Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
LA SORTITA AL WEBINAR DEL MESSAGGERO
Puntuale, proprio mentre Elon Musk – dopo aver acquistato Twitter – sta gettando nel caos centinaia di dipendenti della piattaforma social con licenziamenti e richieste davvero fuori dagli schemi per quanto riguarda il normale workflow aziendale, Matteo Salvini decide di giocarsi la carta e di invitare il multimiliardario e fondatore di Tesla a investire in Italia. Le parole del ministro delle Infrastrutture sono arrivate nel corso del webinar “Molto Futuro” organizzato da Il Messaggero.
«Vedevo la foto di Elon Musk – ha detto il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti -, uno dei principali geni innovativi: mi piacerebbe potesse lavorare di più con l’Italia e in Italia perché come Mit mi piacerebbe creare un polo di attrazione e degli investimenti e dei capitali stranieri che diventi un punto di riferimento dell’innovazione».
Più che all’ecosistema di Twitter, Matteo Salvini sembra riferirsi con questo invito all’indotto di Tesla e delle auto che ha fatto la fortuna del multimiliardario.
«Visto che l’industria dell’auto in Italia ahimè non c’è più, io ho chiesto quando ero al Viminale e ancora oggi di viaggiare su un auto italiana e non tedesca – ha proseguito Salvini -. Quindi invitare Elon Musk a investire in Italia è ad aprire in Italia è uno di quegli ambiziosi obiettivi che ci stiamo proponendo: so che ha qualche problema con lo sbarco in Germania noi gli spalanchiamo le porte».
Questa richiesta arriva proprio nel momento in cui Elon Musk ha dichiarato di aver appoggiato i repubblicani nelle elezioni di midterm, di aver profondamente cambiato Twitter per quanto riguarda le regole sulla moderazione e sulla libertà di espressione e di aver licenziato centinaia di dipendenti dell’azienda.
Non proprio un bel biglietto da visita per investire nel mercato italiano.
(da NextQuotidiano)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
UNA NARRAZIONE DISTORTA DELLA SENTENZA
Quel decreto licenziato dal governo italiano del 2019, su spinta
dell’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini, aveva sollevato critiche e perplessità fin dall’inizio.
La decisione di imporre anche alle coppie omogenitoriali di “identificarsi” secondo gli appellativi (e i ruoli) di “padre” e “madre” di un minore nei documenti aveva già fatto emergere clamorose incongruenze che vennero immediatamente sottolineata dal Garante della Privacy.
Ma, come spesso capita, il leader della Lega fece “spallucce”. Ma ora è arrivata la decisione del Tribunale di Roma che ha accolto il ricorso di due mamme, sottolineando come una donna non possa identificarsi su documenti ufficiali come “padre”. Insomma, si riapre il tema della denominazione “genitore”.
Matteo Salvini, però, sembra non aver centrato il punto delle contestazioni mosse dai giudici della XVIII Sezione del Tribunale civile di Roma e prova a gettare fumo negli occhi offrendo ai suoi elettori una narrazione distopica rispetto alle controversie palesate da chi ha deciso di bocciare – di fatto – il suo decreto: “Usare sulla carta d’identità le parole padre e madre (le parole più belle del mondo) secondo il Tribunale Civile di Roma sarebbe una violazione delle norme comunitarie e internazionali, da qui la decisione di sostituirle con la più neutra parola ‘genitore’. Illegali o discriminanti le parole mamma e papà? Non ho parole, ma davvero”.
In realtà, le parole le ha. Ma sono quasi tutte sbagliate.
Il Tribunale Civile della capitale, infatti, non ha mai detto che le parole “mamma” e “papà” (in realtà di parla di “madre” e “padre” in termini giudici) siano illegali o discriminanti.
