Aprile 25th, 2024 Riccardo Fucile
NELLA RISOLUZIONE SI INVITANO LA COMMISSIONE E IL CONSIGLIO AD AGIRE CONTRO BUDAPEST, E SI CONDANNA LO SCONGELAMENTO DI 10,2 MILIARDI (DECISO DALL’UE PER CONVINCERE ORBAN A NON METTERE IL VETO SUGLI AIUTI ALL’UCRAINA)
Una condanna netta. Un grido d’allarme per le violazioni dello stato di diritto nell’Ungheria governata dal sovranista Viktor Orbán, alleato di Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Il Parlamento europeo ha approvato ieri con ampia maggioranza una risoluzione che denuncia le carenze del sistema giudiziario, i conflitti di interesse e le minacce alla libertà dei media e ai diritti fondamentali a Budapest.
sì sono stati 399, 117 i no e 28 gli astenuti. A favore si sono espressi Ppe (con Forza Italia), Socialisti e democratici (Pd), Renew, M5S, Verdi e sinistre, mentre hanno votato contro Ecr e Identità e Democrazia, inclusi Fratelli d’Italia e Lega.
Nel testo si «esprime sgomento per la violazione persistente, sistematica e deliberata della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali in Ungheria»
In particolare si fa riferimento all’adozione della «legge sulla protezione della sovranità nazionale e alla creazione dell’Ufficio per la protezione della sovranità, dotato di ampi poteri e un rigoroso sistema di sorveglianza e di sanzioni, che viola fondamentalmente le norme democratiche, come il principio di elezioni libere ed eque». Si tratta di un’autorità vicina al governo che proibisce finanziamenti esteri alle campagne elettorali, e per cui la Commissione ha già aperto una procedura d’infrazione.
La risoluzione non si limita a denunciare. Invita apertamente all’azione la Commissione e il Consiglio dell’Ue, che non agendo in modo deciso hanno «contribuito al crollo» del Paese, «trasformandolo in un regime ibrido di autocrazia elettorale »: il Consiglio deve organizzare «audizioni periodiche», mentre la Commissione «si avvalga appieno degli strumenti disponibili, come le procedure d’infrazione accelerate e le domande di provvedimenti provvisori dinanzi alla Corte di Giustizia ».
I deputati condannano inoltre la decisione della Commissione di rilasciare fino a 10,2 miliardi di euro di fondi europei congelati, mossa contro cui il Parlamento ha presentato ricorso. Le recenti rivelazioni dell’ex ministra della Giustizia Judit Varga dovrebbero portare l’esecutivo di von der Leyen a revocare l’erogazione dei fondi dell’Ue, sostiene la risoluzione, finché Budapest non avrà modificato le sue leggi.
Tutto questo mentre si avvicina, paradossalmente, il semestre europeo ungherese. Budapest guiderà infatti l’Ue da luglio, e il Parlamento esprime la preoccupazione che «non sarà in grado di adempiere in modo credibile a tale compito».
(da agenzie)
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Aprile 25th, 2024 Riccardo Fucile
L’HANNO BECCATO CON 4,4 KG DI DROGA E 22 SMARTPHONE, TUTTA MERCE PRONTA PER ESSERE CONSEGNATA AI DETENUTI – IL SECONDINO AVEVA CON SÉ ANCHE SCHEDE SIM, 3 ROUTER
Un agente della polizia penitenziaria in servizio nella casa
circondariale di Ariano Irpino, nell’Avellinese, è stato arrestato ieri dai suoi colleghi che l’hanno trovato in possesso di quasi 4,4 chilogrammi di sostanze stupefacenti tra marijuana, cocaina (160 grammi) e droga liquida.
Secondo quanto si apprende l’agente era in procinto di consegnarli ai detenuti e proprio lo strano comportamento dei carcerati ha indotto i poliziotti a eseguire la perquisizione nei confronti del collega.. L’agente aveva con se anche schede sim per cellulari, 22 smartphone, 22 caricabatterie, 3 router e una collana d’oro. Dopo l’arresto il poliziotto è stato condotto ai domiciliari.
