Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile
ORA LE AUTORITÀ SVIZZERE INDAGANO PER RICICLAGGIO E POTREBBERO PORTARE ALLA LUCE I SOLDI DI PUTIN
Nei giorni scorsi Der Spiegel ha pubblicato un duro articolo contro la
Svizzera, affermando che Putin può ancora contare sul suo sostegno. Eppure, a partire dall’8 marzo, proprio in Svizzera, un tribunale di Zurigo potrebbe smascherare parte dell’immensa fortuna detenuta dall’autocrate russo.
Sotto accusa sono il direttore e tre dirigenti della filiale elvetica della banca russa Gazprombank, alla sbarra per riciclaggio, avendo aperto e gestito, tra il 2014 e il 2016, due conti per un ammontare complessivo di 50 milioni di franchi, più o meno l’equivalente in euro.
Nell’atto d’accusa, ha rivelato il quotidiano zurighese Tages Anzeiger, il nome di Vladimir Putin viene espressamente menzionato. Questo perché il titolare dei due conti all’origine dell’inchiesta, il violoncellista Sergei Rodulgin, è una persona molto vicina all’entourage putiniano, così vicina da aver fatto da padrino alla 36 enne Katerina Thikonova, secondogenita del Presidente russo, che tra l’altro è stata vista più volte a Zurigo.
Dopo la pubblicazione dei Panama Papers si mosse la Finma, equivalente svizzero della Consob, che prese di mira i dirigenti di Gazprombank Suisse, Denunciandoli alla Procura del Distretto di Zurigo per scarsa vigilanza e riciclaggio. Nell’atto d’accusa del Procuratore incaricato del caso si può leggere un passaggio inequivocabile.
“Si sa da tempo – viene scritto – che Vladimir Putin ufficialmente non è ricco ma che, in realtà, dispone di un’enorme fortuna, gestita da persone a lui vicine. Gazprombank avrebbe dovuto esaminare Sergueï Roldouguine molto più attentamente, cosa che non è stata fatta”.
Insomma, la risposta alla domanda che si stanno ponendo da tempo in tanti, ovvero dove si trova la fortuna di Putin o parte di essa, potrebbe fornirla la giustizia svizzera. Convinta che Sergei Rodulgin altro non fosse se non una “testa di legno” al servizio del despota del Cremlino.
(da La Repubblica)
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Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile
IL CAPO DELL’AGENZIA PER LA SICUREZZA INTERNA, MARIO PARENTE, HA DEFINITO “POTENZIALMENTE IMPROBABILE” CHE I RAPPORTI AVUTI DA COSPITO IN CARCERE CON ALCUNI BOSS POSSANO AVER CREATO UNA SALDATURA TRA ANARCO-INSURREZIONALISTI E CRIMINALITÀ ORGANIZZATA. UN PUNTO SU CUI FRATELLI D’ITALIA HA INSISTITO PER SETTIMANE NELLA BATTAGLIA A DIFESA DEL 41-BIS
Ve la ricordate Giorgia Meloni dopo le parole del collega di partito Giovanni Donzelli a proposito dei legami fra Alfredo Cospito e le organizzazioni mafiose? «L’Italia è sotto attacco da parte degli anarchici per rimuovere il carcere duro. Ed è un obiettivo a cui punta anche la mafia», disse la premier da un palchetto a Berlino
Ebbene, a dar retta alle dichiarazioni di ieri del direttore dell’Aisi Mario Parente si trattava di fregnacce. «Non c’è alcun elemento che confermi quel legame».
Delle due l’una: o Meloni ha fatto bassa propaganda, o il capo dei servizi interni non la sta raccontando tutta, che per chi fa quel lavoro è pure legittimo. Il capo del governo non ci fa comunque una bella figura.
C’era una volta l’allerta rosso per il pericolo degli anarco-insurrezionalisti. A sentire chi guida i nostri servizi segreti, però, questo allarme va ricondotto alla giusta misura. Che dire dei legami tra anarchici e mafiosi, ad esempio? «Non c’è alcun elemento che confermi questo», dice con tono particolarmente asciutto il prefetto Mario Parente, l’uomo che da otto anni dirige l’Agenzia per la sicurezza interna
Eppure sulla saldatura tra anarchici e criminalità, visti i contatti tra Cospito e tre mafiosi che condividevano con lui l’ora d’aria nel carcere di Sassari, sono scorsi fiumi di inchiostro. Era l’assunto di base per l’attacco furibondo al Pd condotto da Giovanni Donzelli, coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia e vicepresidente del Copasir. Se però si chiede l’opinione di Mario Parente, quello liquida così questo rischio: «È da ritenere potenzialmente improbabile». Amen.
