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INTERVISTA ALLA FONDATRICE DEL CENTRO ANTI-VIOLENZA KUSTERMANN: “LA LEGGE E’ CAMBIATA, LA CULTURA SULLO STUPRO NO”

Luglio 11th, 2023 Riccardo Fucile

LA GINECOLOGA CHE HA FONDATO IL CENTRO ALLA CLINICA MANGIAGALLI DI MILANO

Violenza sessuale, consenso, e il ruolo delle sostanze stupefacenti. Sono i temi che in questi giorni sono tornati al centro del dibattito pubblico, a seguito dello scoppio del caso che vede coinvolto Leonardo Apache, figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa. Il 19enne è indagato per l’accusa di stupro ai danni di una ragazza di 22 anni, che ha denunciato di essersi risvegliata la mattina dello scorso 19 maggio – in stato confusionale – nel letto di Leonardo, suo compagno di liceo. La 22enne, quel giorno, si è rivolta al centro Antiviolenze della Clinica Mangiagalli di Milano. E, stando a quanto appreso in questi giorni, i dottori hanno accertato la presenza di diverse lesioni.
Secondo una fonte delle Procura, «potrebbero essere compatibili con una violenza sessuale». Sugli aspetti giudiziari sarà la giustizia a fare il suo corso.
Ma qual è il percorso che si trova ad affrontare una ragazza (maggiorenne) che denuncia una violenza sessuale? Quali sono le violenze indirette che subisce dopo la denuncia? Come funziona la cosiddetta droga dello stupro?
Alessandra Kustermann, ginecologa che nel 1996 ha creato il centro antiviolenza pubblico SVSeD (Soccorso violenza sessuale e domestica) presso la clinica Mangiagalli e in prima linea per la difesa delle donne risponde assieme a Open agli interrogativi tornati al centro in questi giorni.
Nel 1996 dà vita al centro antiviolenza della Clinica Mangiagalli. A quale esigenza andava incontro all’epoca?
«Tutto è iniziato da un gruppo di ginecologhe che lavoravano nei consultori famigliari nella stessa clinica Mangiagalli. Sono stati fatti una serie di incontri per capire se fosse opportuno aprire un servizio che permettesse a chi aveva subito violenza sessuale di essere accolta nel modo migliore possibile. E così nel maggio del 1996, anno in cui è stato abolito lo stupro come reato contro la moralità pubblica, abbiamo inaugurato prima il centro antiviolenza pubblico e poco dopo il centro antiviolenza del privato sociale che – ancora oggi – dà supporto dal punto di vista economico, abitativo e legale. Il nostro ruolo è prima di tutto accogliere la donna in modo empatico e non giudicante. Si tratta di un servizio con psicologhe, assistenti sociali, ginecologhe, e medici legali. Ma le lesioni che riscontriamo nelle donne e nei bambini vittime di violenza sono molteplici e quindi chiediamo anche consultazioni con psichiatri, pediatri, otorinolaringoiatri e così via».
Cos’è cambiato dal ’96 , quando avete aperto il centro antiviolenza, a oggi?
«Quando abbiamo iniziato pensavamo che la maggioranza delle violenze sessuali avvenisse da parte di sconosciuti, ma poi ci siamo accorte che gli autori di questi reati sono principalmente partner, ex partner, amici, datori di lavoro, compagni di scuola o conoscenti. La percentuale di donne che arrivano da noi violentate da uno sconosciuto è minima. Dato che corrisponde anche alle statistiche nazionali elaborate dall’Istat, che dimostrano come la violenza da parte di uno sconosciuto riguarda il 6% delle violenze. Questo è un elemento fondamentale perché negli anni è cambiata la metodologia di intervento».
Le donne vittima di violenza sessuale che arrivano in clinica a Milano sono soprattutto giovani?
«Sì. La fascia d’età in cui avviene una violenza sessuale riguarda prevalentemente il range 18-34 anni. Va considerato, però, che da noi arrivano anche molti bambini. Ogni anno abbiamo circa un centinaio di abusi sessuali subiti da minori di 14 anni, e questo abbassa la media. Ma ciò non significa che ci sia un limite di età in chi subisce soprusi sessuali. Abbiamo anche donne di 90 anni violentate».
Qual è il percorso sanitario che deve affrontare una donna che denuncia una violenza sessuale?
«C’è da chiarire che in genere le donne arrivano prima in ospedale. È raro che denuncino senza prima essere pazienti. Le procedure sono diverse. Può esserci la necessità di intervenire con alcune pratiche contraccettive, con una terapia antibiotica o in alcuni casi si può arrivare anche a dare una terapia contro il rischio di contrarre l’Hiv. Questa è la parte forse meno faticosa per la donna. Poi iniziano altre pratiche, dove è innanzitutto necessario tenere presente che non si può visitare nell’immediato una persona che è appena stata violentata. Bisogna prima parlare con lei, conoscere le sue angosce e solo quando si è tranquillizzata procedere con la visita. Altrimenti è una seconda violenza. Tutto questo in media ha una tempistica di 3 ore. A questo punto iniziano i controlli sia a livello vaginale che livello generale. Fondamentale è la ricerca di lesioni sul corpo della donna. La letteratura ci dice che solitamente la presenza di una lesione potrebbe essere compatibile con un rapporto consenziente. Laddove ce ne fossero di più potrebbero invece essere frutto di una violenza».