“Merito al Comando di Polizia Penitenziaria per il fermo del poliziotto Penitenziario”. commentano il presidente dell’Uspp, Giuseppe Moretti, e il segretario regionale per la Campania, Ciro Auricchio. “Reati del genere non dovrebbero mai accadere, – sottolineano i due sindacalisti – e i colleghi che se ne sono resi autori vanno prontamente intercettati e allontanati perché non degni di indossare la nostra uniforme e perché mettono a repentaglio la sicurezza interna. Per questo rivogliamo tutto il nostro apprezzamento al Comando ed ai colleghi del Corpo di Polizia Penitenziaria dell’ istituto di Ariano Irpino – concludono Auricchio e Moretti – che tra mille difficoltà quotidiane assolvono al nobile mandato istituzionale che la legge e la Costituzione ci affida e riescono a garantire l’ordine e la sicurezza interna”.
(da agenzie)
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Aprile 25th, 2024 Riccardo Fucile
LE AGENZIE DI RATING INIZIANO A METTERE DI NUOVO NEL MIRINO L’ITALIA E IL MINISTRO DELL’ECONOMIA MINACCIA (ANCORA) LE DIMISSIONI. MA NON CI CREDE NESSUNO
I toni del ministro dell’Economia salgono ogni giorno di più. Il Superbonus, che già dopo le brutte avvisaglie di agosto gli faceva venire i «mal di pancia», oggi per Giancarlo Giorgetti è diventato «un mostro che ha distrutto le condizioni della finanza pubblica». Di più. Una droga psichedelica, un «Lsd» per i conti dello Stato.
«Lassismo, sussidi e debito devono finire!» tuona Giorgetti nell’Aula della Camera, che ieri ha dato via libera al Def. Sempre a causa del Superbonus il deficit 2023 è stato appena rialzato di 4,5 miliardi al 7,4%, il più alto nella Ue, e potrebbe non essere finita qui.
Anche le agenzie di rating cominciano a preoccuparsi, e Giorgetti è ormai deciso a mettere il punto definitivo sulla vicenda. […] non accetterà un allargamento delle maglie, ma anzi prepara una nuova stretta. E ha già fatto capire ad alcuni colleghi di governo e ai parlamentari di maggioranza più vicini che non è disposto a compromessi, a costo di mettere in gioco il proprio incarico.
Secondo l’agenzia di rating Fitch, il 110% fuori controllo sta spingendo il debito troppo in alto, al 142,3% nel 2027 (ma l’agenzia non esclude una revisione del Pil al rialzo nel 2023), mentre il governo ipotizza il 139,6%. Occorre dunque un intervento «per ridurre il rapporto debito/Pil già nel breve periodo» ripete Giorgetti. Ci si arriverà allungando da 4 a 10 anni il periodo di recupero dei crediti di imposta legati al 110% già in circolazione. Intervento drastico, ma necessario per non deragliare secondo il ministro.
Dei 355 emendamenti presentati al decreto Superbonus in Senato rimarrà, dunque, ben poca cosa. […] Dopo questa scrematura ne resteranno solo una trentina, per i quali andrà verificata, a quel punto, la qualità delle coperture. Molto difficile che se ne trovino di buone. Anche il governo, ora, non ha risorse libere, tanto che ha fatto slittare il bonus sulle tredicesime
«Bello il 110% che fa schizzare il Pil, ma poi a me mancano i soldi per la sanità, la scuola, la cultura, il sostegno alla natalità, ai redditi bassi, all’occupazione» dice Giorgetti alla Camera. E il quadro delle nuove regole Ue non aiuta: «Non è coerente […] con gli investimenti necessari per ambiente, digitale e difesa, anche se è meglio che tornare alle vecchie regole». Per definire gli obiettivi di finanza pubblica occorrerà aspettare le linee guida della Ue a giugno. «L’attesa è meglio dell’incertezza» dice Giorgetti. Ma a lui è già chiaro che nei prossimi anni ci aspetta un percorso durissimo.
