Giugno 17th, 2024 Riccardo Fucile
LE MISSIONI E LE GIUSTIFICAZIONI FITTIZIE
Qualche volta in aula volano pugni e schiaffi. Più spesso è
desolatamente vuota. Questa è l’immagine che il Parlamento offre ai cittadini italiani. Fra i due eccessi c’è, o ci dovrebbe essere, il lavoro di 400 deputati e 200 senatori, giustamente ben retribuito perché devono occuparsi esclusivamente dell’interesse del Paese e non essere corruttibili. Un parlamentare incassa ogni mese tra i 13 e i 15 mila euro. L’articolo 69 della Costituzione prevede che l’indennità sia stabilita per legge. Oggi la cifra si aggira intorno ai 5 mila euro netti. Il resto sono rimborsi per l’attività parlamentare, che vanno dalla diaria (3.500 euro) al rimborso spese (3690 euro per i deputati, 5.830 per i senatori) in parte da documentare e in parte forfettarie; dai 3323 a 3395 euro trimestrali per le spese di viaggio, ai 1200 euro l’anno per il telefono (solo i deputati).
I benefit
Si aggiunge il diritto a percepire la pensione dopo 5 anni di legislatura, al compimento dei 65 anni di età e benefit vari fra cui gli interessi sul conto corrente: il 5,44% per i deputati e dipendenti della Camera con il c/c presso Banca Intesa a Montecitorio, e il 3,50% per i senatori con il conto BNP Paribas. Un privilegio difficile da digerire per tutti i comuni mortali che sui depositi a vista ricevono fra lo 0,20 e lo 0,50%. Ma tant’è. L’articolo 67 della Costituzione ricorda che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato», il che significa che la partecipazione ai lavori di Camera e Senato non è un obbligo lavorativo, bensì una responsabilità dell’eletto verso il suo partito e verso chi lo ha nominato: a loro deve rispondere della sua attività parlamentare. E delle sue presenze e assenze.
Le regole
I regolamenti di Camera e Senato prevedono penalizzazioni in caso di assenza da sedute e Commissioni. In aula si contano solo le sedute in cui si vota e si deve essere presenti almeno al 30% delle votazioni giornaliere per evitare decurtazioni. Questo significa che nell’arco della giornata si possono saltare il 70% delle votazioni senza dare alcuna spiegazione. La presenza è certa perché il voto è elettronico. Lo stesso meccanismo vale per i lavori delle Commissioni (Giustizia, Affari Esteri, Giustizia, Difesa, Bilancio, ecc) dove la presenza del 30% è calcolata su base mensile, ma viene rilevata con il tesserino elettronico solo in ingresso e non in uscita. Inoltre i resoconti dei lavori non sono così dettagliati e il voto è per alzata di mano. Sia in aula sia in Commissione, però, il parlamentare assente è considerato presente se giustificato. Le motivazioni ammesse: maternità obbligatoria, congedo di paternità, ricovero ospedaliero, malattia certificata, lutto per un congiunto (3 giorni), assistenza a un familiare invalido (3 giorni al mese). A validare le giustificazioni è il Collegio dei questori.
Chi controlla?
I membri del Governo in aula si vedono poco (sono una sessantina fra deputati e senatori), ma sono considerati in «missione» e, quindi, assenti giustificati. Però il ventaglio delle missioni è molto ampio: ognuna deve essere motivata e i parlamentari devono inviare al Servizio Assemblea dell’Aula i documenti sull’effettiva partecipazione. Ma queste informazioni non sono pubbliche e non è quindi possibile sapere se il tal giorno l’onorevole Tizio o Caio era effettivamente impegnato in missione. Nella categoria «missioni» rientrano gli incarichi affidati da Senato e Camera ai parlamentari per funzioni istituzionali, partecipazioni alle delegazioni delle assemblee internazionali o per i lavori nelle Commissioni. Spiega Luca Dal Poggetto, analista politico di Openpolis: «Nelle Commissioni c’è una grave carenza di trasparenza, i dati non sono tutti pubblici e non si possono verificare le presenze: da tempo chiediamo un intervento su questo, ma al momento l’argomento non è all’ordine del giorno». Nella pratica un parlamentare può non essere presente in aula e giustificato perché presente in Commissione, ma nella realtà stare da qualche altra parte a farsi gli affari suoi. Va precisato che anche il partito può giustificare i propri senatori e deputati. E lo fa molto spesso.