A proposito di ulteriori violenze inflitte alla donna, in questi giorni si parla di vittimizzazione secondaria, ovvero la colpevolizzazione della vittima messa in atto da istituzioni e media. Quanto è realmente frequente?
«Basta pensare a quanto siano stati invasivi della privacy delle donne gli ultimi casi di cronaca. È come se la tua vita, quando decidi di denunciare una violenza sessuale, abbia il diritto di essere messa in piazza. È un fenomeno frequentissimo. La vittimizzazione secondaria viene fatta dai media. Ad esempio, quando negli articoli o nelle trasmissioni vengono forniti certi dettagli per descrivere le circostanze dell’aggressione. Sono traumatizzanti per la donna e fanno aumentare il suo senso di colpa. Ma viene svolta anche dalle forze dell’ordine e dalla magistratura. Spesso inconsapevolmente, ma avviene».
Spesso è il tema della droga assunta dalla vittima il centro di questa dinamica. Cosa ne pensa?
«Il fatto che la donna abbia assunto spontaneamente sostanze stupefacenti, anche ad esempio se l’ha accettata dall’uomo violentatore, si tratta di un’aggravante del reato di violenza sessuale. È importante ricordarlo: l’assunzione di droghe e alcol non rende meno grave l’abuso, ma lo aggrava».
Uso della droga dello stupro e violenze sessuali senza memoria: sono aumentati negli anni?
«Gli stupri senza memoria negli anni sono aumentati sempre di più. Se all’inizio degli anni 2000 ne vedevamo in clinica forse 5-6 in un anno, ora il numero si stabilizza tra i 70 e i 90. Succedono quando l’uso di droghe e alcol determinano un’amnesia retrograda, ovvero la ridotta capacità della donna di ricordare. Lo stupro senza memoria è molto più angosciante di quanto si possa credere, perché c’è un buco nero nella propria memoria e i racconti vengono fatti molto spesso da amiche o conoscenti che erano presenti. Quindi ricostruiscono la violenza nel tempo oppure si risvegliano sul pianerottolo di casa, spesso nude, o addirittura nel letto della persona che ha perpetrato la violenza. La cosiddetta “droga dello stupro” ha la peculiarità di essere un liquido incolore, inodore e insapore. Ma soprattutto scompare nel corpo nel giro di massimo 6 o 7 ore».
Quindi cercarne le tracce è quasi impossibile?
«È molto difficile cercare traccia di questo stupefacente nel sangue della donna violentata. Scadute le 6-7 ore non lo si ritrova più nel sangue o nelle urine perché si trasforma in un normale metabolita dell’organismo. E questo cosa significa? Che agli occhi delle analisi diventa parte di ciò che è normale trovare nel sangue di una persona».
Quanto è importante che le donne denuncino?
«Da parte nostra non c’è la volontà che la donna denunci a tutti i costi: è una sua scelta. È il corpo e la mente della donna ad aver subito la violenza, quindi deve decidere lei se vuole denunciare o meno. E soprattutto in quali tempi. A me sono capitate persone che hanno denunciato anche 10-11 mesi dopo la violenza. Solitamente lo fanno quando si sentono abbastanza forti da poter affrontare tutto, compresa la vittimizzazione secondaria».
E per la legge quanto tempo ha?
«Un anno di tempo. Questo è positivo: anche il legislatore ha ben chiaro che la scelta di denunciare non è una decisione semplice per la donna».
La donna che ha subito un abuso deve affrontare da un lato un percorso giudiziario e, dall’altro, il trauma psicologico. I tempi di uno e dell’altro combaciano?
«Negli anni mi si è sempre più confermata l’idea che i tempi della magistratura, delle indagini e dei processi non corrispondono ai tempi della donna. A volte il processo in primo grado dura un anno e mezzo, ma poi c’è il secondo grado e poi la Cassazione, senza contare che tutto può essere rinviato di nuovo all’appello. Sono anni e anni della propria vita in cui non si riesce ad uscire fino in fondo dal trauma della violenza. E ogni processo è un rivivere l’accaduto, anche perché non tutti sono preparati a interagire in modo corretto con una donna che ha subito violenza».
La violenza sulle donne fonda le radici in un grande problema culturale. Sotto questo profilo, a suo avviso, sono stati fatti passi in avanti negli anni?
«Dal punto di vista legislativo sono stati fatti molti passi avanti, prima con la legge contro la violenza sessuale del 1996 e poi con il Codice Rosso nel 2019. Cosa non è cambiato? La cultura degli uomini. Mi riferisco alla possessività di certi uomini in una relazione, ai maltrattamenti psicologici, fisici ed economici che ancora vengono messi in atto, alle donne che vengono continuamente insultate o svalutate nelle proprie capacità. E poi vorrei sia chiaro un elemento: non ci si può mai permettere di dire che una donna «se l’è cercata».
(da Open)

