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LA MOSSA DELLA MORATTI: SPACCARE LA LEGA PER PRENDERSI IL PIRELLONE (E DARE IL COLPO DI GRAZIA A SALVINI)

Dicembre 3rd, 2022 Riccardo Fucile

GASATA DALL’ULTIMO SONDAGGIO CHE LA DÀ TESTA A TESTA CON FONTANA, LANCIA UN MESSAGGIO AI LEGHISTI: “NEL CARROCCIO IL LIVELLO DI INSOFFERENZA VERSO LA DERIVA POLITICA CENTRALISTA DEL MOVIMENTO È ALTO. “L MIO SEMBRA IL PROGRAMMA DI ZAIA? È SOLO BUONSENSO, NIENTE A CHE VEDERE CON LA LEGA DI FONTANA E SALVINI”

Decisamente in forma («Le sfide sono corroboranti»), Letizia Moratti cerca di trafiggere il grigio di Milano con una giacca giallo limone nel quartier generale a due passi da piazza San Babila e da casa sua. Il sancta sanctorum della signora della buona borghesia milanese è in fermento per l’ultimo sondaggio: la partita è sempre più tra lei e il governatore uscente Fontana, mentre Majorino, al momento, risulta il terzo incomodo.
Un conto sono i sondaggi, un conto la dura realtà della campagna elettorale. Si dice «meglio soli che male accompagnati», ma in politica le alleanze sono importanti…
«In realtà non sarò da sola, correrò da indipendente, sostenuta da liste civiche e da Azione e Italia Viva. Le alleanze sono importanti però le ultime tornate elettorali hanno mostrato grande mobilità dell’elettorato. C’è tutta un’area liberale e riformista che non si ritrova nell’attuale centrodestra e in una posizione polarizzata a sinistra. Per i cittadini oggi conta la concretezza dei programmi e non dipendere dalle segreterie dei partiti».
Veniamo al dunque: perché mai da sinistra dovrebbero votarla?
«Perché affronto nel mio programma tutte tematiche care alla sinistra, benché sia convinta ormai che siano argomenti universali che dovrebbero appartenere a tutti, senza bandiere».
Per esempio?
«L’attenzione ai temi di inclusione sociale, la transizione ecologica, gli investimenti in salute pubblica, la necessità di alzare i salari, uno sviluppo sostenibile e equo e, non ultimo, l’attenzione ai diritti umani, tema per me non di adesso perché mi batto sui diritti con la mia associazione culturale Genesi».
Caspita, sembra il programma di Majorino…
«Invece no, perché è profondamente diverso nel metodo».
Ci rivela chi ha sentito nel Pd «ad alto livello»?
«All’inizio dell’estate Enrico Letta, e poi molti altri. Tutti pronti ad appoggiarmi…».
Si, ma poi non è successo.
«C’è qualcuno che ancora non mi perdona lo scontro con Pisapia, ma ormai sono passati quindici anni, forse si potrebbe guardare un po’ più avanti».
E se ad appoggiarla fosse un pezzo della Lega bossiana?
«Braccia aperte. Penso che all’interno della Lega il livello di insofferenza verso la deriva politica centralista del movimento sia alto. Nel mio programma, per esempio, ha un ruolo di rilievo il tema dell’autonomia, argomento per il quale sarebbe ora di svegliarsi».
Cioè?
«Una Lombardia autonoma deve guardare a una macroregione con il Veneto di Zaia e l’Emilia Romagna di Bonaccini per puntare a pesare, ed essere determinante per l’Unione Europea dei territori e dei popoli più che degli Stati».
Ora sembra il programma del Carroccio di Zaia…
«Anche qui: si tratta di programmi di buonsenso. Nulla a che vedere con la Lega di Fontana e Salvini».
