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INTERVISTA A PASQUALE TRIDICO: “IL GOVERNO E’ IN GUERRA CON I POVERI, L’ATTACCI DI FRATELLI D’ITALIA NON MI FA PAURA”

Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile

L’EX PRESIDENTE DELL’INPS: “HO EVITATO FRODI PER 11 MILIARDI. E ORA SUBITO IL SALARIO MINIMO”

Secondo Pasquale Tridico basterebbe prendere la giornata di venerdì per dimostrare che il governo sta portando avanti «politiche di classe».
Nello stesso giorno, infatti, in cui è stato comunicata a duecentomila persone la fine del reddito di cittadinanza, è arrivata la notizia della proroga per della data ultima per il versamento della tassa sugli extraprofitti da parte delle società energetiche, «che hanno contribuito all’aumento dell’inflazione», e anche la cancellazione sanzioni penali alle aziende che collaborano con il Fisco.
Per l’ex presidente dell’Inps, si tratta di «messaggi sbagliati che rivelano la natura di questo governo: forte con i deboli e deboli con i forti».
In un’audizione del 18 maggio davanti alla commissione Affari sociali, sanità e lavoro, Tridico ha messo in fila le sue perplessità riguardo alla riforma di uno strumento «che ha combattuto la povertà». La destra lo attacca e ieri il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti, ha proposto l’istituzione di una commissione d’inchiesta sui mancati controlli al reddito di cittadinanza.
Tridico, la maggioranza le chiede di rispondere in Parlamento degli abusi del reddito di cittadinanza, è pronto?
«Non ho niente da temere».
Il fatto che il reddito venga tagliato a centinaia di migliaia di persone non dipende anche dagli errori di questi anni?
«C’è stata una narrazione volutamente fuorviante. Sotto la mia gestione ho creato una direzione antifrode che non è mai esistita prima».
I controlli sono serviti?
«È stata la misura più controllata di sempre».
Ha delle cifre?
«I controlli preventivi e successivi hanno evitato mancati esborsi del reddito a circa tre milioni di domande tra il 2019 al 2022, per un valore di 11 miliardi di euro non pagati».
Che parte degli assegni finisse a luglio era noto, cosa è stato fatto nel frattempo?
«L’Inps sta facendo il suo lavoro, informando le persone, ma non siamo pronti: da settembre le domande saranno condizionate alla partecipazione a corsi di formazione, che però non sempre sono partiti o non sono efficaci».
Il governo dice: i più deboli saranno tutelati.
«I primi a perdere il sussidio sono quelli che lavorano, i cosiddetti lavoratori poveri, e questo è un messaggio brutto che diamo a chi si sta impegnando, ma guadagna poco. L’unico strumento contro la diseguaglianza e di contrasto alla povertà viene abolito e queste persone resteranno senza un sostegno, in un periodo segnato da un’inflazione molto alta. La gran parte di questi duecentomila cittadini è poco scolarizzata» .
Cosa è stato fatto in questi mesi?
«L’Inps si occupa dei pagamenti, il problema sono le politiche attive. La situazione si è anche aggravata negli ultimi mesi: l’Anpal (l’agenzia per le politiche attive ndr) è commissariata in vista di un assorbimento nel ministero del Lavoro. La riforma non prende piede, sono molto stupito. Proprio ora che si punta sulle politiche attive» .
Cosa succederà dal primo gennaio?
«Altre 350 mila persone perderanno il sussidio e il nuovo “assegno di inclusione” sarà destinato solo a disabili, anziani e minori».
Cosa c’è di sbagliato?
«È illogico perché esiste già un sussidio per i disabili, per gli anziani poveri, l’assegno sociale, e per i minori, l’assegno unico. Se non basta, e io sono d’accordo, aumentiamo gli assegni. Ma il contrasto alla povertà non riguarda solo queste categorie, ma i poveri, compresi alcuni lavoratori».
A proposito di lavoro povero: il salario minimo serve?
«È necessario. La contrattazione non è più efficace come in passato. Prima della pandemia i salari hanno perso il 2,9%. Il Covid ha aggravato la situazione. E, infine, l’inflazione, negli ultimi due anni, ha ridotto il potere d’acquisto del 15%. Per i lavoratori dei servizi, i più numerosi, la contrattazione è uno strumento insufficiente».
Chi è più penalizzato dall’abolizione del reddito di cittadinanza?
«Le donne, che rappresentano il 53% dei percettori totali e sono la maggioranza di quelli che lo perderanno. Servirebbe un sistema flessibile».
Cosa vuol dire un sistema flessibile?
«Nel gennaio ’21, in pieno Covid, abbiamo avuto 4, 5 milioni di percettori, perché in molti si erano impoveriti. E già a dicembre 2022, erano diventati 2, 5 milioni. Questo significa che lo strumento segue l’andamento dell’economia. Se domani tornasse una situazione del genere non si potrebbe fare domanda, almeno di non appartenere a quelle tre categorie, perché quello di oggi è uno strumento rigido».
Fratelli d’Italia si è presentato in campagna elettorale proponendo l’abolizione del reddito di cittadinanza e gli elettori si sono espressi.
«Sì, ma una volta arrivati al potere, si sono resi conto che quella era una promessa propagandistica. Così, hanno introdotto qualcosa che potesse essere accettata dall’opinione pubblica: lasciare il reddito per disabili, anziani e minori. Gli altri muoiano pure di fame. Quindi la riforma non è ispirata a un principio di razionalità, ma è un rimedio per non perdere la faccia».
Cosa succederà adesso?
«In Italia, specie al Sud, ci sono persone che, a volte lavorando, entrano in povertà. A un senzatetto di 50 anni della stazione di Porta Nuova togliamo il sussidio perché è occupabile? C’è una condanna dei poveri e non della povertà, una cosa che mi fa paura».
Come se lo spiega?
«Un Paese avanzato ha bisogno di un reddito minimo, come dividendo sociale, specie davanti a un mercato che espelle i lavoratori. La Commissione europea spinge per un reddito minimo universale. I Paesi avanzati fanno questo, noi andiamo nella direzione opposta».
La deroga al pagamento delle imposte degli extraprofitti e la cancellazione delle sanzioni penali alle aziende che collaborano con il fisco cosa indicano?
«La Bce e il Fmi dicono che questi extraprofitti contribuiscono all’inflazione, eppure arriva la moratoria. Poi si premiano gli evasori, consentendo dei condoni di fatto. Nelle stesse ore si toglie il reddito di cittadinanza a 200 mila persone. È una politica di classe che contrasta con i principi di uguaglianza della nostra Costituzione».
È vero che lei si candiderà alle Europee con il M5S?
«Mi candido solo a fare il professore, da settembre riparte il mio corso».
(da La Stampa)

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SONDAGGIO GHISLERI: IL 74% DEGLI ITALIANI E’ PREOCCUPATO DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO, IL 70,8% DEL CAROVITA

Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile

FDI E’ SCESO AL 27,2%

Si registra una ricaduta sulle percentuali del consenso nelle intenzioni di voto che mostrano Fratelli d’Italia ancorato al 27.2% – come 10 giorni fa-, 1.2% sopra il risultato elettorale del 25 settembre 2022 e 3 punti percentuali al di sotto della soglia psicologica del 30%. Un dato stabile, ma che ha subito una perdita del 2% nell’arco di un mese.
Oggi, ad esempio, il 70.8% degli italiani denuncia un impatto significativo sul costo della vita familiare a causa dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari. È una segnalazione trasversale, senza una particolare ubicazione geografica e politica
Le difficoltà in campo sono molteplici e le indicazioni dei cittadini sollecitati nel merito spaziano dall’inflazione, sempre in prima posizione nella classifica, alla gestione immigrazione, alle tasse , alle infinite liste di attesa per poter accedere ad un esame per la tutela della propria salute.
Le persone nell’elencare tutte le problematicità non dimenticano i temi legati alla sicurezza, alla gestione dei fondi Pnrr e la guerra in Ucraina che sembra non avere una fine, tuttavia al centro del dibattito è tornato il cambiamento del clima e l’azione dell’uomo sul territorio dopo gli eventi che hanno flagellato tutto il Paese da Nord a Sud proprio in questi giorni.
Per il 74.1% degli intervistati si può parlare di un’emergenza climatica e per il 74.3% l’azione e il comportamento dell’uomo di questi anni hanno inciso in maniera seria sulle conseguenze che ne sono derivate a cose e persone. Anche in questo caso le opinioni dominanti risultano essere trasversali: dalla maggioranza alle opposizioni, da Nord a Sud e dai giovani agli over 65+, con qualche singola eccezione al ribasso.
La storia degli ultimi anni ci ha insegnato che questo capitolo, fondamentale per la nostra sopravvivenza, rischia di diventare impalpabile e ininfluente dal punto di vista elettorale non appena le emergenze del territorio e del tempo finiranno e la “finta normalità” tornerà ad essere presente nella vita di tutti i giorni.
Più facilmente si offriranno spunti per colpire le scelte europee accendendo il dibattito politico e la campagna elettorale per le elezioni europee. Si vedranno in campo le diverse fazioni pro e contro contrapponendosi frontalmente e proponendo ognuno le sue ricette salvifiche. In Europa, in effetti, gli argomenti ambiente e clima sono particolarmente sentiti e considerati come vere priorità.
Le indicazioni su cui si vota sono spesso contro gli stili di vita e le quotidianità dei cittadini, che in molti casi hanno anche protestato disertando le urne. Come popolo non possiamo farci prendere alla sprovvista ed inseguire solo le emergenze, ma tutelare la terra significa investire su dei piani di prevenzione che, sappiamo bene portano pochi voti. E il dubbio rimane sempre: nell’interesse di chi?
(da La Stampa)

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“STUPRATORI IN CAMPO NON LI VOGLIAMO” – LE FEMMINISTE DI “NON UNA DI MENO” PROTESTANO IL TRASFERIMENTO ALLA REGGIANA DI MANOLO PORTANOVA, CONDANNATO A SEI ANNI PER VIOLENZA SESSUALE DI GRUPPO

Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile

IL CASO STA SCUOTENDO REGGIO EMILIA, CON GLI ULTRAS E ALTRI TIFOSI SI SCHIERANO DALLA PARTE DEL CALCIATORE… NEL FRATTEMPO, IL CLUB ASPETTA IL PRONUNCIAMENTO DEL TRIBUNALE DEL CONI PRIMA DI DEPOSITARE IL SUO CONTRATTO… IL SINDACO: “LA SITUAZIONE È PESANTE”

Il caso Portanova sta scuotendo Reggio Emilia. Il sindaco Luca Vecchi ammette che la situazione è pesante, ma non va oltre. La sua giunta si è già espressa. Due assessori donne, allo Sport e alle Pari opportunità, hanno sottolineato quanto in città siano fortemente radicate “la cultura, la sensibilità e la consapevolezza della nonviolenza, del contrasto alla violenza maschile sulle donne, della parità tra i generi”.
Manolo Portanova, figlio d’arte, 23 anni, è un centrocampista del Genoa che lo scorso dicembre in primo grado è stato condannato a sei anni di reclusione con rito abbreviato (altrimenti sarebbero stati nove) per violenza sessuale di gruppo.
L’episodio si sarebbe consumato a maggio 2021 in un appartamento di Siena. Il 18 luglio la Reggiana, promossa a metà aprile dalla Lega Pro in Serie B, l’ha ingaggiato. Può giocare a pallone un condannato per stupro in via non definitiva? Eccolo qui il domandone. Talmente complesso che perfino il club granata dice d’essersi messo alla finestra.
Il Coni deve decidere sul tesseramento
Ecco perché sinora il pallone non rotola, nel senso che prima di depositare in Lega il contratto (un anno, in prestito dal Genoa), la Reggiana attende il pronunciamento del tribunale del Coni che, in merito all’articolo 4 del codice di giustizia sportiva (che disciplina i principi di lealtà, correttezza e probità), dovrebbe dire la sua fra martedì e mercoledì.
In caso di parere positivo Portanova sarà tesserato, in caso contrario no. Gli ultras reggiani si sono schierati subito dalla parte del giocatore, contrariamente a quanto capitò a Bari all’inizio dell’anno, quando il prestito in biancorosso saltò per l’opposizione pubblica. E anche al Genoa Portanova pur senza formalmente finire fuori squadra, non giocava più dopo la sentenza. Ora invece la stragrande maggioranza della tifoseria di Reggio Emilia sta con lui. Epperò a ribellarsi non sono pochi.
Ma intanto l’associazione femminista “Non una di meno” ha promosso un sit in di protesta in piazza Prampolini tenutosi il 21 luglio. «Te lo buco ‘sto patriarcato: stupratori in campo non ne vogliamo», era lo slogan. Il cantante Max Collini, reggiano doc, sostiene che “per un vantaggio economico si passa sopra a tutto il resto, ma io non ce l’ho col giocatore, ancora sotto processo, quanto con l’imprudenza della Reggiana”.
Ha preso posizione anche Nicole Ferrarini, figlia di un ex presidente della società e attualmente a capo del centro coordinamento dei clubs: “Avrei preferito vederlo alla Reggiana a processo finito perché le accuse che pesano su di lui sono molto gravi”.
(da agenzie)

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L’ALLARME DEL SEGRETARIO ONU: “L’EMERGENZA CLIMATICA CAUSA CRISI ALIMENTARI E AUMENTA LE MIGRAZIONI: BISOGNA AGIRE SUBITO”

Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile

“DOBBIAMO INVESTIRE IN MODO GLOBALE PER AFFRONTARE I FATTORI TRAINANTI DELLE MIGRAZIONI FORZATE”