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LA RIVOLTA DEI GIORNALISTI DI RAINEWS: “CENSURE, TAGLI E OMISSIONI SUL CASO LA RUSSA”

Luglio 11th, 2023 Riccardo Fucile

L’AD SERGIO PRENDE TEMPO ANCHE SUL CASO FACCI… BENVENUTI NELLA TV DI REGIME MODELLO ORBAN

Un nuovo caso in Rai, nei giorni della bufera per il caso di Filippo Facci. Oggi è scoppiata la protesta dei giornalisti di RaiNews, che denunciano «servizi tagliati e pro-governo».
Giornalisti e sindacato accusano il direttore Paolo Petrecca, indicato da Fratelli d’Italia alla guida della testata. Come si legge in un durissimo comunicato del Cdr, l’organismo sindacale interno il casus belli è stata la cronaca sulla presunta violenza sessuale di Leonardo La Russa, corredata dalle dichiarazioni a difesa della ministra Roccella e dalle contestazioni sulla striscia di Filippo Facci. Al punto che l’autrice del pezzo «ha deciso di ritirare la firma» perché, denuncia il Cdr, «il testo è stato stravolto rispetto alla versione da lei scritta (dal testo sono stati eliminati ampi stralci di quanto accaduto)».
La nota del Cdr
«Secondo quanto riferito dalla line alla collega, le modifiche, che consistevano nel togliere i riferimenti alle polemiche, sarebbero state richieste dal direttore con la motivazione che non si trattava “di una notizia”» prosegue il comunicato. «Posizione ovviamente inaccettabile». Per questo il Cdr ha chiesto a Petrecca di motivare la sua decisione, «ma il direttore ha preferito scrivere alla collega e non rispondere al Cdr, manifestando, ancora una volta, il disprezzo per le regole sindacali».
La protesta va in scena mentre è ancora in bilico il destino di Filippo Facci. «Non è mia abitudine decidere sulla base di campagne politiche strumentali e emozionali. Non mi faccio trascinare da nessuno, motivo per il quale comunicherò la decisione presa assumendone la piena responsabilità, e comunque in tempi brevi» ha detto l’amministratore delegato della Rai Roberto Sergio questa mattina intervenendo in Consiglio di Amministrazione sulla vicenda che riguarda il giornalista Filippo Facci.
L’ad della Rai ha poi detto ai propri collaboratori, durante una pausa del cda: «Non mi sono giustificato questa mattina in Cda e non capisco di cosa dovrei giustificarmi. Ho ben chiara la situazione e come ho detto la mia decisione verrà resa nota a breve».
(da agenzie)

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TOGLIERE AI POVERI E DARE AI RICCHI

Luglio 11th, 2023 Riccardo Fucile

INFLAZIONE, COSI’ IL TAGLIO DEGLI AIUTI DECISO DA MELONI HA COLPITO SOPRATTUTTO LE FAMIGLIE PIU’ POVERE… L’ANALISI DELL’UFFICIO DI BILANCIO