(da Corriere della Sera)
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Aprile 25th, 2024 Riccardo Fucile
I DUE LUOGI DELLA VERGOGNA

Nella città di Cesare Beccaria, padre dell’illuminismo lombardo e antesignano della civiltà giuridica, 160 anni dopo la pubblicazione di Dei delitti e delle pene, ancora dei ragazzi sono stati torturati in una sede preposta alla loro custodia e rieducazione. Anzi, a ben vedere sono due a Milano le istituzioni per giovani reclusi trasformate in luoghi di tortura: il carcere minorile che porta con disonore il nome dello stesso Beccaria; e il Centro di Permanenza per i Rimpatri di via Corelli, commissariato dal dicembre scorso.
Due buchi neri, in cui precipitano dei giovanissimi, che Milano preferisce ignorare. Due luoghi della vergogna ai bordi di una città che intanto festeggia gli afflussi record del Salone del mobile e del turismo ricco.
La statua di Beccaria eretta là dove un tempo sorgeva la casa del boia, non può arrossire. Gli uomini invece sì, se hanno coscienza. Mi sarei aspettato una parola dal sindaco di Milano, Beppe Sala, ma non è ancora venuta. Grande imbarazzo o assuefazione all’inciviltà? Di certo le autorità cittadine, in prima fila il prefetto e il questore, sapevano già dello scandalo di via Corelli quando è arrivata la tegola del Beccaria. A proposito del carcere minorile, dovrebbe essere sufficiente riportare le parole con cui la gip Stefania Donadeo ha convalidato 13 arresti e 8 sospensioni dal servizio di altrettanti agenti della polizia penitenziaria: “Un sistema consolidato di violenze reiterate, vessazioni, punizioni corporali, umiliazioni e pestaggi di gruppo”. I reati ipotizzati sono: tortura, lesioni, maltrattamenti, falso, tentata violenza sessuale. Le vittime avevano taciuto per timore di ritorsioni
È mortificante raccogliere le confidenze di vari operatori sociali, fra cui professionisti d’indubbio valore, che di fronte ai dettagliati resoconti della Procura ora si chiedono: “Come abbiamo fatto a non capire che lì dentro succedeva l’inferno?”. Ancora peggio, forse, la desolazione di don Gino Rigoldi – cappellano per mezzo secolo – che ammette di non essersi accorto di nulla; e aggiunge, davvero troppo caritatevole, di non voler gettare la croce sugli agenti, spesso di prima nomina, inesperti, spaventati, anch’essi per lo più giovani.
Ci misuriamo con un fallimento morale favorito dai continui cambi di direzione, dai conflitti fra operatori, dalla riluttanza con cui venivano trattati i progetti di giustizia riparativa indispensabili se si vuole abbattere la recidiva. Ma soprattutto dall’idea sempre più diffusa secondo cui l’unico modo di trattare dei giovani violenti, pieni di rabbia, ribelli, sarebbe quello di “incapacitarli”. Cioè sottometterli con la forza. Da notare che oggi il numero di minori reclusi al Beccaria (in realtà vi scontano la pena anche ragazzi che hanno superato i 18 anni) è raddoppiato rispetto al 2022, l’epoca dei fatti. Allora erano fra i 30 e 40, adesso più di 70. Possibile che per tenere a bada un numero così modesto di ragazzi senz’altro difficili, difficilissimi, si ritenesse necessario il ricorso al terrore?