I giudici, infatti, fanno riferimento solamente alle coppie omogenitoriali, ovvero quei genitori dello stesso sesso che devono rappresentare (a tutela del minore) la potestà su un figlio. Infatti, all’interno della decisione dei giudici c’è un passaggio fondamentale che il leader della Lega ha deciso di non sottolineare nella sua comunicazione social: “Discutendosi, nella fattispecie, del rilascio della Carte d’Identità Elettronica valida per l’espatrio, la falsa rappresentazione del ruolo parentale di una delle due genitrici, in evidente contrasto con la sua identità sessuale e di genere, comporta conseguenze (almeno potenziali) rilevanti sia sul piano del rispetto dei diritti garantiti dalla Costituzione, sia sul piano della necessaria applicazione del diritto primario e derivato dell’Unione europea”.
Ma c’è anche altro, perché il concetto distopico inserito nel decreto Salvini è messo in evidenza anche in un altro passaggio dell’ordinanza del Tribunale Civile della capitale: “La carta d’identità è un documento con valore certificativo, destinato a provare l’identità personale del titolare, che deve rappresentare in modo esatto quanto risulta dagli atti dello stato civile di cui certifica il contenuto. Ora, un documento che, sulla base di un atto di nascita dal quale risulta che una minore è figlia di una determinata donna ed è stata adottata da un’altra donna, indichi una delle due donne come “padre”, contiene una rappresentazione alterata, e perciò falsa, della realtà ed integra gli estremi materiali del reato di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico (artt. 479 e 480 cod. penale)”.
Quindi, una donna “identificata” come “padre è un falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico. Una donna non può avere il ruolo parentale di un “padre”.
Una donna, infatti, è una madre. I figli di una coppia omogenitoriale hanno due padri o due madri. È scritto nero su bianco all’interno dell’ordinanza, a chiare lettere. Chiarissime.
Per questo motivo, il Tribunale Civile di Roma ha richiamato il governo – indicando nel Comune di Roma l’attuatore di quella dinamica, in quanto la coppia che ha presentato ricorso ha fatto richiesta di C.I.E. per l’espatrio per la loro figlia proprio nella capitale – a un utilizzo dialettico adatto alle circostanze. Di fatto, dunque, è il decreto firmato e fortemente voluto (durante il governo Conte-1) da Matteo Salvini a esser scritto male.
Insomma, Matteo Salvini prova a negare la realtà dimostrando di aver capito poco della decisione dei giudici di Roma. Il caso specifico – che ora apre una voragine normativa, come già messo in evidenza nel 2019 dal Garante per la protezione dei dati personali – parte dal ricorso di una coppia di madri “costrette” a identificarsi sulla Carta d’Identità Elettronica della figlia minore (valida per l’espatrio) in modo piuttosto controverso: una donna è madre, l’altra è padre.
E ora questa decisione finirà anche sul tavolo del governo. Perché la sentenza non ha valore universale. La decisione dei giudici romani non interferisce in toto sul decreto, ma sul caso specifico oggetto del ricorso. E a breve i giudici dovranno pronunciarsi anche su un ricorso analogo. Quel decreto Salvini, infatti, non è mai stato dichiarato incostituzionale. Ma ora che è arrivata una sentenza avversa, l’esecutivo e il Viminale non possono più voltare le spalle alle contestazioni mosse.
(da NextQuotidiano)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
IL RACCONTO DI CHI VA A FARE LA SPESA: “ALTRO CHE INFLAZIONE AL 13%, IL PREZZO DELLO ZUCCHERO DA 0,59€ DEL GENNAIO 2022 È PASSATO A 1,39€, LA FARINA È AUMENTATA DA 0,39€ A 0,89€, I DATI UFFICIALI NON STANNO DIETRO ALLA VELOCITÀ DEGLI AUMENTI”
«Si parla di inflazione al 13% annuo, ma io vi dico, concretamente, che il prezzo dello zucchero da euro 0,59 di gennaio 2022, il 28 ottobre 2022 costa euro 1,39 da Lidl ed Eurospin e 1,79 da Conad per non parlare di farina da 0,39 a 0,79 e 0,89 e quant’ altro, altro che 13%! I dati ufficiali non stanno dietro alla velocità degli aumenti».