Togliere ai poveri e dare ai ricchi. Si può riassumere così l’impatto delle decisioni prese dal governo Meloni su imposte, oneri generali di sistema e altri sostegni contro i rincari. Altro che scelte di “giustizia sociale“, come le aveva definite la premier a gennaio per smarcarsi dalle polemiche sulla mancata proroga del taglio delle accise. A descrivere i risultati della revisione al ribasso degli aiuti introdotti nel 2022 da Draghi è l’Ufficio parlamentare di bilancio, che nell’ultimo Rapporto sulla politica di bilancio dedica un capitolo alle conseguenze dell’inflazione sulle diverse fasce di reddito. I cui consumi sono ovviamente molto differenti: le fasce più basse spendono in proporzione di più per alimentari, abitazione e trasporti e dunque, in assenza di interventi pubblici, sono più colpite dagli aumenti dell’energia e del “carrello della spesa” che hanno segnato l’ultimo anno e mezzo.
La conclusione a cui arriva l’organismo indipendente che vigila sulle previsioni di finanza pubblica e sulle conseguenze dei provvedimenti governativi è che nel 2023, considerando gli interventi messi in campo finora dall’esecutivo, “viene meno l’effetto redistributivo delle politiche di mitigazione osservato nel 2022″ e “l’aumento dei prezzi dei beni non energetici e la ricomposizione del mix di politiche compensative producono effetti debolmente regressivi sulla spesa”. Tradotto: i nuclei più tartassati sono quelli con redditi più bassi. E infatti, come mostrano i grafici inseriti nel documento, chi sta nel primo decile – i meno abbienti – nel 2023 vede le proprie uscite aumentare del 6,9% e chi sta nel secondo del 6,1%, a fronte di un onere che si ferma al 5,6% per i più benestanti (decimo decile).
Il paradosso è che mentre i prezzi dell’energia (barre color magenta nel grafico sotto), molto diminuiti rispetto all’anno prima, contribuiscono a ridurre gli esborsi determinati ora soprattutto dagli altri beni (in rosa nel grafico), la variazione degli sconti tariffari (in grigio nel grafico) e dei trasferimenti monetari (in blu) risulta sottrarre risorse alle famiglie peggiorando la loro situazione. Con un impatto maggiore, in proporzione, per quelle più povere. Insomma: l’intervento dello Stato quest’anno ha ridotto il reddito disponibile invece che dare un po’ di respiro. Nel 2022, al contrario, l’effetto della crescita dei prezzi per le fasce più basse era stato contenuto in maniera sostanziale dalle misure di sostegno, che avevano ridotto i rincari a 2,6 punti per il primo decile contro i 4,9 di maggior spesa subìti dall’ultimo decile.
Al risultato contribuiscono, spiega l’Upb, “l’aumento della spesa energetica determinato di fatto dal ridimensionamento delle agevolazioni tariffarie che è maggiore per i decili più bassi”, il “minore effetto di riduzione dei prezzi energetici, che agisce meno sui decili più poveri”, “il venire meno della protezione offerta dai trasferimenti monetari sotto forma di indennità una tantum (particolarmente rilevante per i decili più bassi) che non è compensato dai nuovi maggiori benefici derivanti dalle misure considerate nel 2023 sullo stesso segmento di popolazione”, cioè il tanto vantato incremento della decontribuzione e la rivalutazione delle pensioni.
Il graduale ritiro degli aiuti sulle bollette era ovviamente inevitabile ed è stato consigliato dai maggiori organismi internazionali. Che però invitavano anche a mantenere i sostegni per le fasce più deboli. La riduzione delle accise sui carburanti, in particolare, era molto regressiva perché come aveva fatto notare lo stesso Ufficio parlamentare di bilancio andava soprattutto a vantaggio dei contribuenti più ricchi che tendono ad avere auto più potenti. Il punto è che il governo Meloni, invece di bilanciare meglio le misure privilegiando i trasferimenti riservati ai lavoratori con redditi medio bassi, è intervenuto con l’accetta. L’ultimo bonus una tantum (150 euro per chi avesse redditi inferiori a 20mila euro lordi annui) è stato quello varato subito prima delle elezioni da Draghi. I cui interventi di sostegno temporaneo hanno controbilanciato in senso progressivo l’effetto della riforma di aliquote e scaglioni Irpef, che aveva avvantaggiato soprattutto i redditi medio-alti e addirittura aumentato il rischio di povertà.
L’analisi è stata condotta con il modello di microsimulazione dell’Upb alimentato dall’indagine Istat sulle spese delle famiglie, integrata con le informazioni amministrative fiscali, contributive e assistenziali.
(da Il Fatto Quotidiano)

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ABODI SHAMING

Luglio 11th, 2023 Riccardo Fucile

IL MINISTRO DELLO SPORT SOVRANISTA DOVREBBE PREOCCUPARSI IN PRIMO LUOGO DEGLI ECCESSI DEGLI ETERO PRIDE

Il ministro con delega alla figuraccia del giorno è quello dello Sport, Andrea Abodi. Chiamato a commentare su Radio 24 il ritorno nel campionato italiano di Jakub Jankto, primo calciatore di qualche fama ad aver dichiarato pubblicamente la sua omosessualità, Abodi è partito esprimendo rispetto per le scelte personali. Poteva fermarsi lì, e invece no: «Se devo essere altrettanto sincero, non amo in generale le ostentazioni». Apriti cielo, anche perché se c’è una persona che non ha mai ostentato nulla, quella è Janko, che nel video del coming out si limitò pudicamente a dire che desiderava vivere la sua vita in libertà e con amore.
Anziché inghiottire il rospo delle critiche, il ministro ha avvertito il bisogno insopprimibile di precisare. Ormai abbiamo capito come uno dei guai di questo governo siano le precisazioni, il cui unico effetto è di peggiorare lo strafalcione originale. (Forse la Meloni dovrebbe nominare un sottosegretario unico alle precisazioni, purché non sia Sgarbi).
«Mi riferivo al Gay Pride», ha detto Abodi. Al Gay Pride? Ci faccia capire, ministro: il calcio è un mondo machista dove dai tempi di George Best i giocatori si fanno un punto d’onore di esibire la loro virilità e le collezioni di conquiste femminili, per non parlare delle continue allusioni alle sorelle e alle fidanzate degli avversari.
Se lei, come dice, «non ama le ostentazioni in generale», allora dovrebbe prima preoccuparsi di certi eccessi di Etero Pride.
(da Il Corriere della Sera)

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IMBARAZZO IN FRATELLI D’ITALIA

