Maggio 21st, 2021 Riccardo Fucile
COSA DICE, COSA IGNORA E COSA NON CAPISCE LA LEADER DI FDI… LA SUA OSTILITA’ A UNA VISIONE LIBERALE DELLA SOCIETA’ E DELL’INDIVIDUO, NEGANDO DIRITTI
I libri dei politici, specie se scritti quando ancora in attività e con ambizioni da realizzare, sono soprattutto dei prodotti di più generali strategie di marketing politico. Il racconto di sé, che solitamente contengono, attinge quasi sempre a schemi narrativi tipici, in particolare propri delle fiabe, e a luoghi comuni del tempo coevo, come oggi l’ossessione narcisistica dell’ “essere se stessi” e rivelare ciò che “davvero si è”. Io sono Giorgia, il libro da poco uscito della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, non fa eccezione.
La dimensione intima e personale (raccontata con stile ed evocazioni adolescenziali, o forse da contemporanea influencer – che è un po’ lo stesso – come ha osservato Guia Soncini) occupa interi capitoli e poi si intreccia strada facendo con quella più specificamente politica e valoriale.
L’effetto? È quello della Politica Pop, dell’Intimate Politics: la simpatia che la messa in scena del personaggio suscita da un lato abbassa la guardia rispetto al significato dei suoi principi e valori, dall’altro può arrivare a trasformare la valutazione positiva prodottasi sul personaggio medesimo in una valutazione positiva della sua visione e delle sue opinioni. Storia nota.
Su quale visione, dunque, questo libro trasla quel sentimento di simpatia e ammirazione che il personaggio privato di Giorgia Meloni può suscitare?
Innanzitutto una visione che ricalca gli stilemi del populismo, con la contrapposizione manichea e moralistica tra popolo (bene) ed élite (male).
Il popolo corrisponde agli italiani comuni, l’élite è un multiforme universo di traditori del popolo. Da Mario Monti “esponente autorevole delle consorterie europee” a Mario Draghi, che potrebbe trasformarsi in “un novello cavallo di Troia dell’occupazione franco-tedesca dell’Italia”.
Dagli “oscuri burocrati” che hanno in mano l’Unione europea “e vorrebbero prescindere dalle identità nazionali, se non cancellarle”, ai “sacerdoti del politicamente corretto”, del “pensiero liberal e globalista”, “che nega il ruolo e il valore delle identità”.
La contrapposizione popolo-élite si sovrappone alla dicotomia destra (la sua sedicente destra) – sinistra (tutti gli altri). Dipinta come un corpo unico, votata al male del popolo, che poggia su un “delirio ideologico”, desiderosa di cancellare le identità, la fede, la storia e che da sempre considera la violenza “uno strumento legittimo da usare contro le organizzazioni di destra”.
In continuità con il totalitarismo sovietico e comunista, laddove le sue “politiche immigrazioniste” altro non sono che il nuovo volto “delle deportazioni di massa dell’epoca sovietica”, la sua “demonizzazione” del concetto di sacro il sostituto della “repressione violenta contro le religioni”, la sua lotta contro la “famiglia naturale” la nuova versione della lotta contro la borghesia. In poche parole, il male assoluto e una alterità concettualmente gridata.
Temi etici, immigrazione, Europa costituiscono gli ambiti ove la visione di Meloni si precisa. Che si tratti di aborto, eutanasia, identità di genere o adozione per le coppie omosessuali, l’opposizione poggia sempre su quel senso comune che fa derivare da diritti e libertà conseguenze estreme, mostruose, grottesche.
Dai “negozi di bambini” al diritto di accedere all’eutanasia in qualunque condizione. Come se esistessero solo libertà ‘assolute’. O tutto o niente: “O dispongo della mia vita o non ne dispongo, non ci sono parametri che possano regolare questo discrimine”.
Non esistono dialettica, confronto tra valori, soluzioni pragmatiche (sane dinamiche per una democrazia): o l’apocalisse o l’ordine sociale così com’è.
Anzi, come dovrebbe essere, perché tante degenerazioni sono in corso e bisogna reagire. L’evocazione del “caos” per chiudere ogni discorso.
Sull’immigrazione le posizioni di Meloni sono note. Nel libro sono anche l’occasione per cogliere la sua inclinazione verso uno schema tipico del discorso delle destre populiste e radicali: il complotto.
In più parti si fa riferimento, senza citarla letteralmente, alla teoria della ‘sostituzione’: “Chi ci guadagna ad abbassare salari e diritti? Le grandi concentrazioni economiche, ovviamente, gli speculatori finanziari: “l’immigrazione è uno strumento dei mondialisti per scardinare le appartenenze nazionali, per creare un miscuglio indistinto di culture, per avere un mondo tutto uguale e, possibilmente, tutto fatto di gente debole (…)
E poi c’è l’Europa. Qui le élite malvagie abbondano. Ma Giorgia Meloni si definisce anche europea.
La sua Europa è quella che respinge arabi e turchi a Poitiers e a Lepanto, dei monasteri e delle cattedrali. L’Europa della cristianità medioevale. D’altro canto Meloni sembra ammirare l’organicismo medioevale, i “cerchi concentrici” dove le identità, a partire dalla famiglia verso via via le comunità più ampie, stanno una dentro l’altra, armoniosamente, come non è nella società contemporanea.
”È la famiglia il nucleo di socialità fondamentale dove ciascuno sviluppa la propria formazione, condivide il proprio destino [sic!] e lega se stesso a un continuum che rappresenta il più determinante tonico della società, fin dalla notte dei tempi”. Dalla notte dei tempi, nessun percorso individuale, solo l’appartenenza a comunità ai quali si è predestinati.
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, non esiste nella narrazione meloniana; si passa dalla Vienna assediata ai carri armati sovietici in Ungheria. Le radici cristiane dell’Europa (lette in modo semplicistico e a-problematico), insieme alla classicità, in una lettura della Storia tagliata a fette, sembrano esaurire l’essere europei.
Ma Meloni va oltre ed esplicita gli elementi che ci identificano. La fede; dunque l’appartenenza cristiana. E poi la cultura, ma anche le origini.
Cosa intende con origini? Non lo spiega, ma possiamo forse immaginare.
E ancora, “le caratteristiche con le quali nasciamo e cresciamo”. Quali caratteristiche? Se con esse siamo nati, caratteristiche ascrittive? E da tutto questo deriverebbe, inevitabilmente, una visione del mondo. Destinati a pensare in un certo modo dalla nascita.