Va detto che Parente non è mai stato tenero con gli anarco-insurrezionalisti. Li ha sempre considerati un pericolo serio, già quando se ne occupava al Ros vent’anni fa. Anche ieri, parlandone alla conferenza stampa annuale per illustrare la Relazione dei servizi segreti sulla sicurezza, ha ricordato che «noi non abbiamo mai cessato di occuparcene». Sottinteso: anche quando non andavano di moda.
L’acme dell’allarme c’è stato il 30 gennaio scorso, quando il consiglio dei ministri si riunì d’urgenza per esaminare il caso Cospito e al termine venne un comunicato stentoreo di palazzo Chigi. «Lo Stato non si fa intimidire da chi pensa di minacciare i suoi funzionari», furono le parole di Giorgia Meloni.
Ecco, ieri, a domanda precisa se ci siano segnali che gli anarchisti vogliano alzare il tiro e seguire l’esempio di Cospito – che finora è stato l’unico a teorizzare e eseguire un attentato diretto alla persona, gambizzando a Genova un manager di Ansaldo nel 2012 – il direttore Parente è stato onesto fino in fondo: «Allo stato delle cose, non abbiamo evidenze. Il monitoraggio è in corso. Allo stato non ci sono elementi in questo senso; il che non può essere una risposta valida per l’immediato futuro».
E allora, alla fine, che cosa resta dell’allarme terroristico? «La minaccia anarco-insurrezionalista – si legge nella Relazione – è nuovamente qualificata come la più concreta e vitale, caratterizzata da componenti militanti determinate a promuovere, attraverso una propaganda di taglio fortemente istigatorio, progettualità di lotta incentrate sulla tipica “azione diretta distruttiva”».
Si è sempre nelle modalità tradizionali degli anarchici, insomma: azioni contro i tralicci, danneggiamento di macchine, incendi dolosi. Azioni distruttive contro banche, società, istituzioni, centri di ricerca.
(da La Stampa)
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Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile
INSIEME A LORO ANCHE BRUSAFERRO, LOCATELLI E BORRELLI
Tutti indagati: l’allora premier Giuseppe Conte e il ministro della Salute
Roberto Speranza, il governatore della Lombardia Attilio Fontana e l’allora assessore al Welfare Giulio Gallera. Sono le prime notizie che filtrano dalla imminente chiusura indagini che arriva dopo tre anni e una pandemia che nella primavera del 2020 ha riempito più di 3mila bare in provincia di Bergamo.
Nell’atto che chiude le indagini ci sono anche il presidente dell’Istituto Superiore della Sanità Silvio Brusaferro, l’allora capo della Protezione Civile Angelo Borrelli e il presidente dell’Istituto Superiore della Sanità Franco Locatelli. In tutto gli indagati sono una ventina.
Il procuratore aggiunto di Bergamo Cristina Rota con i pm Silvia Marchina e Paolo Mandurino, sotto la super visione del procuratore Antonio Chiappani ha tirato le fila dell’inchiesta per epidemia colposa e l’atto di notifica sarà consegnato alle parti nelle prossime ore. Tre, in sostanza, i filoni dell’indagine: la repentina chiusura e riapertura dell’ospedale di Alzano, la mancata ‘zona rossa’ in Val Seriana e l’assenza di piano pandemico aggiornato per contrastare il rischio pandemia lanciato dall’Oms.
Tra fine febbraio e l’aprile 2020, nella Bergamasca l’eccesso di mortalità fu di 6.200 persone rispetto alla media dello stesso periodo degli anni precedenti, tanto che nella relazione per l’apertura dell’anno giudiziario il procuratore Chiappani fa capire la portata delle indagini che ha “accertato gravi omissioni da parte delle autorità sanitarie, nella valutazione dei rischi epidemici e nella gestione della prima fase della pandemia”.
Se delle responsabilità potrebbero essere imputate ad alcuni degli indagati, altre posizioni saranno certamente archiviate, mentre parte dell’indagine – in particolare quella sulla decisione relativa alla ‘zona rossa’, discussione che ha riguardato l’allora governo – sarà trasferita altrove.
Al di là del numero degli indagati, di cui ora sono noti solo alcuni nomi, e dell’eventuale invio di alcuni filoni ad altre procure, gli accertamenti, che si sono avvalsi di una maxi consulenza firmata da Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova e ora senatore del Pd, hanno riguardato tre livelli, uno strettamente locale, uno regionale e il terzo nazionale.
Nel mirino degli inquirenti e degli investigatori della Guardia di Finanza sono finiti non solo i morti nelle Rsa della Val Seriana e il caso dell’ospedale di Alzano chiuso e riaperto nel giro di poche ore, ma soprattutto la mancata istituzione di una zona rossa uguale a quella disposta nel Lodigiano e i mancati aggiornamento del piano pandemico, fermo al 2006, e l’applicazione di quello esistente anche se datato che comunque, stando agli elementi raccolti, avrebbe potuto contenere la trasmissione del Covid.