Luglio 11th, 2023 Riccardo Fucile

ALLA FESTA DEL PARTITO A ROMA INVITATO MEZZO GOVERNO, MA NON SANTANCHE’, LA RUSSA E DELMASTRO

Evitare imbarazzi e polemiche. E quindi la ministra del Turismo Daniela Santanchè, indagata dalla procura di Milano per la gestione della sua azienda Visibilia, e il presidente del Senato Ignazio La Russa, il cui figlio Leonardo Apache è accusato di violenza sessuale nei confronti di di una 22enne, non saranno a “Piazza Italia”, la festa della federazione romana di Fratelli d’Italia che inizia oggi pomeriggio fino a venerdì.
Non ci sarà nemmeno il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, per cui il giudice di Roma ha stabilito l’imputazione coatta per rivelazione di segreto.
Assenze che sono state notate nel partito di Giorgia Meloni visto che sul palco di piazza Vittorio si alterneranno i dirigenti più importanti di Fratelli d’Italia ma anche mezzo governo. Oggi la festa si aprirà con il responsabile organizzazione del partito e commissario a Roma, Giovanni Donzelli, e con il coordinatore regionale Paolo Trancassini. Poi il ministro della Salute Orazio Schillaci e i presidenti di Regione Francesco Rocca (Lazio), Marco Marsilio (Abruzzo) e Francesco Acquaroli (Marche).
Martedì invece interverranno i ministri Francesco Lollobrigida, Adolfo Urso e nei prossimi giorni Matteo Piantedosi, Gennaro Sangiuliano, Carlo Nordio, Raffaele Fitto e i sottosegretari Edoardo Rixi e Galeazzo Bignami.
Non quindi Delmastro, La Russa e Santanchè, coinvolti direttamente o indirettamente (il figlio del presidente del Senato) in tre casi giudiziari. Meglio evitare polemiche e domande scomode. E soprattutto uscite a vuoto, come quella di venerdì in cui il presidente del Senato ha colpevolizzato la presunta vittima dello stupro perché “aveva sniffato cocaina” e “denunciato 40 giorni dopo”. La Russa è stato silenziato da Meloni.
(da agenzie)

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LA LITE A SCUOLA, I CALCI ALLO SCOOTER, GLI INSULTI

Luglio 11th, 2023 Riccardo Fucile

TUTTA LA STORIA DI FILIPPO FACCI, DELL’EX COMPAGNA E DELL’ACCUSA DI STALKING

Il giornalista Filippo Facci ha detto in un’intervista a La Stampa che l’ex compagna che oggi lo accusa di stalking «era una No-vax e ha fatto prendere il Covid ai miei figli». Sostiene di aver reagito «solo via mail» nei confronti della donna, che di mestiere fa l’avvocata.
In realtà l’ammonimento del questore di Milano nei suoi confronti cita molte più vicende rispetto alle email (e agli sms).
Giuseppe Petronzi scrive di «reiterate molestie» e di «espressioni dal contenuto gravemente ingiurioso». Ma anche «lesive della dignità della persona e della sua origine territoriale».
In più oggi Repubblica racconta anche di un episodio davanti a una scuola che risale alle 3,30 del 17 marzo scorso. Nel quale sono intervenuti anche gli agenti. Ma nel frattempo il giornalista se ne era andato.
«Salutameli!»
Quel giorno la volante Monforte della Questura arriva all’esterno di una scuola media del quartiere Città Studi. La compagna di Facci è lì con un paio di commessi e anche due studenti. Il loro racconto verrà verbalizzato come testimonianza. Il giornalista, come detto, se ne è già andato. «Salutameli!», ha detto quando lei gli ha chiamato di aver chiamato i poliziotti.
I due avevano appena litigato dopo i colloqui con i professori. Il motivo dello scontro non è specificato. Ma c’è un accenno a scambi di battute sui rispettivi genitori. Forse a questo si riferisce la frase del questore sulla sua origine territoriale. Mentre Facci ha perso la madre da bambino. Quando lei sale sullo scooter, è la testimonianza, il giornalista dà due calci al carburatore del mezzo e una manata al casco. L’avvocata ha reagito con uno schiaffo.
Le liti dal 2019
Poi i presenti li hanno divisi e hanno intimato al giornalista di scusarsi. Senza successo. Ma le liti tra i due proseguivano dal 2019. Nel giugno di quell’anno un decreto della nona sezione civile del tribunale di Milano ha sancito la separazione dei due. E ha deciso l’affido congiunto dei due figli della coppia. Un ragazzino di 13 anni e una bambina di 6. L’episodio che scatena la decisione di rivolgersi al questore è quello della scuola. Ma nell’esposto l’avvocata segnala anche sms e mail pieni di insulti. Che sono rivolti in un paio di casi (e minacciosamente) alla madre dell’avvocatessa. I due litigano sull’educazione e sui periodi da trascorrere insieme ai figli. Non sembrano esserci accenni a vaccini Covid da fare ai figli.
L’episodio del 28 febbraio
Ma nell’esposto si racconta anche un episodio specifico. Risale al 28 febbraio scorso. Facci presenta la revoca dell’assenso all’espatrio dei due piccoli, alla vigilia di una vacanza della donna con il nuovo compagno. Da qui parte l’istruttoria della Divisione Anticrimine della Questura. L’istruttoria viene annullata. E Facci ammette di aver agito «per ripicca»: “Il Facci ammette in memoria che lo scopo era quello di impedire alla sola madre di trascorrere tempo di qualità con (i figli, ndr), non essendovi quindi da parte di Facci alcuna reale motivazione legata al superiore interesse dei minori”.
Le tesi difensive del giornalista, insiste il questore “non hanno sostanzialmente smentito i fatti come riferiti e documentati dalla parte istante”. E alla fine arriva l’ammonimento. Accompagnato ad intraprendere un percorso trattamentale per non ricascarci ancora.
Gli insulti
Il questore cita anche, tra le motivazioni del provvedimento, le reiterate molestie e gli insulti. Ovvero espressioni «dal contenuto gravemente ingiurioso, lesive della dignità della sua persona, delle sue capacità professionali, della sua origine territoriale». Tra le frasi: “idiota maleducata”, “put… parassita”, “sei ignorante e stupida”, “sei una str…”. Fino alla definizione di “sgraziatamente parvenu” a corredo della provenienza geografica dell’ex compagna. E a un’allusione alla morte dei tuoi genitori. Alla madre invece promette “di andare a prenderla a schiaffi”. Infine, il questore cita la “molesta interferenza nella vita privata e di relazione della richiedente”. Ovvero i riferimenti al nuovo compagno e alla vita affettiva della ex.
(da agenzie)