Se al Beccaria è l’omertà ad averla fatta da padrona, per certi versi ancor più clamoroso è il caso del Cpr di via Corelli, luogo di detenzione amministrativa per stranieri privi di regolare permesso di soggiorno. Cibo maleodorante, avariato, scaduto. Mancanza di medicinali e di supporto psicologico e psichiatrico. Le domande di asilo politico tenute nel cassetto e mai inoltrate. Di tutto ciò la prefettura di Milano era al corrente quando rinnovò il contratto milionario con l’ente gestore, la Martinina srl, solo poche settimane prima che la Procura sottoponesse il Cpr a sequestro d’urgenza per frode in pubblica fornitura e turbativa d’asta
Con il commissariamento in via Corelli ben poco è cambiato. La quarantina di immigrati rinchiusi non riescono a spiegarsi neanche perché sono lì. Episodi di violenza e soprattutto di autolesionismo sono la regola: farsi del male per essere ricoverati all’ospedale Niguarda viene considerato l’unico metodo per tentare di ottenere il rilascio. Ma intanto in via Corelli è facile impazzire. “Il Registro degli eventi critici non viene più aggiornato perché tanto sono troppi”, racconta il consigliere regionale Luca Paladini. “Per capirci, solo nel mese di marzo l’ambulanza è stata chiamata 60 volte”.
Faccio la somma: mettendo insieme i due buchi neri di Milano riservati ai giovanissimi non si arriva alle 130 persone. Un numero esiguo. Se di loro gliene importasse a qualcuno, se Milano fosse la città civile che si vanta di essere, basterebbe un minimo di attenzione delle istituzioni per rendere civili questi luoghi di sofferenza. E invece viviamo la più classica ambivalenza italiana: grande successo di pubblico e commozione per la serie tv Mare fuori, ambientata in un carcere minorile napoletano che vuole rassomigliare a Nisida. Costa niente immedesimarsi nei tormentosi destini dei giovani protagonisti. Per poi, subito dopo, applaudire i partiti di destra che dichiarano l’intenzione di abbassare da 14 a 12 anni la soglia di imputabilità dei minorenni. Spiega il criminologo Adolfo Ceretti: “I reati gravi commessi da minori erano già nell’ordine di 20 mila all’anno, ma noi riuscivamo a contenere il numero dei reclusi negli Istituti a poco più di un centinaio. Ora hanno rapidamente superato quota 500. Si confrontano visioni opposte della pena e delle sue finalità. I giovani violenti ci trovano impreparati e fanno paura”. Così cresce anche il numero di chi risponde con la tortura.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Aprile 25th, 2024 Riccardo Fucile
L’ORAZIONE ALLA SORBONA PER RISPONDERE AI SEGNALI DI SFIDUCIA DEI CITTADINI
C’è una ragione di fondo se a ogni elezione europea si teme il forfait dei protagonisti principali – gli elettori – e ogni volta che qualcuno osa evocare l’urgenza di riformare i Trattati Ue a Bruxelles sudano freddo: 19 anni fa il «grande salto» che l’Ue doveva fare fu stroncato da due voti popolari. Era il 29 maggio del 2005, e un inequivocabile 54,67% dei francesi bocciò il progetto di Costituzione europea. Tre giorni dopo arrivò dal’Olanda la seconda stangata: un «no» ancora più fragoroso infilato nelle urne da oltre il 61% dei cittadini. La Costituzione europea preparata con cura per anni dai dirigenti europei morì di schianto nel giro di tre giorni. Si aprì così la lunga crisi del progetto europeo mai guarita. E la cosa più dolorosa fu per tutti che il colpo di grazia venne proprio dalla Francia, Paese fondatore e teoricamente con tutte le carte in regola per guidarlo, quel processo. Due decenni dopo, molti segnali lasciano pensare che la Francia – patria di buona parte dei valori su cui l’Ue si fonda – si sia di nuovo ammalata di uno subdolo «mal d’Europa». Che rischia di disidratare dalle radici la pianta europea. I dati li ha messi in fila l’Eurobarometro pubblicato pochi giorni fa – l’ultimo sondaggio continentale prima delle Europee di giugno. 1) I francesi vedono più grigio di tutti. Quello guidato da Emmanuel Macron è l’unico Paese in cui i pessimisti sul futuro dell’Ue sono di più degli ottimisti (52 contro 42%). 2) I francesi hanno una pessima idea del Parlamento europeo: appena il 27% ne ha un’immagine positiva, contro il 41% in media dei loro concittadini Ue. Rilievo ancor più surreale considerato che l’Eurocamera ha sede proprio Oltralpe, a Strasburgo. 3) In maniera del tutto coerente, la maggioranza dei francesi (53%) si dice disinteressata alle Europee di giugno, e il 30% ammette candidamente di non avere neppure idea di quando si svolgeranno – dati anche questi decisamente più negativi che nel resto dell’Ue.
