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SLITTA A DOMANI LA FIDUCIA SULLA MANOVRA: LO SPRINT PER EVITARE L’ESERCIZIO PROVVISORIO

Dicembre 28th, 2022 Riccardo Fucile

TORNA LA GRANA DELLE CONCESSIONI DEI BALNEARI CON FORZA ITALIA CHE PROPONE IL RINVIO DELLE GARE PREVISTE A PARTIRE DAL PRIMO GENNAIO DEL 2024… LE OPPOSIZIONI OCCUPANO LA COMMISSIONE BILANCIO. POI LA MAGGIORANZA CEDE: PIÙ SPAZIO AL DIBATTITO

Altre 24 ore. La manovra continua il suo percorso tortuoso tra i palazzi. Quando l’approdo sembrava a un passo ecco che arriva un nuovo rinvio. Il voto di fiducia, inizialmente previsto per oggi, è stato rimandato a domani.
La decisione è stata presa all’unanimità dalla Conferenza dei capigruppo del Senato, dopo l’ennesima giornata ad alta tensione tra maggioranza e opposizioni, culminata con l’occupazione della commissione Bilancio per protestare contro la compressione dei tempi. Un gesto forte che ha portato la presidenza a concedere più spazi, spostando l’approvazione pericolosamente a ridosso della scadenza del 31 dicembre.
Nel frattempo, torna la grana delle concessioni dei balneari, con Forza Italia che chiede una proroga delle gare, previste a partire dal primo gennaio del 2024.
Il clima si è surriscaldato per il ritardo con il quale il testo varato all’alba di sabato scorso dalla Camera è arrivato a Palazzo Madama. Un punto è chiaro a tutti e non da ieri: la manovra va approvata così com’ è dal Senato, perché ogni modifica implicherebbe un ritorno a Montecitorio e a quel punto non ci sarebbe più tempo per evitare l’esercizio provvisorio. Le opposizioni, però, da quella più dialogante, il Terzo Polo, fino a Pd e M5S, credono si sia passato il segno e con una inedita unità chiedono: «Si lasci almeno il tempo di discutere».
«L’arroganza con la quale la maggioranza prova a forzare i tempi e a ostacolare il lavoro delle opposizioni è un film già visto dopo l’iter pasticciato a cui abbiamo assistito alla Camera – si indigna Mariastella Gelmini, portavoce di Azione -. Tutto questo è inaccettabile».
La protesta prende una forma più plateale nel pomeriggio con l’occupazione della presidenza della commissione con tanto di foto di gruppo e selfie (proibiti dal regolamento di Palazzo Madama). Lo scopo è chiedere al presidente del Senato Ignazio La Russa di convocare una nuova capigruppo e rimandare l’approdo della manovra in Aula. Il tentativo riesce: la giornata di oggi sarà dedicata interamente al dibattito e il voto di fiducia slitterà a domani mattina, proprio mentre la premier incontrerà i giornalisti per la conferenza stampa di fine anno, che si arricchisce così di contenuti.
Le opposizioni cantano vittoria. Per Simona Malpezzi, capogruppo del Pd, il rinvio segna infine il «ritorno del buon senso». Soddisfatta anche la capogruppo M5S, Barbara Floridia: «L’arroganza di questo governo è senza limiti. Siamo riusciti con fatica a portare la discussione fino a giovedì».
«Abbiamo imposto un principio salutare in democrazia», dice Raffaella Paita, capogruppo del Terzo Polo, «ci vuole un tempo congruo» per discutere un provvedimento.
Gli strascichi di queste tensioni si trascinano anche alla Camera, dove si deve convertire il Decreto Rave, il primo licenziato dal governo Meloni.
Anche in questo caso, il tempo è molto stretto: senza un via libera del Parlamento, il 30 dicembre il provvedimento decade. Per arginare l’ostruzionismo delle opposizioni il governo ha posto la questione di fiducia. Il voto è previsto per oggi pomeriggio alla Camera, poi andrà esaminato il testo e tutto lascia prevedere che i deputati saranno chiamati a un’altra maratona notturna (o forse due) prima di arrivare all’approvazione in extremis. Nei pensieri di Giorgia Meloni c’è anche la legge sulla concorrenza, una delle riforme chieste dall’Europa per accedere ai fondi del Pnrr.§
La questione è stata affrontata in una riunione, tenuta segreta, dei vertici di Fratelli d’Italia, tra i quali i ministri Francesco Lollobrigida e Luca Ciriani, il capogruppo alla Camera Tommaso Foti e l’eurodeputato Carlo Fidanza. Nelle stesse ore, al Senato, Maurizio Gasparri di Forza Italia proponeva un emendamento al Milleproroghe chiedendo il rinvio delle gare delle concessioni per le spiagge, un obbligo previsto oltre che dalla direttiva Bolkenstein, anche da una sentenza del Consiglio di Stato.
(da La Stampa)