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CHI FREQUENTA CASA LA RUSSA? IL MISTERO DEL DEEJAY CHE AVREBBE PASSATO LA NOTTE CON LEONARDO LA RUSSA E LA RAGAZZA 22ENNE CHE LO ACCUSA DI STUPRO SI CHIAMA NICO E HA UN LEGAME DI VECCHIA DATA CON IL FIGLIO DEL PRESIDENTE DEL SENATO

Luglio 11th, 2023 Riccardo Fucile

TUTTI I COINVOLTI (COMPRESA L’ACCUSATRICE) FANNO PARTE DELL’ALTA BORGHESIA MILANESE: SI INCROCIANO NEI LOCALI DI ELITE, MA ANCHE IN VACANZA TRA FORMENTERA, LONDRA E SANTA MARGHERITA LIGURE

Più che difese argomentate, son difese a prescindere: «Lui? Sei sicuro? Ma se è uno che sta per i fatti suoi… Gli piace camminare per Milano, fare foto e girare video… Dico che è impossibile… C’ha in testa solo la musica, un’ossessione, ma ci crede e fa bene. A noi piace ballare mentre a lui piace far ballare. Semplice. Non lo sento da settimane, sarà via».
Non riceviamo conferma definitiva sul fatto che il soggetto in argomento, cioè il deejay ventenne dato per presente nell’appartamento dei La Russa e presunto autore insieme a Leonardo dello stupro contro la coetanea, sia lo stesso giovane del quale abbiamo parlato con un suo amico.
Ma che le identità coincidano è altamente probabile. Il rifiuto del diretto interessato, della famiglia e di una buona cerchia di conoscenti di rispondere alle nostre domande potrebbe avvalorare l’ipotesi di un coinvolgimento, da capire in quale misura.
Non bisogna però escludere scenari differenti. Uno dei «vantaggi» investigativi è dato dal fatto che ragioniamo su un gruppo unitario, nel senso che i ventenni hanno frequentato le superiori insieme, e in parte frequentano adesso l’università; si incrociano a Milano nella zona dei Navigli, sono ospiti di discoteche quasi elitarie come l’«Apophis», in Liguria hanno per base fissa e irremovibile l’iconica «Santa», ovvero Santa Margherita Ligure, all’estero capita loro di vedersi a Formentera per il divertimento e a Londra per proseguire gli studi.
Alta se non altissima borghesia, genitori con impieghi di rilevante peso (non unicamente) professionale, ramificate relazioni, ampie disponibilità economiche; in prevalenza sono figli unici che con i coetanei compongono una forte comunità, una tribù, anche intima, di condivisioni di segreti maggiori che in altri contesti giovanili; le sigarette (elettroniche) sono un vezzo più che un vizio; drammatico il tema delle droghe e dell’abbinamento con psicofarmaci; a unire i giovani, anche solidi legami con le mamme e i papà degli amici, al netto della frequenza di coppie separate; l’uso dei social network ha sì un ruolo ma senza sconfinare: una delle urgenze è esplorare il mondo.
Al proposito, tra le mete aumentano quelle arabe. Viaggi che appaiono estranei al deejay, ancorato all’operazione di conquista delle consolle dei locali milanesi. Non importa quali, basta salire in postazione. Gioia, rivincita per chi dubitava che ci sarebbe riuscito, anche se è un nome ancora non di grosso livello.
Nuove verifiche col personale dell’«Apophis» non hanno generato dettagli utili al rapporto tra il ragazzo e la medesima discoteca. Acclarato il legame con Leonardo La Russa, che risalirebbe negli anni; il circuito delle amiche della presunta vittima negherebbe di averlo mai incontrato in precedenza, il che però non risulterebbe veritiero in virtù delle incrociate conoscenze fra i ventenni. E pure fra gli adulti. Ci riferiscono infatti di riunioni di famiglia e di incontri collegiali negli uffici di avvocati «influenti», in preparazione dell’iter giudiziario. Con una rara, maniacale attenzione a ogni riga uscita sui giornali, anzi a ogni singola parola.
(da Il Corriere della Sera)