Assenti giustificati
I dati più completi sono quelli elaborati da Openpolis. Nonostante i lavori parlamentari si svolgano da martedì a giovedì (salve rare eccezioni) e nonostante le maglie larghe, nell’attuale legislatura l’assenza media è del 30,6% a Montecitorio e del 21,6% a Palazzo Madama. C’è il caso del deputato siciliano Antonino Minardo (transitato da Forza Italia, poi Lega e ora al Gruppo Misto): alla Camera ha partecipato a 47 votazioni (0,63%). Ma essendo Presidente della Commissione Difesa risulta in missione per la maggior parte del tempo, 7.419 volte, il che rende la sua percentuale di presenza altissima: 99,44%. Anche il deputato Giulio Tremonti (Fratelli d’Italia) è spessissimo in missione: 6.500 volte. Conta 266 votazioni in aula, pari al 3,54% del totale, ma la percentuale di presenza è del 90,12% giustificato dal fatto che è Presidente della Commissione Affari esteri, membro della commissione Finanze, e fa parte della Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare della Nato. Il senatore Guido Castelli (Fdi) commissario alla ricostruzione aree colpite dal terremoto, ha una percentuale di presenza del 14,64%, ma alla fine risulta presente per l’86,69%. Il punto è: chi verifica l’effettiva partecipazione alle missioni? Dice Dal Poggetto: «il margine di discrezionalità è molto ampio e non è possibile sapere se alla fine si tratti di missioni camuffate o reali». C’è anche chi di incarichi non ne ha, come il senatore Claudio Borghi (Lega): presenza del 35,10%, con però un buon numero di congedi per cui è presente per l’87,57 %. Ci sono poi i leader di partito: Elly Schlein (Pd) e Giuseppe Conte (M5S) registrano rispettivamente il 24,2% e il 26,74% di presenze, mentre Matteo Renzi (Italia Viva) e Carlo Calenda (Azione) hanno il 53,59% e il 51,86%. Le assenze ovviamente giustificate.
Angelucci e Fascina
Sul podio sale Antonio Angelucci, deputato della Lega: dall’inizio della XIX Legislatura, cioè dal 13 ottobre 2022, a fine maggio 2024 è stato presente a 13 votazioni in Aula su 7508, pari al 99,83% di assenze. È membro della Commissione Affari esteri e comunitari, ma non è stato mai in missione, eppure risulta giustificato per l’85,92% e pertanto non subirà alcuna decurtazione. Non ha fatto meglio nella legislazione precedente (2018-2022) da deputato di Forza Italia: 3,14% di presenze con 371 votazioni su 11.830. Peggiorata anche la «prestazione» della deputata di Forza Italia Marta Fascina, compagna di Silvio Berlusconi: in questa legislatura è risultata presente appena il 7,17% delle volte, con una percentuale di assenza del 92,83% delle votazioni. È segretaria della Commissione Difesa, ma non ha mai partecipato ad alcuna missione, però è stata «giustificata» l’80,26% delle volte.
Tutti salvi
Lo scorso aprile il deputato di Alleanza Verdi Sinistra Angelo Bonelli ha scritto ai presidenti di Senato e Camera Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana per chiedere di intervenire contro l’assenteismo parlamentare con un tetto massimo alle assenze e prevedendo la decadenza dal mandato. Gli ha risposto solo Fontana ricordando le norme già in vigore sulla decurtazione e l’articolo 67 della Costituzione sull’assenza di vincolo di mandato. Le norme in vigore prevedono che per ogni giorno di assenza non giustificata vengano decurtati dai 3500 euro di diaria 206,58 euro per i deputati e 224,9 per i senatori a cui possono aggiungersi fino a 500 euro mensili in relazione alla percentuale di assenze da giunte e commissioni. A conti fatti però, fra presenze vere per cui basta il 30% e assenze giustificate, praticamente nessuno ci rimette un euro. Il cittadino può ringraziare il partito che candida l’assenteista cronico, non vigila sulla sua effettiva partecipazione ai lavori parlamentari, e gli copre pure le spalle. Abdicando così alla sua funzione di garante verso l’elettore.
Milena Gabanelli e Claudia Voltattorni
(da corriere.it)
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Giugno 17th, 2024 Riccardo Fucile
LA STAMPA: RESORT FINTO E REPORTER IN CRISI SENZA WI-FI
Come si dice disagio in francese, ma anche tedesco, inglese, giapponese? Giorgia Meloni a fine vertice ha ringraziato gli “operatori dell’informazione”, che hanno “fatto la spola tra Bari e Borgo Egnazia…”. Ecco, la spola: ci sarebbe stato più di qualche mugugno sull’andata-ritorno tra il capoluogo e il compound (che va ricordato è una struttura privata da 3mila euro a notte) degli operatori dell’informazione, i quali più che degli strumenti professionali (foto e videocamere, treppiede, zaini con batterie di riserva) si sono dovuti armare di francescana pazienza.