«Siamo passati dall’era del riscaldamento globale all’era dell’ebolizione globale. E bisogna agire ora, i leader non hanno più scuse».
Sono le parole del segretario generale dell’Onu Antonio Guteress parlando a New York. Il tema dei cambiamenti climatici non si limita meramente alle condizioni climatiche e agli eventi estremi a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni, non solo in Italia.
La questione climatica ha impatto su più fronti, tra cui – solo per citarne alcuni – la salute fisica e psicologica individuale e collettiva, il lavoro e le condizioni di lavoratori e lavoratrici, la mobilità individuale e i fenomeni migratori, l’aumento della possibilità che si sviluppi una crisi alimentare globale, e tanti altri ancora. Il mese di luglio è stato il mese più caldo mai registrato nella storia, per ora.
Malgrado ciò, Guteress tiene il punto e, in un’intervista a Repubblica, sottolinea che è ancora possibile frenare l’aumento delle temperature, se si riuscisse a raggiungere l’obiettivo del taglio delle emissioni di carbonio del 45% entro il 2030, limitando l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius. E, come ribadito dal presidente Mattarella nei giorni scorsi, è necessario che «si assuma piena consapevolezza che siamo in ritardo sui cambiamenti climatici» e, di conseguenza, su tutte le questioni che ruotano attorno al tema.
A complicare questo quadro ci sono poi le guerre, come l’offensiva russa contro l’Ucraina, e le singole decisioni dei leader, come quella del presidente russo Putin di far uscire la Russia dall’accordo sul grano, rischiando di alimentare ulteriormente la crisi alimentare già in atto in altri Paesi e che è strettamente collegata ai fenomeni migratori.
La crisi alimentare
Guteress, nel corso dell’intervista, sottolinea che «i sistemi alimentari globali sono in crisi, e miliardi di persone ne pagano il prezzo. I Paesi hanno presentato percorsi sulla trasformazione e condiviso i progetti. Ma dobbiamo fare molto di più, molto più velocemente. Questa urgenza si è riflessa nel mio invito all’azione, costruito attorno a sei obiettivi chiave: dall’integrazione delle strategie dei sistemi alimentari nelle politiche nazionali, all’istituzione di una governance che riunisca i settori pubblico e privato, le comunità e società civile». Il tutto garantendo «finanziamenti accessibili a lungo termine, anche attraverso la riforma dell’architettura finanziaria internazionale e il rafforzamento delle banche multilaterali di sviluppo». Il segretario dell’Onu ha poi sottolineato che «la trasformazione dei sistemi alimentari è fondamentale anche per porre fine alla guerra insensata contro il nostro pianeta».
La Black Sea Initiative e l’impatto dell’uscita della Russia dall’accordo
Guteress, a chiare lettere, aggiunge: «Deploro profondamente la decisione della Federazione russa di porre fine all’attuazione della Black Sea Initiative», sottolineando di essere «profondamente deluso» dal fatto che grazie alla Black Sea Initiative, nell’arco di 12 mesi, è stato possibile consentire «l’esportazione sicura di quasi 33 milioni di tonnellate di cibo dai porti ucraini del Mar Nero verso 45 Paesi». E il numero uno dell’Onu precisa: «Togliere milioni e milioni di tonnellate di grano porta a prezzi più alti. Questi ultimi saranno pagati da tutti, in particolare dai Paesi in via di sviluppo e dalle persone vulnerabili, ma anche da quelli sviluppati». «Molte comunità sono a un passo dalla carestia, e questo quadro terribile è diventato più cupo con la fine della Black Sea Intiative da parte della Russia», ha proseguito Guteress, che ha ribadito il proprio impegno a «facilitare l’accesso senza ostacoli ai mercati globali di prodotti alimentari e fertilizzanti sia dall’Ucraina sia dalla Federazione Russa, e a garantire la sicurezza alimentare che ogni persona merita». L’obiettivo resta quello di «trovare nuovi modi per investire in sistemi alimentari che raggiungano ogni persona», perché «affamare i sistemi alimentari di investimenti significa affamare le persone».
I fenomeni migratori
Quanto ai fenomeni migratori, Guteress spiega di aver avuto una «discussione molto positiva e seria» con la premier Giorgia Meloni e, prosegue, «abbiamo convenuto che nessun Paese da solo può affrontare una simile sfida umanitaria. Non può essere solo un problema italiano. È fondamentale che vi sia un’azione coordinata all’interno dell’Unione Europea». E il numero uno dell’Onu precisa: «I membri dell’Ue devono lavorare assieme per limitare le cause profonde delle migrazioni irregolari, e migliorare i vantaggi di una migrazione regolare ben gestita per i paesi di destinazione e per i migranti stessi», perché «le rotte del Mediterraneo, e altrove, sono in mano ai trafficanti di esseri umani: una situazione che non può reggere», perché le tragiche conseguenze sono evidenti». E, concludendo, Guterres dichiara: «Dobbiamo investire in modo massiccio e globale per affrontare i fattori trainanti delle migrazioni forzate: clima, insicurezza alimentare, governance e altri. È essenziale offrire opportunità affinché le persone possano vivere dignitosamente nei propri Paesi».
(da agenzie)

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ATTACCO CON DRONI SU MOSCA, DANNEGGIATI DUE GRATTACIELI

Luglio 30th, 2023 Riccardo Fucile

I PATRIOTI UCRAINI STANNO DIMOSTRANDO DI POTER COLPIRE ANCHE LA CAPITALE

Tre droni hanno colpito la città di Mosca, a 500 chilometri dal fronte della guerra con l’Ucraina, nella notte di domenica 30 luglio. Secondo quanto riferisce il ministero della Difesa russo, che attribuisce l’attacco alle forze ucraine, uno di essi è stato abbattuto alla periferia della città, sopra il territorio del distretto di Odintsovo, mentre gli altri due sono stati neutralizzati «dalla guerra elettronica» e si sono poi schiantati contro due grattacieli del centro.
«I droni ucraini hanno attaccato stanotte. Le facciate di due torri degli uffici della città sono state leggermente danneggiate», ha scritto su Telegram il sindaco Sergei Sobyanin. Nell’esplosione sarebbe rimasto leggermente ferito un addetto alla sicurezza.
L’agenzia di stampa russa Tass riferisce che «sono stati distrutti i vetri del quinto e sesto piano dell’edificio IQ, di 50 piani, e così quelli dal primo al quarto piano nella torre Oko-2».
Durante l’attacco è stato chiuso lo spazio aereo su Mosca e sono stati sospesi gli arrivi e le partenze di voli dall’aeroporto internazionale di Vnukovo, con gli aerei che sono stati indirizzati su altri scali.
Diverse ore prima le forze armate ucraine avevano attaccato il ponte di Chonhar, che collega l’Ucraina alla penisola di Crimea occupata dai russi, come rivendicato dai militari di Kiev sul canale Telegram “Crimean Wind”.
(da agenzie)