(da agenzie)
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Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile
LO SCOOP DI UN SITO INDIPENDENTE RUSSO… UNA RESIDENZA MILIARDARIA CON I RUBLI RUBATI AL POPOLO RUSSO
Il presidente russo Vladimir Putin e la campionessa di ginnastica Alina Kabaeva vivono insieme in una lussuosa residenza a Valdai, a nord di Mosca. A rivelarlo è un’inchiesta di Proekt, un sito indipendente russo specializzato in giornalismo investigativo.
Secondo Proekt, nel complesso di appartamenti vivrebbero anche alcuni assistenti e familiari della donna.
Non solo: nella lussuosa residenza ci sarebbero anche i due figli di Kabaeva, nati nel 2015 e nel 2019, che secondo i giornalisti di Proekt la donna avrebbe avuto proprio da Putin.
Kabaeva, ex campionessa di atletica della Federazione Russa, viene indicata da anni come possibile amante del leader del Cremlino, che nel 2003 ha divorziato dalla moglie Ljudmila Putina dopo 30 anni di matrimonio.
Il presidente russo ha sempre negato di avere una relazione con Kabaeva. Lo scorso anno, però, la ex ginnasta è stata vista un evento a Mosca con un anello alla mano destra. Un gioiello che, almeno secondo alcuni, potrebbe essere proprio un regalo di Putin.
Il «palazzo d’oro»
Il sito investigativo Proekt ha pubblicato ieri l’ultima puntata dell’inchiesta Iron Masks, che indaga la vita di Putin e Kabaeva. Il video dell’ultimo capitolo investigativo, pubblicato su YouTube, ha raccolto in meno di un giorno più di un milione di visualizzazioni. Secondo i giornalisti russi, tramite una società cipriota di nome Ermira, Putin avrebbe acquistato per Kabaeva «l’appartamento più grande della Russia», dove la donna vivrebbe proprio insieme ai due figli avuti dal presidente russo.
L’abitazione, che Proekt descrive come «un palazzo d’oro», sarebbe stata costruita nel 2005 e sarebbe collegata addirittura da una ferrovia segreta. I giornalisti russi dicono di aver ricevuto le foto della residenza da uno dei costruttori. Accanto al «palazzo d’oro», spiega Proekt, c’è anche una torre in legno con una superficie interna di 1.200 metri quadrati. Ed è proprio lì che vivrebbe la «regina di Russia», Alina Kabaeva.
(da agenzie)
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Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile
NEGLI SCAFFALI DEI SUPERMARKET DELLE CITTÀ RUSSE TUTTE LE COPIE DEI PRODOTTI OCCIDENTALI
Mai più senza la vodka Z, il superalcolico per «veri uomini russi» che
sull’etichetta riporta anche la scritta «Non molliamo i nostri», intesi come militari. In alternativa, c’è la vodka V, che riporta invece una scritta cara a Vladimir Putin, «La forza è nella verità».
Siamo tornati al Blisnetsy di Medvedkovo, estrema periferia nordest della capitale, una catena di grande distribuzione dai prezzi accessibili, ben diversa dalle concorrenti del centro, ancora molto occidentalizzate nell’offerta di beni resi più cari dalle triangolazioni con altri Paesi, necessarie per farle arrivare ai consumatori più facoltosi.
Non manca quasi nulla. Ma è tutto più autarchico. Adesso c’è la «buona» Cola, con lattine uguali in tutto e per tutto a quelle della nota bevanda.
Nel suo discorso di una settimana fa all’Assemblea federale, il presidente ha deriso il tentativo dell’Occidente collettivo di soffocare la Russia con le sanzioni. «Erano un mezzo per far soffrire i nostri cittadini, destabilizzando la società dall’interno. Il loro gioco non è riuscito». Per dimostrarlo, ha citato dati macroeconomici come il mancato crollo del Pil.
Ma l’impatto sui cittadini si misura anche in altri modi. E non consiste tanto in una crescita della povertà, come dimostra la sostanziale tenuta dei redditi reali, solo leggermente diminuiti, quanto piuttosto nel calo dei consumi. In un abbassamento qualitativo e quantitativo del proprio livello di vita. Il fatturato del commercio al minuto continua a diminuire. Nel 2022 è sceso del 6,7% (oltre ventuno mila rubli a testa, quasi trecento euro) e nell’ultimo mese dell’anno è crollato del 10,5%.
La gente tende a spendere di meno, perché teme che la situazione peggiori e perché il calo delle importazioni ha fatto aumentare i prezzi. Facendo il confronto con gli appunti presi alla fine dello scorso ottobre nello stesso negozio, i rincari sono innegabili, e corrono più veloci dell’inflazione, che pure è al 12 per cento.