Lei strizza l’occhio alla Lega delle origini.
«Di sicuro nella Lega c’è fermento e Umberto Bossi potrebbe spingere i militanti a tornare allo spirito originario del movimento».
Non le sembra che imponendosi subito come candidata presidente sia stato un po’ come pretendere di sedersi a capotavola senza chiedere il permesso?
«Mi sono messa a disposizione come candidata alla presidenza di Regione Lombardia nel vuoto di candidature che nessuno riusciva ad esprimere. Fontana e Majorino sono arrivati dopo. È un fatto che la mia candidatura abbia accelerato le altre due».
Anni con il centrodestra e ora si trova dall’altra parte della barricata. Perché?
«Ho sempre rivestito ruoli pubblici in qualità di tecnico, coerente con le mie idee liberali e riformiste, vicina ai valori della dottrina sociale della Chiesa. Semmai è il centrodestra ad aver tradito se stesso, snaturando la sua storica vocazione a rappresentare il mondo moderato, quello della cosiddetta maggioranza silenziosa. Oggi c’è solo una destra che ammicca ai No vax, ambigua sull’Unione Europea, vicina ai sovranisti come Orban. Non mi ci ritrovo e altri come me. Questo significa essere diventata una estremista di sinistra?».
No, però la destra non le ha offerto un ministero?
«Ni, nel senso che non ho ben capito neanch’io».
Altre opportunità?
«Per esempio di poter scegliere rispetto a diverse presidenze di partecipate nazionali. Sarebbe stata una scelta di potere, mentre ho preferito una scelta più difficile ma più giusta».
Lei ha condiviso due anni di provvedimenti con Attilio Fontana. Cosa rinnega?
«Non rinnego quello che è stato fatto, frutto di grande impegno, competenza, responsabilità. Occorreva intervenire offrendo servizi sanitari più vicini ai cittadini. Ora ci sono risorse e tempi certi. Due miliardi di euro per realizzare 216 case e 71 ospedali di comunità, il 40 per cento entro fine anno, un altro 30 per cento nel 2023, l’ultimo nel 2024».
Insomma, andava tutto bene?
«Ma no. Quando sono arrivata, il sistema di prenotazione dei vaccini anti Covid mandava gli anziani a 100 chilometri da casa per vaccinarsi. Ho azzerato il consiglio di amministrazione di Aria e affidato la piattaforma di prenotazione a Poste Italiane. Dopo pochi mesi la Lombardia è divenuta un modello a livello mondiale. Decisioni concrete, non annunci come quello che voleva un polo produttivo del vaccino russo Sputnik strizzando l’occhio a Putin».
Cosa avrebbe voluto fare che non ha potuto fare?
«Avrei voluto più risorse a disposizione per affrontare la situazione dei pronto soccorso. E poi risolvere la cronica mancanza dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta. Al ministero della Salute giace un decreto sul quale ho lavorato intensamente che darebbe alle Regioni la leva per poter indirizzare i medici necessari».
Lei vuole mettere insieme liberali, riformisti, socialisti. Ma nella sua lista finora si vedono soprattutto persone di centrodestra. Progetto fallito?
«No, non direi. La lista raccoglie esponenti di diverse estrazioni. Vedrà, ci saranno grandi sorprese…».
Chi pensa si farà del male in queste elezioni?
«I lombardi se non sceglieranno la concretezza, ma daranno ancora voce alle sirene di schieramenti polarizzati e divisivi ormai superati»
(da agenzie)