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PER IL GOVERNO L’OBIETTIVO PRIMARIO E’ ROMPERE I COGLIONI A CHI SALVA VITE UMANE, INVECE CHE LASCIARLE AFFOGARE

Dicembre 28th, 2022 Riccardo Fucile

ARRIVA IL NUOVO DECRETO SOVRANISTA PER OSTACOLARE IL LAVORO DELLE ONG… POSSONO SALVARE SOLO UN GRUPPO DI NAUFRAGHI ALLA VOLTA, CHI ARRIVA SECONDO PUO’ AFFOGARE… LA RICHIESTA DI ASILO A BORDO POI E’ ILLEGALE

Un parto faticosissimo, la nascita del primo decreto Piantedosi. Sono stati interminabili giorni di discussione tra uffici legislativi di più ministeri per evitare nuove gaffe con il Parlamento e presentarsi con un testo malscritto. A sera, alla vigilia del nuovo Consiglio dei ministri, in programma oggi pomeriggio, una bozza era pronta, anche se il perimetro degli interventi sarà forse più ristretto delle attese.
«Il ministro dell’Interno – aveva ad esempio annunciato al mattino Matteo Salvini nella sua veste di vicepremier – sta lavorando ad un decreto complessivo sul tema sicurezza: dalle baby gang ai femminicidi, al traffico di clandestini. Conto che nel 2023 daremo le risposte che da qualche anno mancano».
Il decreto Piantedosi, invece, quando ormai il menù della giornata era in via di definizione, riguarderà quasi esclusivamente l’immigrazione. Troppo difficile armonizzare tante norme tra sé diverse. Ma allo stesso tempo il ministero dell’Interno nell’epoca del destra-centro ha una gran fretta di emanare una stretta contro le Ong.
Piantedosi ritiene che le Ong abbiano finora «strumentalizzato» le Convenzioni internazionali e perciò pretende di verificare, caso per caso, che siano state seguite tutte le regole. Di qui, l’idea di tornare a un Codice di condotta per le navi umanitarie come fu ai tempi di Marco Minniti. Solo che quello era un codice di autoregolamentazione a cui le Ong erano chiamate ad uniformarsi; questo sarà legge dello Stato.
E se qualche Ong violerà il Codice, scatteranno pesanti sanzioni. Attenendosi però alla lettera delle Convenzioni, il governo spera di non scatenare eccessive polemiche in sede europea.
Il primo dei comportamenti che le Ong sono chiamate a rispettare è il principio «un salvataggio, un porto di sbarco». Di fatto è già così da qualche tempo. Ultimo caso, ieri, la nave “Ocean Viking” che ha recuperato in mare al largo della Libia 113 persone, neonati compresi: hanno chiesto immediatamente all’Italia un porto sicuro per sbarcare e con la stessa prontezza gli è stata assegnata Ravenna. Il che comporta quattro giorni in più di navigazione, plateale effetto di ostacolo alla loro attività di salvataggio.§Ecco, se una nave di salvataggio non chiederà immediatamente il porto di sbarco per restare di pattuglia al largo della Libia, questa sarà considerata una violazione del Codice e scatterà un divieto di ingresso nelle nostre acque territoriali. Si potrebbe innescare a quel punto una spirale di azioni e reazioni.
Se la Ong insistesse nel chiedere un approdo o addirittura tentasse di entrare nelle nostre acque territoriali, sono previste un crescendo di sanzioni amministrative: multa, sequestro della nave, e perfino la confisca dell’imbarcazione. «Misure deterrenti», le definiscono al Viminale. Le uniche che secondo il ministero farebbero paura a chi non volesse piegarsi al Codice di condotta.
Naturalmente alle associazioni umanitarie resterebbe la possibilità di fare ricorso al Tar contro un’eventuale sanzione del prefetto.
È esclusa invece la via di creare un ennesimo reato, che fu già un fallimento quando ci provò Matteo Salvini con i suoi decreti Sicurezza del 2018.
Ed è facile prevedere che la politica s’infiammerà di nuovo come fu all’epoca per Salvini e poi per il contro-decreto Lamorgese. La maggioranza di destra-centro l’aveva scritto persino nel programma di governo che avrebbe ripristinato il sistema dei divieti e delle multe per le Ong. Ora ci siamo.
«Da alcune settimane si assiste ad una nuova, ridicola, saga della guerra Salvini-Piantedosi contro le Ong che salvano vite in mare. Un senso del ridicolo che si estende a quanti nel governo assistono inermi al nuovo copione – insorge ad esempio il senatore Antonio Nicita, Pd, dopo aver saputo che la “Ocean Viking” dovrà raggiungere la lontanissima Ravenna –. La nuova strategia del governo punta a punire chi salva vite e ad allungarne i tempi di sbarco, nonché a ritardarne il ritorno in acque internazionali al fine di poter salvare altre vite. Ci auguriamo che tali ritardi non debbano pesare sulla coscienza di chi opera scelte illogiche, inefficienti e politicamente infantili».
(da La Stampa)