La percezione di Sonia Tognoni, lettrice di Repubblica, è condivisa da buona parte degli italiani. La Banca centrale europea misura ogni mese, con un sondaggio, l’inflazione percepita, oltre che le previsioni a uno e a tre anni: gli italiani risultano quasi sempre i più pessimisti
A condividere le preoccupazioni degli italiani le associazioni dei consumatori, che alcuni anni fa avevano avviato una battaglia per spingere l’Istat a una rilevazione più aderente alla realtà, che si è conclusa con la decisione dell’Istituto di misurare anche l’inflazione per quinti di spesa, accanto a quella media: cioè il carovita dei più ricchi e quello dei più poveri, oggi decisamente maggiore.
Cioè mentre l’Istat considera tutti e beni e i servizi acquistati e attribuisce loro un peso, per i consumatori «è abbastanza naturale, in un periodo in cui l’energia ha una dinamica sostenuta, che l’attenzione venga attirata da quello che aumenta di più». Insomma, chi compra non tiene conto di tutti i beni che acquista, e neanche del loro peso.
Quando si confrontano con temi economici del resto, gli italiani risultano meno competenti rispetto ai cittadini di altri Paesi: secondo uno studio sul livello di educazione finanziaria della Banca d’Italia, l’Italia nel 2020 è risultata in 25esima posizione su 26 Paesi, davanti solo a Malta.
Ma la percezione della gente sull’inflazione è importantissima «perché è sulla base delle percezioni che le persone decidono come spendere», afferma Guiso, aggiungendo però che «se si guardano le aspettative, tutte le famiglie si attendono una dinamica dei prezzi più contenuta, e quindi la stanno interpretando correttamente».
Una statistica molto più capillare, che indagasse le variazioni dei prezzi per categoria lavorativa, verrebbe avvertita come più aderente alla realtà? «Abbiamo considerato l’ipotesi di rilevazioni per gruppi di professioni, che includesse anche i pensionati, ma ci siamo resi conto che non avrebbe avuto senso – racconta Polidoro – perché ci sono ricchi e poveri in ogni categoria, persino tra i disoccupati».
E quindi l’unica differenziazione al momento rimane quella per quinti di spesa, che ci ha permesso di scoprire che in questo momento ci sono ben quattro punti percentuali di differenza tra gli aumenti dei prezzi subiti dal 20% più ricco della popolazione rispetto a quelli del 20% più povero.
(da la Repubblica)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
L’EFFETTO È QUELLO DI SFIANCARE L’ESECUTIVO, SOPRATTUTTO QUANDO SI TOCCA IL DOSSIER PNRR. L’AGO DELLA BILANCIA? GIORGETTI, CHE A PAROLE DÀ RAGIONE A SALVINI, MA NEI FATTI ESEGUE LE DIRETTIVE DELLA MELONI
2 pesi, 2 misure, 2 velocità. È quanto segna attualmente il
cronometro della tabella di marcia del Governo Meloni, insediatosi dopo le elezioni del 25 settembre.
Se il Presidente del Consiglio e i suoi ministri di fiducia provano a muoversi con prudenza e discrezione, Salvini e la Lega, che a questi per il momento risponde, provano a imprimere brusche accelerate che spesso confliggono con gli equilibri, che nel frattempo cerca di mantenere il partito di maggioranza.
Una distanza di modus operandi che stanca e sfianca, soprattutto quando si tocca il dossier PNRR. Se il Ministro degli Affari Europei, Fitto, ufficialmente delegato dal Premier alle funzioni di coordinamento per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha avviato silenziosamente una serie di incontri con le cabine di regia, Salvini rilancia bruscamente proponendo l’immediata applicazione dello spoils system per i tecnici nei ruoli economici blindati da Draghi.
Ago della bilancia, ancora una volta, il Ministro Giorgetti, che a parole dà ragione a Salvini, ma nei fatti esegue ossequiosamente le direttive del Premier. E così, mentre il “Capitone” al ministero delle Infrastrutture ha rimosso, senza pensarci due volte, quello stesso Responsabile della Struttura Tecnica di Missione, Giuseppe Catalano, nominato nel 2017 dal ministro Delrio e confermato con i Ministri De Micheli (2019) e Giovannini (2021) che gli hanno conferito anche il capitolo del PNRR, il cauto semolino Giorgetti si tiene stretto tutto il dream team insediatosi nel MEF per conto di Draghi.