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C’ERA UNA VOLTA LA “BESTIA”; SALVINI NON BUCA PIÙ I SOCIAL, NONOSTANTE POSTI E TWITTI SENZA TREGUA

Dicembre 3rd, 2022 Riccardo Fucile

IL LEADER LEGHISTA È STATO ORMAI SCAVALCATO DALLA MELONI NEL NUMERO DI INTERAZIONI SU FACEBOOK, INSTAGRAM E TWITTER… E L’IPERATTIVISMO NON STA DANDO RISULTATI NEI SONDAGGI

Ci sta provando in ogni modo: tagli di nastro, annunci di grandi opere e piccole bretelle, una comunicazione omnibus che va ben oltre la materia di competenza, ovvero le Infrastrutture.
Per dire: ieri, in un solo giorno, Matteo Salvini ha dato del “rompipalle” a chi vuole pagare il caffè con la carta di credito, ha sentenziato che difficilmente si chiuderanno in tempo tutti i cantieri del Pnrr, ha fatto sapere che sul piano diplomatico con la Francia «non c’è più problema», ha promesso «un’Italia federale e presidenziale » entro la fine della legislatura e naturalmente si è soffermato sulla sua antica lotta all’immigrazione clandestina: secondo il leader della Lega «due mesi fa eravamo soli, abbandonati, dimenticati. L’Ue ha capito che l’aria è cambiata».
Vero, non vero, verosimile: poco conta. L’importante è dichiarare: un’ossessione figlia dell’esigenza di riconquistare consenso che Salvini manifesta quotidianamente già dalla vigilia del debutto in aula del governo. Quel giorno, era il 24 ottobre, il ministro lanciò il piano economico della Lega, parlò di Ponte sullo Stretto e scatenò la caccia alle Ong: uno sgarbo istituzionale che ha prodotto l’effetto di “oscurare” la premier. Ma a questo rinnovato attivismo, anche dai banchi del governo, non corrisponde una crescita di consenso del segretario leghista: Salvini non buca più.
I sondaggi son ballerini ma finora il beneficio dell’effetto-governo non si vede, per un leader in affanno. Di certo, sul web Salvini ha smesso di spadroneggiare.
Lo dice una ricerca dell’osservatorio nazionale della Fondazione Italia digitale sul rapporto fra l’esecutivo e i social nel primo mese di governo: se, nelle tre principali piattaforme (Facebook, Instagram, Twitter) il Capitano è ancora tale per numero di fan, viene invece scavalcato proprio da Giorgia Meloni per l’engagement medio per post. L’engagement è, in sostanza, l’indice delle interazioni “reali”, attraverso like, commenti, clic su link che riportano ad altre pagine.
Un dato che certifica il momento non felice del segretario della Lega. E la scarsa risposta alle sue sortitespesso sopra le righe: dagli «uccelli che non sono scemi, voleranno evitandolo» con riferimento all’allarme ambientale legato al Ponte sullo Stretto alle «trote che sono più intelligenti dell’uomo» e dunque si allontaneranno e non saranno travolte dalla demolizione di un ponte in Sardegna. I suoi lo guardano con la benevolenza di chi ha avuto un posto in lista, ma con la consapevolezza che alcune battaglie elettorali dovranno attendere: su pensioni, flat tax, pace fiscale c’è in manovra molto meno di quanto promesso.
E alcune convinzioni ferree espresse da Salvini fino a settembre, come quella di un necessario scostamento di bilancio, sono state confutate pubblicamente persino dal collega di governo e di partito Giancarlo Giorgetti: «In tanti invocavano sforamenti di qua, sfondamenti di là, si aspettavano che facessimo un po’ di follie, mi dispiace non aver assecondato questo tipo di aspettative», ha detto il ministro dell’Economia in conferenza stampa il 22 novembre.
E pazienza se nel frattempo le valli padane sono in fermento in attesa dell’Autonomia, e Umberto Bossi oggi ritorna a farsi vedere per la prima iniziativa del comitato del Nord alla quale parteciperanno «altri esponenti di primo piano della Lega », fanno sapere gli organizzatori. E pazienza se nello stesso momento gli eletti al Sud vedono quella stessa Autonomia come uno spauracchio, chiedendo a Roberto Calderoli un incontro per sapere come difendersi dagli stacchi ad alzo zero degli avversaridem e grillini.Primus comunicare, deinde philosophari, è il riadattato motto di Salvini. Che però ha perso lo smalto della Bestia.
(da La Repubblica)

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L’USCITA DI SALVINI, CHE HA DEFINITO “ROMPIPALLE” CHI PAGA IL CAFFÈ CON IL BANCOMAT, HA SCATENATO LE PROTESTE

Dicembre 3rd, 2022 Riccardo Fucile

CERTI DISCORSI SONO ANCORA ACCETTABILI DA PARTE DI UN PASSANTE, NON DI UN LEADER POLITICO CHE DOVREBBE INCORAGGIARE UNO STRUMENTO DI LOTTA ALL’EVASIONE. QUELLA DEI CONTANTI È UNA BATTAGLIA DI RETROGUARDIA RIDICOLA

Dice Salvini che ciascuno deve essere libero di pagare come gli pare, però aggiunge che chi paga il caffè con la carta di credito è un rompipalle.
Quell’uomo contiene moltitudini, ma proviamo a sanare la contraddizione azzardando una sintesi: per lui ciascuno è libero di pagare in contanti e di dare del rompipalle a chi non lo fa.
Ecco, mi rendo conto di essere caduto nella solita trappola: Salvini dà fiato al pensiero dell’avventore medio del bar e chi osa eccepire è un moralista o un fighetto (oltre che un rompipalle). Cerchiamo allora di sottrarci allo schema.
Intanto il ministro è poco informato: ormai ci vuole meno tempo per pagare il caffè con la carta di credito, una strisciata e via, mentre la ricerca del denaro nel portafogli, la conta delle monetine e l’attesa per il resto mettono a dura prova la pazienza di chi aspetta in coda.
Il rompipalle è diventato chi paga in contanti. A meno che per Salvini non sia l’uso stesso della carta, quella diavoleria inventata dalle banche, a qualificare il possessore come un provocatore.
In ogni caso certi discorsi sono ancora accettabili da parte di un passante, non di un leader politico che dovrebbe incoraggiare uno strumento di lotta all’evasione e soprattutto riconoscerne l’ineluttabilità.
Quella dei contanti è una battaglia di retroguardia che ormai si combatte quasi esclusivamente da noi. E le retroguardie saranno anche romantiche, ma dopo un po’ diventano soltanto ridicole.
Massimo Gramellini
(da il “Corriere della Sera”)