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GIORGETTI IL 16 GENNAIO PARTECIPERÀ ALL’EUROGRUPPO E AVRÀ TUTTI GLI OCCHI PUNTATI SU DI SÉ: L’ITALIA RIMANE L’UNICO PAESE DELL’EUROZONA A NON AVER RATIFICATO IL NUOVO TRATTATO SUL FONDO SALVA STATI

Dicembre 28th, 2022 Riccardo Fucile

LA SCELTA STA CAUSANDO NON POCA INSOFFERENZA A BRUXELLES, SPECIE PERCHÉ ROMA CHIEDE CONDIVISIONE E FLESSIBILITÀ MA IN CAMBIO FA SOLO OSTRUZIONE

Sul calendario di Giancarlo Giorgetti il 2023 presenta già una casella segnata in rosso. E’ il 16 gennaio: il giorno – l’ennesimo – del grande imbarazzo. Sarà quella la data in cui il ministro dell’Economia si ritroverà a partecipare all’Eurogruppo, e a vestire i panni del solo ministro dell’Economia dell’Eurozona che chiede condivisione e flessibilità offrendo in cambio ostruzionismo e sabotaggio.
Per la prima volta, l’Italia si presenterà a Bruxelles come unico esponente in difetto sulla ratifica del Mes: e non sarà un dettaglio. Il 5 dicembre scorso, nella stessa assise, c’è stato il gran debutto di Pierre Gramegna, il direttore del Fondo salva stati: ed era stata l’occasione per rinnovare i solleciti ai paesi ritardatari sul varo del nuovo trattato. Giorgetti aveva avuto buon gioco a fare il sovranista con la Corte costituzionale degli altri: “L’Italia attende il pronunciamento dei giudici di Karlsruhe”, aveva spiegato. Ora che la sentenza tedesca è arrivata, Roma non ha più alibi.
Tanto più che pure la Croazia, fresca di adesione all’euro, ha subito fatto richiesta di ammissione al Mes. Resta solo il governo Meloni. E le sollecitazioni arrivate nei giorni scorsi dallo stesso Gramegna, oltreché dal commissario Paolo Gentiloni, dicono di un’insofferenza ormai notevole a Bruxelles nei confronti degli attendismi italici.
Di fatto c’è che le istanze per ratificare in tempi rapidi il Mes arrivano ormai anche dalla stessa maggioranza. Raffaele Fitto ha opposto un imbarazzato silenzio alle domande arrivategli giorni fa, sul tema, durante l’esposizione delle sue linee programmatiche in Parlamento: “E’ un tema complesso”, ha detto.
Antonio Tajani ai parlamentari di FI ha ribadito che “al di là delle obiezioni di merito, non possiamo permetterci di essere gli unici che bloccano una riforma”. Sanno entrambi, il ministro per gli Affari europei e quello degli Esteri, che d’altronde è proprio l’Italia a invocare un rafforzamento dell’Unione bancaria, e che è italo-francese l’idea di trasformare il Fondo salva stati in un’Agenzia del debito che promuova investimenti per la crescita: ma entrambe le strade sono sbarrate, paradossalmente, dal boicottaggio della stessa Italia, sabotatrice di se stessa.
(da il Foglio)

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CROSETTO, SI SCAGLIA CONTRO LA BUROCRAZIA ITALIANA E MINACCIA DI USARE IL MACHETE CONTRO I FUNZIONARI CHE DICONO SOLO NO. 

