Maggio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
“HO SOLO RIMOSSO DELLE BICICLETTE DALL’ANDRONE DEL COMUNE”… MA LA DENUNCIA DEGLI IMMIGRATI AI CARABINIERI HA PORTATO AL RITROVAMENTO DI UNA BICI A CASA DEL SINDACO
Sarà la giustizia a dare il verdetto su ciò che è accaduto al sindaco di Stirano, in provincia di Napoli, in un caso che farà discutere: un furto di biciclette
“Non ho commesso nessun furto, mi sono limitato a rimuovere alcune biciclette ferme, , nell’androne del Comune e poste in modo da ostruire anche il regolare passaggio. Non sapevo a chi appartenessero quei mezzi”
Questa è la difesa del sindaco Antonio Del Giudice, raggiunto insieme ad altre due persone (volontari di protezione civile) da un avviso di conclusione indagini con un’ipotesi precisa di reato: furto pluriaggravato.
Perché secondo la Procura della Repubblica di Torre Annunziata e secondo i carabinieri della compagnia oplontina che hanno svolto le indagini dopo la denuncia presentata da uno dei proprietari delle bici, quei mezzi sarebbero stati portati via intenzionalmente e sapendo precisamente a chi appartenessero.
Ovvero ad alcuni immigrati che data la vicinanza del Comune con la stazione della Circumvesuviana fermavano lì i loro mezzi di trasporto per poi partire alla volta di Napoli, dove lavorano come ambulanti in aree mercatali.
Siamo a metà novembre: stando alle conclusioni a cui sono arrivati gli inquirenti, il sindaco si arma di una grossa tronchese e, facendosi aiutare dagli altri due indagati, spezza le catene che assicurano le biciclette dalle azioni dei malintenzionati.
Alcune foto finiscono sui social e alimentano quello che diventa un dibattito politico che durerà diversi giorni
La discussione finisce anche in consiglio comunale, dove l’opposizione non risparmia critiche ad Antonio Del Giudice nemmeno sull’appartenenza politica, lui che è espressione di Fratelli d’Italia.
Sta di fatto che quando i proprietari sono tornati e non hanno più trovato le loro bici, dopo aver chiesto spiegazioni ottenendo a quanto pare solo risposte poco convincenti, hanno deciso di rivolgersi ai carabinieri.
Le indagini porteranno al ritrovamento delle biciclette, una delle quali sarebbe stato recuperata proprio a casa del sindaco Del Giudice.
Ora la nuova svolta, con la notifica del provvedimento di conclusione delle indagini, provvedimento a seguito del quale i tre indagati potranno presentare proprie memorie difensive entro venti giorni.
(da Fanpage)
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Maggio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
LE NAZIONI PIU’ RICCHE HANNO GIA’ PROTETTO IL 30% DELLA LORO POPOLAZIONE, IN QUELLE POVERE LE PERCENTUALI CROLLANO, IN AFRICA SIAMO SOLO ALL’1,5%
Le campagne di vaccinazione contro il coronavirus proseguono in tutto il mondo. Non alla stessa velocità, chiaramente.
Sono passati ormai sei mesi da quando ci sono state le prime somministrazioni e ora abbiamo Paesi che grazie a una vaccinazione di massa stanno riaprendo, mentre ne abbiamo altri, i più poveri, dove sono state somministrate pochissime dosi.
Come evidenzia anche un articolo del quotidiano spagnolo El Pais, se nell’Unione europea un terzo (33%) dei cittadini ha ricevuto almeno una dose di vaccino, questa percentuale crolla al 15% in America Latina, al 5% in Asia e all’1,5% in Africa.
I Paesi vaccinano quindi a ritmo del proprio Pil: più questo è alto, più velocemente si riesce ad immunizzare la popolazione.
Alcuni dei Paesi che hanno vaccinato più velocemente in assoluto sono Israele, Stati Uniti e Regno Unito. Se guardiamo alla mappa di Our World In Data ci renderemo subito conto che tutti i Paesi colorati con tonalità più scure, quelli cioè che hanno somministrato più dosi di vaccino, sono quelli che appartengono al Nord del mondo.