Svolta a destra
ll sentiment dell’opinione pubblica francese sull’Ue s’incrocia d’altronde con le intenzioni di voto monitorate quasi quotidianamente dagli istituti demoscopici nazionali. E il trend politico ne emerge chiarissimo: la maggioranza dei francesi si appresta a dare nelle urne una sonora lezione a Emmanuel Macron. Il vento in poppa ce l’ha ormai da mesi il Rassemblement National, il fu Front National che sotto la guida di Marine Le Pen, dopo le continue sconfitte alle presidenziali, ha cambiato nome, identità politica (in parte) e ora perfino volto. Perché a guidare le liste in vista del voto di giugno non è la storica leader e figlia del fondatore del partito, ma il rampante Jordan Bardella, classe 1995. Secondo l’ultima rilevazione Ipsos l’RN potrebbe raccogliere a giugno quasi un terzo dei voti, un esorbitante 32%. Il blocco elettorale guidato da Renaissance, il partito di Macron, verrebbe letteralmente doppiato, fermandosi al 16%. Con il serio rischio, per il partito cardine del governo, di scivolare addirittura in terza posizione, se proseguirà il trend di ripresa del centrosinistra: la lista formata da Partito Socialista e Place Publique, sotto la guida del filosofo fattosi politico Raphaël Glucksmann, è data ora al 13%. Seguono attorno al 7% la lista dei Verdi e altre due proposte politiche che picchiano durissimo su Macron: la France Insoumise da sinistra (7%) e la Reconquête di Eric Zemmour da destra (6,5%).
La scommessa dell’Eliseo
Ce n’è abbastanza per far suonare l’allarme rosso all’Eliseo. Macron, che consapevole del clima iper-ostico nel Paese aveva già tentato lo scossone a inizio anno sostituendo alla guida del governo la consumata Elizabeth Borne con la stella ascendente Gabriel Attal, si appresta a rispondere con la sua arma preferita: un grande discorso alla nazione. Meglio, all’Europa intera. Giovedì 25 aprile il presidente francese terrà un’orazione sull’Europa alla Sorbona che s’annuncia come il tentativo di rispondere colpo su colpo ai segnali di sfiducia e pessimismo dei suoi connazionali. Il sequel, da un certo punto di vista, del discorso programmatico sul futuro dell’Ue che tenne in quello stesso anfiteatro universitario nel settembre 2017. Allora Macron era fresco di elezione alla guida della Francia, e non nascondeva il sogno di mettersi di fatto da Parigi al volante dell’Europa intera. Oggi torna alla Sorbona da un presidente al secondo e ultimo mandato, sulla difensiva all’interno, anche se tuttora molto considerato all’estero. La scommessa è che il discorso faccia presa sull’elettorato sfiduciato, per lo meno per evitare che il suo partito finisca terzo.
Mal d’Europa o mal di Macron?