Dicembre 28th, 2022 Riccardo Fucile

MA IL MINISTRO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE NON È ZANGRILLO? … E SE DICONO NO, SPESSO E’ PERCHE’ I POLITICI NON CAPISCONO UNA MAZZA

Guido Crosetto dice basta. Il ministro della Difesa e fondatore di Fratelli d’Italia ha rilasciato un’intervista al Messaggero nella quale annuncia un giro di vite nei confronti della macchina statale, troppo lenta per quello che vuole fare il governo per rilanciare il Paese: “Serve coraggio. Bisogna tagliare con il machete alcune catene che bloccano lo sviluppo dell’Italia. Ora ci vogliono 17 anni per realizzare un’opera pubblica, dovranno diventare 4-5 al massimo.
Contro chi voglio usare il machete? Contro chi nelle amministrazioni pubbliche si è contraddistinto per la capacità di dire no e perdere tempo. Se non mandiamo via queste persone, facciamo un danno al Paese. Nei ministeri e in ogni settore della macchina burocratica c’è una classe dirigente che va cambiata in profondità. Non si può pensare di fare politiche nuove e diverse se nei posti chiave tieni funzionari che hanno mentalità vecchie o servono ideologie di cui noi rappresentiamo l’alternativa”.
Per quanto riguarda la Difesa, Crosetto sostiene che l’obiettivo del 2% del Pil non riguardi solo “investimenti militari, ma spese che comprendono anche il personale, le infrastrutture, la manutenzione. Ci siamo resi conto che potremmo avere la necessità di difenderci veramente, dunque dovremo partire dagli uomini, dall’età media dei nostri soldati, dall’organizzazione e dalla strutturazione delle nostre Forze armate. È inutile comprare una nave in più se poi non hai i marinai da metterci sopra”.
In un colloquio telefonico Volodymyr Zelensky ha chiesto a Giorgia Meloni la fornitura di sistemi di difesa aerea e Crosetto non fa alcun passo indietro sul sostegno all’Ucraina: “Non abbiamo ancora cominciato la costruzione del sesto decreto. Di certo l’Ucraina sta chiedendo da mesi un supporto contro gli attacchi aerei su obiettivi civili, case, ospedali, scuole, centrali elettriche. Se sarà possibile certamente li aiuteremo a difendersi, la Russia ha superato un confine che non doveva superare. La fornitura deve essere compatibile con la possibilità di avere queste armi e di darle a Kiev efficienti e funzionanti. Minaccia nucleare? Il pericolo – sottolinea e conclude il ministro – potenzialmente, esiste, per quanto molto improbabile”.
(da agenzie)

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LA TESTIMONE DELLA SHOAH: “MELONI COMMOSSA ALL’HANNUKKAH? UNA COSA FALSA E SQUALLIDA”

Dicembre 28th, 2022 Riccardo Fucile

EDITH BRUCK CHIEDE LE DIMISSIONI DI LA RUSSA

Edith Bruck, testimone della Shoah ungherese e tra le prime a chiedere a Giorgia Meloni di togliere la fiamma dal simbolo di Fratelli d’Italia, vuole le dimissioni di Ignazio La Russa da presidente del Senato.
Dopo l’invocazione di Isabella Rauti sull’«onore ai fondatori e ai militanti missini», la seconda carica dello Stato su Instagram ha parlato del padre, che «fu tra i fondatori del Msi in Sicilia e che scelse con il Msi per tutta la vita, la via della partecipazione libera e democratica in difesa delle sue idee rispettose della Costituzione italiana».
Bruck risponde a tutto ciò con una citazione dal Signore degli Anelli: «Le radici profonde non gelano». E spiega: «È pensabile che si possa ancora celebrare la fiamma e quello che rappresenta? Liliana Segre e io stessa le abbiamo chiesto tante volte di toglierla dal simbolo di Fratelli d’Italia. Non l’ha tolta. Ha paura di perdere il suo elettorato tradizionale anche se oggi quel tipo di elettore pare le sia nemico».
Per Bruck oggi «La Russa non dovrebbe neanche essere dov’è. Ma è colpa nostra, di coloro che votano senza pensare, si accodano, applaudono chi urla di più. La colpa è nostra e anche dell’opposizione che con un signore come Enrico Letta non è riuscita a farsi ascoltare. Sono molto preoccupata per questo paese».
Sulla commozione di Meloni nel giorno della cerimonia dell’Hannukkah Bruck è scettica: «Ho visto, mi è sembrata falsa, una cosa squallida. Come si può cambiare da un momento all’altro in questa maniera? È come dopo la guerra: prima erano tutti fascisti poi tutti democratici. Non esiste un cambiamento così repentino».
Mentre il presunto abbandono del fascismo da parte della premier è «un’operazione di immagine fatta per l’ambizione di arrampicarsi in qualche maniera. Non credo Meloni sia cambiata e in generale sono in ansia per l’Italia, per l’Ucraina, per quanto accade nel mondo, perché tutto ciò che è connesso ci riguarda. Per non parlare dell’Europa».
(da agenzie)

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LO SFACELO DELLA SANITA’ ITALIANA: 2 ANNI PER UN ESAME, 8 MILA MEDICI IN FUGA VERSO IL PRIVATO, FONDI SOTTO LA MEDIA UE E 5,6 MILIONI DI PERSONE RINUNCIANO ALLE CURE

Dicembre 28th, 2022 Riccardo Fucile

I 37 MILIARDI TAGLIATI ALLA SANITÀ NEI DIECI ANNI PRECEDENTI AL COVID STANNO FACENDO AFFONDARE LA BARCA – I PATTI TRADITI DALLA MANOVRA, LE REGIONI LAMENTANO UN BUCO DI 3,8 MILIARDI. SICURI CHE IL MES SANITARIO NON SERVA?