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VIAGGIO IN SICILIA, DOVE NON SI PUO’ ARRIVARE NE’ PARTIRE

Luglio 29th, 2023 Riccardo Fucile

CATANIA, CAPITALE DEL CENTRODESTRA, E’ BLOCCATA E IRRAGGIUNGIBILE

Hanno risolto il problema: insieme ai voli hanno dirottato la lingua italiana. In Sicilia non si dice ho “preso” il treno o l’aereo. Qui, aerei e treni, si “trovano”.
Seduta sopra un bus, sul traghetto Caronte, tra Villa San Giovanni e Messina, la professoressa Mara Conte riconosce che “siamo stati fortunati. Abbiamo trovato un treno. Almeno uno”. Almeno. E’ il treno veloce 8191, Italo, Roma Termini-Reggio Calabria, con successivo collegamento navetta fino a Catania.
Sono otto ore e venticinque minuti di viaggio. Saranno nove alla fine. Al momento, questa, è la modalità più veloce, e sicura, per raggiungere la Sicilia. Il compagno di Mara, Salvo, anche lui professore, dice che “abbiamo il climatizzatore. Almeno. E c’è pure il cavo per ricaricare il telefono”. Almeno.
Dal 17 luglio, dopo un incendio all’aeroporto di Catania Fontanarossa, una scintilla di una stampante Canon, che ha provocato la chiusura dello scalo e una riapertura, parziale, da guerra, come se fossimo a Saigon, sui tetti, esiste un’isola Montecristo e una città che sembra la gemella di Tripoli.
Si fa bagarinaggio di biglietti. Si traffica con gli autisti come i migranti in Libia. Si prega per avere l’elettricità. Il 26 luglio 2023, in Sicilia, a Palermo, la corrente elettrica è mancata per 18 ore. Ovviamente è stato chiuso anche l’aeroporto di Punta Raisi. Si atterra a Catania, a diopiaccennu, ma le possibilità concrete di arrivarci sono solo il 10 per cento. Al trenta per cento vi dirottano su Trapani, al trenta su Palermo (con la variabile del black out), al trenta per cento il volo viene cancellato, mentre siete al gate di partenza. Rimane un dieci per cento. Dieci. Almeno.
Il Terminal aereo di Catania è di fatto composto da tende assemblate dalla Protezione Civile e Aeronautica militare. L’orario dei pochi arrivi e delle poche partenze è segnalato dai tabelloni, ma i tabelloni nessuno li può consultare perché la struttura è a ingresso contingentato, causa caldo: fino a 48 gradi. Mara, ancora, mentre Samir, studente di ingegneria, dorme, ci mostra video di cavi elettrici che prendono fuoco: “Guarda, da soli. Il caldo. E poi c’è la cenere, l’Etna”. Se volete giustamente sapere, come mamma Simona, “mi perdoni, solo sapere se mio figlio è atterrato in qualche aeroporto”, dovete rivolgervi ai dipendenti che con un foglio di carta, impastato e sudato, gestiscono il triage. Pochi giorni fa è saltato il sito web dell’aeroporto, il server, in concomitanza con quello dell’aeroporto di Palermo. Si sono spenti in coppia. Almeno lo hanno fatto abbracciati.
A Catania si sta sperimentando un aeroporto ambulatorio. Il prossimo passo sarà allungare la camicia bianca dei dipendenti e saranno medici a tutti gli effetti: “Signora, suo figlio è atterrato a Trapani. Tutto bene”. E’ atterrato. Almeno. Ed è vero. Tutto bene. Non ci sono risse. Tutto composto, rassegnato. Almeno. Trapani è dall’altra parte dell’isola e per arrivarci servono cinque ore di auto. E’ la parte di Sicilia dove stanno girando mazzette di contanti come nelle scene della Casa di Carta. Gli sceneggiatori, che ci avevano visto lungo, hanno dato come nome, a uno dei personaggi, quello di Palermo.
Il tocco d’artista sarebbe stato chiamare l’attore Trapani. Trapani-Catania, e viceversa, in taxi, costa fino 500 euro, tariffa media. Gli autisti, quelli “liberali” si fermano a 420 euro, come precisa Francesco M., che è liberale abusivo. Pure lui dirotta la lingua. Si definisce un privato. Esibisce un blocchetto di ricevute da cartoleria: “Mbare, compare, io faccio le ricevute. Chiaro, diverse, ma tu la utilizzi. Ti rimborsano, scientifico. Io non me ne approfitto, mbare”.
In quale paese sviluppato una scintilla di una stampante, di una società di autonoleggi, riesce a far chiudere un aeroporto, il Terminal A, che si definisce internazionale?
Oltre 11 milioni di passeggeri, 540 dipendenti, 9 milioni di utili, 112 destinazioni, di cui 88 internazionali (c’è perfino il Catania-Abu Dhabi). Il 26 luglio, sul portale di Ita, il volo Roma-Catania non è acquistabile. Il primo disponibile è per sabato e costa 525.99 euro. Solo andata. Si è tornati al treno che è semiveloce. Almeno.
E’ velocissimo fino a Salerno, semi da Salerno a Reggio Calabria. Trenitalia e Italo, già dal 18 luglio, il giorno dopo la chiusura di Fontanarossa, offrono treni che si possono chiamare costituzionali, gli unici che garantiscono il diritto di movimento. L’ autista liberale che si raccomanda, “anonimo, mbare, altrimenti ti tagghiu ‘a facci”, non ha alcun dubbio che questa “speculazione èèèè. Sicuuuro. Le agenzie di viaggi s’accattarù i biglietti e i rivinninunu a peso d’oro. Garantito. Robe da pazzi”. Vero. Da pazzi.
Il numero, sulla ruota “grazie al cielo”, il nostro, è 8191, ma c’è pure il 9 che si può giocare. E’ il numero del binario di Roma Termini. Alle sei di mattina, Termini, è così pulita e profumata da non sembrare neppure Termini. Se ci fosse un vero scrittore, con la stilografica, noterebbe che i bermuda sono la spia dell’avanzata lanzichenecca. Peli, tatuaggi, un vero ovrore. Leggere Proust, a quest’ora, in treno, significa desiderio di morte. Ci si addormenta tutti, al punto che i controllori di Italo, già alle 6 e quattro minuti, vi chiedono il codice del biglietto e ci tengono a fare sapere che è “per non disturbarla successivamente”.
Non si legge e non si pensa. Pensare a cosa? Pensare alla Sicilia? A Catania? Il giornale principe, La Sicilia, che ha redazione in viale Odorico da Pordenone, il giornale di Alfio Russo, Candidò Cannavò, Pippo Fava, non paga gli stipendi ai giornalisti da più di 58 giorni.
In prima pagina, ogni giorno, c’è il contatore. Il suo editore Mario Ciancio è l’ultimo vecchio caduto in quel pozzo nero della mafia dell’antimafia che non è mafia ma che è sempre una mafia, cos’è? Sembra una filastrocca. Ciancio non è riuscito ancora a risalire. Gli avevano confiscato i beni. In Cassazione gli sono stati restituiti. Non avrebbe liquidità, la motivazione. I figli di Giobbe, Mannino, Mori, Subranni, Contrada, tra gli ottanta e i novant’anni, si sono tirati fuori da questo pozzo, dopo decenni. Ciancio ha 91 anni ed è ancora sotto processo, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Da due mesi una comunità di giornalisti lavora senza essere pagata, ma continua. Loro sono rimasti. Loro. Almeno. Viaggiando veloci superiamo la stazione di Napoli Gianturco. E poi, come fosse un cinematografo che gira: sole, palme e occhi chiusi. In ordine: le stazioni di Sapri, Paola, Lamezia, Rosarno. … Vagoni merci e insegne scrostate. Il mare, gli ombrelloni, il cocomero alle 10. Forse era un cocomero. Forse.