Se così è, è naturale che ogni innovazione nei costumi e nei comportamenti sia vista come sovvertitrice dell’armonia di questo popolo ‘organico’. Che chi arriva da altrove non possa che essere percepito come un elemento di disturbo. Non ci sono principi e regole per integrare, ci sono origini per identificare.
In Europa sono i governi ungheresi e polacco – che come è noto stanno significativamente restringendo l’esercizio delle libertà e volontariamente inceppando i meccanismi dello Stato liberale – a difendere “la propria identità nazionale e cristiana”, vittime però dei globalisti che userebbero la clava di un ‘nobile principio’ [sic!], lo Stato di diritto, come “una spranga di metallo da calare brutalmente sulle popolazioni ungheresi e polacche”.
Chissà, magari tra quelle popolazioni vi sono coloro che scendono in piazza contro i suoi amici Orbàn e Morawiecki. Ma Giorgia non lo sa.
Lei è erede della grandiosa concezione del passato, mentre la sinistra è figlia di quell’illuminismo che merita una citazione solo per richiamare il suo rapporto con il razzismo. Ma anche per spiegarci che mica l’avevano inventato i nazisti, il razzismo. Indubbiamente. Dunque? Dunque, poiché il razzismo connotò la cultura occidentale ben prima dell’avvento del nazional-socialismo, “tutto si può dire – avverte Meloni –, tranne che queste nazioni abbiano fatto la guerra alla Germania per combattere il razzismo. È stato un incidente della storia che da quella vicenda l’umanità ne sia uscita più consapevole, e abbia cominciato a riflettere sul tema, spinta dallo shock provocato dalle conseguenze più tragiche del razzismo”.
Lo scontro di civiltà evocato da figure come Roosevelt e Churchill, in gioco nella lotta al totalitarismo nazista, sarebbe dunque una mera impostura, perché avendo il razzismo albergato anche nelle società occidentali, in fondo queste non sarebbero state migliori. A questo punto diventa lecito chiedersi se la distruzione degli ebrei d’Europa letta come il punto estremo del razzismo figlio dei Lumi (chissà se Meloni ha mai studiato la storia dell’antisemitismo), dovrebbe indurci a pensare che i campi di sterminio avrebbero potuto nascere in una qualunque delle democrazie dell’epoca, invece che all’interno della macchina totalitaria nazional-socialista.
D’altro canto, l’inconsapevolezza storica traspare dal suo racconto della visita allo Yad Vashem, il memoriale della Shoah di Gerusalemme. Una specie di Alice che si domanda come possa essere successo, che spiega ai suoi lettori che “un genocidio si consuma a piccoli passi, poco alla volta. Viltà dopo viltà: fino alla completa disumanizzazione delle vittime, attraverso vignette all’apparenza innocenti, canzoncine offensive intonate senza pensarci, pettegolezzi diffusi sempre più insistentemente”.
Banalità poco sopportabili di fronte all’enormità di un evento sul quale la leader di FdI farebbe bene a informarsi un po’ di più.
Così da poter indicare, magari, qualche responsabile e qualche fenomeno scatenante, lei sempre così pronta ad additare i colpevoli e le forze malvagie all’opera. Farebbe scoperte interessanti.
Una specie di Alice, ancora, che si domanda come sia stato possibile che la persecuzione degli ebrei abbia avuto luogo anche durante il fascismo, “malgrado fossero ebrei molti dei protagonisti dell’ascesa di Mussolini”.
La fine del comunismo nell’Europa orientale diventa, a sua volta, l’occasione per altre ‘riletture’: “No, la democrazia [in Europa] non è tornata nel 1945 con la sconfitta della Germania nazista e dell’Italia fascista, come ci piace raccontare, ma solo nel 1989, quando si è dissolto anche il blocco sovietico”.
Avrebbe potuto scrivere che affinché tutta l’Europa fosse un continente di paesi liberi si sarebbe dovuto attendere l’89. E invece no, costruisce un discorso ingannevole che minimizza il significato della liberazione di decine di milioni di uomini e donne dal nazionalsocialismo.
D’altronde, per promuovere l’idea di una festa nazionale il 17 marzo (Unità d’Italia), lamenta che viviamo in uno Stato “che ha preferito celebrare momenti nei quali gli italiani erano divisi piuttosto che quelli che ne hanno sancito l’Unione”.
Eppure in quella data evocata, ma non detta, il 25 aprile, si festeggia l’Italia che tornava ad essere un Paese libero. Con i suoi drammi e le sue divisioni, ma libero dall’occupazione tedesca. Come si può camuffare una tale realtà?
E qui veniamo all’ultimo punto. Il suo rapporto con la destra post-fascista. Rispetto al fascismo scrive: “Non ho alcuna paura a ribadire per l’ennesima volta che non ho il culto del fascismo” (bontà sua!). E prosegue: “D’altra parte, conosco ogni nome e ogni storia dei giovani sacrificati negli anni Settanta sull’altare dell’antifascismo”. Ovviamente non vi è alcun nesso logico tra le due affermazioni, ma un nesso emotivo, sì. Un fenomeno storico prossimo alla parte politica della quale dice di voler “mettere in sicurezza la storia”, non è indagato, è eluso, ma su di esso il giudizio è ammorbidito preventivamente ricordando i giovani di destra ammazzati da avversari di sinistra decenni dopo.
In più momenti Giorgia Meloni rivendica di avere, con la creazione del suo partito, Fratelli d’Italia, raccolto un testimone, essersi posta in continuità con un “storia di settant’anni” (lei stessa spiega come tanti dirigenti, e non solo, provengano da lì).
Che significa il Movimento sociale italiano, sin dalle sue origini, e Alleanza Nazionale. Ma di quella lunga vicenda mette in rilievo essenzialmente la dimensione ‘esistenziale’, di ‘comunità di popolo’. Dei valori di quella storia, che dice di non volere tradire, non precisa granché.
A parte le pomposità della sua Storia à la carte. In un passaggio rivendica il carattere di avanguardia rispetto al MSI del movimento giovanile da lei guidato. Cosa questo significhi concretamente, però, rimane indefinito: in questo modo può mostrare il proprio lato modernizzatore senza rischiare di offendere i più nostalgici.
Giorgia Meloni non si misura mai né col fascismo né con l’estrema destra (lei non la chiama così, ma questo è il suo nome) alla quale si richiama. Si dipinge oltre navigando nell’ambiguità.