Con quasi 100 milioni di visite ambulatoriali saltate durante il Covid e in parte da recuperare, un milione e 774mila ricoveri in meno rispetto all’era pre-pandemica, le liste d’attesa si allungano all’infinito. Tanto che una recente indagine di Cittadinanzattiva denuncia che il 71% degli assistiti si è trovato ad attendere oltre i limiti stabiliti dalla normativa nazionale. Il 53% dei casi ha riguardato gli interventi chirurgici e gli esami diagnostici, il 51% le visite di controllo. Cosi si arrivano ad attendere fino a due anni per una mammografia, circa un anno per una ecografia, una tac o un intervento ortopedico.
Perché ad aggravare la situazione negli ospedali, già sguarniti di letti e personale, c’è la fuga di medici e infermieri verso il privato. Al quale, si rivolgono sempre più anche gli assistiti. Quando possono permetterselo. Perché, come rivela l’Istat, tanti rinunciano del tutto alle cure.
Erano 3,1 milioni nel 2019, sono saliti a 4,8 l’anno successivo per arrivare a 5,6 lo scorso anno.
Questo mentre anziani e cronici sono in aumento, e l’Adi, l’assistenza domiciliare integrata, si fa carico appena del 2,9% di loro. Per chi dal medico può ancora andare con le sue gambe c’è invece la piaga di un’assistenza territoriale che, come la pandemia ha ampiamente dimostrato, fa acqua da tutte le parti. Perché i medici di famiglia sono sempre meno, hanno orari di apertura dei loro studi formato small e non lavorano in team con gli specialisti ospedalieri.
Occorrono parecchie righe per scattare solo un flash sulla lenta agonia della nostra sanità. Il sistema più universalistico del mondo. Quello che sulla carta offre tutto gratis, o quasi, a tutti, ma che di fatto sta escludendo le fasce più deboli della popolazione dalle cure.
Perché il tempo passa, la popolazione anziana e i malati cronici aumentano e i finanziamenti non seguono il passo della domanda di salute. Così, se grazie anche alla bravura dei nostri professionisti della salute fino a ieri si è retto facendo miracoli, ora quei 37 miliardi tagliati alla sanità nei dieci anni precedenti al Covid stanno facendo affondare la barca.
Il rapporto del mese scorso dell’Ocse indica che durante la pandemia tutte le nazioni hanno aumentato la spesa sanitaria, ma l’Italia resta comunque sotto la media Ue, con 2.609 euro di spesa pro-capite contro una media europea di 3.159. Ma con Paesi equiparabili al nostro come la Germania a quota 4.831, la Francia a 3.764, la Gran Bretagna a 3.494, ma anche lì con problemi di tenuta del sistema che giorni fa ha visto attuare il primo sciopero degli infermieri della storia del Regno. E, sempre secondo l’Ocse, l’Italia è fanalino di coda in Europa per prestazioni saltate durante la pandemia: -22,7% di assistiti con problemi di disordine mentale, -16% di screening oncologici, -14,6% di accessi ospedalieri di malati cronici, -12,3% di Tac e risonanze eseguite. C’è persino un 14,9% che ha dovuto posticipare interventi di rimozione di un tumore.
A corto di soldi e personale, il sistema sanitario pubblico continua a perdere terreno anziché recuperarne. A certificarlo sono i dati di Agenas, l’Agenzia per i servizi sanitari regionale. Nei primi sei mesi di quest’ anno ci sono state 3,4 milioni in meno di visite di controllo rispetto al 2019, mettendo così a rischio la salute di malati oncologici, diabetici, cardiopatici. E se il sistema pubblico arretra, quello privato avanza.