Colpisce la sorte di un bene primario come il latte, con annessi tutti i latticini, che in soli cinque mesi sono aumentati del trenta per cento. Un chilo di formaggio in media sale da 600 a 900 rubli. Il formaggio fuso Hochland in confezione da 400 grammi costa 326 rubli invece dei 260 di questo autunno, la tavoletta di cioccolata Rossiya passa da 80 a 102 rubli.
Nel 2022 le merci che hanno subito i maggiori rincari sono la tintura di iodio, il disinfettante più usato in Russia, salito del 55,2%, i fiammiferi (+50,6%), le saponette (+44,2%), gli assorbenti per donna (+43,5%), le nuove auto di marca straniera (+39,1%). Seguono deodoranti, shampoo e dentifrici, intorno al +38%.
(da Il Corriere della Sera)
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Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile
IL GIOVANE UNIVERSITARIO RISCHIA DIECI ANNI DI CARCERE PER AVER CRITICATO LA GUERRA IN UCRAINA: “SONO GIORNI BUI, MA LA RUSSIA RINASCERA’ LIBERA”
Dopo averlo seguito per giorni, lo hanno aspettato dove aveva parcheggiato la bicicletta fuori dalla facoltà. Sapevano a che ora finiva la lezione. Per l’arresto, hanno trovato una scusa. Un’accusa da poco. Poi, quando si trovava già dietro le sbarre, gli hanno scaraventato addosso la “gorinovskaya”: articolo 207.3 del codice penale.
Lo stesso per cui è stato condannato a sette anni il consigliere distrettuale moscovita Alexey Gorinov. È l’arma letale della magistratura russa contro chi parla della guerra in Ucraina in modo difforme dalla versione ufficiale del regime.
Dmitry Ivanov, Dima per gli amici, ha 22 anni e rischia di passare i prossimi dieci in prigione, dove si trova dal maggio scorso. Attivista politico della prestigiosa Università statale Lomonosov di Mosca, Dima ha un canale Telegram seguito da oltre diecimila persone.
Vi ha postato resoconti di quel che le forze armate russe hanno combinato a Bucha e a Mariupol. “La galera per me è la prova che ho fatto quel che era giusto fare”, spiega dal carcere scrivendo a mano sui fogli di un quaderno a quadretti fatti poi arrivare per vie segrete a Fanpage.it.
“A volte mi sento spaventato e solo. Sono periodi bui. Ma la mia Russia nel futuro sarà libera, pacifica e prospera: sarà una Russia felice”. I giovani russi “non sono apatici, ma solo frenati da un regime che non ti permette di fare politica”. Le università restano “una fucina di libero pensiero, nonostante la repressione”. C’è speranza.
Dima risponde alle nostre domande nel giorno stesso in cui si presenta di fronte alla Corte di Timiryazevsky a Mosca per il suo “posledneye slovo” — l’ultima parola concessa dai tribunali russi agli imputati prima dell’immancabile condanna. Le assoluzioni, negli ultimi anni, non superano lo 0,5% del totale, secondo dati della stessa Corte suprema della Russia.
Quella che segue è l’intervista integrale al prigioniero di Putin.
Come sei trattato in carcere? Come sono le tue giornate?
Sono dentro da 10 mesi, ho girato tutte le galere di Mosca e non è certo il massimo della vita. Ma ho comunque una vita: parlo con i compagni di cella, ci scambiamo notizie. Ho il permesso di leggere e di scrivere. Gioco a scacchi. Una cosa che mi prende molto tempo e di cui sono felice sono le lettere: tante. Ogni giorno. Cerco di rispondere a tutte. I rapporti sono civili anche con i secondini. A volte parliamo addirittura di politica. Gli agenti son più cauti dei carcerati, nell’esprimere opinioni. Ma mica la pensano tutti come Putin. So che dove mi trovo ora, in attesa di giudizio, la situazione è relativamente confortevole. La prigione dove mi manderanno dopo il verdetto sarà ben più dura.
L’ultima volta che ci siamo visti, a Mosca nel marzo di un anno fa, qualcuno ti aveva appena scritto “traditore” sulla porta di casa, la città era piena di “Z” in appoggio all’invasione dell’Ucraina e il mondo stava crollando addosso a voi attivisti dell’opposizione. Era chiaro che l’arresto era imminente. Perché non hai lasciato la Russia, come tutti – me compreso – ti consigliavano di fare?
Come ti dissi allora, non ero per niente spaventato dalle scritte sulla mia porta. Poi ho scoperto chi fossero gli autori: un movimento pro-Putin noto per tali buffonate. A volte piuttosto pericolose, come quando gettarono addosso ad Alexey Navalny una vernice verde che quasi lo accecò da un occhio. O particolarmente odiose, come quando profanarono il memoriale di Nemtsov sul luogo dove fu ammazzato (il leader dell’opposizione Boris Nemtsov fu ucciso esattamente otto anni fa a Mosca sul ponte Bolshoy Moskvoretsky, a meno di cento metri dal Cremlino. Sui mandanti, nessuno ha mai davvero indagato, ndr).
