiusura della sede iraniana, ma del suo avvenuto disinteresse verso quella società. Che l’Iran era solo parte del business. E che lui ha sempre avuto ottimi rapporti anche con Israele. Rivendica che la presidenza del Copasir spetta quindi a lui, e che non esistano motivi ostativi.
Lo stallo, però, va avanti. Anche perché il caso Copasir è entrato in un discorso politico più ampio, anch’esso interno al centrodestra, che riguarda la scelta dei candidati sindaci nelle grandi città e la nomina dei nuovi componenti del Consiglio di amministrazione della Rai.
Come se il controllo della sicurezza del Paese – in un momento così delicato, come dimostrano i dossier sul tavolo (il caso del Metropol, l’affaire Mancini-Renzi, il 5G) – fosse da trattare al pari del Gioco dell’Oca.
(da La Repubblica)
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Maggio 30th, 2021 Riccardo Fucile
SONO TANTI I SOGGETTI CHE SI ORGANIZZANO PER RESTARE ATTACCATI ALLA POLTRONA
Dagli ex 5 Stelle ai rappresentanti di Azione e +Europa, per non dimenticare il Movimento degli eletti all’estero, la fioritura di progetti politici in Parlamento è all’insegna del motto “aggiungi un posto in Aula”.
E il perché del fermento è presto detto: lo sguardo è rivolto alle prossime elezioni. I parlamentari, alcuni non proprio di primo piano, cercano di posizionarsi.
Così, alla Camera e al Senato gli spostamenti tra un partito all’altro, i famigerati cambi di casacca, si moltiplicano facendo nascere i partiti all’interno dei Palazzi. In questo modo ha preso forma alla Camera, Coraggio Italia, il gruppo lanciato dal sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, e dal presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti.
Sono in totale 23 i deputati che hanno aderito al progetto, 3 in più rispetto alla soglia minima per creare un gruppo a Montecitorio. Un’operazione non priva di strascichi polemici. “L’ennesimo tentativo di Palazzo per cui anche giornali e tv ne parlano poco”, osserva il deputato di Forza Italia, Alessandro Cattaneo, in riferimento alla scissione all’interno degli azzurri. Al Senato, invece, il nome del partito di Brugnaro e Toti resta quello di Idea e Cambiamo, in attesa di novità.
Ma la selva di componenti del gruppo Misto (le organizzazioni che mettono insieme i parlamentari senza avere i numeri per formare un gruppo) a Montecitorio e Palazzo Madama va ben oltre.
Come se non bastasse è in dirittura d’arrivo un ulteriore progetto: i fuoriusciti dal Movimento 5 Stelle, capitanati dai senatori, Nicola Morra e Barbara Lezzi, e dal deputato, Alessio Villarosa.
L’obiettivo è quello di fare un gruppo, la costituzione della componente sembra il risultato minimo. Ma proprio tra le componenti figura già L’Alternativa c’è, formata da altri ex pentastellati, i fuoriusciti della prima ora. Ed è attualmente la pattuglia più nutrita con 14 unità: l’addio di Maria Laura Paxia è stato riequilibrato dall’ingresso di Leda Volpi.
Il punto di riferimento è Andrea Colletti, che si sta impegnando per raggiungere il numero di 20 deputati aderenti per avviare il gruppo.
Una missione difficile, vista la concorrenza degli altri ex grillini. A meno che non vengano unite le forze, ma la strada è impervia. Tra gli altri nomi più rilevanti ci sono l’ex presidente della commissione Finanze, Raffaele Trano, e tre dissidenti duri e puri rispetto alla linea del Movimento 5 Stelle, Pino Cabras, Alvise Maniero e Andrea Vallascas.
Per una componente che cresce, c’è un’altra che perde pezzi: il Centro democratico di Bruno Tabacci, che solo qualche mese fa era una calamita. Rappresentava infatti il fulcro dei Responsabili per salvare Giuseppe Conte.