Sulla carrozza numero sei, Emanuele, di Giarre, torna da Roma e legge Vita e destino di Grossman. Sorridendo, scherza e dice: “Pensa. Otto ore di viaggio. Almeno puoi leggere”.
Scendiamo a Reggio Calabria, a Villa San Giovanni, carichi di bagagli e si corre sotto la stazione, altrimenti, il bus, “lo perdiamo, lo perdiamo”. Se l’aeroporto di Catania ha chiuso per un incendio, che è circoscritto, non si capisce come possa restare aperta questa stazione ferroviaria con i cavi dell’alta tensione scoperti, i calcinacci, le transenne dei lavori in corso, un sottoscala che sarà largo non più di due metri e mezzo, dove, alle ore 11,30, si concentrano migliaia di passeggeri: “Corri, corri”.
Fuori dalla stazione il bus di Italo aspetta. Ce ne sono in realtà due ed è chiaro perché gli autisti urlano come al mercato del pesce: “Catania, Catania. Fozza, fozza”, e l’altro: “Palemmu, Palemmu”. Il conducente del Villa San Giovanni-Catania, con fermata intermedia a Giardini Naxos, conta i passeggeri uno per uno, come faceva la maestra quando si andava in gita a Tindari e, infatti, come la maestra, avverte che sul traghetto “potete scendere dal busse, ma veloci. Vi dovete fare trovare sul busse cinque minuti prima di traghettare a Messina. Il lettore di Vita e Destino garantisce che alle 15 saremo a Catania e sul bus c’è pure il bagno: “Non ci manca nulla”. Si dorme, ancora, tra miasmi, profumi spruzzati, deodoranti esauriti. Il passeggero vicino, con il suo Ipad, guarda una serie Netflix.
Dal 17 luglio, in Sicilia, va però in onda la serie “La scintilla”, che è come lo sparo di Sarajevo che provocò il finimondo: “Cominciò tutta con una scintilla al Terminal A”. L’aeroporto di Catania ha tre terminal. Uno è chiuso da oltre dieci anni. E’ il terminal B. Lo hanno riconvertito durante il Covid a padiglione vaccini. In passato, nel 2015, l’allora ad della società che gestiva l’aeroporto, e che si chiama Sac, lo aveva utilizzato come “area polivalente, scuola di alta cucina”. Ospitavano perfino uno chef stellato al mese. Gli aerei no, ma le pentole sono cromate, professionali. Almeno. Il terminal B dovevano modernizzarlo e c’erano scatole di progetti, ma sono passati tanti anni e il piano è stato superato dal tempo. Si sono accorti che ne serviva un altro. Nuovo. Si ricomincia. La scintilla, come avviene nei racconti, era prima la scintilla di un climatizzatore, poi di una stampante. La maggioranza oggi concorda che è di una stampante. In auto, dalla stazione ferroviaria di Catania fino all’aeroporto, l’autista liberale è convinto: “C’è qualcosa sotto. E’ scientifico. E secondo lei, la scintilla parte da sola? Dottore, eh. C’è in ballo un miliardo di euro. Un miliardooo. Vogliono privatizzare l’aeroporto. Un miliardooo”. Il miliardo, a Catania, deve essere un’ossessione. A Franco Battiato, raccontano, prima di morire, venne proposto di girare uno spot. Battiato che era amico di Manlio Sgalambro, il filosofo, chiese: “Manlio? Accettiamo? Quanto gli chiediamo?”. E Sgalambro: “Un miliardo, almeno”. Almeno.
Catania la chiamavano Milano del sud, e ancora la chiamano così. Le uniche vere realtà economiche, di scala, sono la St Microelectronics, multinazionale italo-francese che assembla semiconduttori e componenti elettronici (ha appena annunciato 700 assunzioni) e infine questo aeroporto che ha una natura particolare. I proprietari sono le Camere di Commercio di Catania, Siracusa e Ragusa. Tutte e tre sono state raggruppate in un’unica Camera di commercio, quella del Sud-est. Il commissario di questa Camera è Andrea Belcuore, un leale di Schifani, il governatore siciliano. La Camera del Sud est detiene il 61 per cento della Sac, società che oltre all’aeroporto di Catania gestisce pure quello di Comiso. Il resto delle quote è spartito tra Consorzio Asi di Catania, Provincia di Catania e Siracusa. L’unico obiettivo di chi fa industria, in Sicilia orientale, non è fare industria ma farla per stare nella Camera di Commercio e controllare quindi l’aeroporto di Catania. Che è industria. Quasi tutte le famiglie della provincia hanno un parente, almeno uno, che ci lavora. E’ come se fosse la Fiat dei bei tempi. Al posto degli sportelli i femori dei passeggeri. Fontanarossa è sempre stato fondaco di destra. Forza Italia, negli anni Novanta, poi l’Mpa di Raffaele Lombardo hanno avuto, direbbero a destra, l’egemonia. Chi guidava la regione controllava a sua volta l’aeroporto. Qui si dice “ognuno ci vuole bagnare ‘u pizzo”, come le oche che beccano. Oggi è tornata a bagnarsi Forza Italia, il partito di Schifani, presidente di regione, ex presidente del Senato. Si è presentato all’aeroporto dopo nove giorni dall’incendio perché a Palermo dicono che sia troppo occupato a organizzare cerimonie. Crede ancora di abitare a Palazzo Giustiniani dove conosceva, a memoria, il regolamento del Senato. Gli era sufficiente. Il suo controllore di volo, all’aeroporto di Catania, è il deputato regionale Nicola D’Agostino che ha cominciato con l’Mpa di Lombardo, poi renziano, Udc, Misto, oggi Forza Italia. Per un’intera città è D’Agostino che ha le mani sull’aeroporto.
L’amministratore delegato si chiama Nico Torrisi e possiede la famosa Baia Verde, l’albergo incanto della costa catanese. Torrisi è pure presidente della Federalberghi siciliana. L’incendio, la scintilla, ha sprigionato ogni tipo di fumo tossico. Non ci sono solo quelli veri (la bonifica dell’area è affidata agli americani di Belfor, la stessa società che si è occupata della bonifica di Fiumicino). Ci sono i fumi di una guerra che va avanti da dieci anni. Almeno. Non appena arrivate a Catania, se siete giornalisti di un quotidiano nazionale, vi riversano ogni tipo di dossier, documento. Esistono due tribù. La tribù che fa capo a Schifani-D’Agostino-Torrisi e Belcuore e un’altra vastissima che ha perfino un giornale di battaglia. Per raccontare l’aeroporto, le reti, le ramificazioni, è nato un giornale online che da anni lotta contro i vertici di Sac e i vertici di Sac lottano contro questo giornale. Si chiama Sudpress. Se chiamate la tribù A vi dirà che tutte le inchieste giornalistiche, finora uscite, sono al vaglio dei magistrati. L’altra tribù, la B, vi porta tutte le parcelle, tutte le consulenze che la Sac ha affidato agli avvocati di Catania. L’autista liberale, che si staglia gigante in questo scenario, lettore appassionato di Sudpress dice: “Ma lei lo sa chi è Chico Merlino? E’ l’avvocato amico di Torrisi e D’Agostino che ha ricevuto un miliooneee!”. Non è un miliardo. Almeno. Se si va sul sito di Sudpress ci sono titoli come questi: “1.328 affidamenti per 80 milioni di euro”. Se provate a parlarne con l’altra tribù vi diranno ovviamente “spazzatura”, “abbiamo querelato”. In Sicilia c’è sempre la doppia lettura, il doppio fondo. Solitamente quello che veramente ha il doppio fondo è il citrullo. Il citrullo tipo ha proposto infatti di fare atterrare a Sigonella, la base americana, ma a Sigonella manca il terminal. Non si può fare. A Palermo, che si sta facendo carico, per quanto può, dei voli di Catania, Vito Riggio, presidente di Gesap, la società che corrisponde alla Sac catanese, per anni presidente di Enac (Ente nazionale per l’aviazione civile) democristiano e allievo di Franco Marini, fa notare che ormai, ovunque, in Italia, gli aeroporti sono un mestiere per privati. Non il biliardino dei politici.