Sono porcherie che attirano l’attenzione, ma niente di più. Per quanto riguarda l’arresto, me l’aspettavo da tempo. Dopo l’invasione dell’Ucraina, il rischio è aumentato. Fino a che è diventato inevitabile. Ho cercato di non pensarci. E comunque non ho mai pensato di lasciare la Russia. Era importante rimanere a casa e cercare di dar voce ai milioni di russi che sono contro questa follia. La stessa decisione è stata presa da Vladimir Kara-Murza, Alexey Gorinov, Ilya Yashin: per me è un onore trovarmi sulla loro stessa barca.
Sei stato arrestato altre volte, in passato, per aver protestato contro il regime. Stavolta però è tutto molto diverso, mi sa.
Prima erano dieci giorni di arresto “amministrativo”, o poco più. Ora mi aspettano anni di carcere duro. Ma non ho dubbi che il regime crollerà prima che io finisca di scontare la pena. Il piano di Putin per una rapida vittoria in Ucraina è fallito. E gli autocrati che subiscono una sconfitta militare vanno sempre incontro alla perdita del loro potere e alla caduta del sistema politico che avevano creato. Insomma, non mi pento di nulla. Tornando indietro, rifarei le stesse cose. Anzi, cercherei di protestare ancor più efficacemente contro il regime prima di essere arrestato.
Ma vale la pena affrontare una pena detentiva così dura per un attivismo politico che, nel Paese di Putin, è destinato ad rimanere sterile?
Il mio principio è: fai quel che sai di dover fare e poi sarà quel che sarà. Quando il mio Paese ha scatenato una guerra criminale contro il popolo fraterno di un Paese vicino, non potevo tacere. Dovevo dimostrare a tutti, all’Ucraina e al mondo, che Putin non è la Russia, che tanti russi sono contro la guerra e non hanno paura di dirlo. Insieme a molti altri, chiedo la fine immediata di questa guerra. Quindi, ho fatto quel che dovevo fare. Né più né meno. Ho partecipato a proteste non violente, distribuito volantini, diffuso informazioni, firmato petizioni, dato interviste. È vero che tutto questo non è servito a fermare il massacro solo a farmi finire in galera. Però la galera per me è la prova che ho fatto quel che era giusto.
E non ti senti scoraggiato? Non hai paura?
Certo. A volte sono spaventato, triste. Mi sento ferito e solo. Sentimenti naturali per chi è chiuso in una prigione. Ma ho un enorme sostegno da parte di tante persone, dalla ma famiglia, dagli amici. E mi sento partecipe di un evento storico. Magari degli eventi storici è più facile e piacevole leggerne piuttosto che trovarcisi dentro. Ma non siamo noi a scegliere i tempi in cui viviamo. Sta però solo a noi decidere come rispondere agli eventi che il destino ci mette davanti.
Che ambizioni hai, Dima? Ti vedi come un protagonista della politica in una nuova Russia?
Mai pensato a una carriera politica. Sono un attivista e ho contribuito a campagne elettorali. Ma non ho mai desiderato il potere. Mai voluto controllare le persone. A me piace aiutarle, le persone. Cercare di far del mondo un posto migliore. Combattere le ingiustizie. Sono un matematico di formazione e un ingegnere informatico di professione. Mi interessa il mio lavoro, e constatarne i risultati. Solo che non posso farmi da parte quando vedo commettere crimini orribili per mio conto, pagati con le mie tasse. In futuro, sicuramente sosterrò politici di cui condivido le convinzioni. Ma niente di più.
Quale Russia vorresti vedere?
È un periodo buio e proprio per questo plasmare un’immagine del futuro è cruciale per la società russa. È il regime stesso che ha cancellato il futuro. Lo Stato si identifica in un’unica persona e non si capisce cosa verrà quando questa persona non ci sarà più. Un crollo? È l’idea che hanno anche molti oppositori di Putin in esilio all’estero: partono dal presupposto che i russi hanno fallito nel creare una vera nazione. Io però sono convinto che la Russia non si disgregherà, e che avrà un futuro. Putin sta cercando di trascinarci nella follia, ma non ci riuscirà. Ce la faremo. Supereremo le difficoltà. Non sarebbe la prima volta. Avremo una vita pacifica in un Paese finalmente normale, senza interruzioni traumatiche, senza la ricerca di nemici esterni più o meno virtuali. La Russia ha un potenziale enorme. Abbiamo tutte le condizioni per poter vivere con dignità. In libertà e nel rispetto di diritti inamovibili. E all’estero ci conosceranno per i nomi dei nostri scrittori e dei nostri scienziati, non per quelli di una banda di assassini. La Russia può utilizzare le sue risorse a beneficio dell’umanità e lo farà. Dirigendo le sue energie verso la creazione e non più verso la distruzione. La mia Russia sarà libera, pacifica, prospera. Sarà una Russia felice.