Disorganizzazione che ha sollevato dubbi tra i reporter stranieri. Diverse “delegazioni” della stampa internazionale l’hanno ribattezzata “organizzazione italian style”, tra incredulità e nervosismo. A iniziare dalla location: il centro stampa era a 80 chilometri dal “luogo di lavoro” (il lussuoso resort brindisino di Borgo Egnazia) negli immensi spazi della Fiera del Levante: gigantesco e dove nemmeno internet funzionava. I fotoreporter erano suddivisi in pool: ogni volta minimo un’ora e mezza di viaggio per arrivare al G7 e fare lo scatto programmato. Poi di nuovo tutti in viaggio in una processione continua: per alcuni ha voluto dire fare anche 4-5 viaggi in una sola giornata. Lunghe attese dalle prime ore del mattino per salire sui pullman: tra l’ora e le due la media stimata. Tanto che alcuni reporter della stampa estera hanno pensato già a metà soggiorno di declinare ogni passaggio, rifiutandosi di far ritorno al media center. Un pomeriggio, finito di lavorare, racconta un fotoreporter, hanno cominciato a urlare “tutti fuori, veloci che arriva il pullman! ci siamo ritrovati in mezzo alla pampa per 4 ore perché le direttive imponevano di far partire prima tutte le delegazioni”. Non meglio, la situazione lavorativa nel resort: cerimoniali lasciati all’improvvisazione, senza riferimenti per i fotografi: “Da dove arriva Biden?” “Scusa, non sappiamo niente…”. E i fotoreporter dovevano lanciare la monetina per “scommettere sugli ingressi e non prendere il buco”.
Meloni ha magnificato il cibo servito ai suoi ospiti e le loro reazioni estasiate. Per la stampa l’abbondanza era garantita. Cibo quasi tutto pugliese certo, come da panegirico mediatico, però l’olio era toscano, il prosciutto di Parma… e lo stesso Borgo Egnazia è apparso solo una rappresentazione di una regione in verità molto diversa dalla costosa esclusività del villaggio per turisti facoltosi.
La Disneyland pugliese, con un grande giro di affari alle spalle. Un tocco di improvvisazione non avrebbe risparmiato nemmeno i leader. Al momento del corteo di auto-caddy a favore dei fotografi ci sarebbe stato un disguido tra l’autista e Meloni: lui era incerto sul dove andare, lei ha indicato il percorso: “vai de là, vai de là”. Più maschia la reazione di Macron che, innervosito, si è caricato la sicurezza – che intimava di non fotografare la scena – a bordo della Panda Safari, guidando direttamente lui.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Giugno 17th, 2024 Riccardo Fucile
“NON CI SONO DUBBI, IL CAMPO GIUSTO NON SI PUÒ COSTRUIRE CHE CON I DEMOCRATICI”… SECONDO I SONDAGGI FUNARO, CHE AL PRIMO TURNO HA PRESO IL 43%, È AVANTI DI DIECI PUNTI SUL TEDESCO EIKE SCHMIDT, CANDIDATO SOVRANISTA
Il Movimento 5 stelle affiancherà Sara Funaro al ballottaggio per le
elezioni comunali a Firenze. Lo scrive nero su bianco l’avvocato Lorenzo Masi, che al primo turno si è presentato come candidato sindaco del M5s, ottenendo il 3,35% (6.068 voti).
M5s come partito ha avuto gli stessi voti ma come lista ha pesato qualcosa in più, il 3,53% (Rpt: 3,53%).
“Al ballottaggio nella scelta tra centrosinistra e Destra non ci sono dubbi per il Movimento Cinque Stelle, il campo giusto non si può costruire che con i Democratici e al ballottaggio sosterremo convintamente la candidatura di Sara” Funaro, “non lasceremo la nostra Firenze in mano alla Destra. Col Pd abbiamo avuto e abbiamo posizioni e punti di vista diversi su alcune questioni, ma ci sono state e ci sono collaborazioni in altri contesti e situazioni che si sono dimostrate proficue per la collettività”, queste le parole di Masi.
