Marzo 26th, 2023 Riccardo Fucile
LA NEOSEGRETARIA NON INTENDE ACCETTARE COMPROMESSI E VA AVANTI PER LA SUA STRADA
La segretaria del Pd, Elly Schlein riproporrà i nomi di Chiara Braga e di Francesco Boccia come capigruppo di Camera e Senato. Nell’incontro di ieri, il presidente Stefano Bonaccini aveva detto ai suoi di attendere una proposta dalla segretaria.
La riunione dei parlamentari che hanno sostenuto Bonaccini ieri è stata disertata dai 21 parlamentari “neo ulivisti” che in nome dell’unità del partito hanno già comunicato non voler contrapporre proposte alternative ai nomi proposti dalla segretaria.
La palla passa dunque a Base riformista, la corrente ex renziana del presidente del Copasir Lorenzo Guerini e agli altri parlamentari per il presidente dem. Saranno loro a dover decidere se voler candidare altri nomi diversi da Boccia e Braga. O se magari non contrapporre altre candidature ma astenersi dal voto.
Domani la segretaria parteciperà alla prima riunione dei deputati e dei senatori Dem convocata per domani. Dopo l’elezione dei capigruppo martedì si passerà alla composizione della segreteria.
“Il nuovo corso del Pd si arricchisce ogni giorno di presenze e di testimonianze attive che fanno forza a questa comunità. Voglio per questo ringraziare tutte e tutti i 168 intellettuali che hanno sottoscritto l’appello ‘Una speranza e un’opportunità per la sinistra. Vogliamo dare una mano’. Perché è esattamente questo quello che desideravamo suscitare: la condivisione, insieme, di un impegno, di una passione, di una visione comune. Solo così, tutte e tutti insieme, ce la faremo a ricostruire fiducia con le persone e dar vita a una vera alternativa a questo governo, che si batta per la giustizia sociale e climatica, per il lavoro di qualità e i diritti”. Così la segretaria del Pd Elly Schlein commentando l’appello dei 168 intellettuali ‘Una speranza e un’opportunità per la sinistra. Vogliamo dare una mano’ pubblicato oggi dal Mattino di Napoli.
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2023 Riccardo Fucile
È CORSA CONTRO IL TEMPO PER CENTRARE I 13 OBIETTIVI DI MARZO E I 55 DEL 2022 NECESSARI PER OTTENERE I FINANZIAMENTI EUROPEI— I DUBBI DEI TECNICI DI BUXELLES VANNO DAI PROGETTI SULLA CYBERSICUREZZA ALLE CONCESSIONI PORTUALI
Sul Pnrr, ufficialmente, l’Italia «non vede rischi». Parola di Giorgia Meloni: la tranche da 19 miliardi di euro attesa da Bruxelles non subirà ritardi particolari. Eppure, quella che si sta consumando sul dossier, è una vera e propria corsa contro il tempo.
Non solo perché su 13 obiettivi da centrare entro la fine di marzo ne sono stati completati solo cinque («Ma ne chiuderemo 6 o 7 nei prossimi giorni» garantiscono fonti informate nell’esecutivo), quanto sui 55 obiettivi del 2022. Tra quelli già inoltrati dall’esecutivo alla Commissione Ue per la valutazione, ce ne sarebbero infatti alcuni senza carte in regola.
Le tematiche sono disparate e vanno dalla cybersicurezza nazionale alle concessioni portuali, fino alla piantumazione di alberi nelle città italiane e ai finanziamenti per il teleriscaldamento.
Ciò che è certo è che la terza tranche dei fondi del Pnrr, ad una manciata di giorni dalla scadenza informale del 31 marzo, è ancora sotto la lente d’ingrandimento. Al punto che non si esclude che il termine per le verifiche venga spostato ancora, magari alla fine di maggio, quando però mancherebbe solo un mese alla quarta rata da 16 miliardi di euro prevista per fine giugno.
Criticità, queste relative al 2022, che il governo Meloni imputa agli esecutivi precedenti e alle strutture tecniche già esistenti. Tant’è che, sottolinea a più riprese chi segue da vicino la vicenda, «stiamo trovando soluzioni ai disastri altrui».
L’idea sarebbe infatti commissariare il Formez, l’associazione in house del Dipartimento della Funzione pubblica (Dfp) che ha il compito di formare, reclutare e ammodernare la Pa, i cui vertici di norma scadrebbero nel 2024. «Ma troppi remano contro» è la sintesi di un rappresentante del governo, convinto che bisogna imprimere un’accelerazione subito. Non solo sui progetti in scadenza quest’anno, ma guardando già al 2026. Specie perché i capitoli di spesa a lungo termine «spesso composti solo da titoli e non hanno al loro interno dei progetti». Scatole vuote, insomma, che andrebbero riempite al più presto.