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MENTRE SALVINI CIANCIA DEL PONTE SULLO STRETTO, LA LEGA IN SICILIA VA IN PEZZI

Dicembre 3rd, 2022 Riccardo Fucile

IL SEGRETARIO REGIONALE DEL CARROCCIO, NINO MINARDO È PRONTO A RIMETTERE IL MANDATO: NON RIESCE A PLACARE IL MALESSERE DELLA BASE LEGHISTA, INCAZZATA DOPO L’ARRIVO DEI TRANSFUGHI CHE SI SONO PRESI LE POLTRONE NELLA GIUNTA SCHIFANI, NEL SILENZIO DEL CAPITONE

Anche le tavolate che accolgono Matteo Salvini, ogni volta che si ritrova a Palermo per un’udienza del processo Open Arms, sono sempre più sciape. Nell’ultima foto di gruppo, assai sgranata, il Capitano è sull’estrema destra. Abbracciato a nessuno. Mentre al centro manca Nino Minardo, l’attuale segretario regionale del Carroccio, che negli ultimi mesi somiglia sempre più a un carretto. Claudicante per lo più.
Le difficoltà della Lega vanno accentuandosi pure in Sicilia. E non bastano le visite frequenti del Ministro alle Infrastrutture, e qualche foto opportunity, a riportare il sereno. Dalle elezioni comunali di Palermo, lo scorso giugno, il partito ha perso tono, uomini e vigore. Più poltrone sono arrivate, più si è spaccato in correnti.
Galeotto fu l’ingresso di Luca Sammartino, neo vicegovernatore regionale, che trattò il suo “approdo” in perfetta solitudine, infischiandosene delle gerarchie.
Con una evidente, ricca contropartita da presentare al Capitano: gli oltre trentamila voti che nel 2017 lo portarono all’Assemblea regionale come primo degli eletti (in quota Pd).
Cinque anni dopo, e nonostante una fugace apparizione coi renziani, i consensi di Sammartino sono rimasti tantissimi: ventimila. Gli sono valsi il primo scranno a fianco di Schifani, nonostante il presidente della Regione rivendichi la “continuità” con il governo Musumeci, di cui Sammartino era stato il più illustre dei detrattori.
La sua presenza, per altro, è sempre stata vista con sospetto dall’attuale (per poco?) segretario, che dal 2020 – dopo la parentesi di un papa straniero (il senatore Stefano Candiani) – ha cercato di aprire la Lega al civismo, aggregando moderati ed ex democristiani. E federandosi con gli Autonomisti dell’ex governatore Lombardo.
La missione di Minardo – un partito “inclusivo e terrone” – è riuscita a metà e oggi, il conflitto tra vecchia guardia e new entry, lo dimostra. “A fronte dei circa 43.500 voti ottenuti dagli eletti, ce ne sono circa 86.000 ottenuti dai non eletti che meritano un giusto coinvolgimento nel governo della Sicilia”, ha riferito il segretario dopo aver marcato visita alla cena (nella versione ufficiale alcuni impegni lo avrebbero trattenuto a Milano).
Segno che il conflitto più palese è tra premiati e diseredati. Può annoverarsi tra i primi Mimmo Turano, neo assessore all’Istruzione e alla Formazione professionale, proveniente dal malcapitato Udc, che fece la tessera della Lega alla vigilia della presentazione delle liste, lo scorso agosto, e venne eletto grazie ai voti della sua Trapani, dov’era in lizza pure al Senato. Un altro arrivo dell’ultima ora. Un’altra conquista a scapito di chi c’era prima.
Pesi e contrappesi, in questa fase, sono stati bilanciati male. E Salvini ha lasciato correre, come Berlusconi per la querelle tra Schifani e Micciché (che ha portato alla creazione di due Forza Italia: che imbarazzo).
E Salvini? Spera di utilizzare il traino dell’Isola e costruire il Ponte, per poi plaudire a se stesso e alla classe dirigente siciliana che c’aveva sempre creduto. Anche quella un po’ a soqquadro del suo partito.
(da il Foglio)