“Siamo pronti a confrontarci lealmente per il bene di Firenze e nell’interesse della Città metropolitana, in prospettiva delle Regionali del 2025, senza ovviamente rinunciare ai nostri temi – afferma ancora Masi – Annunciamo quindi l’appoggio a Sara, senza tatticismi e baratti, e ci auguriamo che tutte le forze di centrosinistra che si sono confrontate al primo turno facciano altrettanto.
chmidt è il candidato delle forze di Destra che malgovernano il Paese e ad oggi non stanno portando avanti ciò che hanno promesso ed hanno messo la nostra città nel mirino. La risposta democratica di Firenze sarà un segnale per tutta l’Italia”.
(da agenzie)
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Giugno 17th, 2024 Riccardo Fucile
IL SONDAGGIO DI PAGNONCELLI: IL 44% CREDE CHE I RISULTATI DELLE ELEZIONI EUROPEE RENDERANNO PIÙ LITIGIOSA LA MAGGIORANZA, E IL 57% CHE IL GOVERNO ASSUMERÀ POSIZIONI PIÙ RADICALI
Il voto europeo sembra essere dominato da tre elementi forti. Il primo è senza dubbio la scarsa partecipazione: quest’anno ha votato il 49,7% del corpo elettorale, con un calo di oltre 6 punti rispetto alle ultime Europee. Per la prima volta, in una consultazione nazionale, ha partecipato meno della metà degli elettori. Il drammatico calo registrato alle Politiche del 2022 si conferma.
Il secondo elemento forte è rappresentato dalla rinascita del bipolarismo, come sottolineato da molti osservatori. Fratelli d’Italia e Partito democratico ottengono insieme circa il 53% dei voti validi.
Un dato importante ma, se lo riportiamo alla partecipazione, insieme ottengono solo poco più del 25% degli elettori.
Il terzo elemento da sottolineare è proprio relativo alle «terze forze». Sia il M5S, sia soprattutto le forze moderate (Azione e Stati Uniti d’Europa) hanno ottenuto risultati decisamente poco soddisfacenti. E infine si è prodotta una ridefinizione dei rapporti di forza nella maggioranza, con il sorpasso di Forza Italia sulla Lega.
Se guardiamo al dato continentale, che vede la crescita di forze di destra come il Rassemblement national in Francia e AfD in Europa, tra gli elettori italiani emerge qualche preoccupazione relativa al fatto che ci siano dei rischi per il progetto dell’Ue (lo pensa il 36%, con le punte massime nelle forze di opposizione), anche se molti ritengono che complessivamente non ci siano grandi rischi poiché le forze europeiste rimangono comunque maggioritarie (28%).
Nel nostro Paese la vittoria spetta, nella valutazione degli intervistati, innanzitutto a Giorgia Meloni che ha saputo migliorare le performance della sua formazione anche rispetto al dato delle elezioni politiche (l’asticella minima dei consensi accettabili). Lo pensa esattamente la metà degli italiani.
Al secondo posto, pur se distanziata, Elly Schlein, cui assegna la vittoria quasi il 30% degli italiani, a conferma del «bipolarismo» di cui abbiamo appena parlato. D’altronde Elly Schlein non era presente in tutte le circoscrizioni e guida un partito decisamente più «plurale». Gli altri contendenti raccolgono poche citazioni, con l’eccezione di Antonio Tajani, indicato da poco meno del 10%.
Relativamente ai perdenti, la classifica vede in testa Giuseppe Conte (29%), seguito da Matteo Renzi (23%), Matteo Salvini (19%) e Carlo Calenda (12%). Una valutazione sostanzialmente rispondente alla realtà
Se guardiamo alla compagine di governo, la percezione prevalente (56%) è che i risultati delle Europee produrranno una maggiore coesione, ma il 44% è di parere opposto. A questo proposito le opinioni degli elettori della maggioranza sono radicalmente diverse rispetto a quelle degli elettori dell’opposizione, ad indicare che si tratta più di auspici che di previsioni.
E il 57% prevede che si produrrà una radicalizzazione degli atteggiamenti delle forze di maggioranza, per quanto in realtà la forza più radicalizzata, la Lega (in maniera quasi esasperata con la candidatura di Vannacci), sia stata superata da Forza Italia che ha un posizionamento più moderato. Sembra quindi che il bipolarismo cui accennavamo abbia come conseguenza, nella percezione relativamente prevalente, un accentuarsi delle distinzioni.
Per le forze di opposizione le prospettive percepite sono decisamente più articolate: se il 22% pensa che si andrà verso una coalizione progressista che comprenda Pd, M5S e Avs, il 14% prevede un allargamento anche alle forze centriste (Azione, Stati Uniti d’Europa), mentre ben il 17% propende per l’idea che ognuno andrà per proprio conto e il 41% non è in grado di fare previsioni. [
Nando Pagnoncelli
per il “Corriere della Sera”
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