Come se non bastasse va intanto va consumandosi un braccio di ferro tra l’esecutivo e gli enti locali. In un documento consegnato in Senato, l’Anci, l’Associazione dei Comuni, ha accusato il governo di voler commissariare le opere di loro competenza nonostante i ritardi accumulati dipendano dai ministeri e non dai municipi.
(da il Messaggero)
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Marzo 26th, 2023 Riccardo Fucile
TRA CASE DI LUSSO E UN INTRECCIO DI SOCIETA’, UNA DELLE QUALI AVEVA SEDE IN VIA DELLA SCROFA, NELLO STESSO PALAZZO DI FDI
Sono fili che si tessono, tra il neofascismo francese e la capitale d’Italia, tradizionale camera di compensazione degli estremismi neri. Rapporti sotterranei, legami societari riservati, flussi di soldi che hanno attirato anche l’attenzione degli investigatori della Banca d’Italia. La cupola dei pretoriani di Marine Le Pen ha scelto Roma come base discreta.
A Parigi hanno avuto guai giudiziari che li hanno – solo apparentemente – messi ai margini, con condanne per la gestione illecita dei finanziamenti pubblici. Ma con un’operazione iniziata nel 2014, e che solo lo scorso anno si è concretizzata, è iniziato il trasferimento di quote societarie strategiche di parte del mondo dell’estrema destra francese verso uffici a due passi da via della Scrofa (la stessa strada in cui ha sede Fratelli’Italia), con investimenti milionari, come TPI è in grado di ricostruire.
Tre i protagonisti, nomi molto noti in Francia nel giro di Madame Le Pen: l’indiscusso capo del gruppo degli ex gudard, i militanti del Gruppo Unione Difesa (Gud), organizzazione attiva negli anni Novanta, il cinquantenne Frédéric Chatillon; la sua compagna e socia, Sighild Blanc; e infine il trentenne Paul-Alexandre Martin, giovane guru della comunicazione digitale cresciuto all’interno del Front National.
Questione di comunicazione
Il punto di partenza per ricostruire la storia romana dei tre è la pubblicazione dei bilanci dell’ultima campagna elettorale per le presidenziali in Francia. Tra i conti riappare il nome che per tanti anni ha imbarazzato il partito di Marine Le Pen.
Quando la leader del Rassemblement National si preparava ad affrontare la campagna per le presidenziali – che l’ha vista, ancora una volta, contrapposta a Emanuel Macron – si è guardata intorno. Servivano uomini fidati, una squadra affiatata, in grado di intercettare il populismo più duro e rancoroso. Chi meglio degli antichi camerati di una volta, quel manipolo di comunicatori nati e cresciuti all’interno dell’estrema destra del Gud?
I conti della sua ultima campagna elettorale – resi noti nei giorni scorsi – mostrano la cifra record di 770mila euro, una buona fetta del budget complessivo di più di 10 milioni, ottenuti grazie a prestiti arrivati dall’Ungheria e destinati a una piccola società di Parigi: la E-Politic, a capo della quale c’è Paul-Alexandre Martin, il guru digital di Le Pen.
È il suo gruppo che diffonde i tweet con gli interventi televisivi della leader della destra d’oltralpe, prepara la newsletter per gli elettori, gestisce gli spazi web e accompagna attraverso i social viaggi e comizi in giro per la Francia.
Prima di lui i fornitori del settore comunicazione del Rassemblement National – l’ex Front National – erano Frédéric Chatillon e Axel Loustau, nomi che in Francia riportano la mente al fronte universitario dei neofascisti più duri. I due inciamparono in un’inchiesta per sovrafatturazione su alcuni kit elettorali e hanno preferito rendersi meno visibili. Ma non sono scomparsi del tutto.
Paul-Alexandre Martin ha mantenuto – e ancora oggi mantiene – diversi rapporti societari e commerciali con gli ex esponenti di punta del Gruppo Unione Difesa, come ha ricostruito il quotidiano francese Le Monde in alcune inchieste pubblicate lo scorso anno. È appena la faccia più pulita e meno sulfurea di quel mondo, attento a non mostrare mai in pubblico contenuti apertamente estremisti. Ma i suoi rapporti con i duri del Gud sono solidi e, come vedremo, passano anche da Roma.