Quell’ambiguità può essere compresa come strategia politica: conquistare nuovi elettori più ‘moderati’ senza scontentare il nucleo originario ‘recuperato’ (o chi si riflette in quel nucleo originario).
Ma da quanto si è visto della lettura della storia occidentale di Meloni, comprendiamo che c’è qualcosa di più: una visione della politica, della società, dell’individuo che non ha nulla a che fare con quella liberale.
Una visione che recupera interpretazioni storiche o concezioni (come quella che sovrappone appartenenza politica, religione e origine, o quella che pone l’ordine sociale come un assoluto contro il quale la pretesa individuale può solo infrangersi), che mettono in discussione gli stessi principi della democrazia liberale (non a caso esalta le curvature illiberali di Polonia e Ungheria).
Nel suo mettere “in sicurezza” la destra di sempre, Meloni l’ha probabilmente traghettata, usando la terminologia di Cas Mudde, dalla sua natura “estrema” tradizionale, ostile alla democrazia liberale in quanto tale, a quella radicale (che è sovente anche populista), che si oppone a taluni aspetti della democrazia liberale, in particolare i diritti delle minoranze e la rule of law.
Il post-fascismo e la nouvelle vague populista hanno quindi un punto di incontro nell’ostilità alla visione liberale della società e dell’individuo. Lo spin populista, a sua volta, spiega l’avanzata elettorale di tanti partiti della destra radicale europea, Fratelli d’Italia compresi.
La tendenza a rappresentare la politica come lo scontro epocale tra bene e male, tra ordine e degenerazione, come la vittoria possibile solo degli ‘assoluti’, però, se potenzia l’efficacia della propaganda (messaggi ‘caldi’, semplici, diretti), una volta trasportata al governo può riservare brutte sorprese.
Il mondo mediatico si è invaghito del personaggio Pop e pare incapace di leggere oltre. A sinistra si concentra ogni avversione su Salvini per motivi di politique politicienne. Intanto Giorgia Meloni, che avanza inesorabile nei sondaggi, ha spiegato chi è. Ma forse in pochi hanno letto davvero il libro e in ancor meno lo hanno capito.
Capiranno forse qualcosa di più quando sarà arrivata a Palazzo Chigi.
(da Huffingtonpost)
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Maggio 21st, 2021 Riccardo Fucile
LA PROPOSTA DI TASSARE LE RENDITE IN OCCIDENTE NON ARRIVA DAI COMUNISTI MA DA CAPITALISTI INTELLIGENTI COME STEVE JOBS, ELON MUSK E BILL GATES… SOLO NEL NOSTRO PAESE SI MISTIFICA LA REALTA’ PER FAVORIRE L’1% DEGLI ITALIANI ULTRARICCHI
Finalmente si arriva al dibattito sulla tassa di successione, grazie alla proposta del segretario del Pd che vuole aumentarla. L’idea che Enrico Letta sia stato sommerso da un coro di critiche quasi assordante, che comprende persino esponenti del suo partito, purtroppo, va salutato come un bene: ci deve far aprire gli occhi, ci dice a che livello siamo arrivati, nel dibattito pubblico, ci fa capire fino a che punto siamo precipitati nella falsificazione della realtà. Non al fondo, ma se possibile più in basso.
Ci dice quanto forte sia stata l’egemonia della destra in questi anni, non tra il popolo, ma nel cuore delle élite imburrate che nel Palazzo (e a quanto pare in molti governi tecnici, para-tecnici e affini) hanno fatto il bello e il cattivo tempo.
Ci dà un segnale molto preoccupante sul posizionamento scelto da Mario Draghi su questo tema. Ci dà la dimensione di quanto sia potente la falsificazione del messaggio pubblico sui media.
Ci mostra quanto siano timorosi gli editoriali e le opinioni della stampa finanziata dai grandi editori (con piglio padronale), quanto cauti nel riportare i termini del dibattito senza esporsi.
Un leader – Letta – dice: “Diamo diecimila euro di dote ai giovani meno ricchi” (mediamente uno su due) aumentando la tassa di successione sui più ricchi, ovvero su chi lascia in eredità o dona più di 5 milioni di euro.
E l’altro – Draghi – risponde: “Non è il momento di chiedere soldi agli italiani”.
Ovvero: secondo Draghi far pagare chi lascia in dote 5 milioni di euro equivarrebbe a colpire “gli italiani”. E tradotto in numeri: si cerca di far passare l’1% dei più ricchi in Italia (quelli interessati da un prelievo sopra i 5 milioni di euro) come se fossero “gli Italiani”.
Il che costituisce non solo una curiosa ripetizione (il premier aveva già usato questa risposta per altre domande), ma persino un ribaltamento di senso: un congegno di leva fiscale ideato per togliere ai “pochi”, e distribuire ai “molti”, viene trasformato, con un giochino dialettico, nell’idea che si tratti di una manovra per penalizzare “gli italiani”.
Colpisce come, ancora una volta, si cerchi (ma il vero populismo delle élite è questo) di mistificare la realtà per trasformare un interesse particolare (quello dei pochi) in un interesse generale (quello dei molti).
Colpisce, ancora una volta, come si mettano davanti a tutto gli interessi dei garantiti, rispetto ai diritti dei non garantiti, quelli dei vecchi ricchi prima di quelli dei giovani poveri.
Colpisce, ancora di più, che una delle voci contrarie sia – nientemeno – quella dell’ex capogruppo al Senato del Pd, Andrea Marcucci, forse perché essendo un dirigente del Pd, ma anche “un ricco”, quando si parla di soldi, su tutto prevale il richiamo della foresta, e così il ricco prende il controllo sul dirigente politico.
Anche perché, ovviamente, solo in un paese che ha una classe dirigente arretrata, come quella italiana, si può dimenticare che la proposta di tassare le rendite, in Occidente, non arriva dai comunisti o da Robin Hood, ma dai turbocapitalisti della generazione digitale, dagli Steve Jobs, dai ricchissimi (ma intelligenti) Elon Musk e dai Bill Gates, non certo dalla famiglia Castro o dai sandinisti nicaraguensi.