Con il governo Draghi, le cose sono cambiate. Tabacci è diventato sottosegretario, ma il drappello parlamentare si è dimezzato. Dalle 14 unità di febbraio si è giunte alle attuali 7. Resistono, tra gli altri, l’ex dem, Daniela Cardinale, l’ex leghista, Carmelo Lo Monte, e l’attore prestato alla politica, altro fuoriuscito del M5S, Nicola Acunzo.
Il ruolo di leader è stato assegnato a Mara Lapia. Di recente gli ex grillini, convertiti per poco al tabaccismo, Carlo Ugo De Girolamo, Fabio Berardini e Marco Rizzone sono migrati in Coraggio Italia.
Anche al Senato il gruppo dei Responsabili, su cui c’era il marchio di Centro democratico, è durato il tempo di un amen: due mesi ed è finito per dissoluzione. Ricardo Merlo, Saverio De Bonis, Gregorio De Falco, tra gli altri, sono tornati al punto di partenza. Mentre Tatjana Rojc è stata riaccolta dal Pd dopo il periodo di “prestito” ai Responsabili, necessario a far sorgere il gruppo.
Un percorso complicato è quello alla Camera di Noi con l’Italia, che vede l’ex ministro Maurizio Lupi come leader.
A luglio 2020 contava oltre 10 deputati tra le propria fila, un ottimo bottino visto che a marzo 2018 avevano aderito appena in 4. Settimana dopo settimana hanno cambiato casacca vari parlamentari: adesso con Lupi sono rimasti solo Alessandro Colucci, Renzo Tondo ed Eugenio Sangregorio, i fedelissimi della prima ora, al cui fianco si è aggiunto Vittorio Sgarbi.
A gennaio era andata via già Veronica Giannone, ex grillina approdata adesso alla corte di Forza Italia. Di lì a poco si sono accomiatati Giorgio Silli, Manuela Gagliardi e Carlo Pedrazzini, confluiti nel progetto Coraggio Italia. Per tenere in piedi la componente al nome Noi con l’Italia si sono aggiunte le sigle di Usei e Rinascimento, portata in dote da Sgarbi.
A Montecitorio ha preso forma anche la componente ambientalista, FacciamoEco-Federazione dei Verdi, capitanata dalla deputata eletta con Liberti e uguali, Rossella Muroni. La benedizione dei Verdi italiani ha reso possibile l’operazione di far nascere un progetto green direttamente in Parlamento. Al fianco di Muroni ci sono Alessandro Fusacchia, a lungo numero due di Tabacci, e l’ex ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti.
Subito dopo il lancio hanno aderito Andrea Cecconi, uno dei grillini cacciati durante la campagna elettorale (ma che comunque ha ottenuto il seggio) e Antonio Lombardo.
Finita qua? Macché. Resiste la componente Azione-+Europa-Radicali italiani: sono rimasti in tre, Nunzio Angiola ed Enrico Costa di Azione, il partito di Carlo Calenda, più Riccardo Magi. Di recente, il 25 maggio, c’è stato l’addio di Flora Frate.
Al limite dello scioglimento (una componente deve contare almeno tre deputati per restare in piedi) c’è anche il Maie-Psi, che mette insieme il movimento degli eletti all’estero ai socialisti. Insomma, è sempre meglio organizzarsi che finire nel limbo del Misto. Che per il futuro non dà alcuna prospettiva.
(da il Fatto Quotidiano)
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Maggio 30th, 2021 Riccardo Fucile
NEL 2007, A 14 ANNI, SBARCA A BARI E RAGGIUNGE LA CAMPANIA… “L’ITALIA MI HA DATO TUTTO: GLI AMICI, UNA FORMAZIONE E UNA PROSPETTIVA”
A piedi, a cavallo, su un gommone, aggrappato sotto un camion.
Quando è arrivato la prima volta in Italia, nel 2007, a 14 anni, Rahmat aveva appena compiuto il suo personalissimo viaggio attraverso Afghanistan, Iran, Turchia e Grecia. Sbarcato a Bari, ha raggiunto con mezzi di fortuna la Campania, dove è diventato ospite di un centro di accoglienza a Piedimonte Matese, provincia di Caserta.