L’ultimo monitoraggio della spesa sanitaria condotto dal Mef sul 2021 indica che dai 34,8 miliardi del 2019 la spesa sostenuta di tasca propria dagli assistiti è salita a 37 miliardi. E ad arginare questa deriva a poco serviranno i 2,15 miliardi in più di fondo sanitario portati faticosamente a casa dal ministro della Salute, Orazio Schillaci.
Vuoi perché ben 1,4 miliardi sono assorbiti dal caro bollette e vuoi anche per quei 3,8 miliardi di buco pregresso per i costi non coperti del caro energia e delle spese per il Covid. Soldi che le Regioni dovranno metterci di tasca propria. Il che lascerà poco spazio agli investimenti. A cominciare da quelli che servirebbero per ripopolare corsie e ambulatori di medici e infermieri. Lavoro di per sé improbo, visto che nemmeno questa Finanziaria ha rimosso il paradossale vincolo imposto alla Regioni di non superare per il personale la spesa del lontano 2004, diminuita pure dell’1,4%.
E così, con gli stipendi tra i più bassi d’Europa, condizioni di lavoro sempre più dure che impongono anche doppi turni senza riposo, tra medici e infermieri è iniziata la grande fuga dall’Ssn. Magari per lavorare a gettone, visto che con due o tre turni ci si porta a casa lo stipendio mensile di un dipendente. Le proiezioni sui dati Agenas dicono che entro il 2027 andranno in pensione 41mila tra medici di famiglia e ospedalieri, che diventano 50mila se si considerano anche gli ambulatoriali. A questo si aggiungono gli 8mila camici bianchi che secondo il sindacato Anaao dal 2019 al 2021, stanchi di fare gli eroi, si sono licenziati.
Magari per andarsene all’estero dove gli stipendi sono più alti e le condizioni di lavoro migliori. Se a portare in agonia il malato sono state le politiche di taglio ai fondi e una cattiva programmazione della formazione medica, una spintarella verso il precipizio gliel’ha data anche la disorganizzazione. Come quella documentata dal rapporto appena pubblicato dal ministero della Salute sulle Sdo, le schede di dimissioni ospedaliere.
Su quasi 5 milioni di ricoveri l’anno, il 27,04%, quasi uno su tre, è «inappropriato». Dato persino in leggera crescita rispetto all’anno precedente. Detto così non fa ancora effetto, ma in termini assoluti si tratta di oltre 1,3 milioni di ricoveri che si sarebbero potuti evitare se ci fosse un’assistenza territoriale in grado di farsi carico dei casi meno urgenti e complessi. L’altra piaga è quella dello spezzatino dei reparti, attuato più per conservare il posto ai primari che non per la sicurezza del ricoverato, visto che questa va a farsi benedire quando si fanno pochi interventi l’anno, perché gli errori poi chiaramente aumentano.
Prendiamo il by-pass coronarico. Un decreto ministeriale indica che sotto 200 interventi l’anno è meglio chiudere o accorpare, ma solo il 33% delle strutture rispetta lo standard di sicurezza. Stesso discorso per il tumore della mammella, dove è oltre la soglia di sicurezza solo il 16%, mentre lo standard di mille parti l’anno è rispettato solo da 142 punti nascita su 500. Inefficienze che spetterebbe ai manager sanitari nominati la politica rimuovere. Se la politica badasse a questi e non ad altri parametri di giudizio.
(da La Stampa)