Il tema è che questo paese è culturalmente vecchio, perché è vecchia la sua classe dirigente, ed è vecchia soprattutto la classe dirigente della sinistra. Il problema è che questo paese resterà vecchio, se non si riesce ad intaccare questa oscena obsolescenza: l’egemonia dei rentiers, dei parassiti di ricchezze accumulate da altri, delle generazioni del capitalismo esangue, degli eredi Agnelli e dintorni, magari di quarta generazione, che si rifanno la barca con il dividendo da azionisti (meglio ancora se finanziato con denaro pubblico), mentre i giovani precari sputano sangue e vengono (sotto)pagati lavorando a cottimo.
È inutile ricordare che in tutta Europa (Francia, Spagna, Germania, per non parlare delle democrazie scandinave) le ricchezze acquisite sono già tassate, mediamente, quasi dieci volte che in Italia.
È inutile dire che in un paese moderno si detassa la ricchezza acquisita con il merito (e con il proprio lavoro), e si tartassa la ricchezza ereditata senza merito (solo per via ereditaria).
E invece bisogna farlo, perché il capolavoro dei ricchi, in questi anni, è stato quello di far credere ai poveri di essere uguali a loro.
E, invece di agevolare leggi che portano lo standard del benessere ai più, hanno favorito provvedimenti, che uniformano la pressione fiscale dei poveri anche ai redditi dei milionari. Un capolavoro, appunto.
Come diceva splendidamente Don Milani, in uno dei suoi aforismi più belli: “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra diseguali”. Qualcuno, questi insegnamenti, oggi li dovrebbe ricordare al (milionario) senatore Marcucci. E anche al (milionario) premier Draghi, che ieri, un po’ infastidito, ha bocciato la proposta, con la stessa insofferenza con cui si allontana una zanzara che ti ronza intorno.
Sia chiaro: non c’è nulla di male, ad essere ricchi, purché (almeno quando si assume un ruolo pubblico) in nome di idee progressiste, si smetta di difendere la ricchezza.
Non c’è niente di peggio di far parti uguali fra diseguali, certo. Ma non c’è neanche nulla di più urticante del conflitto di interessi pecuniario: ovvero quello di chi difende la ricchezza solo per difendere la propria ricchezza.
(da TPI)
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Maggio 21st, 2021 Riccardo Fucile
LA SPERANZA DELLE COOPERAZIONI RAFFORZATE
“Nessuna soluzione arriverà prima dell’estate: servirà più tempo”. Alte fonti diplomatiche europee, rappresentanti dell’Europa ‘frugale’, frenano sulla discussione sull’immigrazione che Mario Draghi e il premier spagnolo Pedro Sanchez intendono aprire al summit europeo di lunedì e martedì prossimi a Bruxelles.
Frenano, oppure semplicemente aggiungono del realismo ad un dossier sul quale l’Ue non è mai riuscita a trovare un accordo comune efficace e funzionante.
Sembrerebbe che nemmeno questa sarà la volta buona. C’è poco tempo da qui all’estate, stagione che, visti gli ultimi sbarchi a Lampedusa e la crisi col Marocco a Ceuta, si annuncia complicata dal punto di vista degli arrivi dall’Africa.
E soprattutto ci sono pochi vertici in programma: quello informale della prossima settimana e quello formale del 24 e 25 giugno. Summit straordinario? Difficile. L’ultimo Consiglio Europeo straordinario sull’immigrazione risale al 2015, quando ci fu la maxi ondata dall’Africa e dall’est e Angela Merkel chiese e ottenne l’accordo europeo con Erdogan, firmato nel 2016 per fermare i flussi dai Balcani diretti prevalentemente in Germania (6 miliardi di euro di finanziamenti Ue alla Turchia).
Pur comprendendo le ragioni di Roma e Madrid e la necessità di riprendere la discussione sull’immigrazione, per i paesi del nord Europa questo resta un tema non prioritario. La speranza italiana è di riuscire a ottenere per lo meno delle cooperazioni rafforzate con i paesi disponibili a dare solidarietà almeno per gli arrivi dell’estate.
Per questo, da tempo è in corso un’interlocuzione del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese con gli omologhi di Germania e Francia, paesi che si sono offerti di collaborare per “non lasciare da sole Italia, Spagna, Grecia”. Ma, vista dal nord Europa, anche la via delle cooperazioni rafforzate non è così diretta e breve.
Perché, spiegano le stesse fonti europee, pur volendo escludere da un’eventuale intesa i paesi dell’est, non toccati dalle frontiere esterne e ideologicamente indisposti a discutere di questi temi, “occorrerà comunque trovare un accordo tra nord e sud Europa e questo ancora non c’è”.
Tradotto: non si fa in tempo prima dell’estate. Seconda traduzione: la cooperazione rafforzata al massimo potrà riguardare la Germania, ma non i frugali del nord, Olanda, Danimarca, Finlandia e affini.
Perché la loro richiesta è che il tema delle riallocazioni dei migranti vada di “pari passo con una procedura armonizzata di controllo delle frontiere”, per frenare i movimenti irregolari da sud a nord dell’Unione. La richiesta all’Italia di stare più attenta ai cosiddetti ‘movimenti secondari’ è sempre arrivata anche da Berlino, ma mentre la Germania tratta, i ‘frugali’ hanno un atteggiamento molto più rigido su questo punto.
Ieri a Bruxelles il segretario del Pd Enrico Letta ha messo nel mirino “ungheresi e polacchi” per fare un esempio dei paesi membri meno inclini alla solidarietà e dunque da non prendere in considerazione nella ricerca di una cooperazione rafforzata con gli Stati disponibili a trattare per scavalcare il meccanismo dell’unanimità, che però, ricordano le fonti nordiche, ”è previsto dai Trattati”.
Ecco, ma il problema non è circoscritto ai paesi dell’est, la cui fama nazionalista, sovranista e anti-comunitaria è ormai solida. Sull’immigrazione il problema è più generale, come si è visto da quando il piano Juncker sulle riallocazioni dei migranti è stato affossato nel 2015 perchè la maggior parte degli Stati membri si è rifiutata di accogliere.
Da qui, il patto europeo con la Turchia, soldi in cambio di ‘stop ai flussi’, con le sue nefaste conseguenze in termini di potere di ricatto di Ankara verso Bruxelles, ‘modus operandi’ che pare sia anche il motore dei rapporti tra Ue e Nord Africa.
Intanto la nave dell’ong Sea Eye 4 attracca a Pozzallo dopo una settimana di navigazione con a bordo 414 migranti salvati in mare. Ma il pessimismo non abita solo al nord Europa.