“Quella è stata la mia lunga rotta verso la salvezza”, ricorda. Grazie ai suoi “angeli senza ali”, che lo hanno accolto, supportato e aiutato nello studio, Rahmat Rezai nel 2021 si è laureato in Ingegneria Meccanica all’Università Federico II di Napoli. Col massimo dei voti. “L’Italia ha avverato il mio sogno. Ora è il momento di ripagarla”.
“La mia vita è stata come tutti gli altri cittadini afghani, se non peggio”, ricorda Rahmat. Di etnia Hazara, minoranza rispetto ai Pashtun, con la famiglia fugge verso l’Iran a 6 anni. Perde i contatti definitivamente con i suoi genitori dopo un posto di blocco dei Talebani. Arriverà nel Paese con suo zio, finirà per lavorare per produrre borse e zaini.
“In Iran ogni giorno la situazione peggiorava: non avevamo il diritto nemmeno di studiare”, ricorda. Rahmat ha resistito per qualche anno. Poi, racconta, è arrivato il momento in cui non aveva più nulla da perdere. E ha fatto una promessa: “Se arriverò in un posto migliore, mi impegnerò con tutte le mie forze”.
A 13 anni, dopo aver messo da parte un po’ di soldi, parte con tre amici verso l’Europa. “Per noi era la terra del futuro”. L’obiettivo era raggiungere la Finlandia, anche se “non sapevamo nemmeno dove fosse”. Si sono fermati in Italia, perché l’importante era “stare lontani dal nostro Paese d’origine. E dalla guerra”.
La seconda vita di Rahmat comincia così nel centro di accoglienza ‘Emiliano De Marco’ di Piedimonte Matese, comune che fa da collegamento fra la pianura casertana e il massiccio del Matese. “Siamo stati trattati benissimo, le operatrici non ci facevano mancare nulla. Appena ho cominciato ad andare a scuola ho capito che ci sarebbe stato un futuro per me”.
Rahmat è ripartito dalla seconda media, completando il liceo scientifico e riuscendo ad ottenere il diploma. Quando, oramai maggiorenne, deve insieme ai suoi amici lasciare la struttura, i gestori decidono di mettere loro a disposizione un piccolo appartamento dove autogestirsi.
Tutti cominciano a lavorare. Rahmat no. Si iscrive all’Università Federico II di Napoli, studia, passa le giornate sui libri “dalle sette del mattino a notte fonda”. Fino a ottenere la laurea, triennale prima e magistrale poi, in Ingegneria meccanica, con il massimo dei voti.
Il primo pensiero dopo la proclamazione? A dir la verità quella sensazione di libertà per aver finito tutti gli esami: “Laurearsi in Ingegneria meccanica non è facile – ripete –. Non pensavo di riuscire ad arrivare a questo punto. Non avevo la mia famiglia, non avevo supporto economico. Sento di aver superato in un certo senso i limiti”.
Una gioia da condividere con gli amici, i professori, ma soprattutto i gestori della casa di accoglienza, i componenti della famiglia Civitillo: Andrea, Eolo, Genny, Vittorio.
“Non ho mai visto persone così generose nella mia vita. Ci hanno fatto crescere: ognuno di noi ha avuto un futuro grazie a loro. Sono stati padri, amici, sempre al nostro fianco. Sono, come mi piace chiamarli, angeli senza ali”.
Quando gli chiedi quali sono state le difficoltà più grandi, Rahmat sorride: “Le persone qui ti vogliono bene senza pensare che sei straniero, senza chiedere da dove vieni. Studiare la lingua, soprattutto la grammatica è stato davvero complicato”, risponde,
Come si immagina il futuro, ora che a 28 anni ha tutta la vita davanti a sé? “Spero di lavorare in un’azienda che produce batterie al litio dove ho già fatto il tirocinio”.
Con la sua storia vorrebbe dire ai giovani italiani di approfittare delle strutture e dei mezzi che hanno a disposizione: “Ci sono molte persone in altre parti del mondo che hanno tanta voglia di crescere, andare avanti, diventare qualcuno, ma che purtroppo non hanno mezzi economici perché i loro Paesi non sono abbastanza sviluppati da accogliere le loro possibilità”.
