Agosto 10th, 2024 Riccardo Fucile
IL DATO PREOCCUPA ANCORA DI PIÙ SE SI CONSIDERA LA QUANTITA’ DI PRODOTTI VENDUTI (-8,6%)… PRECIPITANO LE IMPORTAZIONI (-9,3%), MONITO DI UN’ATTIVITÀ ECONOMICA SEMPRE PIÙ FIACCA
Il governo continua a vantare le performances dell’economia italiana, l’Istat continua a diffondere pessimi dati. Dopo quelli su industria e consumi, ecco quello sulle esportazioni di giugno, in calo del 6,1% in valore rispetto all’anno prima e, addirittura, dell’8,6% nelle quantità. Consola poco il + 0,5% su maggio che era stato a sua volta un mese debole. Crollano le importazioni , – 9,3%, a testimonianza di un’attività economica sempre più fiacca. Questo fa si che il saldo sia positivo per 5 miliardi di euro
Scende soprattutto l’export verso l’Austria (- 11,7%), il Belgio (- 10,5%) e la Germania (- 8,7%). Male anche esportazioni per la Francia, altro grosso partner economica, che scendono del 3,2% sul giugno 2023. Salgono viceversa quelle per la Spagna (+ 2,6 )
Quanto ai diversi comparti industriali affonda l’auto (- 21% su base annua) trascinando tutto il settore mezzi di trasporto (- 13%). Male la meccanica (la voce più importante della nostra industria) le cui esportazioni arretrano dell’8,2%. Restando tra i settori di punta del made in Italy, il tessile e abbigliamento scende di ben il 13%. L’export di mobili cala dell’8%. Tiene il comparto alimentari (+ 0,7%).
(da agenzie)
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Agosto 10th, 2024 Riccardo Fucile
NETTAMENTE IN VANTAGGIO ANCHE A MIAMI, NELLA ROCCAFORTE REPUBBLICANA DELLA FLORIDA … HARRIS E IL SUO VICE TIM WALZ CONTINUANO A MARTELLARE NEGLI STATI IN BILICO: DOPO PENNSYLVANIA E MICHIGAN SBARCANO IN ARIZONA
Kamala Harris corre e stacca Donald Trump, avviandosi alla convention democratica con il vento in poppa. La vicepresidente, secondo l’ultimo sondaggio di Ipsos, ha ben cinque punti di vantaggio rispetto al rivale a livello nazionale (42% contro 37%). E, emerge da altre rilevazioni, sarebbe nettamente in vantaggio anche a Miami, nella roccaforte repubblicana della Florida.
Approfittando del momento positivo, Harris e il suo vice Tim Walz continuano la loro tournée negli stati in bilico, e dopo la Pennsylvania e il Michigan sbarcano in Arizona, dove il tema dell’immigrazione – tallone di Achille della vicepresidente – è il protagonista insieme all’aborto. Harris la prossima settimana è attesa alla prima comparsa con Biden in campagna elettorale. La vicepresidente è convinta che il suo attuale capo possa aiutarla in alcuni degli stati in bilico, anche se molti democratici sono scettici e avrebbero preferito un’assenza totale del presidente dai comizi elettorali.
Dopo giorni di stop, interrotti solo dalla conferenza stampa fiume a Mar-a-Lago, Trump vola invece nel repubblicano Montana nel tentativo di rilanciare la sua campagna elettorale, travolta dal ciclone Harris. Nonostante i numerosi tentativi, Trump non è riuscito a riprendersi la scena dopo la rinuncia di Joe Biden e i suoi attacchi alla vicepresidente si sono rivelati finora un boomerang. La conferenza stampa dalla sua residenza in Florida puntava proprio a riconquistare l’attenzione dei media ma non è riuscita nell’intento.
“E’ stata un crollo emotivo pubblico”, l’ha descritta la campagna di Harris, plaudendo comunque all’impegno dell’ex presidente al dibattito del 10 settembre. “Mi fa piacere che abbia accettato”, ha detto la vicepresidente dicendosi aperta all’ipotesi di altri faccia a faccia. Harris ha anche affermato che entro il mese di agosto rilascerà la sua prima intervista da quando è stata nominata candidata democratica alla presidenza.
Un’intervista attesa da molti, dai media ma anche dai repubblicani che vogliono vederla all’opera in un contesto fuori dall’ordinario e con domande non programmate. Gli americani da Harris e Walz vogliono invece sapere nel dettaglio i contenuti della loro campagna, al di la’ dell’aborto. Vogliono conoscere le loro posizioni sul Medio Oriente ma anche sull’economia.
Israele e’ uno dei dossier piu’ spinosi politicamente per Harris: le sue posizioni sono piu’ vicine alla sinistra progressista, ma da candidata presidenziale la vicepresidente e’ costretta a trovare un equilibrio maggiore per non alienarsi i moderati e gli indipendenti e soprattutto per non offrire nessuna apertura a Trump.
Sull’economia Harris deve rivedere le sue politiche, visto che le ricette attuate da Biden non hanno riscosso successo fra gli americani, alle prese con un carovita che non molla la presa.