Lo stesso si noterà subito guardando al grafico che mostra la percentuale di popolazione vaccinata per Regione: in cima alla classifica ci sono il Nord America e l’Europa, con l’Italia che è al di sopra della media europea, che hanno vaccinato circa il 30% dei cittadini totali.
Nettamente al di sotto, intorno a quota 15% troviamo l’America Latina. La media mondiale si attesta intorno al 10%. Al di sotto della media, al 5% troviamo l’Asia e in fondo alla classifica il continente africano.
(da Fanpage)
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Maggio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
SE SI FOSSERO ADOTTATE MISURE PIU’ STRINGENTI QUATTRO MESI FA SI SAREBBERO SALVATE ALTRE MIGLIAIA DI PERSONE
Il blocco delle attività produttive ha avuto un effetto diretto sulla riduzione delle vittime di Covid-19 in Italia. Lo indicano i dati di un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica su Plos One, in cui si stima l’impatto della chiusura di attività non essenziali introdotta nel nostro Paese dal Dl del 25 marzo 2020
L’analisi, condotta da un team di ricerca dell’Università Erasmus di Rotterdam, in Olanda, evidenzia come la politica di contenimento adottata nel primo lockdown in Italia abbia avuto importanti ricadute sulla mortalità, salvando circa 9.500 vite in meno di un mese.
“I nostri risultati – indicano gli autori dello studio – suggeriscono che le chiusure delle attività sono efficaci nel contenere la diffusione del virus e, in definitiva, nel salvare vite umane”.
Gli effetti delle chiusure sono stati più evidenti nei comuni con più settori chiusi, che hanno subito tassi di mortalità inferiori.
“Con una media di attività chiuse del 17,6% – aggiungono i ricercatori – il primo blocco ha ridotto la mortalità di 15,64 unità ogni 100mila abitanti in un periodo di 24 giorni. Considerando che la popolazione in Italia è di 60,36 milioni, questo ammonta a 9.439 vite salvate”. Con un beneficio anche in termini economici, dal momento che una stima del valore di un anno in vita in Europa è di 80mila euro. “Considerando 12 anni di vita media residua delle vittime di Covid – osservano gli studiosi – possiamo calcolare che il beneficio economico della politica è pari a 9 miliardi di euro”.
L’analisi ha inoltre indicato che le chiusure hanno mostrato grandi effetti non solo nelle singole città, anche nei comuni limitrofi, suggerendo l’importanza del coordinamento delle misure di blocco e della centralizzazione delle politiche di contenimento. “Le città più grandi e sviluppate richiamano anche lavoratori da altri comuni. Ci aspettavamo pertanto che la chiusura delle attività nei principali centri urbani potesse avere ricadute positive anche su altre località”.
(da Fanpage)
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Maggio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
REGOLE COMPLESSE, INCERTEZZA DEGLI INCENTIVI E AMBITO RISTRETTO DI APPLICAZIONE: LO STRUMENTO E’ SBAGLIATO
Il Decreto Sostegni bis punta su uno strumento apparentemente molto innovativo e conveniente, il contratto di rioccupazione, per bilanciare gli effetti occupazionali negativi della pandemia e fronteggiare, almeno in parte, gli effetti negativi della prossima scadenza del divieto di licenziamento.
Una finalità molto nobile e meritevole che rischia, tuttavia, di scontrarsi con un problema molto grave: il contratto di rioccupazione, per come è costruito, non è affatto più conveniente rispetto agli strumenti esistenti, e quindi probabilmente sarà ignorato dalla grande maggioranza delle imprese.
Proviamo a vedere per quali motivi giungiamo a questa conclusione.
L’incentivo economico è solo teorico
Il contratto di rioccupazione garantisce, al verificarsi di alcune condizioni, un “esonero contributivo” (non si pagano i contributi a carico dell’azienda) che arriva fino a un massimo di 500 euro mensili, per un periodo di 6 mesi. Uno sconto complessivo di 3.000 euro, che è tuttavia incerto per diversi motivi: spetta solo alle aziende che non hanno raggiunto la soglia massima fissata dalla Commissione Europea per l’utilizzo degli incentivi per l’occupazione. Le aziende che hanno raggiunto il tetto annuo di incentivino 1.8 milioni di euro non possono, quindi, percepire l’incentivo, che resta quindi appannaggio solo delle piccole e medie imprese.