Per Rahmat la crisi causata dalla pandemia colpirà soprattutto i giovani. “Vorrei dire loro di non mollare, di crescere, di studiare come ho fatto io”, sorride. Oggi, alla fine del suo viaggio, sente l’Italia come il suo Paese: “È la mia terra – continua –. L’Italia mi ha dato tutto: gli amici, una formazione, una prospettiva. Ora – conclude – è il momento di restituire tutto quello che ho ricevuto”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 30th, 2021 Riccardo Fucile
“PER FORTUNA LA BOTTIGLIA GLI E’ CADUTA DI MANO, MI E’ ARRIVATO SOLO IL PUGNO”
“Le botte in testa le sento ancora. Sento ancora il rumore del pugno che arriva alle ossa. È come se tutto continuasse a vibrare”, così spiega S. – una ragazza lgbt di 29 anni di Torino.
È stata aggredita sabato nella strada della movida palermitana. In via Maqueda, all’altezza di via delle Università, poco dopo i Quattro canti. Una violenza mirata: “Voleva sfregiarmi il volto, l’ha detto e l’ha fatto: per fortuna la bottiglia gli è caduta di mano e mi è arrivato solo il pugno”, racconta lei.
S. è in vacanza per una settimana in Sicilia con la compagna e altri due amici. Prima tappa Palermo: “Per andare in un posto bello e col cibo fantastico”.
Ma i primi segnali ci sono stati quasi subito.
Sì. Siamo arrivati ieri. Eravamo a pranzo alla Vuccirìa e stavamo scambiando soltanto gesti affettuosi, più persone c’hanno approcciato per chiederci di smettere. Prima una signora e poi altre persone. Ma pensavamo sarebbe finita lì.
E invece ci sono stati i pugni. Com’è successo?
Stavamo camminando normalmente, quando abbiamo incontrato questo gruppo di ragazzi, 3 o 4 ragazzi tutti più o meno alti come me che sono 1 e 80. Erano assieme a un altro gruppetto di ragazze, 3 o 4 anche loro. Prima c’hanno insultato, noi abbiamo risposto dicendo che eravamo liberi di fare quel che ci pareva. Sono andati via, ma sono tornati.
Avevano delle bottiglie in mano?
Sì, c’hanno lanciato delle bottiglie. Con una, uno di loro voleva sfregiarmi il volto: lo diceva, ma gli è sfuggita di mano. Mi hanno sferrato tre pugni fortissimi in faccia, poi un altro sulla tempia e sono caduta a terra. A questo punto mi sono messo in posizione di difesa e gridavo loro di fermarsi. Hanno continuato finché gli è sembrato di avere fatto abbastanza e se ne sono andati.
Nessuno li ha fermati
No, le ragazze che erano con loro sono rimaste un po’ ai margini di tutto e chiedevano loro di smettere, questo sì.
Nient’altro
No, abbiamo chiamato la polizia, è arrivata anche un’ambulanza e mi hanno portata in ospedale. Mi hanno fatto tutti controlli. Adesso ho la faccia piena di lividi, un occhio completamente nero. Facile riconoscermi a questo punto. (Si ferma, prende fiato, e continua) Non posso negare di avere avuto voglia di andarmene dalla città, non è Palermo il problema, lo è un Paese misogino e omotransfobico, ma di certo ho avuto voglia di andarmene, l’abbiamo avuta tutte.
E siete andate via?
Sì ma era già programmato: adesso siamo al mare, sempre in Sicilia, e spero di potermi distrarre un po’. Ma certamente sono molto scossa e frastornata. Non mi era mai capitata una cosa come questa e non credevo sarebbe capitata a Palermo. Di certo mi ha fatto piacere anche la solidarietà che ho ricevuto dopo, quella pure del sindaco. E poi un sacco di pasticcini in più.
Che pasticcini?
Abbiamo affittato una casa al mare e la nostra ospite c’ha riempiti di dolci dopo aver saputo cosa è successo. Questo di certo fa piacere.