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LA PREFETTURA DI BOLOGNA METTE SOTTO PROTEZIONE ELLY SCHLEIN

Dicembre 3rd, 2022 Riccardo Fucile

DOPO L’ATTENTATO DI ATENE ALLA SORELLA DELLA PARLAMENTARE PD SALE IL LIVELLO DI ALLARME

La prefettura di Bologna ha attivato, in via precauzionale, una vigilanza nei confronti della deputata Elly Schlein, dopo l’attentato che ha colpito ad Atene la sorella Susanna, diplomatica all’ambasciata greca.
Si tratta di quella che in termini tecnici viene chiamata “vigilanza radiocollegata con passaggi frequenti e numerose soste”, dove vive o lavora.
Lunedì è previsto un comitato di sicurezza per approfondire la questione e valutare i provvedimenti.
“Una misura precauzionale – ha detto all’Ansa il prefetto Attilio Visconti – fintanto che non capiremo le cose come stanno. Non sottovalutiamo niente e non prendiamo niente sottogamba”.
(da agenzie)

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IL RITORNO DI BOSSI: “QUI PER RINNOVARE LA LEGA, NON DISTRUGGERE”

Dicembre 3rd, 2022 Riccardo Fucile

CORRENTONE VERDE DEL NORD CONTRO LO STRAPOTERE DI SALVINI… NEL PAVESE SALA PIENA PER LA PRIMA RIUNIONE… “TOGLIETE TIK TOK A SALVINI, NON NE POSSO PIU’ DI VEDERE UNO DELLA SUA ETA’ FARE IL COGLIONE”

“È arrivato il momento di alzarsi in piedi, abbiamo visto cancellare l’identità della Lega e se fai questo muori. Lo sapevamo tutti ma abbiamo dovuto aspettare la crisi elettorale per muoverci liberamente. Ora vogliamo rinnovare la Lega e non distruggerla”, spiega dal palco Umberto Bossi. “Da tempo mi dicevano fai qualcosa, eccomi qui”.
La Lega Nord è tornata: a guidare il correntone verde, il sindacato del territorio che sotto sotto sogna di mandare a casa Matteo Salvini, c’è colui che l’ha fondata.
Al castello di Giovenzano, in provincia di Pavia, la grande sala è piena e la gente rimane fuori. Fazzoletti e cravatte verdi, il vecchio orgoglio padano che qui nessuno è tenuto a nascondere, anzi. “Arriviamo a 5 mila tessere e poi vediamo cosa succede”, dice l’europarlamentare Angelo Ciocca, che assieme a Paolo Grimoldi sta organizzando il Comitato nord.
Castelli e Speroni in sala
In sala ci sono gli ex ministri Roberto Castelli e Francesco Speroni, poi una manciata di consiglieri regionali, ma soprattutto la base scontenta.
“Togliete Tik Tok a Salvini”
Per citare un militante di Desio iscritto dal 1989 e che ha preso la parola: “Togliete TikTok a Salvini, non ne posso più di vedere uno della sua età che fa così il coglione”, e giù applausi. Chi è arrivato fin qui lo ha fatto “nonostante le telefonate che dicevano ‘non andate’, nonostante il boicottaggio”, diceva la presentatrice in abito verde Lega.
La minoranza contro lo strapotere del capo
La minoranza sta creando una certa apprensione tra i vari commissari di stretta osservanza salviniana, disabituati a discussioni e confronti dopo anni di strapotere del capo. “Chi ha pensato di diffidare i militanti della Lega rischia di essere diffidato dal nord”, avverte Grimoldi e il riferimento è al divieto di utilizzare il simbolo della Lega intimato nelle settimane scorse ai ribelli dal tesoriere Giulio Centemero.
Bossi e i fazzoletti verdi
“È inaccettabile che il Veneto sia stato commissariato”, è l’altra bordata di Bossi destinata a Salvini. Per il suo ingresso in sala erano stati distribuiti altri centinaia di fazzoletti verdi. Con la faccia di Bossi sopra. Per il senatur è una nuova e inaspettata giovinezza politica, sotto le notte dell’intramontabile Va, pensiero.
(da Repubblica)