Ma nemmeno per questi soggetti l’esonero contributivo è garantito: se alla fine dei 6 mesi di inserimento il rapporto non prosegue, l’azienda deve restituire quanto ha percepito.
Ma non basta. Anche se il rapporto con il lavoratore continua alla fine dei 6 mesi, l’incentivo deve essere restituito se, nei 6 mesi successivi alla conferma del dipendente, il datore procede a un licenziamento collettivo o individuale per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore impiegato nella medesima unità produttiva e inquadrato con lo stesso livello e categoria legale di inquadramento del lavoratore assunto con il contratto di rioccupazione.
Quale azienda sarà disponibile a investire su un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sulla baee di un importo così contenuto e aleatorio? Probabilmente, si verificherà un fenomeno diverso: le aziende che avrebbero comunque proceduto ad assumere, proveranno ad intercettare questo scontro contributivo, che non svolgerà quindi alcuna funzione di incentivo all’assunzione ma servirà solo come sostegno economico alle imprese. Nulla di scandaloso, a patto di chiamare le cose con il loro nome.
Manca il periodo di prova
Un altro elemento di grande rigidità del contratto di rioccupazione consiste nell’inapplicabilità delle regole che governano, nei rapporti normali, il periodo di prova. Un datore di lavoro che assume un dipendente ha diritto di valutare, per un certo periodo, la sua prestazione, potendo licenziare senza troppe formalità il lavoratore che non supera positivamente tale percorso: una flessibilità assicurata dal c.d. periodo di prova, un istituto molto importante per far partire su basi solide e durature i rapporti di lavoro.
Nel contratto di rioccupazione la libertà di licenziare durante il periodo di prova manca: durante i 6 mesi durante i quali il datore di lavoro percepisce l’incentivo contributivo, l’azienda non può intimare il licenziamento, dovendo portare a termine tutto il semestre. Solo alla fine dei 6 mesi è possibile recedere dal rapporto, con una rigidità maggiore di quanto accade durante il periodo di prova (nel quale non bisogna necessariamente attendere la fine del periodo per licenziare). Siamo sicuri che un datore di lavoro abbia voglia di accettare un irrigidimento di uno dei pochi istituti utilizzabili per valutare liberamente le prestazioni del dipendente?
La platea è molto ridotta
Un altro limite importante del contratto di rioccupazione consiste nella platea molto limitata cui può applicarsi tale strumento: vale solo per i lavorarti che siano in possesso dello “stato di disoccupazione”, e si può utilizzare solo fino al 31 ottobre 2021. E vengono esclude le imprese che nei 6 mesi precedenti hanno intimato licenziamenti per motivi organizzativi o economici. Queste limitazioni riducono in maniera importante l’ambito soggettivo e temporale di applicazione dello strumento, tagliando fuori una fetta importante di aziende.
Il progetto di inserimento: un impegno fumoso
Una condizione essenziale che fissa la legge per l’assunzione con il contratto di rioccupazione è la definizione, con il consenso del lavoratore, di un progetto individuale di inserimento. Tale progetto dovrebbe essere finalizzato, precisa la nuova normativa, a garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore stesso al nuovo contesto lavorativo. Quale sia il contenuto concreto che dovrà avere questo piano non è chiaro: le aziende e i lavoratori dovranno ingegnarsi nella definizione di percorsi di addestramento che, di fronte a definizioni così generiche, nella maggior parte dei casi si risolveranno in iniziative fumose e poco concrete. Con il rischio che, se il rapporto non procede per il meglio, questa indeterminatezza diventi un motivo per impugnare il contratto (fenomeno molto frequente nel nostro mercato del lavoro). Quali imprese sono disponibili a gestire senza troppi patemi d’animo questa assoluta incertezza applicativa?
Ci sono alternative più convenienti e meno onerose
I limiti visti finora consentono di fare una valutazione sconfortante: il “contratto di rioccupazione” non è più conveniente di altri strumenti che già esistono, come il contratto di apprendistato professionalizzante. Un rapporto che ha incentivi molto più corposi, impegni formativi più precisi (ma non necessariamente più onerosi), regole di gestione più semplici e maggiore stabilità degli incentivi. Pensare che le imprese assumano personale usando uno strumento come il “contratto di rioccupazione” è, quindi, un atto di grande ottimismo, che rischia di scontrarsi presto con la realtà.