Il Ddl Zan ti avrebbe protetta
Non saprei dirlo. So che il Ddl Zan è un punto di partenza, che è necessario parlarne, comunicare, educare, per non arrivare alla violenza.
Verrai più a Palermo, magari al Pride
So che è molto bello e molto partecipato, sono certa che la città è molto altro rispetto a quel che è successo ma in questo momento non saprei dirlo, non posso negare di essere rimasta molto turbata. Ho ancora i segni addosso, sento ancora tutto vibrare.
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2021 Riccardo Fucile
IL LIBERI TUTTI SCATENA LA SOLITA FECCIA
Da Napoli a Milano, da Foggia a Bari, fino a Roma. Le forze dell’ordine sono dovute intervenire in diverse zone d’Italia, negli ultimi giorni, per sedare maxi risse, soprattutto tra giovanissimi, che hanno provocato alcuni feriti e diversi fermi.
Nel capoluogo campano un minore è stato fermato con l’accusa di aver accoltellato altri tre giovanissimi, mentre a Noicattaro, nel Barese, le immagini dello scontro tra ragazzi avvenuto martedì scorso sono finite su TikTok facendo scattare gli accertamenti.
NAPOLI – Tre ragazzi, due dei quali minori di 15 e 16 anni, sono stati feriti in una lite cominciata per futili motivi sabato sera in via Partenope, sul lungomare di Napoli, in una delle principali zone della movida. Per l’aggressione la polizia ha eseguito il fermo di un minorenne. Le indagini proseguono con il coordinamento della Procura dei minori, in attesa della convalida.
FOGGIA – Sei ragazzini sono rimasti feriti nella rissa scoppiata la scorsa notte nella piazza principale di Orta Nova, nel Foggiano. Gli stessi hanno riportato lesioni da arma da taglio, mentre i carabinieri stanno cercando di capire se si tratti di coltelli o cocci di bottiglia, ma nessuno è in gravi condizioni. A quanto si apprende, nella rissa sono coinvolti complessivamente otto giovani, uno dei quali è minorenne. Pare, da una prima ricostruzione, che in piazza ci fosse un gruppo di sei ragazzi intento a chiacchierare, poi sono arrivati altri due giovani. Tra i due gruppi sono quindi volati insulti e sfottò che sono stati solo l’anticipo della rissa. Sul posto sono intervenuti i Carabinieri che hanno avviato le indagini.
BARI – Sono stati rintracciati e denunciati dai carabinieri i presunti responsabili della violenta rissa avvenuta a Noicattaro, nel Barese, e ripresa in un video pubblicato su TikTok, diventando presto virale. Sono tutti giovanissimi, due maggiorenni di 19 anni, e 13 minorenni di età compresa tra i 13 e i 17 anni. I fatti risalgono al pomeriggio di martedì scorso e sono avvenuti in pieno centro proprio a Noicattaro, ma nessuno ha avvertito le forze dell’ordine. È stato però il video diffuso sul web a far scattare gli accertamenti. Alla base della rissa un precedente litigio per futili motivi, al quale era seguito già uno scontro avvenuto il giorno prima a Rutigliano. A far partire la prima rissa era stato un maggiorenne, che nel video diffuso e riferito al secondo scontro si vede avere la peggio nella colluttazione contro un gruppo ben più numeroso, nei confronti di un altro minorenne in fase d’identificazione. Nessuno dei ragazzi coinvolti ha comunque subito lesioni e nessuno è dovuto ricorrere a cure mediche. La Procura della Repubblica di Bari e la Procura dei minori hanno aperto un fascicolo sull’accaduto. “Un episodio di inspiegabile violenza – hanno dichiarato i militari dell’Arma – che accende i riflettori sulla necessità di educazione morale delle nuove generazioni spesso attratte dalla spettacolarizzazione della violenza, ne è emblema il video caricato e diffuso con ‘orgoglio’ sui social”.