Nonostante le evidenti e dirette responsabilità nei dossier Autostrade ed ITA -quest’ultima completamente compromessa dal punto di vista della liquidità economica- resta fieramente seduto nella sua poltrona il Direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, sempre più intimamente convinto che alle bordate che il Ministro Giorgetti farà finta di fargli arrivare, non si conviene che seguano i fatti.
(da Dagoreport)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
“CHIUDERE AL M5S E’ STATA UNA PROVA DI ARROGANZA”
«Il Pd è un partito di baroni imbullonati da dieci anni al governo
senza aver mai vinto un’elezione». Così l’imprenditore ed editore Carlo De Benedetti, 88 anni, è voluto intervenire – dalle pagine del Corriere della Sera – sul dibattito relativo alla crisi d’identità del Partito Democratico, ancora alle prese con la pesante sconfitta alle elezioni e in cerca di un nuovo leader.
Secondo De Benedetti, un partito moderno di centrosinistra non può che ripartire da due emergenze: le disuguaglianze e i cambiamenti climatici. Altrimenti, avverte l’imprenditore, «si fa la fine del Pd, che cha conquistato la borghesia e ha perso il popolo». De Benedetti è da sempre considerato una figura molto influente nel centrosinistra italiano. Al punto che nel 2005, dopo avere indicato in Walter Veltroni il nuovo leader del nascente Partito Democratico, aveva dichiarato che la sua sarebbe stata la tessera numero 1 del nuovo soggetto politico.
«Letta? Un disastro»
Negli anni, però, la sua affezione al partito di via del Nazareno è andata a scemare. Nella sua intervista di oggi con Aldo Cazzullo, De Benedetti ha criticato la strategia del Pd alle ultime elezioni. «In campagna elettorale Letta non ha saputo indicare una sola ragione per cui si dovesse votare Pd, ma solo ragioni per non votare gli altri», ha detto l’imprenditore, secondo cui l’esclusione a priori del Movimento 5 Stelle dall’alleanza è stata «una prova di arroganza, oltre che una stupidaggine».
E se, secondo De Benedetti, «la segreteria Letta è stata un disastro», l’imprenditore ed editore non le ha mandate a dire neanche a tutti quegli esponenti del Pd che in queste settimane si stanno candidando a guidare il partito. Stefano Bonaccini? «Lo conosco poco, ma sono legato alla teoria di Togliatti: gli emiliani sono bravi ad amministrare il territorio, pessimi a fare politica a Roma», commenta De Benedetti. Elly Schlein «è una figura interessante, non una leader», mentre Dario Nardella «è un ottimo sindaco, ma temo che metterebbe i due punti chiave, le disuguaglianze e il pianeta, in un pastone».
L’assist a Letizia Moratti
De Benedetti è intervenuto poi anche sul dibattito relativo alla scelta del candidato di centrosinistra per le elezioni regionali in Lombardia. L’imprenditore ha invitato i dirigenti del Pd a non fare «gli schizzinosi» e appoggiare la candidatura di Letizia Moratti.
«Il Pd in Lombardia non ha mai toccato palla. Ha sempre vinto la Lega – ricorda De Bendedetti -. Sono sicuro che un candidato del Pd non vincerebbe mai. Mentre contro Attilio Fontana la Moratti può farcela». Secondo l’imprenditore, poi, un’eventuale vittoria del centrosinistra in Lombardia potrebbe avere conseguenze anche a Roma. «Se Salvini perde la Lombardia, cade. E se cade Salvini, cade il governo», è il ragionamento di De Benedetti.
(da agenzie)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
I PROBLEMI CON IL PASSAPORTO DELLA COPPIA OMOGENITORIALE DOPO LA VITTORIA IN TRIBUNALE
La vittoria delle due madri in tribunale contro il decreto Salvini
apre un caso all’interno del governo.