Anche Papa Francesco ritiene che la comunità internazionale sia incapace di affrontare le sfide comuni come l’immigrazione e i cambiamenti climatici. “La pandemia ci ha resi più consapevoli della nostra interdipendenza in quanto membri dell’unica famiglia umana”, ma “ci ha reso anche consapevoli che la comunità internazionale sta vivendo una crescente difficoltà, se non l’incapacità, di cercare soluzioni comuni e condivise ai problemi del nostro mondo”, dice il Pontefice.
(da Huffingtonpost)
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Maggio 21st, 2021 Riccardo Fucile
SIAMO ALLA MEDIA DI 484.000 INOCULAZIONI, MA SIAMO IN RITARDO, DOVEVAMO ARRIVARCI IL 15 APRILE, OLTRE UN MESE FA SECONDO FIGLIUOLO
L’obiettivo delle 500mila somministrazioni al giorno non è ancora stato raggiunto. Anche se, per la prima volta, l’Italia si avvicina davvero alla media di 500mila somministrazioni giornaliere nella settimana che va dal 14 al 20 maggio
In quest’ultima settimana sono stati somministrati 3.390.000 vaccini, a fronte di 2.698.500 dosi consegnate. Dall’inizio della campagna vaccinale l’Italia ha somministrato 29,41 milioni di dosi, corrispondenti al 91,1% delle 32,28 milioni di dosi consegnate.
L’obiettivo del governo era quello di raggiungere le 500mila somministrazioni al giorno già da aprile. Non solo, come successo, ottenendo questo risultato in alcuni giorni, ma mantenendo una media superiore alle 500mila somministrazioni al giorno. Negli ultimi sette giorni la media, con un dato ancora non consolidato, è di 484.285 vaccini al giorno, a sole 15mila dosi dall’obiettivo dei 500mila giornalieri.
Va ricordato, però, che questo target era stato fissato prima per la metà e poi per la fine di aprile, ma ancora oggi l’Italia non somministra 500mila dosi al giorno.
Il picco di dosi inoculate è stato raggiunto il 14 maggio, con oltre 545mila. Anche il 15 e il 20 maggio sono state abbondantemente superate le 500mila dosi, mentre dal 16 al 19 il valore è sempre stato al di sotto del mezzo milione.§
Mettendo insieme i dati di queste ultime quattro settimane possiamo vedere che l’Italia ha somministrato 12.584.304 dosi, mentre quelle consegnate nel nostro Paese sono state 12.433.220. Il che dimostra come sia complicato, soprattutto decidendo di tenere una scorta di circa il 10% di dosi, poter dare al momento un’accelerazione alla campagna vaccinale.
(da agenzie)
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Maggio 21st, 2021 Riccardo Fucile
IL QUOTIDIANO DI FDI: “FAI SOLDI CON GLI SMALTI PER GAY”… LA REPLICA: “SONO SMALTI PER TUTTI, VOI FATE AFFARI CON ARTICOLI PER TESTE DI CAZZO”
È l’ennesima occasione persa del giornalismo italiano.
Capita dunque di assistere, nelle ultime ore, a una diatriba Fedez contro Secolo d’Italia per un articolo sulla linea di smalti che l’influencer ha lanciato di recente
E così, con una sola Instagram Stories, Fedez ha confutato il tweet di lancio dell’articolo del Secolo d’Italia che parlava di come il business del cantante ormai si fosse spostato su «smalti per gay e lezioni da influencer».
Si tratta di un articolo di due giorni fa che cita, a sua volta, un approfondimento de La Verità che aveva cercato, attraverso una visura camerale, di fare i conti in tasca ai Ferragnez. Cioè, analizzare le principali fonti del loro reddito. Se uno avesse ruoli istituzionali, magari ci starebbe pure. Ma perché andare a misurare il patrimonio di una famiglia di imprenditori? Per scoprire cosa?
E allora, si cerca di dare maggiore enfasi sul colore. Attaccando direttamente la linea di smalti che Fedez ha sponsorizzato con alcune Instagram Stories. Smalti che la testata ha etichettato, nel lancio su Twitter, come smalti per gay.
Inevitabile, a quel punto, la risposta di Fedez: «Secolo d’Italia, fate ridere – dice -. Ah, comunque gli smalti sono per tutti non sono soltanto per gay. Quelli che Secolo d’Italia fanno affari per articoli per teste di cazzo. Giornalismo italiano».
Altra invettiva, dunque, legata alla tendenza a sottolineare – ormai ogni giorno che passa – il lavoro di promozione del ddl Zan da parte di Fedez.
Solo che, lungi dal concentrarsi su eventuali elementi di critica, si sceglie sempre la via più breve e spesso scorretta. Come quella dei presunti “smalti per gay”.
(da Giornalettismo)
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Maggio 21st, 2021 Riccardo Fucile
LEGA E FORZA ITALIA SONO SCETTICI… SU RADIO RADIO SPAZIA TRA POP E DOTTRINA CON VENATURE NEGAZIONISTE SUL COVID
“Dai, che sei sindaco!”. Oppure: “L’uomo giusto al posto giusto”. O ancora: “Finalmente al Campidoglio una persona onesta e competente”. Riceve messaggi così, in pubblico e in privato Enrico Michetti.
Chi? Sintonizzarsi sulle onde di Radio Radio e non riconoscerlo è impossibile. È una piccola grande star della conversazione radiofonica della Capitale, una sorta di The Voice che commenta tutto lo scibile e soprattutto interviene sui temi, le gioie e i dolori del vivere a Roma e dell’amministrare questa città.
Radio Radio è l’emittente romana da cui risuona la sua voce in pillole quotidiane. Ha il suo pubblico, che pende dal suo microfono e gli manda attestati di fiducia e di fedeltà, come capita ai radiogiornalisti sportivi ma lui non lo è (“Adoro la politica”, dice) e sono in tanti nel suo mondo che già lo vedono al Campidoglio, seduto sulla poltrona di sindaco.
L’account Twitter di Radio Radio ha intanto pubblicato una foto di Michetti, con tanto di sfondo della piazza michelangiolesca che domina Roma e non lo hanno fatto ancora montare sul cavallo di Marco Aurelio ma quasi.
E comunque l’immagine di Michetti è corredata dalle sue parole in bella evidenza: “Accetterei volentieri l’incarico”. Dopo il “no” di Guido Bertolaso alla candidatura a primo cittadino della Capitale e la smentita anche dall’ex ministro Giulia Bongiorno, sul tavolo del centrodestra è spuntato proprio il nome del professore romano di diritto amministrativo e direttore di Gazzetta amministrativa.