La dolce vita
Frédéric Chatillon qualche giorno fa è stato condannato a 30 mesi di reclusione dalla Corte d’appello di Parigi, che ha confermato il verdetto di primo grado, arrivato lo scorso anno. La storia riguardava i kit elettorali che la sua società storica, la Riwal (con una sede a Roma nella centrale piazza Margana), aveva prodotto per il partito della destra francese nelle campagne elettorali del 2012.
Si trattava di pacchetti di comunicazione composti da un sito web, volantini e manifesti, venduti a 16.500 euro ognuno, attraverso l’associazione Jeanne, il micro-partito creato anni fa dal circolo familiare di Marine Le Pen. Secondo l’accusa, il prezzo – che venne poi rimborsato attraverso i finanziamenti pubblici – era sovrafatturato, e lo Stato francese nel 2019 aveva per questo chiesto 11,6 milioni di euro di risarcimenti al Rassemblement National e agli imputati.
Nel 2014, quando l’aria a Parigi cominciava a farsi difficile per lui, Chatillon si è trasferito a Roma, prendendo in affitto un attico con vista mozzafiato nel palazzo degli Odescalchi, a due passi da piazza Venezia. Ha creato la sede italiana della sua Riwal, anche se leggendo i bilanci non è possibile capire quali siano stati gli affari nella capitale italiana.
Di certo Fred, come ama farsi chiamare, non ha mai rinunciato alla bella vita, insieme alla compagna e socia d’affari Sighild Blanc. Bollicine e sigari cubani, party sulla terrazza esclusiva con vista verso la Roma barocca, viaggi in Oriente e in Russia, mantenendo – però – più di un piede nel giro di Marine Le Pen.
In Francia è ben noto per i suoi stretti legami con il presidente siriano Bashar al-Assad e con il giro antisemita di Allan Soral e Dieudonné. A Roma preferiva la compagnia di Casapound, partecipando e facendosi fotografare al party di inaugurazione del marchio di moda Pivert, la catena di negozi gestita dal dirigente del movimento di estrema destra Francesco Polacchi.
Il sindacalista dell’Ugl
I destini di Chatillon e Martin si sono incrociati di nuovo a Roma. Il patron della E-Politic nel 2017 apre in Italia la società Squadra Digitale, con un indirizzo particolare, via della Scrofa 39, ovvero lo stesso palazzo della sede nazionale di Fratelli d’Italia. Anche in questo caso i bilanci non forniscono nessuna informazione sull’attività e i clienti dell’agenzia di comunicazione creata dallo stratega digital di Le Pen.
Nel luglio 2021 la società – dopo aver trasferito la propria sede nella vicina piazza della Fontanella Borghese – inaugura un nuovo ufficio in via D’Ascanio, una traversa di via della Scrofa, a meno di cento metri dalla prima sede. In quegli stessi mesi Chatillon avvia un’importante operazione societaria insieme a Gian Luigi Ferretti, esponente dell’Ugl vicinissimo sia alla destra francese che al leader della Lega Matteo Salvini. Insieme creano il Gruppo Edda (Edda Mussolini è stata la prima figlia del dittatore fascista), che attira l’attenzione della Uif, il sistema di antiriciclaggio della Banca d’Italia.
In un report gli analisti di Palazzo Koch segnalano che Chatillon, pur essendo persona politicamente esposta, non ha segnalato la sua posizione. Analizzando i conti emergono poi consistenti bonifici partiti da società controllata della stesso Chatillon in Francia verso la sede romana della Riwal.
Una società controllata dall’esponente dell’estrema destra francese, la Erer, avrebbe poi – secondo la Uif – investito negli anni passati 1,39 milioni di euro nel ristorante Carré français (a due passi da piazza Cavour), passato nel 2019 sotto il controllo dell’ex marito di Marine Le Pen, Eric Iorio.
Fino ad oggi non era però chiaro l’obiettivo finale dei movimenti finanziari da Parigi a Roma e l’oggetto sociale della nuova società, il Gruppo Edda. Nel dicembre del 2021 un’altra società controllata da Chatillon e dalla compagna Blanc, la Couesnon srl, investe una cifra che sfiora i 2 milioni di euro nell’acquisto di un appartamento proprio nel palazzo dove quattro mesi prima si era trasferita la Squadra Digitale di Martin, in via D’Ascanio. E che appartamento: «Ampio ingresso, corridoio di disimpegno, soggiorno-pranzo, cucina, quattro camere, tre bagni, disimpegno e un ripostiglio, con annessi una veranda a livello ed un terrazzo di pertinenza esclusiva», è la descrizione depositata in Conservatoria.