(da Open)
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Maggio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
LE PRONIPOTI HANNO TROVATO LA SERRATURA CAMBIATA E HANNO CHIAMATO I CARABINIERI… IN BALLO IL BUSINESS DEI NOSTALGICI
La cripta Mussolini al cimitero di Predappio (Forlì-Cesena) è e rimane aperta per tutta l’odierna giornata. A visitarla, al momento, alcune decine di persone, fra le quali due comitive organizzate arrivate da fuori Romagna. A gestire l’accesso alla tomba un servizio d’ordine fatto da volontari.
E’ questo l’ulteriore passo del crescente contrasto che divide gli eredi del Duce.
Dopo la lettera, firmata genericamente ‘famiglia Mussolini’ che sconfessava la riapertura annunciata dalle pronipoti, Vittoria e Orsola Mussolini, sostenendo che la riapertura sarebbe avvenuta successivamente, in estate, le due donne sono arrivate ieri a Predappio, scoprendo che era stata sostituita la serratura della porta d’accesso alla cripta.
Le pronipoti hanno quindi chiamato i carabinieri, hanno presentato denuncia per la sostituzione, che ritengono illegittima, della serratura, e un fabbro che ha provveduto a ripristinare l’accesso alla cripta.
Si formalizza in questo modo un forte contrasto fra i discendenti Mussolini, con una eventuale non facile risoluzione a chi fra di loro spetti la preminenza decisionale sulla gestione del luogo. Sulla questione pende anche l’evidente volontà di parte dei famigliari di arrivare, magari tramite un’apposita fondazione, a un accordo con l’amministrazione comunale sulla gestione degli accessi, della sicurezza, dei costi di mantenimento della struttura e, eventualmente, sulla ricaduta economica provocata a Predappio e dintorni dalla presenza dei visitatori.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
LA NORMA CONSENTIVA DI ALZARE IL TETTO DEGLI STRAORDINARI A 400 ORE ANNUE, CON PAGAMENTO RITARDATO A TRE ANNI… QUESTO E’ IL SOVRANISMO: SCHIAVISTI SERVI DELLA FINANZA
Nel 2018 la sua approvazione da parte del parlamento ungherese aveva provocato violenti scontri di piazza.
Oggi la Corte costituzionale di Budapest, accogliendo il ricorso dei sindacati, ha finalmente abrogato la legge voluta dal premier Viktor Orban, che consentiva alle aziende di alzare il tetto degli straordinari a 400 ore l’anno e di ritardarne il pagamento anche di tre anni.
La legge, rimasta in vigore per due anni e mezzo, è stata dichiarata incostituzionale. La Corte ha stabilito che nessuno potrà essere licenziato se rifiuta il lavoro straordinario e che gli straordinari devono essere pagati entro l’anno.
L’innalzamento del tetto degli straordinari, per i lavoratori ungheresi, ha significato nella pratica avere una settimana lavorativa di sei giorni. Oppure lavorare 10 ore al giorno per cinque giorni, senza la garanzia di ricevere il pagamento delle ore in più.
La legge voluta da Orban andava incontro alle richieste delle grandi imprese, che lamentavano difficoltà a trovare sufficiente manodopera a fronte di una crescita economica sostenuta. Ma per i sindacati era semplicemente una norma schiavistica, dal momento che anche se gli straordinari restavano su base volontaria, ben difficilmente i lavoratori potevano rifiutarsi di farli pena la minaccia di essere licenziati.
La sentenza della Corte costituzionale obbliga adesso lo Stato ungherese ad abrogare la legge entro il prossimo mese di luglio.