Uno che non si sente un populista ma, a detta di tutti, è capace di unire il registro alto con quello basso, il pop radiofonico con la dottrina accademica, l’indignazione per il cassonetto strabordante e le idee su come riformare la burocrazia capitolina che notoriamente ha bisogno di una rivoluzione urgente. E lui crede di avere passione e competenza per poter cambiare tutto.
La proposta arriva da Fratelli d’Italia: “Non ci sentiamo di escludere che alla fine Giorgia Meloni potrebbe proporre lui”. Michetti si dice “lusingato” per l’offerta ricevuta. La Lega invece resta un po’ perplessa, una fonte che ha in mano il dossier romano non nasconde di “averlo visto a malapena una volta”, mentre Matteo Salvini sottolinea la necessità di trovare un candidato promettente.
Il tavolo del centrodestra si riunirà lunedì, ma nelle ultime ore, insieme al nome di Maurizio Gasparri proposto da Antonio Tajani, si fa largo proprio quello di Michetti, già protagonista di diversi incontri formativi con i parlamentari e i militanti di Fratelli d’Italia sulle questioni di diritto pubblico.
Ma Michetti, sulle frequenze di Radio Radio, ama parlare un po’ di tutto. Anche della pandemia Covid che il 13 ottobre scorso, in uno dei suoi sfoghi, ha definito “influenza”.
“È diventato ridicolo – dice – si parla soltanto di questa influenza, particolarmente grave, per carità di Dio, in casi acuti – ma che di questo virus si faccia un programma di governo che altrimenti non avrebbe ragione di esistere è paradossale”.
Secondo il professore il governo avrebbe un solo programma: il virus con l’obiettivo di fare terrorismo psicologico affinché si abbia accesso ai fondi del Meccanismo europeo di stabilità.
“Perché bisogna fare una politica del terrore? Per farci indebitare fino al collo? In Italia sono anni che si parla della mancanza di migliaia di infermieri e, in un momento come questo, sarebbe opportuno trovare delle soluzioni”.
Michetti prova a darne una: “Dicono che servono 30 mila infermieri e allora bisogna andare a prendere i soldi del Mes. Scusate, noi paghiamo 3 milioni di persone per stare a casa. Tra questi non ce ne sono 30 mila da poter prendere per fare un corso da infermieri?”.
Il tipo è un tipo estroverso e anche autoironico. Forse non filosoficamente all’altezza di Marco Aurelio ma convinto di saper maneggiare la storia e l’Urbe è una metropoli intessuta di storia: “Mi hanno definito Tribuno della Radio? È una parola nobile. Forse il momento più alto della Repubblica romana sono state le forme dei tribuni della plebe. Coloro che pensavano di dare un lavoro attraverso la distribuzione equa dei territori di conquista. Io vedo tanta nobiltà nel termine tribuno. Il tribuno è colui che sa parlare alla gente, la sa coinvolgere nelle iniziative da portare avanti”.
Ma Michetti può parlare anche della fine del Partito comunista e della svolta della Bolognina: “Occhetto fu il carnefice ma anche colui che seppe interpretare bene l’evento”. E ancora: “Sono 25 anni che la mia attività si basa nell’assistenza ai sindaci nelle procedure più complesse: trasporti, igiene urbana, piano regolatore, procedimenti amministrativi. Molti di questi sindaci sono ora in Fratelli d’Italia e hanno manifestato stima nei miei confronti”.
Il riferimento è alla sua attività come consulente Anci. Stimato professore di diritto amministrativo, ha difeso sindaci e comuni presso Tar e Consiglio di Stato.
Insomma un nome concreto, con un robusto seguito social che convince Fratelli d’Italia, lascia perplessa la Lega e fa storcere il naso a Forza Italia.
L’Udc con Antonio Saccone lo ritiene “una persona credibile”. Francesco Storace, storico esponente della destra romana ma da poco tempo politicamente vicino a Salvini, ironizza: “Ero a San Pietro e tutti si chiedevano chi fosse quello vestito di bianco vicino a Michetti. Roma merita un grande sindaco. Non ci mortificate”.
La coalizione si riunirà per trovare la sintesi nei prossimi giorni. Il cavallo di Marco Aurelio è pronto a far salire qualcuno. E Michetti è prontissimo.
(da Huffingtonpost)
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Maggio 21st, 2021 Riccardo Fucile
A MILANO IL QUARTIER GENERALE DI “ULTIMA LEGIONE”….IL LEADER DEL GRUPPO INNEGGIAVA A GIORGIA MELONI
Custodivano pistole, fucili, pugnali, vessilli con simboli nazifascisti. Si facevano chiamare “legionario Enzo”, “legionario Luca”, “legionaria Francesca” e indossavano magliette nere con il tricolore e il nome del movimento: “Ultima Legione”. Apparentemente, uno dei tanti gruppi identitari della destra estrema e nostalgica
In realtà – hanno accertato gli agenti della Digos coordinati dalla procura de L’Aquila e dalla Direzione nazionale anti-terrorismo – miravano a “costituire una struttura politica che si richiamava all’ideologia fascista” con “istigazione all’uso della violenza quale metodo di lotta politica e diffusione online di materiale che incita all’odio ed alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi”.
«Elimina l’ebreo», dicevano i militanti di Ultima Legione, i neofascisti perquisiti dall’antiterrorismo nei giorni scorsi.
Militanti che ritroviamo in eventi di Fratelli d’Italia, il partito sovranista e conservatore di Giorgia Meloni. In uno di questi eventi erano presenti anche esponenti del Sap, sindacato di polizia.
Accanto a lui un gruppo di militanti, con felpa nera ed in mano il volantino del partito, con la foto della Meloni. Sono gli esponenti di punta di “Ultima legione”, come si legge sul logo che portano sul petto, movimento di estrema destra nato nel 2018 proprio a Milano e, da alcuni mesi, sotto l’occhio degli investigatori dell’antiterrorismo.
Sul suo profilo social il 25 novembre del 2017 – poco prima di fondare il gruppo neofascista – ha postato un selfie con una Giorgia Meloni sorridente.