Il Tribunale civile di Roma ha infatti aperto alla dicitura neutra di «genitore» sui documenti bocciando di fatto il decreto dell’allora ministro dell’Interno che imponeva l’uso di «padre» e «madre».
Ma riguardo l’ordinanza dei giudici l’esecutivo ora dice di volere fare attente verifiche («la decisione sarà esaminata dal governo con particolare attenzione»). Perché «presenta evidenti problemi di esecuzione e mette a rischio il sistema di identificazione personale». Verifiche che potrebbero anche portare ad un’azione contro l’ordinanza. Che risale al 9 settembre 2022 «e non è stata impugnata dal Ministero dell’Interno», ha fatto sapere ieri Palazzo Chigi in una nota.
Due genitori dello stesso sesso e la carta d’identità
Al tribunale si erano rivolte due donne con il sostegno di Rete Lenford e Famiglie Arcobaleno. Ovvero Sonia, la madre biologica di una bambina concepita in Grecia con la fecondazione artificiale e nata in Italia, e la sua compagna. Il giudice Francesco Crisafulli ha imposto al Viminale di emettere una nuova carta d’identità. Specificando che che il diritto «alla corretta rappresentazione familiare» non spetta solo alle madri, ma anche alla bambina». E oggi su la Repubblica altre due madri, ovvero la giornalista Rory Cappelli ed Eugenia Romanelli, rivolgono un appello alla premier: «Siamo due madri e vogliamo avere i tuoi stessi diritti». «Siamo una coppia di donne. Abbiamo avuto, insieme, una bambina. Una delle due, la madre non biologica, ha fatto ricorso al tribunale per adottarla. L’adozione, dopo una consulenza tecnica d’ufficio e peripezie varie, è stata riconosciuta», premettono.
Poi spiegano una parte del problema: «Domani andremo in questura per il passaporto. Anche lì, come per la carta d’identità elettronica, i moduli sono gli stessi. C’è scritto madre e padre. E se ci rifiutassimo? Se ci rifiutassimo resteremmo senza documenti e senza possibilità di viaggiare, di andare, che so, a Bali con la baby sitter. Tra l’altro è tutto da vedere se questi documenti verranno emessi».
Il riferimento all’Indonesia arriva dopo la polemica di ieri: proprio Meloni ha ritenuto di dover spiegare su Facebook che sente di avere il diritto di fare la madre come meglio crede. Anche portando sua figlia con sé al G20, come è accaduto nei giorni scorsi.
L’appello
Per questo, concludono Cappelli e Romanelli, «la nostra bambina, come ha scritto il giudice nella sentenza sul decreto del 31 gennaio 2019, ha diritto a una corretta rappresentazione della sua situazione familiare, come figlia (naturale e giuridica) di due donne, quindi di due “madri”, o comunque di due “genitori”. E così, mentre c’è chi può permettersi di scegliere tra maschile e femminile e di viaggiare oppure no, noi rischiamo di restare confinate in Italia».
(da agenzie)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
MELONI BLINDA I TECNICI DI DRAGHI, MA LA LEGA METTE UN PIEDE NEI BANDI
La nomina è attesa entro la fine della settimana. Il nuovo capo del Dipe, il Dipartimento di Palazzo Chigi per la programmazione della politica economica, sarà Bernadette Veca, direttore per lo sviluppo del territorio al ministero dei Trasporti.
Profilo ineccepibile, una super tecnica rigorosa, la definisce chi ha lavorato con lei. Prenderà il posto di Marco Leonardi, scelto da Mario Draghi, e fin qui siamo allo spoils system che caratterizza ogni cambio di governo. Se però si considera chi caldeggia il nome di Veca e cosa significa fare il capo del Dipe oggi, allora il quadro cambia radicalmente.