Il tutto per una superficie di 180 metri quadri, in una zona dove – secondo la borsa immobiliare dell’Agenzia delle Entrate – il valore raggiunge facilmente i 10mila euro al metro quadro. Poco dopo l’acquisto, il Gruppo Edda – che prima dell’operazione immobiliare ha visto uscire Gian Luigi Ferretti e diventare unici soci Chatillon e Blanc – trasferisce gli uffici in Via D’Ascanio.
Rock’n’roll
Alla fine dello scorso dicembre – esattamente un anno dopo l’acquisto dell’appartamento di pregio nel cuore di Roma – quando si avvicinava la sentenza per il processo d’appello sulla sovrafatturazione dei kit per le campagne di Marine Le Pen, il Gruppo Edda conclude un’altra operazione finanziaria.
Una delle società della galassia Chatillon finita sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori francesi è la Unanime, le cui quote sono in buona parte controllate dalla compagna Sighild Blanc. Una società chiave della galassia cresciuta attorno al ricco piatto della comunicazione del Front Nationale: nel 2011 la Unanime appariva nella gerenza del giornale della campagna di Marine Le Pen, diffuso in migliaia di copie, come «concezione e stampa».
A questa società, ricostruisce Le Monde, erano stati destinati 1,4 milioni di euro per il lavoro di grafica durante le campagne del Front National per le elezioni legislative del 2012. La Unanime alla fine è inciampata anche lei nelle inchieste della procura francese e nel corso del processo per la sovrafatturazione è stata accusata, tra l’altro, di aver pagato una fattura da 350mila euro a una società di Hong Kong, la Ever Harvest, di proprietà del fratello del commercialista del micropartito della famiglia Le Pen Jeanne, a sua volta fornitore della Riwal di Chatillon.
I giudici francesi sospettavano che si trattasse di un espediente per trasferire i fondi all’estero, evitando di pagare le tasse. «È solo un meccanismo molto rock’n’roll», commentò Chatillon.
Unanime, in ogni caso, fin dal 2011 è un pezzo chiave di quella galassia societaria del mondo della destra francese che per anni ha fornito i propri servizi al partito di Le Pen. Il 20 dicembre 2022 Chatillon e Blanc firmano un atto notarile per aumentare il capitale del Gruppo Edda.
Non versano soldi, ma conferiscono le loro quote della società Unanime, il cui controllo passa così negli uffici nel cuore di Roma appena acquistati, allo stesso indirizzo della Squadra Digitale di Paul-Alexandre Martin, l’imprenditore che ancora oggi cura parte della comunicazione nelle campagne elettorali di Marine Le Pen.
Nell’atto è allegata anche una perizia sul valore attuale della società Unanime, che mostra come – nonostante il processo – sia ancora attiva, con un ricavo tra il gennaio e l’ottobre dello scorso anno di 328mila euro.
Se dietro il flusso milionario di soldi da Parigi a Roma si nasconda anche l’avvio di una attività nella comunicazione politica anche in Italia al momento non è chiaro. È certo, però, che i fili tra la destra francese e italiana sono solidi, anche se riservati. Il partito di Marine Le Pen non ha mai preso le distanze o tagliato definitivamente i ponti con il gruppo del Gud.
L’ex tesoriere del Rassemblement National ha spiegato a Mediapart che «Frédéric Chatillon non ha mai tradito la nostra fiducia, ha sempre lavorato con noi con totale lealtà, ritengo che ci si possa sempre fidare di lui». E i gudard possono godere di fiducia incondizionata e ottimi appoggi anche in Italia, tra i vicoli del salotto buono romano. Magari con un occhio alle prossime elezioni europee, quando le alleanze internazionali conteranno.
(da TPI)
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Marzo 26th, 2023 Riccardo Fucile
L’ONG: “DOPO AVER SALVATO 180 PERSONE, CI IMPEDISCONO DI RIPARTIRE SENZA COMUNICARCI NULLA”… ARRIVANO A CENTINAIA CON I BARCHINI, AUMENTANO LE VITTIME, MA IL GOVERNO DEGLI INCAPACI PENSA SOLO A ROMPERE I COGLIONI ALLE ONG
È stata fermata nel porto di Lampedusa la nave Louise Michel, appartenente all’omonima Ong, e finanziata anche dall’artista senza volto Banksy. A bordo dell’imbarcazioni ci sono 180 persone che sono state soccorse con tre operazioni diverse mentre cercavano di attraversare il Mediterraneo a bordo di piccoli barchini. All’operazione hanno contribuito anche le motovedette della capitaneria di porto e della Guardia di Finanza. A farlo sapere sono gli stessi attivisti, che attribuiscono la ragione del fermo alla violazione del decreto migranti del governo Meloni, con il quale sono state semplificate le procedure di espulsione e ristretti i criteri per poter usufruire della cosiddetta protezione speciale. Secondo quanto riferisce la Ong, comunque, all’equipaggio della nave non sarebbe stata fornita una spiegazione ufficiale circa il fermo. «Ci impediscono di lasciare il porto e prestare soccorsi in mare», dichiarano.