La foto è stata scattata in occasione di un incontro tra i vertici del gruppo milanese “Fare fronte” – legato all’esponente del neofascismo lombardo Roberto Jonghi Lavarini – e la Meloni, durante una manifestazione contro lo Ius Soli. Il leader della foto con Meloni è tra i perquisiti nell’inchiesta sul gruppo neofascista.
Il movimento fondato a Milano il 29 ottobre del 2018 dal 53enne Enzo Cervoni, con sede nella multietnica via Padova, è finito al centro di un’inchiesta dell’Antiterrorismo partita dall’Aquila, con 25 perquisizioni in 18 province. Fra i 30 indagati anche la compagna di Cervoni, tesoriere e responsabile dei social, e militanti di tutta Italia del gruppo che ha la sua roccaforte in Abruzzo e Lombardia, fra Milano e il Comasco. Un’organizzazione connotata, secondo l’accusa, da un elevato grado “di fanatismo violento, intriso di xenofobia e nostalgie filonaziste” che talvolta “sfociano in non meglio precisate progettualità delittuose e di eversione dell’ordine democratico, nonché nell’aperta esaltazione di recenti stragi di matrice suprematista”. Messaggi veicolati dalle chat private su Telegram e Whatsapp e sul social russo VKontakte dal 2019 finite sotto la lente degli investigatori della Digos e della Polizia postale, coordinati dalla Procura dell’Aquila e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.
La Costituzione italiana era bollata come “prostituzione” e con altri epiteti. Poi l’esaltazione della violenza – “Le armi si trovano… si trovano. Ho sempre gli anelli alle dita e il manganello dietro, ora ho pure un machete” – con il corollario di nostalgie fasciste e frasi antisemite: “Elimina l’ebreo, e il mondo diventa migliore”. La pandemia, nella visione del movimento, letta in chiave complottista e negazionista. Uno degli appartenenti ha anche commentato i filmati dei mezzi dell’esercito usati a Bergamo per il trasporto della salme nella prima fase dell’emergenza sanitaria con riferimenti ai forni crematori nei campi di concentramento nazisti.
Fra i “dieci comandamenti” di Ultima Legione “stop all’immigrazione clandestina”, abolizione con referendum delle leggi Scelba e Mancino contro la ricostituzione del partito fascista, “tutelare la cultura e l’identità italiana”. In un’intervista pubblicata su YouTube Cervoni esprimeva apprezzamento per Giorgia Meloni perché “è molto combattiva”
(da agenzie)
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Maggio 21st, 2021 Riccardo Fucile
LA MELONI: “MAI RICEVUTO INVITO FORMALE”… LA DEPUTATA FDI BUCALO: “C’E’ STATO IL CONTATTO MA NESSUNA ADESIONE FORMALE”… LA DIRIGENTE NON RISPONDE ALLA STAMPA, AVVIATA UN’INCHIESTA DALL’UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE
La presentazione del libro di Giorgia Meloni, in presenza della leader di Fratelli d’Italia e della deputata, sempre di FdI, Ella Bucalo, durante le ore di lezione in un istituto superiore di Messina.
Un evento annunciato ufficialmente con una circolare, che viene adesso rinnegato da tutte. Le esponenti politiche dicono, infatti, di non saperne nulla, mentre la dirigente scolastica, promotrice della presentazione, non risponde al telefono.
Eppure c’è una locandina dell’evento e una circolare scolastica che lo annuncia.
Ma cos’è successo esattamente?
Maria Rosaria Sgrò, dirigente dello Jaci, un istituto tecnico tra i più noti di Messina, con sede in pieno centro città, ha firmato una circolare (la n. 233) in cui annuncia per il prossimo 25 maggio l’evento con Meloni e Bucalo, per la presentazione del libro “Io sono Giorgia, le mie radici, le mie idee”, di cui esiste anche una locandina che la dirigente ha come foto profilo su WhatsApp.
Ma è proprio la circolare a fare saltare dalla sedia docenti e studenti: “Giorno 25 Maggio dalle ore 9.00, l’intera comunità scolastica prenderà parte, in modalità on line, all’incontro d’autore con l’On. Giorgia Meloni”.
Un’attività inserita all’interno dell’orario scolastico, tanto che “i docenti, secondo il proprio orario di servizio, vigileranno sugli alunni in presenza, provvederanno a mantenere il collegamento all’incontro per tutta la sua durata; avranno cura di rilevare le presenze degli alunni, valide come ore di Pcto e di riferirle successivamente ai tutor di alternanza”, così si legge nella circolare.
E non potevano tardare le proteste: “Apprendiamo con sconcerto che, giorno 25 maggio, l’Istituto Jaci organizza un’iniziativa politica, durante le ore curriculari. La finalità politica dell’incontro, al limite dell’indottrinamento, è inequivocabile dal momento che l’On. Ella Bucalo viene presentata, dalla stessa circolare dell’Istituto, come responsabile del Dipartimento Scuola di Fratelli d’Italia”.
Bucalo, anche lei dirigente scolastica: “Io sono basita”, risponde
Perché questo stupore? “Ero stata contattata dalla Fidapa per conto anche della preside, ma prima di tutto avevo capito si trattasse di un evento extracurriculare, dopodiché non so come si siano potuti permettere di inserire i nostri nomi senza alcuna adesione formale da parte nostra”, così si difende la deputata di Barcellona Pozzo di Gotto, nel Messinese.
E anche dall’ufficio stampa di Meloni arriva la smentita: “Si precisa che il presidente Meloni non ha mai neanche ricevuto un invito a questa iniziativa e non avrebbe in ogni caso accettato, ritenendo da sempre che la presenza degli esponenti politici nelle scuole non possa essere in alcun modo imposta agli studenti”.
Nessuno dunque pare saperne niente, eppure dal profilo WhatsApp della preside dello Jaci non sembra ci fossero dubbi sulla modalità dell’evento, la sua foto profilo è la locandina dove al centro c’è la foto di Giorgia Meloni e intorno l’elenco degli interventi, tra cui appunto quelli di Meloni e di Bucalo.
Chi ha fatto approvare una locandina senza una formale adesione da parte di FdI non è dato sapere: “Sono stata contattata dalla scuola, ma non avevo alcun accordo definitivo per partecipare alla lezione online”, risponde così Ella Bucalo, responsabile scuola di Fdi. “Ho chiesto di smentire – sottolinea la dirigente di Fdi – con me c’era stato solo il contatto per pensare a un incontro, nulla di definito”
Un evento inopportuno anche per la deputata: “Di questa circolare non sapevo assolutamente nulla, ed è chiaro che un evento del genere all’interno dell’attività curriculare è inopportuno”.