Proprio alla luce di queste dinamiche però non tutti sono convinti che quello segnalato dai francesi sia davvero un «mal d’Europa». «Sì e no», riflette a Open Marc Lazar, docente a Sciences Po e grande esperto di politica francese (oltre che italiana). «È vero che i francesi sono critici e sfiduciati verso l’Ue, ma restano al contempo legati all’Ue, e ancor più all’euro. E vogliono la difesa europea». Non è una contraddizione, spiega il politologo, perché l’Ue «resta l’orizzonte accettato, tanto che nessuno parla più di Frexit, mentre l’insoddisfazione riguarda temi concreti come sanità, potere d’acquisto, transizione ecologia». E poi c’è l’altro grande elefante nella stanza: il capo dell’Eliseo appunto. «Macron è il presidente più odiato della storia della Quinta Repubblica. De Gaulle, Mitterrand, Hollande, tanti hanno avuto forti opposizioni, ma quella contro di lui è proprio una questione personale, focalizzata sul personaggio: giovane, brillante, considerato arrogante e distaccato dalla vita quotidiana». Secondo Lazar è soprattutto nel mondo rurale e nelle piccole città che costituiscono un pezzo rilevante della Francia che va cercata quella «repulsione quasi fisica per questo grande borghese»: un rigetto viscerale di Macron che ha fatto da benzina negli scorsi anni alle proteste dei gilets jaunes prima, contro la riforma delle pensioni poi. Ciò senza nulla togliere, ricorda comunque Lazar, all’indubitabile capacità attrattiva del giovane Bardella, che dopo le Europee aprirà con ogni probabilità una vera questione nell’RN: se davvero avrà raccolto oltre il 30% dei voti quali saranno i rapporti tra lui e Marine Le Pen? Mentre in chiave europea la questione post-elettorale tutta da monitorare sarà un’altra, anche questa tutta interna alla destra: come s’innesteranno i rapporti tra le due grandi donne di riferimento di questa galassia, Le Pen appunto e Giorgia Meloni?
(da agenzie)
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Aprile 25th, 2024 Riccardo Fucile
IL VIDEO SMENTIREBBE LA SUA VERSIONE: “SI APPARTA IN UN ANGOLINO, NON HA IL TELEFONINO”
Chissà se è il caso di chiamarlo Fassino-Gate. Di certo il
minuto e mezzo ricavato dalle videocamere di sorveglianza smentisce la versione dell’eurodeputato Piero Fassino sulla strana storia del furto di un profumo all’aeroporto di Fiumicino. C’è anche un precedente: il 5 maggio 2014 l’allora sindaco di Torino aveva negato di aver mostrato il dito medio ai tifosi il dito medio. Poi proprio un filmato lo smentì. Di certo la memoria delle telecamere del duty free 25 del Terminal 1 lo immortala la mattina del 15 aprile alle 10,30. Il profumo che aveva in tasca era Chance di Chanel, che su internet si trova a prezzi che vanno dai 69 ai 164 euro. Nell’area del Leonardo da Vinci il prezzo era di 100. Proprio la visione delle immagini ha convinto i responsabili del negozio a denunciare.
L’indagine
Per questo ora la procura di Roma ha aperto un’inchiesta sulla vicenda. La delega delle indagini è alla polizia giudiziaria. Fassino era a Fiumicino in attesa del suo volo per Strasburgo. È a capo del comitato Medio Oriente e proprio quel giorno doveva presiedere i lavori dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. L’europarlamentare ha fornito al Fatto Quotidiano, che ieri ha parlato per primo della vicenda, una versione peculiare. Ha preso il profumo perché voleva fare un regalo alla moglie. Poi ha ricevuto una telefonata e «visto che non ho ancora tre mani» ha risposto e lasciato scivolare la confezione nella tasca del giaccone «in attesa così di andare alle casse». Ma a quel punto, sempre secondo la versione di Fassino, un vigilantes l’ha fermato mentre era ancora dentro il negozio ed è finito nei guai. Il problema, però, è che le telecamere dicono tutt’altro.