«Con la situazione che c’è in mare, trattenere una nave di soccorso in porto mentre donne, uomini e bambini rischiano di morire, è una cosa assurda: qui non si tratta di slogan, ma di vite umane che si possono e si devono salvare». Così si è espresso all’Ansa Luca Casarini, capomissione di Mediterranea Saving Humans, che ha rilanciato il tweet della Louise Michel. «24 ore fa – si legge nel tweet – le autorità Italiane hanno comunicato alla LouiseMichel che la nave, dopo aver soccorso e sbarcato 180 persone, era bloccata. Nessun atto formale e motivato è stato ancora notificato. Al largo di Lampedusa ci sono diverse barche in pericolo che chiedono aiuto».
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2023 Riccardo Fucile
GLI AGGRESSORI MESSI IN FUGA DAI PRESENTI NEL CENTRO… LA MELONI E PIANTEDOSI HANNO NULLA DA DIRE?
I muri esterni del centro sociale Lambretta di via Edolo, a Milano, sono stati imbrattati con della vernice nera la scorsa notte. Lo ha rilevato la Digos, intervenuta oggi sul posto. Un episodio confermato dagli stessi occupanti, che sui social spiegano: «Nella notte di sabato 25 marzo, un gruppo di fascisti ha attaccato il nostro spazio sociale, armato di bottiglie, catene, bastoni, vernice e spray. Fortunatamente, lo spazio era presidiato dai nostri compagni e compagne, che sono riusciti a mettere in fuga il gruppo reagendo prontamente all’aggressione».
Il bilancio finale è di alcune finestre rotte e la facciata del centro sociale imbrattata con vernice nera.
«Questa è la solita modalità neofascista nei confronti di realtà che praticano solidarietà, mutualismo e sostegno al quartiere – scrivono gli attivisti milanesi del Lambretta -. Quello che abbiamo subito questa notte è un attacco squadrista organizzato che si inserisce all’interno di un clima politico pericoloso, fomentato dalla destra di questo paese».
In risposta al raid della scorsa notte, il centro sociale di via Edolo ha annunciato che alle 16 di oggi si svolgerà un presidio per ripulire la facciata dell’edificio e le strade del quartiere, ancora piene di vetri e sporcizia.
(da agenzie)
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Marzo 26th, 2023 Riccardo Fucile
L’ASSE AFFARISTICO: VIA LA PARTE CIVILE DAI PROCESSI, RIFORMA DELLA GIUSTIZIA E NOMINE
Il “cambio di stagione” è avvenuto molto prima della decisione di venerdì sera di Silvio Berlusconi di sostituire il capogruppo Alessandro Cattaneo con Paolo Barelli e depotenziare Licia Ronzulli. Risale a metà febbraio e ha due artefici: una palese, la compagna dell’ex premier, Marta Fascina, che ha fatto asse con Antonio Tajani, e l’altra più occulta, la figlia Marina Berlusconi.
Della prima si dice che gestisca l’agenda e i gruppi parlamentari di Forza Italia, ma la vera responsabile della virata governista di Berlusconi è la figlia Marina (responsabile di Mondadori e Fininvest), in tandem con il fratello Pier Silvio, Ad Mediaset.
È lei ad avere stretto un patto politico con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, spiegano due fonti che chiedono l’anonimato per parlarne. Una telefonata decisiva sarebbe avvenuta a metà febbraio, mentre il governo era nel caos per le parole di Berlusconi anti-Zelensky (“non lo avrei incontrato”). L’accordo è questo: in cambio di un atteggiamento più “responsabile” di Forza Italia nei confronti di Palazzo Chigi dopo le tensioni dei primi mesi, il governo si farà garante degli interessi di Berlusconi. Cioè i processi (per quel che può fare un governo), ma soprattutto gli affari che riguardano Mediaset.
Meloni ha sempre avuto un buon rapporto con le “colombe” di Arcore: oltre a Marina e Pier Silvio, la premier ha capito che il vero potere di consigliori resta sempre quello di Gianni Letta, Fedele Confalonieri e Marcello Dell’Utri.