In Sicilia, dice Riggio, si ragiona così: “La situazione è tragica ma è meglio che la gestiamo noi”. Sono i deputaticchi che in questo aeroporto hanno piazzato umanità che si traduce in voti, sottomissione. Altri cinque anni di legislatura. Almeno. A Napoli, Roma, Venezia gli aeroporti sono gestiti da fondi, manager. A Milano hanno appena inaugurato la metropolitana che collega Linate a San Babila. Qui il tassista, con la licenza, chiede 31 euro per fare un pugno di chilometri e se provate a dire che è uno furto vi risponde: “In regola, sono. Potete chiedere ai miei colleghi”. La regolarità, l’agibilità dell’aeroporto, passata e futura, è un enigma. I dipendenti che ci lavorano, e che si fanno incontrare, ma lontano, a Piazza Stesicoro, in città, dicono che i soffitti non sarebbero impermeabili e che l’Ecac, che è la super Enac europea, avrebbe riscontrato criticità già nei mesi scorsi: “Un terminal che è tarato per cinque milioni di passeggeri ne gestisce dieci. E’ normale?”. Se chiedete all’altra tribù vi dicono che sono calunnie. Si vuole la testa di Torrisi, l’ad che si lascia incontrare e formulare la domanda più stupida che si possa fare: una stampante a fuoco? Un estintore, in un aeroporto, uno, almeno, non c’era? Per spegnere il rogo, che si è propagato di notte, sono intervenuti i vigili del fuoco di Catania, quelli del comando di via Cesare Beccaria. E’ possibile che nessun interno o addetto alla sicurezza, riuscisse a intervenire tempestivamente? E’ iniziata la caccia al colpevole, fermo restando che la situazione è eccezionale e che “il caldo africano…”. Il caldo non si può certo difendere e non ha avvocato. Ergastolo al caldo. A Palermo, causa caldo, a Borgo Nuovo, le fiamme, hanno avvolto una casa dove era in corso una veglia funebre. Sono scappati i parenti. La bara è bruciata. In Sicilia si può morire due volte. La squadra dei vigili del fuoco dell’aeroporto di Catania, quella interna, che lavora sulla pista, sarebbe intervenuta ma il fuoco lo avrebbe spento il comando di Catania. Si dice. Se una stampante fa chiudere un aeroporto, un reattore che esplode sterminerebbe la Sicilia.
Dal 16 luglio si discute sulla “competenza”, su chi doveva spegnere le vampe. E, anche qui, ancora due tribù. C’è chi pensa che non era competenza dei vigili in pista, mentre per Torrisi, e il suo accountable manager, Giancarlo Guerrera, che vi sciorinerebbe inglese e manuali di sicurezza fino alla riapertura dell’aeroporto, “si deve intervenire secondo quanto dispone il Piano di emergenza aeroportuale perché qualsiasi incendio ha influenza sui livelli di sicurezza del volo”. I vostri vigili sono intervenuti? “C’è un’inchiesta. Lo verificherà l’autorità giudiziaria”. In aeroporto, girando, fra gli addetti alla sicurezza, vi fanno capire, a mezzabocca, qui si dice aumaum, che era un cambio turno e che forse, “sai come va, la stanchezza …”.
A Catania accusano Torrisi di aver pasticciato, di aver detto, “riapriremo subito”. Lui: “Infatti abbiamo riaperto utilizzando il Terminal C”. E’ vero che non riaprirete mai più perché si sono scoperte altre criticità? “Non rispondo al sentito dire”. Perché il Terminal B rimane chiuso da quasi vent’anni? “Abbiamo presentato il masterplan nel 2016, dal 2020 attendiamo una valutazione di impatto ambientale da parte del ministero”. Perché non si dimette? “Perché non sono Schettino”. Ha distribuito consulenze? “Chi ci accusa è perché mi chiedeva ben altro”. Fratelli d’Italia e il ministro Adolfo Urso vogliono che Torrisi vada via, ma Torrisi è difeso da Schifani che avrebbe litigato con Urso. Il vicepresidente di Schifani in regione è Luca Sammartino, della Lega. Torrisi può quindi contare su Matteo Salvini, ma anche sul ministro della Difesa, Guido Crosetto, che in FdI è di una tribù diversa da quella di Urso, e che, dice, Torrisi, “non mi ha mai fatto mancare il suo sostegno”. Il cielo di Catania è sempre stato nero Msi. Urso è cresciuto ad Acireale, ed è di Catania Nello Musumeci, ministro con delega alla protezione civile, ed ex presidente di Regione. Il nuovo sindaco della città è il figlio di Enzo Trantino, l’avvocato simbolo della Fiamma. E’ di Catania il vicecapogruppo di FdI, alla Camera, Manlio Messina. Ignazio La Russa, il presidente del Senato, è nato a Paternò ed è stato La Russa che ha voluto Schifani. L’incendio di Catania basta piegarlo e prende un significato, politico, nazionale. La destra di governo è quella che ha amministrato la Sicilia. Amministrato? Almeno.
I cinque voli da Londra cancellati, i passeggeri scoppiati al sole, stravaccati sulla banchina dell’aeroporto (a Catania vi rispondono che ci sono sempre stati) non sono nulla. Che l’aeroporto riapra, o meno, è marginale rispetto alla possibilità del rimpasto. In 150 stanno lavorando alla bonifica e la data di consegna è il 2 agosto. Il quotidiano La Sicilia, di ieri, apriva il giornale su una flotta di droni acquistati dalla Regione per monitorare il territorio (è costata 250 mila euro). La flotta si aggiunge a ulteriori 36 mila occhi (18 mila lavoratori forestali in totale di cui 12 mila addetti alla prevenzione, 6 mila impiegati per il servizio antincendio). In Sicilia ci tengono al titolo: sono esperti antincendio. Chiaro? Esperti. Dalla notte del 16 luglio, il giorno del rogo all’aeroporto di Catania, è rimasto sul tappeto bagagli un passeggino. Il tappeto è stato spento. Almeno. E’ andata a fuoco una sala che sarà grande quanto una stanza di un albergo, ma con il fumo è venuto fuori il tanfo. A chi dovrà bollinare le autorizzazioni forse tremerà la mano. O forse no. E’ probabile che si riapra e che si continui a viaggiare, a singhiozzo, con i tendoni da campo, che si vada avanti trascinandosi come zombie, in questa isola almeno.
In una pagina di Nero su Nero, Leonardo Sciascia scrive che “il contadino diretto ad Agrigento, sale sul treno e chiede, per tre volte, a tre persone diverse, se il treno va ad Agrigento e per tre volte ottiene la stessa risposta: “Almeno”. Il contadino si rassegna al dubbio. Nessuno è certo che il treno vada ad Agrigento: pare che ci vada. Così credono i viaggiatori e coloro che lo muovono, ma può anche finire a Trapani, a Messina, all’inferno”. Da Roma parte un treno fino a Reggio Calabria, e poi il bus, qualche volo, con fortuna, si trova. Qui le sciagure sono perfino benedette. Sono i veri motivi per ritrovarsi, per toccarsi. Per alcuni, l’unica ragione per tornare. La morte, la vergogna hanno sempre avvicinato. Non importa come arrivi. “Sei tornato. Almeno”.
(da il Fatto Quotidiano)