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SORPRESA AMARA PER PUTIN: L’INDUSTRIA EUROPEA TIENE

Dicembre 3rd, 2022 Riccardo Fucile

E HA IMPARATO A RISPARMIARE SUL GAS

Possibile che Putin perda anche questa? Il futuro è cupo, assicura in una nota Confindustria, calcando forse sin troppo i toni: il caro energia è persistente, l’inflazione è a valori record, i tassi di interesse sono in salita, le imprese si indebitano a costi alti. L’export cresce, ma la salute della economia mondiale è flebile. Insomma, il rimbalzo a cui stiamo assistendo è temporaneo.
Forse ha ragione Confindustria: ma il rimbalzo c’è e non era scontato. Anzi, se facciamo il confronto con l’economia europea più simile alla nostra, quella tedesca, anche le prospettive appaiono assai meno grame. In più, proprio sul fronte più difficile, quello dato per perso in partenza – l’energia – la catastrofe annunciata non si sta realizzando, alla faccia dell’uomo del Cremlino.
Cominciamo dal rimbalzo. Le notizie di questi giorni dicono che l’Italia ha registrato il record di occupati degli ultimi 45 anni e quello che cresce è il lavoro stabile. Di fatto, abbiamo finalmente riagganciato il trend di sviluppo pre Covid. Non siamo i soli. Nonostante il pessimo scenario in cui ci muoviamo, la disoccupazione è scesa ai minimi in tutta l’Eurozona. Gli analisti in genere, come quelli di Confindustria, dicono che non durerà e che il ritmo di assunzioni calerà. Le imprese, però, dicono il contrario. Almeno quelle tedesche che, in un sondaggio, assicurano di essere ottimiste e di pianificare un aumento delle assunzioni. Anche la Bdi, la Confindustria tedesca, si prepara a rivedere al rialzo le previsioni di crescita dei prossimi mesi, rispetto al pessimismo di settembre.
Facile individuare fattori effimeri nella buona navigazione di questi mesi. Per l’Italia, il traino di una stagione turistica più che soddisfacente. Per la Germania, l’accumulo di ordini che le difficoltà delle catene di fornitura dei mesi scorsi avevano intasato e che ora vengono smaltiti, un processo che interessa anche l’Italia. Ma c’è un dato assolutamente inaspettato che inietta, invece, solidità nello scenario che si sta preparando. E’ il dato della produzione manifatturiera. Rispetto ad un anno fa, in Francia e in Germania è aumentata del 4 per cento, in Spagna del 3, in Italia è rimasta uguale. Non vi sembra un gran che essere rimasti sui livelli di un anno fa? Perché vi siete dimenticati del gas, delle superbollette destinate a devastare i bilanci delle aziende, delle fabbriche che avrebbero dovuto chiudere a catena. Invece, i dati dicono che le imprese italiane hanno diminuito del 24 per cento il consumo di gas per la produzione, rispetto alla media 2019-2021, ma sono riuscite a mantenere – sorpresa – la stessa produzione. Anche le imprese più energivore: vale per l’alluminio, per la siderurgia, per la carta. Solo la chimica sta lievemente sotto i livelli di un anno fa.
E’ un successo straordinario e, anche qui, non siamo soli. I colleghi tedeschi stanno facendo lo stesso. Il 59 per cento delle imprese tedesche usa gas nei suoi processi produttivi e, di queste, il 75 per cento è riuscito a ridurre i consumi, senza ridurre la produzione. Il 40 per cento dice che si può fare anche meglio e diminuire ulteriormente i consumi.
Anche qui, ci sono aziende più in difficoltà. Ma, in generale, l’apparato industriale dei due principali paesi manifatturieri d’Europa ha retto egregiamente all’offensiva delle bollette di Putin. E’ una notizia importante per il futuro dell’economia sostenibile, perché dimostra che sui combustibili fossili si può risparmiare alla grande, con i giusti incentivi. Ma lo è anche nell’immediato, perché esclude una paralisi industriale nei prossimi mesi. Già il Generale Inverno aveva tradito Putin, regalando all’Europa un novembre mite e buone riserve per arrivare almeno a primavera con la luce e il riscaldamento. Adesso, gli operosi industriali europei hanno imparato a risparmiare gas. Al Mondiale del Qatar non ci sono nè Italia e Germania, nè la Russia. Però, due a zero.
(da La Repubblica)

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IL COLPO DI SPUGNA SUI PAGAMENTI DIGITALI: BEN L’80% DEI PAGAMENTI CON LA CARTA SONO SOTTO I 60 EURO