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NIENTE FONDI IN MANOVRA PER TUMORI E PRONTO SOCCORSO, MA LA SANITA’ ITALIANA CROLLA

Dicembre 28th, 2022 Riccardo Fucile

AGLI INTERVENTI STRUTTURALI SOLO 800 MILIONI… 5,6 MILIONI DI ITALIANI COSTRETTI A RINUNCIARE ALLE CURE

Il ministro della Sanità Orazio Schillaci aveva annunciato che nella manovra sarebbero entrati con un emendamento 10 milioni per la prevenzione dei tumori nel 2023, e altrettanti nel 2024.
Soldi che però non sono stati trovati e il Piano Oncologico Nazionale, che aveva l’obiettivo di potenziare le strategie e e le azioni per la prevenzione, la diagnosi, la cura e l’assistenza a 3,5 milioni di malati oncologici, è rimasto senza fondi.
Non solo, nella legge di bilancio non ha trovato spazio nemmeno l’incremento di 200 milioni di euro dell’indennità degli operatori sanitari del pronto soccorso, che erano stati promessi dal governo. Il motivo dello stanziamento era stato spiegato dallo stesso ministro in un’intervista a La Stampa.
Chi lavora nei reparti emergenziali non fa attività privata, e ha quindi redditi inferiori rispetto a molti colleghi. L’obiettivo sarebbe stato «rendere più attrattive queste specialità», aveva spiegato Schillaci. Promesse non mantenute, perché nessuno dei due emendamenti è entrato in manovra.
1,4 miliardi bruciati dal caro bollette
Come fa notare il quotidiano di Torino, inoltre, dei 2,2 miliardi alla sanità previsti nella legge di bilancio, ben 1,4 miliardi vengono bruciati dal caro bollette, lasciando agli interventi strutturali appena 800 milioni. Che dovrebbero servire recuperare tutti gli interventi saltati a causa del Covid, così come tutte le visite posticipate e ad assumere nuovo personale e a trattenere quello che già ci lavora. «Con la necessità di aiutare famiglie e imprese stritolate da inflazione a caro bollette sinceramente non si poteva fare di più», ha giustificato il ministro. Inoltre, «la sanità è stata definanziata dal 2013 al 2019, mentre qui abbiamo il maggior rifinanziamento di sempre: 4,2 miliardi in più, considerando quelli già programmati» dal governo Draghi, ha aggiunto.
Tuttavia, le regioni fanno notare che per Covid e caro energia, sono stati spesi 3,8 miliardi in più che il governo non ha coperto. Allargando l’orizzonte temporale, si nota che «dal 2000 ad oggi la nostra sanità ha viaggiato a un ritmo di crescita della spesa del 2,8% l’anno contro il 4,2% in media degli altri Paesi Ue e questo ha comportato una costante crescita della spesa sanitaria privata con conseguente riduzione del livello di equità del sistema di protezione», ha spiegato a La Stampa Federico Spandonaro, economista sanitario dell’Università San Raffaele di Roma.
Le prestazioni saltano e gli italiani fuggono nel privato
Durante la pandemia sono state quasi 100 milioni le visite ambulatoriali saltate che vanno ancora in parte recuperate. Rispetto all’era prepandemica, 1,744 milioni di persone non hanno potuto essere ricoverate. E le liste d’attesa continuano ad allungarsi, con il 71% degli assistiti che ha dovuto attendere oltre i limiti stabiliti dalla normativa nazionale, sia per effettuare visite di controllo, che per interventi chirurgici. Il risultato è che bisogna attendere due anni per una mammografia, e circa un anno per una tac, o un intervento ortopedico.
E così medici e pazienti scappano nel privato. La spesa sostenuta di tasca propria dagli italiani è passata dai 34,8 miliardi del 2019 ai 37 miliardi del 2021, nonostante i 3,4 milioni di visite di controllo in meno.
Solo per chi può permetterselo, però. Infatti, lo scorso anno sono stati 5,6 milioni gli italiani che hanno rinunciato alle cure. Erano stati 3,9 milioni nel 2019 e 4,8 nel 2020. A ciò si aggiunge il problema dell’invecchiamento della popolazione, con sempre più malati cronici che non riescono a essere presi in carico dal servizio sanitario nazionale.
Il confronto con gli altri Paesi europei
Il peso dei 37 miliardi tagliati tra il 2010 e il 2020 si sente tutto. Tutti i Paesi Ue hanno aumentato la spesa sanitaria durante la pandemia, ma l’Italia resta comunque molto indietro. Se da noi si spendono 2.609 euro pro capite, in Germania sono 4.831, in Francia 3.764 e in Gran Bretagna 3.494, che pure è infiammata da scioperi del personale del settore. Infatti, l’Italia è fanalino di coda in Europa per prestazioni saltate durante la pandemia.
Gli stipendi degli operatori sanitari
In Italia, gli stipendi degli operatori sanitari sono tra i più bassi d’Europa, e le prospettive non sono per nulla buone. La Finanziaria non ha rimosso il vincolo che pende sulle regioni e impedisce loro di spendere per il personale al massimo tanto quanto si spendeva nel 2004. Tra disorganizzazione e inefficienze, il 27% dei ricoveri è inappropriato e i lavoratori del Ssn sono costretti a turni massacranti anche alla luce del «taglio di 7 mila unità operative in 10 anni», fa notare Pierino De Silverio, segretario nazionale dell’Anaao, il più forte sindacato dei camici bianchi ospedalieri.
Inoltre, «il contratto 2019-2021 e già scaduto, e non ci hanno ancora convocato», continua De Silverio, «anche se sappiamo che con 618 milioni sul piatto non si andrà oltre aumenti medi di 80 euro al mese». Infine, fa notare il sindacalista «si è avvantaggiato chi lavora a gettone nelle cooperative estendendo la flat tax fino a 85mila euro di reddito. Il dubbio che si voglia spostare la sanità verso il privato c’è». Forse più di un dubbio. La paura di De Silverio «è già realtà, visto che oggi il 54% degli italiani si cura privatamente».
(da Open)

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LA MILANO DEGLI ULTIMI, SEMPRE PIU’ POVERI TRA CODE INFINITE ALLE MENSE NEI GIORNI DI FESTA E 10.000 BOLLETTE “SOSPESE”