Mentre Antonio Mazzeo, docente scolastico in un’altra scuola di Messina, chiede “con ancora più convinzione la rimozione immediata dal suo incarico della dirigente scolastica dell’IT. Jaci di Messina per il gravissimo danno d’immagine reso alla credibilità della scuola italiana”.
Sul caso interviene il direttore dell’Ufficio scolastico regionale: “Dopo avere appreso la notizia dal web, l’Ufficio scolastico regionale per la Sicilia – dichiara Stefano Suraniti – anche tramite l’Ambito territoriale di Messina, ha immediatamente chiesto una relazione sui fatti alla dirigente scolastica”.
Un passaggio necessario per accertare eventuali responsabilità da parte del capo d’istituto che per la presentazione del libro ha chiesto ai docenti di segnalare le presenze degli alunni per l’attività valevole come Pcto: l’ex alternanza scuola-lavoro. Intanto, la dirigente scolastica Maria Rosaria Sgrò ha annullato l’incontro online previsto per il 25 maggio con la Meloni.
Ma la questione resta aperta. La richiesta di relazione al capo d’istituto è soltanto il primo passo di una complessa procedura. La relazione e gli ulteriori elementi informativi raccolti saranno utilizzati dall’ufficio per eventuali accertamenti di natura ispettiva e/o per le valutazioni di carattere disciplinare.
(da agenzie)
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Maggio 21st, 2021 Riccardo Fucile
ALTRI 32.000 EURO INCASSATI DA UN IMPRENDITORE EDILE… VUOTA IL SACCO UNO DEGLI ALTRI TRE CONSIGLIERI ARRESTATI
Auspico la collaborazione delle vittime e di tutti coloro che sono a conoscenza di fatti: c’è bisogno del contribuito di chiunque, la collettività partecipi perché tutti contribuiamo a costruire la giustizia e la legalità”.
È l’appello lanciato dal procuratore di Foggia Ludovico Vaccaro nella conferenza stampa seguita all’arresto del sindaco dimissionario di Foggia, Franco Landella, esponente della Lega di Matteo Salvini, finito ai domiciliari con l’accusa di corruzione e tentata concussione
Le indagini compiute dai poliziotti della Squadra Mobile, della Digos , dal Servizio Centrale Operativo hanno consentito di evidenziare come Landella abbia incontrato Luca Azzariti, agente della società “G-One” interessata all’aggiudicazione dell’appalto avente per il project financing sui lavori di riqualificazione e adeguamento degli impianti di pubblica illuminazione nel comune di Foggia: un affare da 53 milioni di euro che la città attende dal 2016.
Secondo le accuse in quell’incontro l’ex primo cittadino ha avanzato la richiesta di una mazzetta di 500mila euro poi ridotta a 300mila facendo percepire all’imprenditore che altrimenti avrebbe potuto “mandare tutto all’aria”.
Quello che Landella non immaginava è che Azzariti potesse registrare quell’incontro e poi denunciare tutto alla magistratura. Ma non è l’unico episodio che inchioda l’ex sindaco.
Dall’attività investigativa dei poliziotti, guidati dal vice questore Mario Grassia, è emerso inoltre che il sindaco ha ricevuto un imprenditore edile Paolo Tonti, la cifra di almeno 32mila euro per il voto favorevole alla deliberazione per la proroga del programma di riqualificazione urbana cui era interessata la società di Tonti.
L’inchiesta ha svelato che parte della somma è stata poi consegnata dalla moglie del sindaco, Daniela Di Donna dipendente comunale per la quale il giudice ha disposto l’interdizione dal servizio, e a tre consiglieri comunali Antonio Capotosto, Dario Iacovangelo e Leonardo Iaccarino, quest’ultimo ex presidente del consiglio comunale balzato alle cronache per il video che lo mostrava mentre sparava dal balcone impugnando una pistola nella notte di Capodanno: è stato arrestato alcune settimane fa per peculato, corruzione e tentata induzione indebita.
Ed è proprio Iaccarino che ora sta facendo tremare Foggia. Dal carcere dov’era rinchiuso fino ad alcune ore fa (scarcerato, è stato ora posto ai domiciliari), l’ex presidente del consiglio comunale ha iniziato a parlare coi magistrati.
Nell’incontro coi giornalisti, il procuratore Vaccaro pur misurando le parole “perché le indagini sono ancora in corso” ha tuttavia spiegato che le conferme agli episodi che hanno coinvolto il sindaco Landella sono giunte non solo da intercettazioni, pedinamenti e riscontri dei poliziotti, ma anche dalle dichiarazioni rese agli inquirenti da Iaccarino.
L’ex esponente della maggioranza foggiana ha confermato la spartizione della mazzetta che serviva a oliare l’ingranaggio politico che avrebbe poi concesso la proroga alla società di Tonti. Ed è così, secondo il procuratore Vaccaro, che Landella e gli altri amministratori avrebbero tradito “il dono” concesso dagli elettori con il proprio voto: “Fare il pubblico amministratore – ha detto il capo degli inquirenti foggiani – un dono che si riceve dagli elettori affinché la cosa pubblica venga gestita secondo la legge. Queste vicende mettono in luce come la funzione sia stata piegata a fini personalistici” demolendo la fiducia della cittadinanza nelle istituzioni.
Ma per Vaccaro l’inchiesta dei poliziotti deve restituire quella fiducia e ricostruire il legame tra comunità e istituzioni: “questa e altre attività delle forze di polizia sono attività volte a ripristinare legalità e giustizia perché la collettività non si senta tradita e abbia ancora fiducia nelle istituzioni e nello Stato”.
Ma nel frattempo, a Foggia, proprio lo Stato con una Commissione sta valutando se la temibile “società foggiana”, la feroce mafia considerata il nemico numero uno dalla Direzione Nazionale Antimafia, si sia o meno infiltrata al Comune. I lavori della Commissione sono cominciati lo scorso 8 marzo: i primi tre mesi concessi per la valutazione degli atti terminano l’8 giugno prossimo, ma alla luce delle ultime operazioni, la commissione potrebbe chiedere e ottenere una proroga di altri tre mesi. Perché il terremoto foggiano, infatti, con le dichiarazioni di Iaccarino, potrebbe essere appena cominciato.
(da Il Fatto Quotidiano)
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