«È una sconfitta netta del governo Orban», ha commentato Timea Szabo, presidente del partito verde Parbeszed, tra i firmatari del ricorso promosso dai sindacati. Proprio le proteste contro questa legge e contro le altre norme che hanno trasformato l’Ungheria in una democrazia illiberale colpendo i diritti umani, la libertà di stampa e l’indipendenza della magistratura hanno rappresentato il catalizzatore per la formazione di un’alleanza tra tutte le forze democratiche del Paese, pronta a sfidare Orban alle prossime elezioni in programma nel 2022.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
ORA IL GIORNALISTA RISCHIA LA PENA DI MORTE… L’EUROPA CHIEDE IL RILASCIO, MA CON I CRIMINALI SI AGISCE NON SI CHIACCHIERA
Roman Protasevich, un ex collaboratore di Nexta, il canale Telegram di opposizione bielorusso, è stato arrestato all’aeroporto di Minsk, dopo un atterraggio di emergenza del volo Ryanair sul quale viaggiava.
Protasevich, 26 anni, era in viaggio da Atene a Vilnius, in Lituania, con un volo Ryanair e per dirottare il volo, l’aeronautica bielorussa ha spedito un MIG-29 (un aereo caccia) con la scusante di “una allerta bomba“.
Il tutto dopo che il presidente bielorusso Aljaksandr Lukašėnko aveva definito la sola presenza dell’uomo sull’aereo “una minaccia per l’aviazione civile internazionale”. Che rischia la pena di morte, secondo gli attivisti che si oppongono al regime bielorusso.
Protassevich da novembre è stato inserito dai servizi di sicurezza di Minsk sulla lista “di individui implicati in attività terroristiche. Nexta, anche soprattutto grazie al suo canale Telegram, ha avuto un ruolo di primo piano nella grande ondata di proteste seguite alla rielezione di Lukashenko lo scorso anno, aprendo al suo 26esimo anno di presidenza.
L’arresto del giovane oppositore ha suscitato la reazione di Svetlana Tikhanovskaja, leader dell’opposizione in esilio: “Chiediamo il rilascio immediato di Raman, indagini dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile e sanzioni contro la Bielorussia”, scrive su Twitter.
Il caso è già diventato diplomatico.
L’Unione europea, per voce dei presidenti Ursula Von der Leyen, Charles Michel e David Sassoli e dall’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell, chiede l’immediato rilascio di tutti i passeggeri definendo “inammissibile” il dirottamento: “TUTTI i passeggeri devono essere in grado di continuare il loro viaggio immediatamente”, ha scritto Borrell in un tweet, chiedendo implicitamente il rilascio anche di Protasevich. Il ministero degli Esteri tedesco ha chiesto “spiegazioni immediate” a Minsk, mentre la Polonia parla di “terrorismo di Stato”.
Per la von der Leyen, “è assolutamente inaccettabile costringere il volo Ryanair da Atene a Vilnius ad atterrare a Minsk. Tutti i passeggeri devono poter immediatamente continuare il loro viaggio verso Vilnius e la loro sicurezza deve essere garantita. Qualsiasi violazione delle regole del trasporto aereo internazionale deve avere conseguenze”, si legge in un tweet.
L’Ue ritiene “il governo della Bielorussia responsabile della sicurezza di tutti i passeggeri e dell’aereo”, con il presidente del Consiglio europeo Michel che ritiene “essenziale un’indagine dell’Organizzazione internazionale dell’aviazione civile sull’accaduto”. Mentre Sassoli scrive che: “Abbiamo bisogno di spiegazioni immediate”.
E da Roma il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha espresso “ferma condanna dell’Italia per l’atterraggio forzato di un volo commerciale ad opera delle autorità bielorusse. Chiediamo il rilascio immediato di tutti i passeggeri a bordo. Si tratta di una violazione inaccettabile delle regole internazionali di navigazione aerea”.
Il governo britannico di Boris Johnson, poi, ha minacciato “ripercussioni serie” nei confronti di Minsk: “Il Regno Unito – ha twittato il ministro degli Esteri di Londra, Dominic Raab – è allarmato per la notizia dell’arresto del giornalista (bielorusso) di NextaTv Roman Protasevich e per le circostanze che hanno condotto all’atterraggio forzato a Minsk del suo volo. Ci stiamo coordinando con i nostri alleati, quest’azione stravagante ordinata da Lukashenko avrà ripercussioni serie”.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
TRA LORO UNA FAMIGLIA DI PAVIA DI ORIGINE ISRAELIANA, DUE FIDANZATI DI VARESE, UNA COPPIA DI COSENZA E UNA DI PIACENZA
E’ morto il bimbo di nove anni ricoverato all’ospedale Regina Margherita di Torino dopo essere precipitato in una cabina della funivia Stresa-Mottarone nel Verbano con a bordo almeno 15 persone.