MILANO – Sono invece cinque le persone denunciate a Milano per rissa, violenza e resistenza a pubblico ufficiale: si tratta di un polacco classe 1989, un ecuadoriano del 1984, un egiziano del 1978, un’italiana del 1978 e un italiano del 2004. Tutto è iniziato quando uno dei contendenti ha urtato accidentalmente un avventore di una pizzeria seduto a un tavolo, causando una violenta reazione poi degenerata e che non si è attenuata nemmeno alla presenza dei militari, di fronte ai quali le persone coinvolte hanno continuato a spintonarsi ostacolando le procedure di identificazione e non collaborando ai tentativi di distensione. Mentre i militari erano intenti a sedare la lite, sono stati anch’essi offesi dai contendenti che hanno contestato il loro intervento, arrivando a cercare di colpire proprio i carabinieri con calci e pugni. A seguito dei fatti, l’egiziano ha riferito di essere dolorante ad una spalla, ed è stato trasportato in codice verde presso l’ospedale Fatebenefratelli dove gli è stata diagnosticata una “contusione e trauma alla spalla sinistra”. L’uomo è stato dimesso con prognosi di 7 giorni.
ROMA – Rissa ieri sera anche nel quartiere San Lorenzo a Roma. Secondo quanto ricostruito finora, intorno alle 21.30 la polizia locale è intervenuta in largo degli Osci per alcuni assembramenti e disordini. Una minore è stata ferita al braccio con un coccio di bottiglia e un 19enne è invece rimasto contuso a uno zigomo. Entrambi sono stati portati al policlinico Umberto I. Sul posto in supporto alla polizia di Roma Capitale sono intervenuti anche i carabinieri. Sono in corso accertamenti per ricostruire quanto accaduto anche attraverso le immagini registrate dalle telecamere di zona.
FIRENZE – Dopo la segnalazione di un tassista al 112 riguardo a un uomo che danneggiava le auto in sosta, gli agenti del Nucleo Radiomobile di Firenze sono intervenuti sul posto trovando un ragazzo seduto sul marciapiede indicato dai presenti come il responsabile del danneggiamento. È a quel punto che il giovane, un 20enne di Prato, nel corso delle operazioni di identificazione ha iniziato a minacciare i carabinieri iniziando poi a strattonarli, a prenderli a calci danneggiando anche il vetro di una portiera dell’auto di servizio. Il 20enne è stato poi arrestato per resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato e sarà giudicato con rito per direttissima nella mattinata di domani.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 30th, 2021 Riccardo Fucile
IL BRASILE E’ SECONDO AL MONDO PER VITTIME (460.000) E TERZO PER CONTAGI (16 MILIONI)… IL 57% DEI BRASILIANI LO VUOLE A PROCESSO
Decine di migliaia di brasiliani sono scesi in strada sabato per chiedere l’impeachment del presidente Jair Bolsonaro, responsabile di una gestione della pandemia definita «disastrosa» che ha reso il Brasile uno degli epicentri del Covid-19 e ha provocato la morte di 460 mila persone.
Le manifestazioni, le più grandi dall’inizio dell’emergenza sanitaria, sono state organizzate dai partiti di sinistra e dalle associazioni sindacali e studentesche in numerose città, da San Paolo a Belo Horizonte, da Recife alla capitale Brasília, fino a decine di piccole cittadine in tutto il Paese. «Oggi è un giorno decisivo nella battaglia per sconfiggere l’amministrazione genocida di Bolsonaro», ha affermato Silvia de Mendonça, 55 anni, attivista del Movimento Negro Unificado brasiliano, alla testa del corteo di circa 10 mila persone che ha marciato nel centro di Rio de Janeiro.
Nella metropoli brasiliana molti manifestanti — dotati di mascherina — brandivano cartelli che ricordavano i propri cari uccisi dalla pandemia, in un Paese che registra il secondo bilancio peggiore dopo gli Stati Uniti e che ha visto crescere esponenzialmente i contagi — ora 16 milioni — e le vittime dall’inizio del 2021.
«Fanno cori per tutto, anche per la Palestina: chiedono vaccini, sanità pubblica, istruzione», ha spiegato la corrispondente di Al Jazeera da Rio, Monica Yanakiew.