La verità di Fassino e quella dei filmati
Una fonte accreditata che ha potuto vedere il video lo descrive così con Repubblica: «Si vede l’eurodeputato entrare diretto allo stand dei profumi per donna, trascina un trolley, ha un giaccone scuro. Prende una confezione di Chanel Chance da 100 ml». Ma non finisce qui. Sempre secondo la fonte poi Fassino «alza gli occhi in direzione delle telecamere, si guarda attorno, si apparta in un angolino e infila il profumo dentro una tasca del giaccone. Esce dal duty free senza acquistare nulla e viene avvicinato da un addetto alla vigilanza privata». Se la descrizione è vera, non è impossibile capire come mai i responsabili del negozio non abbiano creduto alla versione dell’eurodeputato. Anche perché il filmato lo smentisce anche nei dettagli decisivi.
Il telefono no
Fassino infatti non prende il telefono nei filmati: «Nel video non c’è il telefonino all’orecchio del parlamentare», specifica ancora la fonte. E quando si ipotizza che abbia le cuffie, la risposta è: «Dal video non si vedono». E la versione viene smentita anche in un altro punto che appare decisivo: Fassino dice che si stava avvicinando alle casse quando è stato fermato. «Nelle immagini si vede andare via, fuori dal duty free. Non c’è l’antitaccheggio perché l’area è sorvegliata con le telecamere. Per questo il personale della sicurezza è intervenuto». La denuncia è stata fatta per tentato furto e non per furto perché c’è una sentenza della Cassazione che specifica che il delitto non può dirsi consumato se si è ancora sotto la sorveglianza degli addetti. Come nel caso di Fassino.
La sofferenza dell’eurodeputato
Intervistato da Rtl 102.5 ha ripetuto la sua versione: «Non sto bene, non vivo bene questa vicenda, che mi suscita disagio e molto malessere. È tutto frutto di un equivoco, di un malinteso che spero si chiarisca. È un episodio che mi mette profondamente a disagio. In vita mia non ho mai rubato nulla. In 50 anni di attività politica non ho mai compiuto gesti simili. Spero che questa cosa possa chiarirsi». Lunedì ha anche tentato di giustificarsi con la polizia sostenendo che «l’esercizio commerciale non è ben delimitato, non si capisce dove pagare».
(da agenzie)
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Aprile 25th, 2024 Riccardo Fucile
IL PADRE ROBERTO ALLA MANIFESTAZIONE A ROMA: “SONO QUI PER ILARIA, MIA FIGLIA E’ ANTIFASCISTA E QUESTA E’ CASA SUA”
“Sono qui per Ilaria, mia figlia è antifascista e questa è casa sua. Sono qui a rappresentarla fintanto che non può venire con le sue gambe. Ilaria ha già fatto un 25 aprile in carcere, quello del 2023 però non abbiamo voluto rendere nota la sua situazione per una serie di motivi. Questo è il primo 25 aprile che si può fare e deve essere l’ultimo con lei in carcere”. Così il padre di Ilaria Salis, Roberto Salis, durante il corteo dell’Anpi di Roma in occasione dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo.
“Nel mio Paese con la fine della Seconda Guerra Mondiale si ricorda la cacciata dei nazi-fascisti grazie alla coraggiosa lotta di partigiani e partigiane. Dalla penombra di questa cella desidero ardentemente che il mio Paese si mostri tutti i giorni all’altezza della propria storia. Che oggi, come in passato, voglia opporsi alle ingiustizie nel mondo e schierarsi dalla parte giusta della storia. Buon 25 aprile!”. Sono le parole che Ilaria Salis ha scritto dalla cella e ha affidato al papà Roberto.
A Roma durante il corteo dell’Anpi per il 25 aprile, è stato intonato “Ilaria libera” più volte. Un omaggio all’attivista detenuta ancora nelle carceri ungheresi, e a suo padre Roberto, presente questa mattina al corteo.