Dicembre 28th, 2022 Riccardo Fucile

NEI DUE GIORNI DI NATALE SOLO ALL’ASSOCIAZIONE PANE QUOTIDIANO SI SONO PRESENTATI IN 7.600 PER RITITRARE UN PACCO ALIMENTARE… ALLA MENSA DEI FRANCESCANI IL 20% DI PRESENZE IN PIU’

Tutti in coda a Milano per entrare alle mense dei poveri, per ritirare un pacco di cibo per Natale o un gioco da mettere sotto l’albero per i bimbi in questi giorni di feste “magre”, con le famiglie che faticano ad arrivare a fine mese per l’inflazione che fa aumentare il costo della spesa e la crisi energetica con il “caro bollette”.
Se alla sede di Pane Quotidiano, associazione laica che distribuisce alimentari in viale Toscana e viale Monza, tra il 24 e il 25 dicembre sono arrivati in 7.600, alla mensa dei poveri di viale Piave i francescani hanno servito 2mila pasti caldi tra pranzo e cena del giorno di Natale, il 20% in più rispetto all’anno scorso.
E Caritas ambrosiana ha lanciato l’operazione “bollette sospese” con cui ha già pagato 5 mila bollette ai poveri, con l’obiettivo di arrivare a 10mila entro la fine dell’anno.
“A Natale abbiamo avuto numeri più alti rispetto all’anno scorso: circa 900 a cena e un migliaio a pranzo, vale a dire circa il 20% in più rispetto al 2021 – spiega Fra Marcello Longhi, responsabile della mensa dell’Opera Sam Francesco in viale Piave a Milano – C’era bisogno di un po’ di calore, abbiamo fatto le lasagne, avevamo tanti volontari, ma l’essenziale è dare continuità a chi viene. E’ solo un modo per dare l’idea che si va avanti assieme, nell’ordinarietà di cui ci si può fidare, non ha senso fare fuochi di artificio a Natale, e poi mollare il resto dell’anno. Ma siamo molto preoccupati per i prossimi mesi perché c’è gente, tanti italiani, che sono entrati in una fatica diversa dal passato, senza fare allarmismi. Diciamo come stanno le cose, bisogna irrobustire la rete di supporto, attivare collaborazioni, più che solo contare i numeri e cercare i record. Guardiamo in modo positivo a questa emergenza, l’individualismo spaventato che gonfia i problemi è la cosa peggiore se non ci si organizza assieme per sostenere i poveri in questa fase difficile”.
Coda anche al Pane Quotidiano, che da mesi registra numeri crescenti di richieste di cibo. Nella sede della Onlus che affaccia sul nuovo scintillante campus dell’Università Bocconi, la media degli ingressi nell’anno è di 3.500 persone al giorno. Il record di persone in coda per ritirare il sacchetto con dentro pane, pasta, latte, conserve e biscotti è stato il 29 ottobre quando sono stati contati 4.900 ingressi nella struttura. Il 24, vigilia di Natale, dopo che è stata annunciata la distribuzione di giocattoli per i bambini, si sono presentati in 4.500. Il 25 invece sono arrivati meno cittadini del solito: ‘solo’ 3mila. “Ma in questi giorni continueremo a distribuire tutto quel che ci viene regalato dalle aziende e dalla grande distribuzione – spiega Luigi Rossi, il portavoce dell’associazione – La situazione economica è molto pesante e ormai ci sono molti italiani fra i nostri utenti, non solo immigrati e profughi ucraini. Abbiamo tanti pensionati, tanti padri e madri di famiglia. Gente che ha perso il lavoro o che ne ha uno precario, non in grado di farli arrivare a fine mese”.
Nei giorni di Natale, dopo quasi tre anni di pandemia, tutte le sigle storiche del volontariato hanno organizzato pranzi e cene per le persone in difficoltà, feste in presenza che hanno mostrato l’evidenza di un bisogno che aumenta con la crisi economica.
Oltre 1.100 persone sono state invitate a pranzo dalla Comunità di Sant’Egidio, dove ha partecipato anche il sindaco Beppe Sala. L’arcivescovo Mario Delpini è andato al pranzo con i 200 ospiti della mensa Cardinal Ferrari, mentre al Memoriale della Shoah c’è stata la preghiera inter religiosa con i migranti della Stazione centrale.
La messa per i clochard è stata celebrata al mezzanino della metropolitana di Porta Venezia. Ovunque, grande partecipazione perché a Milano d’inverno c’è tanta gente che non ha una casa dove fare festa e stare al caldo.
(da La Repubblica)

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