«Il denominatore comune è che vogliono le dimissioni di Bolsonaro», il presidente «Bolsovirus» — come viene sbeffeggiato dai detrattori — che continua a opporsi a mascherine e distanziamento sociale e fa pressione sui governatori e sui sindaci «che hanno adottato lockdown senza prove scientifiche», affinché facciano marcia indietro.
«Non possiamo perdere le vite di altri brasiliani: dobbiamo scendere in strada ogni giorno finché il governo non cadrà», ha detto al Guardian Osvaldo Bazani da Silva, parrucchiere 48enne che a causa del coronavirus ha perso il fratello minore.
«Sono qua per lui», ha riferito il 18enne Luiz Dantas, indicando la foto del nonno Sebastião morto a febbraio a 75 anni. «Il colpevole ha un nome e un cognome», ha proseguito in lacrime Dantas riferendosi al presidente negazionista, in carica da gennaio 2019, che ha ripetutamente sminuito la portata dalla pandemia e ha definito il coronavirus «una piccola influenza», boicottando le misure restrittive adottate in tutto il mondo e sminuendo i rischi. «Voglio giustizia».
Secondo la 46enne Ana Paula Carvalho, economista scesa in strada a Rio, il presidente dovrebbe essere giudicato alla Corte penale internazionale dell’Aia per «crimini contro il popolo brasiliano: ha favorito la morte e la distruzione, Bolsonaro è una tragedia brasiliana».
Il presidente si è sempre difeso sostenendo di essersi opposto al lockdown per proteggere il sostentamento e i posti di lavoro del popolo brasiliano, ma secondo i critici ha ottenuto il risultato opposto: la diffusione incontrollata del virus e il numero insufficiente di vaccini acquistati per contrastarlo hanno distrutto l’economia e ucciso centinaia di migliaia di persone. «Oggi il popolo brasiliano può scegliere se morire di coronavirus oppure di fame», ha spiegato al quotidiano britannico Carvalho.
L’approvazione dell’operato di Bolsonaro — eletto il 28 ottobre 2018 con il 55% dei voti — sta crollando e, stando ai rilevamenti dell’istituto di sondaggi Datafolha, il 45% dei brasiliani ritiene il suo governo «pessimo» o «terribile».
Il 57% della popolazione è ormai favorevole alla messa in stato d’accusa del presidente, furiosa per la retorica populista di estrema destra con cui ha guidato il Paese durante la pandemia.
A favorire l’indignazione della popolazione sta contribuendo l’inchiesta del Senato sulla gestione di Bolsonaro, che ogni sera domina tutti i telegiornali, ma anche la resurrezione politica dell’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, in carica dal 2003 al 2010 e in carcere per 560 giorni a partire da aprile 2018, dopo una controversa condanna per corruzione e riciclaggio.
Scarcerato dalla Corte Suprema a novembre 2019 e annullata la condanna a marzo di quest’anno, l’ex presidente di sinistra — padre del Partido dos Trabalhadores che fondò durante la dittatura militare e con il quale arrivò a governare il Paese — ha recentemente riacquisito i diritti politici e punta a candidarsi nuovamente nel 2022: i brasiliani «si libereranno» di Bolsonaro, sostiene Lula, che non si è ancora candidato ufficialmente e non ha mai confermato le indiscrezioni. «Avrebbe potuto evitare metà di tutti questi morti».
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2021 Riccardo Fucile
ACCORDO TRA DESTRA NAZIONALISTA E PARTITO CENTRISTA
Israele potrebbe avere un governo senza Netanyahu. A tre giorni dalla scadenza del mandato esplorativo, dopo le elezioni del 2 marzo, arriva l’annuncio della formazione di un governo con un altro premier.
“Vi annuncio che farò un governo di unità nazionale con Lapid, per far uscire Israele dalla voragine”, ha detto il leader della formazione di destra nazionalista Yamina, Naftali Bennett, che accetta così l’invito del partito di opposizione centrista Yesh Atid.