Le vittime, secondo le testimonianze del 118 e dei soccorritori sarebbero a questo punto 14 tra cui forse altri minorenni. Un altro bimbo di 5 anni è stato portato nell’ospedale infantile con trauma cranico, toraco-addominale e fratture agli arti inferiori. Sarebbe cosciente.
“Abbiamo fatto tutto il possibile ma dopo poche ore di tentativi non ce l’ha fatta” ha detto il direttore generale dell’ospedale informato dia medici che lo hanno seguito.
Ci sono anche sei lombardi tra le vittime dell’incidente della funivia al Mottarone. Le famiglie sono state avvisate in serata dopo gli accertamenti del caso. Nella lista a disposizione delle autorità ci sono una famiglia di tre persone residenti a Pavia (di origine israeliana): si tratta dei genitori e il loro bambino di due anni e della nonna (mamma del padre) venuta in Italia per trovare i parenti. I nomi: Amit Biran, 30 anni, Tal Peleg, 27 anni (nati entrambi in Israele) e Tom Biran, 2 anni, nato a Pavia, abitanti in via Ca’ Bella. La nonna si chiama Tshak Cohen 83 anni.
C’è inoltre una coppia di fidanzati di Varese, Silvia Malnati 27 anni, abitante in via Rovereto, e Alessandro Merlo, 29 anni, residente in via Pergine.
Il sesto nome è quello di Vittorio Zorloni, 55 anni, residente a Vedano Olona in via Matteotti.
Le altre vittime sono di Diamante, in provincia di Cosenza (Serena Cosentino, 28 anni, e l’iraniano Mohammadreza Shahisavandi, 33 anni); due sono di Castel San Giovanni (Piacenza), Angelo Gasparro, 45 anni, e Roberta Pistolato, 40 anni.
Allo stato ci sono due vittime da identificare, e un ferito grave.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2021 Riccardo Fucile
A OSCAR LANCINI PIGNORATI I CONTI CORRENTI DAL TRIBUNALE DI BRESCIA
Danilo Oscar Lancini, eurodeputato della Lega, ha ricevuto una denuncia da parte della moglie per violazione degli obblighi di mantenimento.
L’ex sindaco di Adro finito oggi componente del gruppo Identità e democrazia a Strasburgo ha partecipato a un evento del Family Day. La donna ha ottenuto il pignoramento dei conti correnti dal tribunale di Brescia.
Lancini, racconta oggi Il Fatto, era all’evento sulla famiglia sotto attacco e sbandiera i valori della famiglia tradizionale. La moglie lamenta mancati versamenti per oltre ventimila euro. Lancini si è opposto al pignoramento che però resterà in atto fino al 23 giugno. Ovvero la data dell’udienza in cui il leghista spera di vedere accolto il suo ricorso. Nel frattempo, la moglie – con cui sta portando avanti le pratiche di separazione – si vuole tutelare anche con la denuncia penale.
E, assistita dall’avvocato Pierantonio Paissoni, contesta al leghista di non aver pagato quanto dovuto per circa 10 mesi a cavallo tra il 2020 e il 2021. Contattato dal Fatto, Lancini ne fa una questione di privacy: “Sono cose personali che non c’entrano nulla con la mia attività politica”. Neanche con le sue battaglie in favore dei sani principi familiari? “I miei valori non vengono meno se capita una cosa del genere nella mia vita privata”
Lancini oggi convive con un’altra donna, con cui ha avuto due figli. Qualche anno fa si parlò di lui perché, da sindaco di Adro, nel bresciano, inaugurò una scuola elementare totalmente griffata Lega Nord: il simbolo del Sole delle Alpi ricopriva arredi, porte, finestre, persino bidoni dell’immondizia. Dopo un paio di mancate elezioni al Parlamento, Matteo Salvini gli ha concesso la promozione a Bruxelles.
(da agenzie)
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