Nei primi mesi di governo da Palazzo Chigi sono partite spesso chiamate a Letta, che infatti ora si è seduto al tavolo delle nomine. Confalonieri, patron di Mediaset, invece ha espresso anche pubblicamente apprezzamenti nei confronti di Meloni: “Berlusconi deve puntare su di lei”. Anche Dell’Utri, seppur più in disparte, si è convertito al melonismo: sui suoi social condivide spesso discorsi della premier. Posizioni filo-governative per difendere gli interessi della casa.
Sulla giustizia, l’accordo ha già dato i primi frutti. Il 13 febbraio Palazzo Chigi ha ritirato la costituzione di parte civile nel processo Ruby ter alla vigilia della sentenza di primo grado (poi Berlusconi è stato assolto) nonostante chiedesse 10 milioni all’ex premier per il “discredito planetario” causato dal processo.
La stessa decisione è stata ufficializzata il 10 marzo nel processo Escort a Bari in cui Berlusconi è imputato per induzione a mentire. Due segnali di tregua inviati ad Arcore. Sulla giustizia, inoltre, le posizioni tra Fratelli d’Italia e Forza Italia si stanno avvicinando: a inizio maggio, il ministro della Giustizia Carlo Nordio presenterà un disegno di legge per riformare l’abuso d’ufficio, il traffico di influenze e la legge Severino. Storiche battaglie berlusconiane.
Poi c’è la questione Mediaset. Il rapporto tra le televisioni e le piattaforme di streaming sta diventando sempre più importante e a Cologno Monzese sono molto preoccupati della concorrenza di Netflix, Amazon, Disney+ e Youtube che raccolgono pubblicità. Netflix lo sta già facendo provocando, secondo le stime, un buco di bilancio alla Rai che potrà arrivare fino a 65 milioni. Mancate entrate che potrebbero proiettarsi anche su Mediaset che, quindi, chiede al governo di intervenire. Lo ha fatto Stefano Selli, responsabile delle relazioni istituzionali del gruppo, il 22 febbraio in audizione in commissione Cultura. “Soggetti come Mediaset sono sempre più in difficoltà nella concorrenza con piattaforme fortissime e del tutto libere di operare”, ha detto Selli chiedendo di superare la “legislazione italiana vecchia di 7-8 anni”.
Così il governo sta pensando a un disegno di legge proprio per regolare l’attività delle piattaforme streaming, dice un esponente dell’esecutivo. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, giovedì ha spiegato lo scopo: “Garantire una vera libertà di scelta all’utente”.
L’obiettivo principale sarà quello di mantenere il duopolio Rai-Mediaset: l’ipotesi allo studio è quella di una riforma del telecomando, della trasparenza e della pubblicità che preveda un tetto agli spot delle piattaforme e mantenga il limite del 20% per le tv commerciali. In questo quadro si inseriscono le resistenze di FdI e FI sulla proposta della Lega di abolire il canone Rai: Mediaset si troverebbe ad affrontare la concorrenza della Rai sulla pubblicità. Il duopolio Rai-Mediaset sarebbe garantito pure da Rai Way che detiene le torri del segnale: l’obiettivo è quello di una fusione che stabilizzerebbe il sistema. Il governo non si opporrà.
I primi frutti dell’accordo si stanno già vedendo sulle nomine: al tavolo a Palazzo Chigi partecipano Tajani e Letta mentre i ronzulliani sono stati tagliati fuori. La sostituzione dei capigruppo è una vendetta di Tajani nei confronti dell’ala ronzulliana che fino a febbraio ha terremotato il governo dopo la decisione di estromettere Ronzulli dall’esecutivo. §
L’asse Tajani-Fascina domina in Forza Italia. Cambiano, dunque, gli equilibri nel governo. Ora i dioscuri dell’esecutivo sono la premier e Tajani, mentre sarà la Lega a smarcarsi, come è già avvenuto sulle armi all’Ucraina, sulle nomine e sul ponte sullo Stretto.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Marzo 26th, 2023 Riccardo Fucile
SVOLTA AFFARISTICA PRO MELONI E L’ALA RINZULLI ORA MEDITA LA SCISSIONE
Forza Italia si consegna a Giorgia Meloni, al termine di due giornate da film. E con l’ira dei “ronzulliani” che, messi ai margini, non escludono l’addio a quel che resta dell’ex corazzata azzurra.