“Con Lapid ci sono diversità ma siamo intenzionati a trovare l’unità. Lapid è molto maturato”. Un’alleanza che porrebbe fine allo stallo politico in cui naviga Israele dal novembre 2018, nonché a 12 anni ininterrotti di governo di Netanyahu, il più longevo della storia del Paese.
“Intendo agire con tutte le mie forze per formare un governo unitario con Lapid. Quattro tornate elettorali – ha spiegato Bennett durate una conferenza stampa – hanno indebolito il Paese. Si tratta di una crisi politica senza eguali nel mondo. Stiamo smontando l’edificio dello Stato e rischia di crollare tutto”.
Bennett ha poi attaccato Netanyahu: “Chi dice che c’è un governo di destra a portata di mano, si sbaglia. Non c’è. Non esiste un governo di destra di Netanyahu. Chi lo dice mente. Anche stamane c’è stato un altro tentativo – ha aggiunto Bennett riferendosi all’appello avanzato dall’attuale premier – io sarei stato possibilista, ma non c’era la maggioranza. Netanyahu intende trascinare tutto il campo nazionalista verso la propria Masada personale”.
Quello con Lapid, ha concluso il leader di Yamina, “non solo non è un governo di sinistra come dice Netanyahu, ma sarà anzi più spostato a destra di quello attuale. Non faremo ritiri e non consegneremo territori”.
Non si è fatta attendere la reazione di Netanyahu che ha subito accusato Naftali Bennett di commettere “la frode del secolo”. Il premier ha detto di aver fatto offerte “incredibili” al partito di Bennett che avrebbero impedito un “pericoloso governo di sinistra”, ma Bennett, secondo il primo ministro, “si preoccupa solo di se stesso”.
Potrebbe arrivare già nelle prossime ore l’accordo tra Yair Lapid e Naftali Bennett per la formazione di una coalizione che estrometterebbe Benjamin Netanyahu dal governo israeliano. L’accordo metterebbe fine all’era Netanyahu, dopo che il leader del Likud ha occupato la carica di primo ministro per 12 anni consecutivi. Netanyahu è al potere dal 2009, ma le ultime 4 elezioni hanno rimescolato le carte.
In un contesto politico esacerbato dalle tensioni con Hamas, Netanyahu sta provando a rimanere aggrappato al potere. Oggi, il premier uscente ha lanciato un ultimo appello chiedendo sia a Bennett, che guida il partito di estrema destra Yamina, sia a Gideon Saar della formazione «Nuova Speranza», di formare una coalizione che escluda il centrista Lapid. La proposta di Netanyahu, il cui futuro politico è reso ancora più incerto da un processo per corruzione, verte su una rotazione a tre nella premiership in un esecutivo fortemente sbilanciato a destra
Ad appoggiare il premier è stato nelle ultime ore il partito Sionista Religioso del deputato Smotrich. Saar ha però rifiutato, dichiarando che il suo partito «resta allineato alla sua posizione» di rimpiazzare Netanyahu. «Il governo del cambiamento», e anti Netanyahu, richiede a Lapid anche il sostegno di membri arabi del parlamento.
Una situazione di difficile equilibrio, resa ancora più complessa dal momento che attraversa il partito Yamina. Il suo leader, Bennett, appartenente all’estrema destra e da anni sostenitore della costruzione di insediamenti in Cisgiordania e dell’esproprio delle terre ai palestinesi, è alle prese con una crisi interna. Le frange più estremiste del suo partito non vedono di buon occhio l’alleanza con il più moderato Lapid.
Tuttavia, secondo i media locali, Bennett potrebbe annunciare già in giornata la sua decisione di allearsi con Lapid nella formazione di una coalizione che escluderebbe definitivamente Netanyahu dall’esecutivo. Secondo i termini dell’accordo, Bennett occuperebbe la carica di primo ministro per i primi due anni, per poi lasciare il posto a Lapid nei due anni rimanenti. Se Lapid dovesse fallire nel tentativo di formare un governo, il quarto nel giro di due anni, allora Israele dovrebbe andare alle urne per la quinta volta. Una eventualità che sia Lapid che Bennett vorrebbero evitare.
(da agenzie)
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