L’indicazione arriva dalla Lega e al Dipartimento spetta l’assistenza tecnica ai ministeri e ai Comuni impegnati a realizzare i progetti in partenariato pubblico-privato. Molti di questi progetti fanno parte del Pnrr. Insomma dal Dipe si guida la filiera di una parte importante dell’attuazione del Piano, strategica non solo per ragioni tecniche, ma anche per motivazioni politiche perché i progetti si fanno sui territori e i territori portano consensi. Sono qui che prenderanno forma i progetti che proprio il Dipartimento, sotto la gestione di Leonardi, ha iniziato a disegnare insieme ai ministeri, come la telemedicina e il Polo strategico nazionale, dove confluiranno i dati e i servizi strategici di tutte le amministrazioni centrali, ma anche di Asl, Regioni e grandi Comuni. Il Dipe è stato anche il promotore della formazione ai responsabili che firmano i progetti, altra questione cruciale per il Pnrr.
Matteo Salvini ha lasciato il compito di scegliere il capo del Dipe al suo fedelissimo Alessandro Morelli, che da sottosegretario ha già una delega pesante in materia di investimenti e infrastrutture.
Morelli conosce bene Veca, perché è stato viceministro ai Trasporti fino a qualche settimana fa e il profilo tecnico della manager è quello più adatto per fugare i dubbi sul significato politico della mossa. Solo che la scelta arriva a una settimana dalla richiesta avanzata dallo stesso Morelli durante la prima cabina di regia sul Pnrr a Palazzo Chigi. A guidare la riunione c’era Giorgia Meloni e il sottosegretario leghista ha chiesto alla premier di mettere mano alla squadra del Pnrr scelta da Draghi.
La proposta è stata respinta anche perché cambiare i posti di comando significherebbe forzare la mano, dato che gli incarichi sono stati conferiti con il sigillo della scadenza al 2026, l’ultimo anno del Pnrr, proprio per garantire continuità alla programmazione e alla vigilanza sulla spesa dei fondi europei.
Ma al di là del cambio delle regole, la premier non vuole smontare la macchina operativa, che deve correre per centrare gli obiettivi che scadono tra un mese e mezzo, ma soprattutto quelli del primo semestre del 2023.
È sulle riforme e gli investimenti da centrare entro giugno che si sono soffermate le preoccupazioni del ministro Raffaele Fitto, che ha la delega per il Pnrr, durante l’incontro di ieri con i sindacati. La trattativa con Bruxelles per le modifiche al Piano verterà anche, se non soprattutto, su questo. Già c’è l’inflazione che rallenta i cantieri, scardinare anche le Unità di missione vorrebbe dire aggravare ulteriormente il quadro, è il ragionamento che si fa a palazzo Chigi.
Per questo non si toccheranno gli incarichi delle tre figure principali, a iniziare da quello di Chiara Goretti, coordinatrice della segreteria tecnica del Pnrr. E al loro posto resteranno anche Carmine di Nuzzo, direttore del Servizio centrale per il Piano al ministero dell’Economia, e Nicola Lupo, che guida l’Unità razionalizzazione e miglioramento della regolazione
(da La Repubblica)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
DA QUANDO LE ONG SONO STATE BLOCCATE GLI IMMIGRATI SBARCATI SONO QUASI RADDOPPIATI…. IL 90% DI CHI SBARCA LASCIA L’ITALIA PER FRANCIA, GERMANIA E PAESI DEL NORD
“La presenza delle navi delle Ong fa aumentare gli sbarchi sulle
coste italiane”. È una delle frasi più ripetute da esponenti del governo e della maggioranza di centrodestra per colpevolizzare le organizzazioni umanitarie. E lo ha sostenuto anche il ministro Piantedosi parlando di “un fattore di attrazione” durante la sua informativa alle Camere.
Ma è vero l’esatto contrario. Da quando le Ong sono state bloccate dal ministro dell’Interno, gli immigrati sbarcati sono quasi raddoppiati. Lo rivelano proprio i dati ufficiali di Viminale, il cosiddetto “cruscotto giornaliero”.
Prendiamo in esame gli ultimi due mesi.
Dall’1 al 24 ottobre, giorno dell’intervento del ministro Piantedosi, con le imbarcazioni delle Ong in mare, sono sbarcate 7.244 persone.