È una storia che si dipana silenziosa: quel che emerge, in chiaro, sono solo i complimenti a Berlusconi da parte dei beneficiati da un’ampia tornata di nomine. Ma non c’è il Cavaliere al centro della scena, stavolta, perché protagonista assoluta è Marta Fascina, che da timida e silenziosa compagna del Capo è diventata il nuovo centro politico del partito, con l’appoggio della famiglia.
Ed è lei anche il simbolo del cambiamento della linea forzista. Solo un paio di mesi fa, raccontano, Berlusconi arringava i suoi citando i Manneskin per definire l’ostilità di Meloni: “Ci vuole zitti e buoni”. E invece oggi avalla un ribaltone interno che ridimensiona la presidente dei senatori Licia Ronzulli (privata del coordinamento della Lombardia e sostanzialmente del ruolo di ufficiale di collegamento fra il presidente e il mondo esterno) e silura il capogruppo alla Camera Alessandro Cattaneo.
L’operazione che affonda i due, ritenuti interpreti dell’anti-melonismo, avviene su pressione di Fascina, che con la premier ha ormai un contatto diretto: si sentono, si scrivono spesso via chat. Sullo sfondo la famiglia Berlusconi – con Marina e Piersilvio poco inclini per ragioni aziendali a farsi nemico l’esecutivo – e naturalmente Antonio Tajani, ministro degli Esteri e vicario di Meloni nel governo. Che ha ottenuto la nomina, al posto di Cattaneo, del fido Paolo Barelli.
Tutto comincia mercoledì sera, con una cena ad Arcore fra Berlusconi, Fascina e Tajani. È in quell’occasione che viene messa a punto l’ultima, mesta, rivoluzione di un Berlusconi in realtà sempre più defilato. Definito quasi inconsapevole da chi è stato silurato.
I due deputati più vicini a Fascina, Alessandro Sorte (che prenderà il ruolo di Ronzulli al timone del partito in Lombardia) e Stefano Benigni, hanno già lanciato una informale raccolta di adesioni per la sostituzione di Cattaneo: ci sono dei fogli che girano con l’invito a comportarsi da “berlusconiani veri” e Fascina ci mette tutto il peso di Arcore, chiamando direttamente qualche parlamentare per invitarlo a sottoscrivere l’appello. Nessuno sa esattamente in quanti alla fine diranno sì: si parla del 70% dei componenti del gruppo. Nel frattempo – siamo a giovedì – Cattaneo capisce l’aria che tira e chiede un appuntamento a Berlusconi. Che prima lo concede per le 18, poi fa sapere di avere un impegno. L’ex sindaco di Pavia si sposta ugualmente da Roma a Milano, Berlusconi lo chiama per dirgli che, in presenza di una raccolta di firme, è meglio che lasci l’incarico proponendogli il ruolo di vicecoordinatore: è la promozione-rimozione che alla fine arriverà.
Cattaneo prova a opporsi, dice al presidente che intende parlargli di persona; il Cavaliere lo invita a raggiungerlo dopo cena. Ma da quel momento scompare.
A tarda ora, all’ennesima telefonata, al posto di Berlusconi risponde la moglie: “Il presidente è andato a riposare”. E per l’intera giornata di venerdì nessuno riuscirà più a contattarlo: ad Arcore ci sono soltanto Fascina, Sorte e Benigni. Prova a chiamare, invano, pure Matteo Salvini. In questo clima c’è persino un medico che si attiva per far sapere che è meglio evitare cause di stress a Berlusconi. In serata arriva la nota che annuncia tutte le novità in casa azzurra. I “ronzulliani” – tutti, da Cattaneo a Giorgio Mulé – incassano il colpo senza parlare.
“È tutto finito”, il commento più frequente. Con l’esplicita apertura alla possibilità di migrare verso altri lidi. Ma Tajani minimizza: “Queste nomine rendono più efficiente la macchina in vista delle elezioni europee”. Il progetto è quello di un asse fra Ppe e conservatori, la formazione di Meloni in Europa. Traguardo possibile? Si capirà nei prossimi mesi. Intanto la premier ha “riconquistato” Forza Italia.
(da La Repubblica)
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Marzo 26th, 2023 Riccardo Fucile
LA PROPRIETÀ DELLO STABILE, LA CA.SA. DELLA FAMIGLIA SALINI, VORREBBE REALIZZARCI 252 NUOVI APPARTAMENTI. MA L’EDIFICIO NON È MAI STATO SGOMBERATO DALLE FORZE DELL’ORDINE: PER I GIUDICI, LO STATO “HA TENUTO UNA CONDOTTA INGIUSTIFICATAMENTE OMISSIVA”
Il Maam, il Museo dell’altro e dell’altrove, costa altri 6,3 milioni di euro alla presidenza del Consiglio e al Viminale. Così ha deciso il tribunale civile, che il 13 marzo ha condannato la premier Giorgia Meloni (la stessa che promette tolleranza zero sulle occupazioni abusive) e il ministro Matteo Piantedosi a versare la somma ai proprietari dell’ex salumificio Fiorucci in via Prenestina di proprietà della famiglia Salini ma occupato senza soluzione di continuità dal 27 marzo 2009.