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L’INCONTRO TRA PUTIN E PRIGOZHIN AL CREMLINO, CINQUE GIORNI DOPO IL TENTATO GOLPETTO, DIMOSTRA CHE “MAD VLAD” NON PUO’ LIQUIDARE IL SUO EX “CUOCO”

Luglio 11th, 2023 Riccardo Fucile

PRIGOZHIN È LIBERO DI MUOVERSI IN RUSSIA COME MEGLIO CREDE.. LUKASHENKO AVEVA ANCHE SPIEGATO CHE ‘ALCUNI AL CREMLINO VOLEVANO FARLO FUORI’ MA QUESTO AVREBBE SCATENATO UNA GUERRA CIVILE

L’incontro tra Putin e Prigozhin al Cremlino è effettivamente avvenuto. Poco prima di ora di pranzo l’ha confermato Dmitry Peskov stesso, il portavoce di Putin. In maniera assai docile, Putin ha ricevuto i wagneriani e il loro capo, ascoltato le loro spiegazioni sugli eventi del 23-24 giugno, tutti si sono detti «sostenitori del capo della Russia, vogliamo continuare a combattere per la Madrepatria». E il presidente «ha offerto loro ulteriori opzioni di lavoro e di impiego nei combattimenti», dice Peskov.
Naturalmente, le cose sono più complesse di questo quadretto edificante. In primis perché la notizia è stata taciuta per dieci giorni. Peskov aggiunge solo che l’incontro è stato il 29 giugno, ed è durato tre ore. In realtà le cose sono più tortuose. E imbarazzanti, per il Cremlino.
Non solo Prigozhin è libero di muoversi in Russia come meglio crede, ma gli viene concesso direttamente da Putin.
Fonti di intelligence de La Stampa confermano che senz’altro Prigozhin non può essere al momento bandito da Putin, benché il presidente non sappia esattamente cosa fare di Wagner. L’altro giorno Lukashenko aveva già annunciato che Prigozhin non era in Bielorussia, «è a San Pietroburgo, forse è andato a Mosca», aveva detto.
Il dittatore bielorusso aveva anche spiegato che i servizi di sicurezza russi tengono presumibilmente d’occhio Prigozhin, e ammesso che sì, «alcuni al Cremlino volevano» (magari il generale Gerasimov, che ieri è riapparso per la prima volta dopo il tentato golpe, in un video della Difesa), ma questo avrebbe scatenato una guerra civile. Lukashenko aveva anche ammesso che era probabile che Putin avesse ammorbidito il suo atteggiamento nei confronti di Prigozhin.
La forza di riserva Wagner è insomma tutt’altro che smantellata. Il commento migliore di tutta la vicenda è, per ora, quello del criminale di guerra russo Igor Girkin, condannato a L’Aja per l’abbattimento dell’aereo malese sul Donbass, nemico giurato di Prigozhin: «Sto aspettando notizie su come Vladimir Vladimirovich incontra il comando del reggimento Azov e ascolta la loro versione della battaglia per Mariupol».
(da La Stampa)

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“ECCO TUTTE LE BUGIE DI SANTANCHE'”: QUOTE, RUOLI OPERATIVI E MAXI-COMPENSI

Luglio 11th, 2023 Riccardo Fucile

REPORT SMENTISCE LA MINISTRA: “TRA IL 2014 E IL 2018 HA INCASSATO 400.000 EURO ALL’ANNO MENTRE LA SOCIETA’ PERDEVA 7 MILIONI”