Dal 25 ottobre a oggi ne sono sbarcate 13.703 (mancano ancora alcune centinaia sbarcate negli ultimi due giorni).
Tutto questo senza imbarcazioni delle Ong. E in meno giorni.
Con un ritmo di arrivi che non accenna a calare, soprattutto a novembre, con sbarchi giornalieri mai inferiori a 400, col picco il 3 e il 14 con 938 e 1.258. Nello stesso periodo 24 ottobre-15 novembre, del 2021 erano sbarcate 6.413 persone. E allora le Ong operavano.
Piantedosi nel suo intervento ha affermato che dall’1 gennaio 2021 al 9 novembre 2022 le Ong hanno portato sulle coste italiane 21.046 migranti, di cui 9.956 nel 2021 e 11.090 nel 2022. Vero ma per il 2021 rappresentano il 14% del totale degli sbarchi e per il 2022 l’11%. Dunque addirittura un calo, mentre cresce il totale degli sbarchi.
Ma sono sbarchi autonomi o soccorsi da Guardia costiera, Guardia di Finanza e navi mercantili di varie nazionalità. Anche questi sono dati ufficiali del Ministero.
Un’ulteriore conferma arriva dall’ultimo rapporto di Frontex.
Nei primi dieci mesi del 2022 gli arrivi di immigrati rilevati ai confini esterni dell’Ue sono stati circa 275.500, in aumento del 73% rispetto ai primi dieci mesi del 2021.
La rotta più attiva è quella dei Balcani Occidentali, dove si sono registrati 128.438 attraversamenti, in aumento del 168%. Una rotta terrestre, dove, ovviamente, non ci sono le Ong.
E un fortissimo aumento ha avuto anche la rotta del Mediterraneo Orientale (dalla Turchia o dalla Libia orientale), con 35.343 arrivi (+122%).
E anche qui non operano le Ong, ma solo le imbarcazioni della Guardia costiera e della Gdf.
Mentre la rotta del Mediterraneo Centrale, quella che porta a Lampedusa e dove operano le Ong, pur essendo la seconda in numero assoluto con 79.140 rilevamenti è cresciuta “solo” del 48%.
Ma dove finiscono tutti questi immigrati? Come confermato anche per gli ultimi sbarchi in Calabria dalla rotta turca (ma anche per quelli in Puglia), gran parte delle persone, soprattutto afghani, curdi, siriani, non fanno domanda d’asilo e accettano tranquillamente il decreto di respingimento, anche se avrebbero sicuramente diritto alla protezione internazionale, perché vengono da Paesi in guerra o dove dominano violenza e persecuzione. Ma non vogliono restare in Italia.
Per loro è solo luogo di sbarco e di transito per poi raggiungere il Nord Europa, soprattutto attraverso il confine italo-francese. Un percorso in aumento.
La prova ce la fornisce Martina Cociglio, operatrice legale del servizio della Diaconia valdese che partecipa, con altre organizzazioni, al progetto Open Europe, sulle tre frontiere, quella di ingresso di Trieste e quelle in uscita di Ventimiglia e Oulx in Val di Susa.
A settembre su 391 persone contattate 59 venivano dalla rotta turca, 309 da quella balcanica, 11 da quella libica, 7 da quella tunisino-algerina. E questo spiega perché 268 fossero afghani, seguiti da 45 iraniani e 33 marocchini. Ben 14 le famiglie con figli, anche molto numerose, e in gran parte afghane, 4 quelle senza figli, 69 i minori non accompagnati (66 afghani).
A ottobre calano le persone contattate che sono state 232, ma non la provenienza: 165 dalla rotta balcanica, 33 da quella turca, 18 da quella libica, 7 da quella tunisino-algerina. La maggioranza restano gli afghani, con 120 persone, seguiti da 34 iraniani, 28 marocchini, 7 del Burundi e 6 siriani. E in gran parte afghane le 9 famiglie con figli, le 8 senza figli, e i minori non accompagnati (20 su 22).