Dicembre 3rd, 2022 Riccardo Fucile

ENNESIMA MARCHETTA AGLI EVASORI

Otto pagamenti con carta su dieci sono sotto i sessanta euro. E’ questa la mole di operazioni sulla quale la manovra del governo Meloni disarma i consumatori, mettendo al riparo dalle multe gli esercenti che negano loro il Pos. “Non vedo l’ora che arrivi il primo gennaio per accettare solo pagamenti da 60 euro in su”, dice un tassista pasdaran della cartamoneta, sulla strada tra l’aeroporto di Linate e il centro di Milano. “Dovrà abituarsi a girare coi contanti”, avverte.
Non tutti credono, a dire il vero, a questo estremismo. Ma certo si teme l’effetto liberi-tutti. “L’auspicio è che la manovra non abbia conseguenze drammatiche sulle abitudini a pagare digitale che gli italiani hanno assimilato – spiega la direttrice dell’Osservatorio Innovative payments del Politecnico di Milano, Valeria Portale – Ma è un segnale culturale negativo: i pagamenti elettronici abilitano servizi innovativi, oltre ad essere un deterrente per gli evasori. C’è in gioco la modernità del Paese”.
D’altra parte è vero che le sanzioni, attuate dal governo Draghi dopo un’attesa lunga un decennio, sono in vigore solo da luglio. E la crescita dei pagamenti digitali viene da prima: quest’anno potrebbero sfondare quota 400 miliardi, avvicinando il 40% del totale delle spese. Ma togliere il deterrente delle multe, insieme all’innalzamento da mille a cinquemila euro del tetto all’uso del contante, dà un chiaro messaggio ai naviganti. “Scelte politiche”, le bolla il leader della Confindustria, Carlo Bonomi, “che non portano neanche un decimale di Pil”.
Quel che molti lamentano è il peso dei costi. Davvero strozzano le attività? Di norma i contratti con le banche prevedono due voci: un canone mensile, se presente, e le commissioni sulle singole transazioni. A cui si può aggiungere il prezzo d’acquisto del Pos. Ci sono sempre più offerte, poi, di nuovi operatori fintech.
Secondo le statistiche Global Data, gli esercenti italiani pagano lo 0,7%, meno di Olanda (1,4%), Germania (1,3%) o Regno Unito (0,8%).
“Se hai un ampio giro d’affari, possono offrirti anche il Pos gratis – segnala Stoppani – Ma per il piccolo esercente le spese di noleggio e manutenzione sono consistenti”. Dietro i registratori di cassa, le posizioni si fanno sfumate. Un ciclista in zona Navigli, a Milano, tira fuori il contratto. “Due euro e novanta al mese di canone, più una commissione dello 0,9% sul transato con bancomat e carte di credito: 1.400 euro su dieci mesi di apertura piena. Per la mia attività è sostenibile, ma per altre che lavorano tirando al massimo i prezzi per restare competitivi non è scontato”.
Luigi, titolare di un ristorante, fa parte di quelli che non lo vivono come un peso: “Pago lo 0,39% sui pagamenti con bancomat, lo 0,79% per quelli con Visa e salgo al massimo all’1,5% per quelli con American Express; nessun canone se arrivo ad almeno 6000 euro di transato, che per un’attività come la mia è sicuramente fattibile. Se anche facessi il 100% degli incassi con i pagamenti digitali l’importo totale delle commissioni non supererebbe l’1%: di che cosa stiamo parlando?”, sottolinea. “Abbiamo una clientela giovane e internazionale, abituata a girare con poco contante in tasca”, ragiona il titolare di una pasticceria. “Siamo ormai al 70% di pagamenti con carta: il mondo va in questa direzione, è del tutto normale”.
A puntellare i bilanci degli esercenti gioca il credito d’imposta al 30% su queste voci e, per tutto l’anno prossimo, un contributo fino a 50 euro per acquistare i dispositivi. Molti istituti, poi, hanno azzerato i costi per le transazioni di importo minore. Ma si tratta di offerte a tempo e Stoppani chiede interventi strutturali, “perché sulle microtransazioni si rischia di vedersi mangiare tutto il margine. Ecco perché chiediamo che vengano azzerate stabilmente fino a 25 o 30 euro”.
Il contante, a dire il vero, non è un’alternativa gratis. “Presenta costi nascosti legati alla microcriminalità, alla gestione della cassa, ai rischi di errori nel resto”, spiega Portale. “Cifre che lievitano in ottica nazionale: trasporti, stampa e approvvigionamento degli Atm generano secondo Bankitalia e Bce un costo sociale tra 8 e 10 miliardi l’anno”, ricorda Portale, “in linea con quelli legati alla remunerazione dell’ecosistema che sta dietro i pagamenti digitali”.
(da agenzie)

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LA CORTE DEI CONTI DEMOLISCE IL CONDONO: “SI INDUCONO I CONTRIBUENTI A PENSARE CHE NON PAGARE LE TASSE SIA VANTAGGIOSO”

Dicembre 3rd, 2022 Riccardo Fucile

“NORME SU CONTANTI E POS NON SONO COERENTI CON PNRR”