Daniela Santanchè, indagata dalla Procura di Milano per falso in bilancio e bancarotta fraudolenta, smentisce se stessa. O meglio, l’imprenditrice smentisce la ministra. In un impietoso fact checking, alla lettera «verifica dei fatti», la trasmissione d’inchiesta Report, condotta da Sigfrido Ranucci, ieri sera su Rai 3, ha messo a confronto le azioni concrete di Santanchè a Visibilia e dintorni e le sue dichiarazioni in Senato.
Emergono numerose ed evidenti contraddizioni. A partire dalla sua affermazione a Palazzo Madama, il 5 luglio scorso: «La mia partecipazione in Ki Group srl non ha mai, ripeto mai, superato il 5 per cento». Peccato che la società sia di proprietà di Ki Group spa, che a sua volta è controllata da Bioera. E il bilancio 2013 rivela che Daniela Santanchè possedeva il 14,9 per cento di Bioera tramite la D1 Partecipazioni, un’altra holding in cui lei è socia con l’ex fidanzato Alessandro Sallusti.
Sempre in Senato la ministra del Turismo ha dichiarato di essere entrata in Ki Group esclusivamente per supportare il figlio Lorenzo Mazzaro. Ma nel 2013 il ragazzo aveva solo 17 anni e non lavorava. E invece in quell’anno le aziende della Santanchè del gruppo Visibilia, che già non navigavano in acque tranquille, venivano finanziate da Bioera, e quindi con i soldi di Ki Group, per 1 milione e 300 mila euro finalizzato a un aumento di capitale.
La ministra, poi, nega di aver avuto un ruolo in Ki Group srl. Ma viene tradita dal bilancio 2014 che dimostra che già allora era la presidente della Ki Group spa, la controllante. Dai bilanci si evince inoltre che ha spalleggiato l’ex fidanzato Canio Mazzaro fin dall’inizio dell’impresa del biologico, assumendo nel 2012 la presidenza di Bioera, carica che conserverà anche negli anni successivi.
E ancora: Santanchè ha ribadito che i suoi compensi non sono mai stati superiori a 100 mila euro lordi all’anno, tra il 2014 e il 2018, mentre documenti interni attestano che ha incassato oltre 400 mila euro lordi all’anno anche quando la società perdeva 7 milioni di euro.
Viene inoltre smentita anche a proposito dei dipendenti licenziati senza liquidazioni: lei nega di essere stata operativa in azienda all’epoca dei fatti, ma come si legge nel bilancio 2021 di Ki Group srl il licenziamento della quasi totalità dei dipendenti risale al 2021-2022, quando Daniela Santanchè era perfettamente operativa all’interno dell’azienda.
La ministra ha respinto l’accusa relativa al fatto che la dipendente Federica Bottiglione, che lavorava mentre era in cassa integrazione a zero ore, fosse all’oscuro della sua situazione contrattuale e ha negato che abbia lavorato in cassa integrazione. Ma la verità raccontata da Bottiglione di fronte alle telecamere è completamente opposta. «Non sapevo di essere in cassa integrazione a zero ore. Durante il Covid ho sempre lavorato. Soprattutto perché il mio ruolo di responsabile affari societari e investor relator è obbligatorio in Borsa, è quella persona che dà comunicazioni al mercato, e non si può smettere di darle se si è quotati». La donna veniva pagata, a sua insaputa, a rimborso chilometrico nonostante durante il Covid nessuno si potesse spostare: «Né poi ricevevo le buste paga nei tempi in termini di legge. Il 24 giugno 2020 ho ricevuto le buste paga del semestre. In realtà loro mi hanno sempre pagata. Però mi sono accorta poi sempre andando al Caf che questi pagamenti risultavano come rimborsi spese. E quando ho chiesto spiegazioni mi hanno detto “sono come per gli altri, facciamo rimborsi spese chilometrici”. E a quel punto ho detto “ma c’è stato il Covid, nessuno girava, dove sono andata?”». Federica Bottiglione guadagnava mille euro al mese, mentre Canio Mazzaro che ricopriva il suo stesso ruolo in Ki Group e Bioera aveva anche una casa pagata a 10 mila euro al mese.
Un autentico mistero è anche il fondo arabo Negma. Secondo la ministra ha portato benefici agli azionisti di Visibilia, ma nei fatti nel giro di tre anni, dopo il finanziamento Negma, il valore delle azioni è crollato da 90 euro a 10 centesimi nel 2022. Eppure Santanchè insiste che dal gennaio 2023 il titolo di Visibilia è cresciuto del 500 per cento. Ma viene contraddetta dall’azionista di minoranza di Visibilia, Giuseppe Zeno, che a Report dichiara: «È una cosa ridicola questa, perché il titolo viene giù da 40 euro, è arrivato a 0,20. Quindi adesso da 0,20 a 0,60 è ridicolo dire che abbia avuto una ripresa del 200% perché siamo sempre sotto del 90%».
Come affronterà i debiti di Visibilia? In Senato la ministra ha assicurato: «Ho messo a disposizione il mio patrimonio». Parole al vento per il perito della Procura di Milano che nella sua relazione boccia la considerazione perché «troppo generica». Insufficienti paiono infatti, come garanzie, l’immobile di lusso di Milano e il Twiga, lo stabilimento per vip a Marina di Pietrasanta, di cui ha ceduto le quote al fidanzato Dimitri Kunz (anche lui indagato) e a Flavio Briatore. Per non parlare del rischio di un possibile conflitto di interessi, considerato che il governo dovrà mettere all’asta le concessioni balneari.
(da La Stampa)

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