(da agenzie)
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Aprile 25th, 2024 Riccardo Fucile
DAI SOSTENITORI DI ISRAELE UNA SASSAIOLA CONTRO I CRONISTI
Lo dispiegamento di forze dell’ordine, a Roma, è imponente:
le autorità temevano che le celebrazioni per Festa della Liberazione potessero sfociare in scontri. E la previsione era azzeccata. La mattina del 25 aprile, intorno alle ore 8, si incontrano in piazzale Ostiense due gruppi contrapposti di manifestanti. Ai piedi della Piramide Cestia, da un lato, ci sono gli esponenti della Brigata ebraica. Dall’altro, sostenitori della causa palestinese. La tensione degenera in insulti, esplosioni di petardi e lanci di oggetti tra una frangia e l’altra. I membri della Brigata ebraica prendono di mira anche i giornalisti che documentano le proteste: vengono lanciati dei sassi contro cronisti e cameraman. Uno di loro, poi, tenta anche di forzare il cordone degli agenti per arrivare al contatto fisico con i pro Pal, ma la polizia riesce a bloccarlo.
«Fuori i genocidi dalla storia, con la Resistenza sempre», si legge su uno striscione dietro al quale si radunano i manifestanti in favore della Palestina. Una prima stima parla di 300 persone che, attorniate dalle forze dell’ordine e da una decina di blindati, si sono ritrovate in piazza di Porta San Paolo, per poi muoversi verso viale Ostiense. Numeri simili anche per gli esponenti della comunità ebraica, che si riconoscono nella Brigata ebraica. «Sono quelli che hanno buttato le bombe», accusano gli uni, «Israel, Israel», urlano gli altri, con le braccia alzate. Poco dopo le 9, la Brigata ebraica abbandona il presidio e si allontana dal luogo degli scontri.
(da agenzie)
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Aprile 25th, 2024 Riccardo Fucile
“ESSERE PIETOSI VERSO ALTRI ESSERE UMANI ERA DI PER SE’ UNA MANIFESTAZIONE DI RESISTENZA”
«Intorno all’antifascismo è possibile e doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico». Queste le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, cha ha citato le parole di Aldo Moro pronunciate nel 1975, durante la celebrazione della festa della liberazione a Civitella Val di Chiana. «Essere pietosi verso altri esseri umani era di per sé una manifestazione di antifascismo e di resistenza, quale che ne fosse l’ispirazione, laica o religiosa. Il fascismo aveva insita la ideologia della violenza, la pietà non era prevista…», ha dichiarato il capo dello Stato. E ancora: «La Resistenza, nelle sue forme così diverse, contribuì in misura notevole all’avanzata degli Alleati e alla sconfitta del nazifascismo».
«L’Italia era totalmente sottomessa alla Germania di Hitler»
«Totalmente sottomessa alla Germania imperialista di Hitler, l’Italia fascista, entrata nel conflitto senza alcun rispetto per i soldati mandati a morire cinicamente, non avrebbe comunque avuto scampo. Ebbe a notare, con precisione, Luigi Salvatorelli: ‘Con la sconfitta essa avrebbe perduto molto, con la vittoria tutto…», ha dichiarato il presidente. «All’infamia della strage di Marzabotto, la più grande compiuta in Italia, seguì un corollario altrettanto indegno: la propaganda fascista, sui giornali sottoposti a controlli e censure, negava l’innegabile, provando a smentire l’accaduto, cercando di definire false le notizie dell’eccidio e irridendo i testimoni. Occorre – oggi e in futuro – far memoria di quelle stragi nazifasciste e di quelle vittime e sono preziose le iniziative nazionali e regionali che la sorreggono. Senza memoria, non c’è futuro», ha sottolineato il Capo dello Stato. «A differenza dei loro nemici, imbevuti del culto macabro della morte e della guerra, i patrioti della Resistenza fecero uso delle armi perché un giorno queste tacessero e il mondo fosse finalmente contrassegnato dalla pace, dalla libertà, dalla giustizia. Oggi, in un tempo di grande preoccupazione, segnato, in Europa e ai suoi confini, da aggressioni, guerre e violenze, confidiamo in quella speranza», ha dichiarato Mattarella, chiudendo il suo intervento.
(da agenzie)
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