Un nuovo colpo alle casse dello Stato dopo il primo, pesantissimo, assestato sempre dalla seconda sezione del tribunale di viale Giulio Cesare nel 2018.
In quell’occasione palazzo Chigi venne condannato a pagare 27,9 milioni per la sua inerzia rispetto alle richieste di sgombero dei titolari dello stabile. Ora il bis per le mensilità comprese tra il gennaio 2014 e il giugno 2022. Ma non è finita qui: per ogni altro mese di silenzio da parte della prefettura, a partire già dal luglio 2022, vanno aggiunti al maxi-conguaglio altri 58.618 euro al mese.
Un’indennità di occupazione, se così si vuole chiamare, da capogiro per il museo in cui da quasi 15 anni vivono 200 persone in emergenza abitativa. La società Ca.Sa. srl della famiglia Salini avrebbe voluto realizzare 252 nuovi appartamenti nell’ex Fiorucci. Nulla da fare, così come per l’affitto della struttura su cui, tra gli altri nel 2018 aveva messo gli occhi anche la Croce Rossa italiana del neogovernatore Francesco Rocca.
Per il tribunale civile, lo Stato “ha tenuto una condotta ingiustificatamente omissiva, caratterizzata dalla protrazione nel tempo di una sostanziale dismissione dei compiti di pubblica sicurezza” andando a ledere “il diritto di proprietà e libera iniziativa imprenditoriale”.
Lo stabile è al primo posto nella lista delle occupazioni da sgomberare. E, al pari dello Spin Time, è tra i palazzi che il Campidoglio ha dichiarato di voler acquistare per mitigare il fenomeno dell’emergenza abitativa. La trattativa, però, deve ancora partire.
(da La Repubblica)
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Marzo 26th, 2023 Riccardo Fucile
CHE NE PENSERANNO A BRUXELLES? E COSA DIRÀ MATTARELLA, CHE HA GIÀ BACCHETTATO LA MELONI SU QUESTO PUNTO?
Da un lato la tagliola della Commissione Ue. Dall’altro lo sguardo vigile del Colle. Una strada stretta attende al varco il governo Meloni alle prese con la annosa questione delle concessioni balneari.
L’ultimo piano partorito dalle fila di Fratelli d’Italia prevede di rispolverare una proposta del partito risalente al 2018. E cioè sbloccare l’impasse ricorrendo a un “doppio binario”.
Mettendo a gara le concessioni balneari successive all’entrata in vigore della Direttiva Bolkestein, la legge sulla concorrenza Ue del 2009, le altre invece no.
Un compromesso per venire incontro alle richieste di Bruxelles e però al tempo stesso garantire una proroga alla grande maggioranza degli stabilimenti, assegnati ben prima che la direttiva di Bruxelles diventasse realtà.
Del resto, la proposta di legge di FdI presentata a inizio della scorsa legislatura ha tra i primi firmatari Giorgia Meloni, «e se c’è la sua firma…», nicchiano dal partito.
Un parere legale chiesto a uno studio fiorentino rassicura il governo sulla solidità giuridica di una simile soluzione. Chi va rassicurata, però, è anzitutto la Commissione europea. Lo sa bene Raffaele Fitto: dalle sue interlocuzioni a Bruxelles sul piano di ripresa il ministro al Pnrr ha raccolto lo scetticismo dei commissari sui temporeggiamenti del governo, che nel decreto milleproroghe ha inserito il rinvio di due anni della messa a gara delle concessioni fino al 2025, inizialmente prevista per dicembre 2023.
Sul destino delle spiagge italiane incombe peraltro la procedura di infrazione già aperta dalla Commissione Ue contro l’Italia – quest’anno, a causa dell’inflazione, le multe europee costeranno a Roma il 20% di più – al centro dei rilievi del Colle, che ha promulgato con riserva il decreto milleproroghe.
Senza contare le peripezie giurisdizionali. Dalla pronuncia del Consiglio di Stato che ha chiesto di mettere a gara le concessioni fino all’attesissima sentenza in materia della Corte di Giustizia Ue.
(da Il Messaggero)
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