I dati di novembre fino al 15 segnalano un aumento considerevole degli arrivi dalla rotta turca. Su 172 contattati 74 venivano dalla rotta balcanica, 64 da quella turca, 25 da quella libica, 5 da quella tunisino-algerina. Quanto alle nazionalità 66 erano afghani, 37 iraniani, 24 marocchini, 6 turchi. Otto le famiglie con figli (anche con mamme incinte e bimbi molto piccoli), 5 quelle senza figli, 10 i minori non accompagnati. Tra di loro anche un gruppo proveniente da due sbarchi del 29 ottobre a Santa Maria di Leuca la cui storia Avvenire aveva raccontato.
(da Avvenire)
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Novembre 17th, 2022 Riccardo Fucile
“SE CI SONO PROBLEMI, BUTTATELI A MARE”… “CON I SOLDI DELLA TRATTA INVESTIVANO IN ITALIA”: SONO GLI IMPRENDITORI A CUI POI FACCIAMO ANCHE IL CONDONO?
Il cuore dell’organizzazione era nel cuore della Sicilia, a Niscemi, provincia di Caltanissetta. Lì viveva una coppia di tunisini, la mente del gruppo. Poi, fra Gela e la costa agrigentina si muovevano gli altri componenti del gruppo specializzato nella tratta di migranti dalla Tunisia: in meno di quattro ore, trasportavano da 10 a 30 persone.
Gli ordini dei capi erano feroci: “Se ci sono problemi con il motore, buttateli a mare”. La coppia stava peraltro agli arresti domiciliari per un’altra inchiesta simile svelata dalla procura di Palermo. Ora, un’indagine della squadra mobile di Caltanissetta diretta da Nino Ciavola e del commissariato di Niscemi svela che la tratta proseguiva, ogni migrante pagava fra 3000 e 5000 euro. Questa notte, la direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta ha fatto scattare un blitz: sono 18 i provvedimenti cautelari emessi dal giudice delle indagini preliminari. Al momento, in dodici sono stati arrestati, sei risultano irreperibili perché probabilmente all’estero.
“Abbiamo individuato anche il livello finanziario dell’organizzazione – spiega il prefetto Francesco Messina, il direttore centrale anticrimine della polizia – questo determina l’importanza dell’indagine: per ogni viaggio, l’organizzazione incassava dai 30 mila ai 70 mila euro. Il denaro, raccolto in Tunisia, veniva poi inviato in Italia, attraverso alcune agenzie internazionali specializzate in servizi di trasferimento di denaro, per essere poi successivamente versato su carte prepagate in uso ai promotori dell’associazione, i quali lo reinvestivano, per aumentare i profitti”. Fra gli investimenti fatti anche l’acquisto di nuove imbarcazioni da utilizzare per le traversate.
I destinatari della misura cautelare sono unidici tunisini e sette italiani. La procura diretta da Salvatore De Luca contesta la partecipazione a un’organizzazione criminale dedita al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Con le aggravanti di “avere esposto a serio pericolo di vita i migranti e di averli sottoposti a un trattamento inumano e degradante per trarre un profitto”.
I capi del gruppo stavano a Niscemi, i due cassieri dell’organizzazione (tunisini) facevano base a Scicli, in provincia di Ragusa, cinque italiani si occupavano invece della logistica dopo lo sbarco (i migranti venivano ospitati in alcune abitazioni, mentre gli scafisti tornavano in mare). Quattro tunisini gestivano i rapporti con la madre patria.
“Il gruppo utilizzava piccole imbarcazioni dotate di potenti motori fuoribordo – spiegano gli investigatori – i viaggi avvenivano fra le città tunisine di Al Haouaria, Dar Allouche, Korba e le province di Caltanissetta, Trapani e Agrigento”.
Uno di questi viaggi, non portato a termine, ha consentito l’avvio dell’indagine: il 21 febbraio 2018, un’imbarcazione in vetroresina si incagliò nel porto di Gela poco dopo lo sbarco di decine di persone.
(da La Repubblica)
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