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TRA I BRACCIANTI SFIANCATI DAL SOLE: “LA NOSTRA VITA VALE 5 EURO L’ORA”

Luglio 29th, 2023 Riccardo Fucile

IN 20.000 NELLE COLTIVAZIONI DEL PONTINO: “IN SERRA NON SI RESPIRA E IL CALDO PUO’ UCCIDERE”

Sfrecciano le auto dei villeggianti con dentro ombrellini e giochi per i bambini. E poi c’è Yamir che alle sei del pomeriggio, quando molti lasciano la spiaggia, ha da poco finito di lavorare. Con il turbante in testa, sulla sua bicicletta arrugginita, è fermo a un semaforo di questa lunga via, la Pontina, da un lato c’è il mare e dall’altro distese di campi coltivati: «Ho lavorato dieci ore, dalle cinque del mattino con due ore di pausa. Ho raccolto angurie e poi, nelle ore più calde, le barbabietole e poi di nuovo angurie». La paga? «Cinque euro l’ora».
Da queste parti, nella provincia di Latina, risultano 20 mila operai agricoli regolari, di questi 13 mila sono di origine straniera, in prevalenza indiana. «Abbiamo un contratto di lavoro, certo. In azienda vengono anche a fare i controlli», racconta uno di loro davanti a un enorme campo di cocomeri non ancora raccolti: «Il problema è che lavoriamo molte più ore e molti più giorni di quelli scritti nel contratto. E la paga è la stessa». Sono quelli che in gergo sindacale vengono chiamati contratti grigi. In pratica viene truccata la busta paga. Risultano quindici giorni di lavoro e invece in un mese possono essere anche ventisei le giornate trascorse con la schiena piegata sotto il sole a picco, come avviene nell’immenso campo che si vede nella frazione di San Donato.
Stefano Morea, segretario regionale della Flai Cgil, la federazione dei lavoratori agricoli, il 7 luglio scorso ha scritto una lettera al presidente della Regione, Francesco Rocca, per chiedere attraverso un provvedimento la sospensione del lavoro nelle ore più calde della giornata e nei giorni a rischio. Il sindacato non ha mai ricevuto risposta. «Piuttosto è stato convocato un tavolo sul fungo che sta colpendo il kiwi», dice Morea, che raccoglie ogni giorno la fatica dei braccianti: «Esiste ancora la contrattazione individuale della paga e si arriva anche ai quattro euro l’ora. Il caporale che fa da intermediario tra il proprietario dell’azienda e il lavoratore indiano. C’è il lavoro nero e lo sfruttamento minorile».
Lungo la Pontina è un via vai di biciclette. Si vede una croce, ricorda un bracciante investito mentre tornava a casa. Qui non si muore solo nei campi: si muore per strada e si muore dopo il lavoro se il cuore e la mente non reggono più.
Non un sorriso, lo sguardo di questi braccianti è basso e cupo, tramortiti dal caldo e dalla stanchezza: «Ho lavorato dalle cinque a mezzogiorno. Sette ore, ho raccolto angurie. Perché rischio la vita sotto il sole? Per mandare i soldi alla mia famiglia in India». Ed è così un po’ per tutti. Vivono nelle casette della frazione Bella Farnia, con i letti uno attacco all’altro. Altri in condizioni ben peggiori, in luoghi di fortuna vicino ai campi.
Lungo la strada, ci sono anche le serre con le loro temperature ancora più alte di quelle percepite all’esterno. È qui che lavorano molti braccianti, in questi grandi tendoni bianchi, dove manca il respiro e il sudore delle persone si mischia alla terra. Come succede nelle fungaie, considerate il posto peggiore fra tutti perché il tasso di umidità deve essere elevato per far crescere i funghi. Crescono le verdure, muoiono le persone.
E nei campi vengono sfruttati anche i 12enni: “Sono invisibili alle anagrafi, vanno salvati”
Già dai dodici e tredici anni, con paghe che si aggirano intorno ai 20-30 euro al giorno, nella provincia di Latina i figli dei braccianti vanno a lavorare nei campi lasciando la scuola. Emerge dal rapporto Piccoli schiavi invisibili diffuso da Save the Children, che accende un faro sulla condizione dei minori che vivono in alcuni territori caratterizzati dallo sfruttamento del lavoro agricolo. Si può trattare di un lavoro a tempo pieno o, più spesso, limitato al tempo extra-scolastico quotidiano o estivo, o di un impegno che può iniziare già a 10 anni per, così viene detto, «dare una mano» nel periodo di raccolta, quindi in estate, nei giorni più caldi dell’anno.
Per molti studenti, nel periodo del Covid, la scuola è stata completamente sostituita dal lavoro, poi si è tornati tra i banchi ma il pomeriggio si continua ad aiutare nelle serre, con una grossa difficoltà nel fare i compiti e il conseguente deficit nel rendimento scolastico che porta a bocciature nelle scuole medie, e a un ingresso ritardato alle superiori (16 o 17 anni), come confermano alcune testimonianze raccolte. L’associazione umanitaria infatti dedica un focus proprio all’Agro Pontino, dove vi è uno dei mercati ortofrutticoli più importanti del Paese, il Mof – Centro agroalimentare all’ingrosso di Fondi.
Dunque, in vista della Giornata internazionale contro la tratta di esseri umani che si celebra domani, Save the Children pubblica i dati, secondo cui in Italia una vittima su tre di tratta e sfruttamento lavorativo è minorenne. Nel 2021 le vittime di tratta e sfruttamento sono state 757, in più di un caso su tre (35%) si tratta di minori, con una prevalenza di femmine (168 casi) rispetto a maschi (96). Le vittime prese in carico dal sistema anti-tratta nel 2022 sono state 850, di cui il 59% donne e l’1,6% minori.
A Latina, come anche in provincia di Ragusa, territorio anch’esso studiato da Save the Children, i minori spesso trascorrono l’infanzia in alloggi di fortuna nei terreni agricoli, in condizioni di forte isolamento, con un difficile accesso alla scuola e ai servizi sanitari e sociali. Sono tantissimi e, nonostante alcuni sforzi messi in campo, sono per lo più ‘invisibili’ per le istituzioni, non censiti all’anagrafe, ed è quindi difficile anche riuscire ad avere un quadro completo della loro presenza sul territorio.
«È fondamentale innanzitutto riconoscere l’esistenza di questi bambini, assicurare ad ognuno di loro la residenza anagrafica, l’iscrizione al servizio sanitario e alla scuola e i servizi di sostegno indispensabili per la crescita», spiega Raffaela Milano, Direttrice Programmi Italia-Europa di Save the Children, nel fare appello al ministero del Lavoro affinché intervenga per mettere fine allo sfruttamento minorile fatto di lavori dannosi per lo sviluppo educativo e per il benessere psicofisico.
(da La Repubblica)

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CRIMINALITA’ DI ORIGINE ITALIANA: IN CANADA GUERRA IN CORSO TRA SICILIANI E CALABRESI PER IL CONTROLLO DEL PORTO DI MONTREAL