La brusca frenata sull’uso dei contanti e sulla questione del tetto dell’uso del pos stabilito a 60 euro, arriva dalla Corte di Conti. Si tratta di norme, ha sottolineato la Corte nel corso dell’audizione alle commissioni bilancio di Camera e Senato sulla legge di bilancio, che possono «risultare non coerenti con l’obiettivo di contrasto all’evasione fiscale previsto nel Pnrr».
La manovra 2023-25, comunque, conferma i positivi orientamenti sui saldi di finanza pubblica preannunciati nella NaDEF. Ed è positiva la scelta di mantenere entro margini limitati gli interventi previsti per il 2023 con ricorso a indebitamento, puntando, nel medio termine, alla riduzione del saldo di bilancio entro la soglia del 3% e a una più rapida discesa del debito rispetto a quanto prospettato nel DEF. E’ quanto emerge dal documento che la Corte dei conti ha presentato, oggi, in audizione alle Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame della Legge di bilancio 2023. Nonostante il limitato tempo a disposizione, hanno evidenziato i giudici contabili, si sono approntati interventi per importi significativi senza ricorrere in misura rilevante a nuove entrate (eccettuata la misura sugli extra profitti delle imprese del settore energetico) e individuando minori spese per importi considerevoli. Permangono, tuttavia, elementi di incertezza sul quadro di finanza pubblica modificato dalla manovra. L’intervento sui costi dell’energia, pur di dimensioni rilevanti (oltre 20 miliardi nel 2023), è destinato a esaurire la maggior parte degli effetti nel primo trimestre dell’anno. In caso di persistente aumento dei prezzi e nonostante il gettito che deriverebbe dalla tassazione dei sovraprofitti, la dimensione del fabbisogno è rappresentata dalla differenza con gli importi impiegati nel corso del 2022.
Pos e uso contanti
Ma è su due punti nello specifico che arrivano, però, le perplessità della Corte dei Conti. Ecco cosa emerge dal documento. «Alcune misure in materia di entrate generano alcune perplessità. I buoni risultati dell’ultimo biennio hanno consentito di mantenere in equilibrio i conti pubblici, garantendo la sostenibilità di un processo redistributivo che ha assunto dimensioni di rilievo. E’ importante conseguire significativi miglioramenti in termini di coerenza fiscale, ponendo al centro degli obiettivi pubblici un’efficace azione di contenimento dell’evasione che, nonostante i risultati conseguiti, rimane di dimensioni considerevoli». Come più volte sottolineato dalla Corte, specifica il testo, «per far ciò è necessario che si utilizzino compiutamente le diverse misure di prevenzione e contrasto, che possono concorrere all’innalzamento dei livelli di fedeltà fiscale, favorendo, attraverso l’uso delle tecnologie, l’emersione spontanea delle basi imponibili e supportando la necessaria azione di controllo dell’Amministrazione fiscale; ciò anche mediante l’impiego sistematico dei dati finanziari e, non ultima, un’efficace attività di riscossione. Non sembrano andare in questa direzione alcune delle misure della manovra che interrompono un percorso intrapreso per la tracciabilità dei pagamenti, che ampliano l’area dei ricavi soggetti a regime forfettario o che propongono regimi di favore che, se consentono di ottenere un incremento del gettito immediato, ipotecano entrate future».
Le pensioni
«La revisione del sistema di indicizzazione delle pensioni, oltre a contribuire alla copertura di alcune misure che anticipano un più complessivo riassetto del quadro normativo, assicura risorse crescenti nell’arco di previsione: una scelta che, se porta ad una percepibile riduzione della curva previdenziale, va ad inserire ulteriori elementi di incertezza in un sistema che fatica a trovare un assetto definito in senso assicurativo e dal cui ridisegno – che verrà proposto – dipende, in misura rilevante, la sostenibilità del nostro debito». Lo si legge nel documento che la Corte dei Conti ha depositato nella sua audizione alle Commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato sulla manovra economica.
Reddito di cittadinanza
La Corte dei Conti si è poi espressa anche sulle modifiche apportate dal governo al Reddito di Cittadinanza. La distinzione dei percorsi di contrasto della povertà e di inclusione lavorativa nella riforma del reddito di cittadinanza è “necessaria” e “fortemente condivisibile”. Il presidente del coordinamento Sezioni riunite Enrico Flaccadoro ha specificato che la Corte, sin dal decreto istitutivo, «ha da un lato sottolineato l’importanza dell’introduzione, anche in Italia, di uno strumento universale di lotta contro la povertà dall’altro, espresso perplessità in merito all’efficacia di un istituto che, volendo rispondere sia ad esigenze di contrasto dell’esclusione sociale che di stimolo dell’occupazione (politiche attive per il lavoro), recava in sé il rischio di affrontare, con un unico schema, problematiche molto diverse».
(da Repubblica)

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