In un immaginario dopo-Putin, quali sono le prime cose che un nuovo governo dovrebbe fare?
L’intero sistema si fonda sulla menzogna e sulla corruzione. Istituzioni e pratiche amministrative sono eredità dell’era sovietica. Si deve ricostruire tutto da capo. Priorità assoluta: rimuovere da ogni posizione di potere i criminali di guerra, che dovranno essere processati pubblicamente, così come i responsabili delle repressioni politiche. Nel contempo, si dovranno organizzare elezioni a tutti i livelli. Abbiamo bisogno di un parlamento indipendente, in cui siano rappresentate forze politiche in competizione fra loro (al momento tutti i partiti, compresi quelli della cosiddetta “opposizione sistemica” votano sempre a favore del governo, ndr) e che dovrà lavorare per abolire l’apparato repressivo e realizzare grandi riforme. A partire dalla creazione di una magistratura indipendente e di un sistema elettorale trasparente.
Credi che i giovani russi possano esprimere una nuova classe politica, nella Russia del futuro che immagini? Non sono troppo conformisti? Troppo apatici?
No, non sono apatici. Semplicemente, non è permesso loro di partecipare alla politica. Nella Russia di Putin, i nuovi partiti sono creati dall’amministrazione presidenziale. Sostenere partiti o movimenti non “registrati” significa esporsi a grandi rischi. Non è una questione di apatia.
Ci sono stati casi di studenti arrestati per essersi opposti alla guerra, su denuncia dei loro stessi compagni di classe. L’ideologia del regime sta conquistando le università della Russia?
Come dappertutto, anche in Russia le università sono fucine di pensiero libero e progressista. Questo è il motivo per cui sono nel mirino della polizia e dei servizi di sicurezza, che cerano di reprimere i movimenti studenteschi, di “ripulire” il personale docente dagli elementi considerati anti-sistema e di creare un’atmosfera di paura. Ma è impossibile distruggere il ibero pensiero nelle università. Sarebbe necessario distruggere la stessa istituzione universitaria. Perché ti insegna a pesare, ad avere senso critico, a controllare le fonti e a lavorare individualmente e insieme agli altri.
Tu fai parte della “generazione Putin”: non hai visto governare che lui, durante la tua vita. Sei proprio sicuro che sapresti vivere senza uno zar? Che la Russia possa esistere senza un forte autoritarismo o un totalitarismo al potere?
Non solo sapremmo vivere senza una verticale del potere, ma è l’unico modo per noi. La Russia è un paese eterogeneo per etnie, culture, religioni e demografia. A lungo termine il decentramento del potere è inevitabile. Dobbiamo lottare perché avvenga. Servono organi di autogoverno locale con ampi poteri, e il ritorno ad elezioni dirette per sindaci e governatori. Non si può dettare dal Cremlino di Mosca a tutti i russi come vivere.
Alcuni “esperti” di Russia ritengono che in un Paese così grande e complesso, con una Storia così drammatica, l’autocrazia sia inevitabile. E che i russi l’autocrazia ce l’abbiano nel sangue, nel loro Dna.
Saremmo “geneticamente dittatoriali”, insomma. No, queste sono sciocchezze razziste. Vengono usate per parlar male dei russi come popolo. Non esiste una mentalità da schiavi, in Russa. Esiste solo una cultura politica che può e deve cambiare. E nel nostro Paese c’è una richiesta di cambiamento.
Perché la gente non scende in piazza a protestare?
Veramente le proteste contro la guerra hanno portato a 20mila arresti, e ogni settimana vengono istruiti nuovi procedimenti penali contro gli oppositori. È vero che ora di manifestazioni se ne fanno di meno, ma è naturale che sia così. Le pene detentive per chi vi partecipa sono diventate estremamente pesanti. La protesta prende altre forme, o scompare. La posta in gioco però si fa sempre più alta. Putin si sta giocando tutto. Nessun compromesso con lui è più possibile. Quando perderà, e sicuramente perderà, l’esito sarà fatale. Putin perderà tutto.
Come è cambiato il regime, durante gli anni di Putin?