Luglio 29th, 2023 Riccardo Fucile

LO SCALO E’ CENTRALE PER IL MERCATO DELLA DROGA DA (E PER) NEW YORK

Non servono i followers, che pure sono tanti (37 mila), per raccontare la cifra (e la genesi) dell’omicidio di Claudia Iacono, madre di due figli, uccisa a 39 anni a Montreal alle 16,28 del 18 maggio scorso. Sei colpi di pistola esplosi mentre la donna sta parcheggiando il Suv nella zona commerciale “Il Triangolo”. Agguato mafioso. Dubbi? Zero.
Perché più dei social fanno le parentele: Claudia era la moglie di Anthony Gallo, nuora di Moreno Gallo boss di Cosa Nostra canadese, in passato storicamente legato al clan Rizzuto (poi da lui tradito) ucciso il 10 novembre 2013 ad Acapulco con nove colpi di pistola da un killer vestito di nero che lo sorprese a tavola (a cena) nel ristorante “Forza Italia”.
Tre mesi fa, Leonardo Rizzuto, figlio del boss Vito scampa a un agguato sull’autostrada provinciale 440 nella giurisdizione della Sûreté du Québec. In due gli sparano contro 6 colpi di calibro 9, la fiancata della Mercedes GLE 53 diventa groviera, lo feriscono alla spalla e al torace, lui riesce a proseguire la sua corsa nascondendosi nel parcheggio di un’agenzia di pompe funebri. Miracolosamente vivo.
Corsi e ricorsi. Pallottole che rimbalzano da un campo all’altro. Sangue che chiama sangue. Occhio alle date: il 10 novembre 2010 – stesso giorno e mese di Gallo – era stato ammazzato Nick Rizzuto. Stava pranzando in casa a Montreal, un cecchino gli ha sparato con un puntatore di precisione. Uno sniper. Morì a 86 anni. Scambio di scortesi anniversari, verrebbe da dire.
Per gli investigatori canadesi la pista affonda in questa guerra mai sopita tra criminali calabresi e siciliani, un “botta e risposta” durato decenni, intervallato da fragili pax mafiose che radica in tempi nel momento in cui – cioè – i Rizzuto organizzarono “l’acquisizione siciliana” nel 1978, della mafia di Montreal dall’organizzazione Cotroni, gente dalla Calabria. Una faida con perdite (decine di morti) per entrambi i gruppi: boss, galoppini, trafficanti e spacciatori uomini d’affari e mezze calzette: il piombo non fa questioni di origine e grado.
Ma basta questo? Basta il richiamo ancestrale della vendetta, il Dna di rivalsa dei gruppi mafiosi e paramafiosi per spiegare la lunga scia di sangue che colora la cartina di delitti in Nord America? Pare proprio d no. In ballo ci sarebbe il controllo del porto di Montreal uno scalo «centrale per il mercato della droga da (e per) New York
Spazi immensi, business sconfinati che forse raccontano anche perché – da queste parti – tra il 2017 e il 2019 sette narcos siano stati uccisi. Dettaglio: in base a organici e investimenti nello scalo in questione venivano controllati soltanto 20/25 container al giorno: meno dell’1% di quelli sbarcati sulle banchine da tutto il mondo. E poi c’è il ventre molle dei territori al confine: le riserve indiane dove non c’è sovranità nazionale. Non a caso la rotta canadese è considerata una delle più opportune per attribuire ai container la cosiddetta «patente di verginità» rispetto ai parametri di rischio utilizzati dalla polizia delle frontiere nelle indagini degli invii legati anche ai porti di transito.
«Ancora – aggiunge Nicaso – c’è il tema delle droghe sintetiche nelle cui sperimentazioni il Canada è il paese leader nel mondo». Un altro business planetario. «Ormai in Nord America, il Fentanyl ha soppiantato completamente la cocaina. Sono droghe molto forti e costano di meno – spiega il docente, hanno sintetizzato l’eroina, stanno sintetizzando la cocaina con la cocaina rosa, hanno sintetizzato i cannabinoidi con un thc molto più alto e un costo più basso rispetto, per esempio, a quello garantito in paesi dove la marijuana è stata legalizzata».
A contendersi questo mondo non c’è la ‘ndrangheta. C’è invece un “melting pot” criminale che registra «componenti calabresi, siciliane, pugliesi e addirittura franco-canadesi» dice Nicaso.
(da La Stampa)

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ALEMANNO NON HA PACE: DOPO FDI E ITALEXIT ORA PENSA A ORGANIZZARE UN NUOVO PARTITO

Luglio 29th, 2023 Riccardo Fucile

ANTI-USA, FILO RUSSO, VICINO ALLA LEGA, CRITICO DELLA MELONI E AMICO DI NO VAX… FIANCHEGGIATORE DELLA LEGA CON LA SPERANZA DI UNA CANDIDATURA NEL CARROCCIO

Tornare a Itaca. Questa è l’immagine tante volte usata in questi anni dalla destra italiana per descrivere il lento approdo verso Fratelli d’Italia dopo la diaspora politica seguita alla fine di Alleanza Nazionale.
C’è uno solo che dopo essere tornato a Itaca è ripartito: Gianni Alemanno. L’ex sindaco di Roma e ex ministro dell’Agricoltura, voleva prendere il ruolo di capo della minoranza dentro Fratelli d’Italia. Ma Giorgia Meloni gli ha fatto ben presto capire che il “suo” partito non è Alleanza Nazionale, non c’è posto per colonnelli e correnti: comanda solo lei. Chi si adegua avrà il suo spazio anche se dovrà ingoiare magari qualche rospo, come hanno fatto Fabio Rampelli e i suoi Gabbiani, per tutti gli altri “quella è la porta”.
Così Alemanno, dopo aver lavorato per portare preferenze e voti a Italexit di Gianluigi Paragone, si è guardato in giro per capire cosa mancasse nell’offerto politica a destra per trovare un suo spazio, e ha deciso di rispolverare un vecchio cavallo di battaglia della destra: l’anti americanismo.
Con uno stipendio garantito dall’ASI (gestisce per l’ente sportivo le relazioni istituzionali) si è messo così a lavoro e tra manifestazioni, la raccolta di firme per il referendum e convegni, ha messo su il Comitato fermiamo la guerra. Ora il tentativo è quello di costruire un vero soggetto politico.
L’appuntamento è a Orvieto sabato 29 e domenica 30 luglio per una due giorni di incontri e dibattiti dal titolo “Forum per l’indipendenza italiana. Un movimento per l’Italia”.
Ad aderire una selva di piccole sigle per lo più locali, mini partiti personali come Exit Sovranità dell’ex leader di Casapound Simone Di Stefano, o gruppi di estrema destra come Magnitudo Italia. L’idea di Alemanno è aggregare quello che a destra si muove in maniera confusa, e di pescare anche nel cosiddetto “mondo del dissenso” che si è aggregato attorno alle piazze no vax e no green pass, e che oggi decisamente simpatizza per la Russia nel conflitto in corso.
Tra i relatori troviamo non a caso due punti di riferimento sia della raccolta firma del referendum contro la guerra che delle battaglia contro l’obbligo vaccinale e il passaporto sanitario, come Andrea Zhok e Ugo Mattei, e una delle voci più mainstream del “dissenso” ovvero Diego Fusaro .
Interlocutore privilegiato del costituendosi movimento è evidentemente la Lega, più tiepida sulla guerra in Ucraina e storicamente amica della Russia.
A Orvieto interverrà Simone Pillon, ormai ex senatore, ma soprattutto ci saranno a discutere di Europa due europarlamentari di assoluto peso del Carroccio: Antonio Rinaldi e Marco Zanni, capogruppo di Identità e Democrazia.
Alemanno tenterà la corsa con la Lega alle prossime europee portando in dote il suo nuovo movimento? È presto per dirlo ma le manovre di avvicinamento sono già evidentemente in corso.
Qua e là poi qualche eletto Gianni Alemanno già lo ha piazzato negli ultimi anni, utilizzando le liste civiche di centrodestra. È il caso Luciano Crea, consigliere regionale nel Lazio, Marco Mastacchi eletto in regione Emilia Romagna e di un altro consigliere regionale, questa volta nelle Marche Giacomo Rossi. C’è poi qualche consigliere comunale e interlocutori significativi come il presidente dello Svimez Adriano Giannola, Felice Coppolino vicepresidente di Unicoop e Veronica Barbati presidente di Coldiretti Giovani.
(da Fanpage)

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