Ovvero durante gli anni di tutta la mia vita, come dicevi. Riconosco una tendenza immutabile: l’attacco costante alla libertà e il rafforzamento degli apparati e del potere. All’inizio l’autocrazia ti dava qualcosa in cambio: la crescita economica. “Abbiamo barattato la libertà con il prosciutto”, dicevamo. Poi è finito anche il prosciutto. E la libertà non è tornata. Ci sono state fasi diverse. Il breve “disgelo” della presidenza Medvedev, le grandi manifestazioni del 2012, l’attacco giudiziario a Navalny, l’annessione della Crimea, l’omicidio di Nemtsov. I 22 anni di potere di Putin hanno avuto il loro culmine il 24 febbraio 2022: è stata la dimostrazione al mondo di dove può arrivare un potere irremovibile e senza controlli.
In Italia e in altri Paesi c’è molta gente che vede di buon occhio il “multipolarismo” e l’anti-americanismo di Putin. E che si schiera con il sedicente terzomondismo anti-imperialista della Russia. Non hanno qualche ragione?
A chi la pensa così vorrei far presente questo: l’anti-americanismo fomentato oggi dal regime di Putin non è che il ritorno alla retorica della Guerra fredda, instillata nelle vecchie generazioni. Si fonda sul desiderio di non approfondire l’essenza dei problemi e scaricare la colpa su un nemico esterno. Si tratta di un populismo a buon mercato che gioca sulle debolezze umane. Ma è tutto artificiale. La gente in Russia dice che i valori americani ci sono estranei e che gli Usa son la causa di tutti i nostri guai. Ma poi guarda i film di Hollywood e mangia hamburger con la coca-cola.
Le sanzioni servono a indebolire il regime? O fanno male solo alla gente comune?
Molte sanzioni non solo non danneggiano Putin ma addirittura lo aiutano, rafforzando il gradimento nei suoi confronti. Il presidente non ha certo risentito dell’assenza di Netflix e Spotify (che hanno abbandonato la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, ndr). Putin non sa neanche cosa siano, Netflix e Spotify. Ma i miei amici ed io lo sappiamo. Il danno è solo nostro. Però le sanzioni più controproducenti sono quelle bancarie contro i cittadini comuni. Il rifiuto di accettare le carte di credito russe all’estero non colpisce certo Putin e i suoi oligarchi. Colpisce i russi che sono fuggiti dal regime e dalla mobilitazione. È una misura che rende la vita difficile proprio a chi si oppone alla guerra. E tra l’altro rallenta il deflusso di capitali dalla Russia. È un aiuto diretto a Putin.
(da Fanpage)
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Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile
L’ESPERTO DI GUERRA NATE SIBLEY NON HA DUBBI: “MAD VLAD” NON FARA’ MAI UN PASSO INDIETRO”… “NON HA INTENZIONE DI RITIRARSI IN PACE IN UNA VILLA IN COSTA AZZURRA, CIRCONDATO DALLE SUE AMANTI”
Vladimir Putin morirà mentre serve il suo paese o verrà assassinato.
Parola di Nate Sibley, esperto di guerra e ricercatore presso la Hudson Institute’s Kleptocracy Initiative.
Nel corso del tempo, la salute del presidente russo ha attirato molte speculazioni: alcuni hanno ipotizzato avesse il Parkinson e o che viaggiasse sempre con un medico a causa di un cancro alla tiroide.
Ma Nate Sibley ha detto a “Express.co.uk” che crede di sapere come morirà Putin: «A differenza di tanti ricchi russi, Putin non ha intenzione di ritirarsi pacificamente in una villa in Costa Azzurra con le sue amanti. Qualunque cosa gli riservi il futuro, è sempre più improbabile che sia un lieto fine. O morirà sul lavoro o con una serie di proiettili conficcati nella schiena”.
Anthony Burr, un esperto di pubbliche relazioni che ha vissuto sia in Russia che nel Regno Unito, teme che Putin non si dimetterà mai: «Non sarei sorpreso se morisse sul posto di lavoro. Non si arrenderà facilmente e chi può estrometterlo? Nessuno. Negli ultimi 23 anni è riuscito a rimuovere qualsiasi minaccia alla sua leadership con ogni mezzo necessario».
(da agenzie)
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Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile
IL SOSPETTO È CHE L’OBIETTIVO SIA RIPRISTINARE I DECRETI SUI PORTI CHIUSI, CON ANNESSO RISCHIO DI CAMPAGNA ELETTORALE PERMANENTE BY SALVINI
In origine sono stati, quattro mesi fa, gli «sbarchi selettivi» e, ancora di più, «il carico residuale». Oggi sono le frasi sulla disperazione delle madri e la vita dei figli messa in pericolo sui barconi. Non c’è alcun dubbio che non ci sia calore nelle espressioni scelte dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Una neolingua da burocrate, gelida, che l’ex prefetto ha trasferito in politica e che sta imbarazzando non poco Giorgia Meloni.
La premier ha voluto risentire le sue dichiarazioni, prima di contattarlo e di fatto – come spiegano fonti di governo – chiedergli di correggersi, di contestualizzare meglio il senso delle sue parole, di umanizzarle. Piantedosi esegue e per tutta la giornata ripete come un ritornello la formula ideata per dare una giustificazione a quanto detto: «Intendevo lanciare questo messaggio: fermatevi, veniamo a prendervi noi».
Non è una coincidenza, dunque, che quasi contemporaneamente il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida da Bruxelles lanci la notizia di un maxi decreto flussi da 500 mila ingressi regolari, una cifra poi parzialmente corretta e di cui al Viminale erano completamente all’oscuro.
La fretta di correggersi, di spiegare, di annunciare l’irrobustimento di un corridoio legale per i migranti tradiscono le difficoltà e le preoccupazioni del governo.
Meloni è stata investita dalla potenza di morte delle immagini dei cadaveri sulla spiaggia del Crotonese, e dalle falle nelle ricostruzioni dei salvataggi. Non è chiaro se ci sia davvero un piano per aumentare i flussi e regolarizzarli, ma di certo annunciarlo – spiazzando persino i tecnici del ministero dell’Interno – è un tentativo di dare una rotta politica diversa alla tragedia.
L’ultimo decreto flussi è arrivato sulla Gazzetta ufficiale il 26 gennaio. Riporta il numero, come annunciato già alcune settimane prima, di 82 mila ingressi di lavoratori stranieri: parte entreranno come stagionali, parte come dipendenti a tempo indeterminato. Rispetto al decreto flussi di due anni fa, a firma Mario Draghi, da Meloni sono stati concessi ventimila ingressi in più. Ed è un segnale forte, di come la produzione in Italia abbia bisogno di manodopera che non riesce a trovare sul mercato.
Come ha detto il ministro dell’Agricoltura – settore tra i più interessati -, mettendo insieme le varie richieste pervenute servirebbero ben 500 mila ingressi.
(da La Stampa)
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Marzo 1st, 2023 Riccardo Fucile
IL COMANDANTE DELLA CAPITANERIA DI CROTONE: “IL MARE ERA FORZA 4, LE MOTOVEDETTE PIU’ GRANDI ESCONO ANCHE CON MARE FORZA 8”
«Perché non siamo usciti? Non è questo il discorso». Risponde così ai
giornalisti Vittorio Aloi, il comandante della capitaneria di porto di Crotone. Nei giorni scorsi, si è fatta sempre più insistente la richiesta di chiarimenti sulle ore che hanno preceduto il naufragio di un’imbarcazione carica di migranti al largo di Steccato di Cutro, in Calabria, in cui hanno perso la vita almeno 69 persone.
In particolare, si moltiplicano le voci di chi sostiene che non sia stato fatto davvero tutto il possibile per soccorrere i naufraghi prima che il barcone si spezzasse a pochi metri dalle coste italiane.
«Dovreste conoscere i piani, gli accordi che ci sono a livello ministeriale. Le nostre regole di ingaggio sono una ricostruzione molto complessa, non da fare per articoli di stampa. Ci sarebbe bisogno di specificare molte cose su come funziona il dispositivo per il plottaggio dei migranti. In questo caso la dinamica è da verificare», aggiunge il comandante della capitaneria di porto di Crotone.
«Non siamo ancora arrivati alle conclusioni»
All’indomani della tragedia, la guardia costiera aveva comunicato di aver ricevuto la segnalazione da Frontex della presenza di un barcone. La forza delle onde e le condizioni proibitive del mare, però, avrebbero costretto i soccorritori a tornare a riva.
«A noi risulta che domenica il mare fosse forza 4, ma motovedette più grandi avrebbero potuto navigare anche con mare forza 8», ha precisato oggi Vittorio Aloi ai giornalisti.
«Se a noi non è giunto nessun allarme? Ripeto, adesso c’è un intricato discorso di ricostruzione dei fatti del quale non posso anticipare le conclusioni perché non ci siamo nemmeno arrivati. Stiamo rifacendo tutto il percorso dei fatti e poi riferiremo all’autorità giudiziaria», ha concluso il comandante della capitaneria di porto di Crotone.
Aloi ha poi confermato un’altra indiscrezione circolata nei giorni scorsi: la procura di Crotone ha aperto un’inchiesta per ricostruire ciò che è avvenuto prima del naufragio. Al momento, però, le indagini non riguardano la guardia costiera e i soccorritori. «Se e quando saremo chiamati a dare la nostra versione, atti alla mano, brogliacci di telefonate, comunicazioni che ci sono state, noi riferiremo – ha assicurato Aloi -. Per ora non ci è stato chiesto materiale né siamo stati convocati. C’è tutto un altro genere di attività in corso da parte dell’autorità giudiziaria. Quindi questa cosa ormai verrà fatta sicuramente, ma prossimamente».
(da agenzie)
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