Anche l’ex presidente sul fronte economico sta cambiando radicalmente prospettiva rispetto ai suoi quattro anni alla Casa Bianca. Trump infatti sta puntando sull’eliminazione delle tasse sulle mance, in netta contraddizione con il suo Dipartimento del lavoro che voleva le mance a disposizione dei datori di lavoro a patto che i dipendenti guadagnassero almeno 7,25 dollari l’ora. Retromarcia anche sul Bitcoin, di cui non era un fan ma che ora sponsorizza. E’ su TikTok però il voltafaccia maggiore: Trump da presidente voleva vietarlo, ora invece si propone come suo salvatore perchè – è la sua teoria – è in ogni caso meglio di Facebook di Mark Zuckerberg, uno dei suoi grandi nemici.
(da agenzie)
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Agosto 10th, 2024 Riccardo Fucile
LA SUA MISSIONE FINO A PARIGI E’ UN’INCREDIBILE STORIA
Durante le finali di ginnastica ritmica alle Olimpiadi, culminate con il bronzo per Sofia Raffaeli, non è sfuggita al pubblico da casa Claudia Mancinelli, tecnica che ha preso per mano l’azzurra e la compagna Milena Baldassarri dieci mesi prima della competizione di Parigi. Mancinelli, arrivata dopo l’addio della storica allenatrice Julieta Cantaluppi, ha fatto del suo meglio, riuscendo in un miracolo, dato che Sofia è la prima medaglia individuale italiana nei Giochi Olimpici in quel settore.
Ma ha anche conquistato i social: è diventata virale la sua reazione contro i giudici dell’all-around, che avevano condizionato in negativo il punteggio di Raffaeli. Ha puntualizzato, con camminata sicura poi verso la panchina, ottenendo una revisione del punteggio. Revisione che poi ha permesso alla sua atleta di vincere il bronzo.
Claudia Mancinelli e il passato da attrice
La bulgara Cantaluppi, che ha seguito Raffaeli fin da bambina, ha mollato le azzurre per andare ad allenare in Israele adducendo motivi personali. Al suo posto è subentrata Mancinelli, cresciuta come ginnasta in quella stessa accademia di Fabriano, allenata da Kristina Ghiurova e Mirna Baldoni. Non senza lunghe parentesi, la tecnica abbandonò il mondo dello sport (dove portò la società comunque dalla B alla A1) per dedicarsi alla recitazione.
Ha lavorato come attrice in diversi film italiani, ma poi è stata chiamata dalla federazione per guidare le ragazze alle Olimpiadi nel 2023. Una missione che ora l’ha portata a Parigi e al sogno che si è realizzato ieri sera.
Il profilo Instagram dell’allenatrice sta macinando followers da diverse ore: ora ha superato i 16mila. Tanti i commenti e complimenti, anche da un pubblico femminile.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 10th, 2024 Riccardo Fucile
L’ALGERINA REGALA IL PRIMO TRIONFO NELLA BOXE AL SUO PAESE DAVANTI A 20.000 TIFOSI IN DELIRIO… FINE DELLE POLEMICHE: ORA I SOVRANISTI POTRANNO TORNARE AD ANDARE A TRANS NEI VIALI ALL’INSAPUTA DELLE MOGLI
E chi l’aveva mai visto così il Philippe Chatrier, chi avrebbe immaginato il paludato tempio del tennis, il mitico centrale del Roland Garros prestato alla boxe e invaso dai ventimila tifosi impazziti che ieri sera alle 23 e 14 hanno accolto con un urlo selvaggio l’oro olimpico d’Algeria di Imane Khelif, la ragazzina dell’Atlante che è arrivata al titolo sconfiggendo cinque avversarie e sopravvivendo a tonnellate di veleni e bugie riversate dal fronte russo: se una trans, sei una bara, sei una picchiatrice che contro ogni regola massacra delle vere donne.
Aggressiva, sgusciante, nel primo round (5-0 per lei) Imane ha piazzato tre dritti precisi al volto della cinese, nel secondo ha vacillato un attimo per la reazione rabbiosa di Liu Yan ma poi ha preso le misure e guadagnato di nuovo l’unanimità dei giudici.
Nella terza ha gigioneggiato incassando un altro giudizio unanime. Liu Yan, soldatino predestinato alla sconfitta, l’ha portata a centro ring e le ha alzato il braccio: nessuna polemica, zero recriminazioni, sei tu la più forte.
Khelif è scesa sul ring per ultima, sola atleta africana in finali che parlavano cinese, uzbeko, turco, messicano, kirghiso, polacco, ucraino. L’oro olimpico è un risarcimento arrivato 505 giorni esatti dopo misfatto: Liu e Imane si sarebbero dovute incontrare il 23 marzo 2023 sul ring della Indira Gandhi Arena di Nuova Delhi dove entrambe si erano guadagnate l’accesso alla finale mondiale dei Welter. Imane non ci arrivò mai. Poche ore prima dell’incontro che le avrebbe cambiato la carriera, l’International Boxing Association gestita con pugno di ferro e i soldi di Putin da Umar Kremlev le consegnò un foglio di via di sette righe, senza ragioni o motivazioni.
Il motivo, sussurrato nei corridori federali e noto al mondo solo da poche settimane, è che un test genetico effettuato contro ogni regola di cui non sono mai stati resi noti i referti, aveva giudicato Khelif un uomo.
«Lei dice di essere donna, io posso dire di essere un albero o una lucertola», ha spiegato sprezzante l’ex medico federale Ioannis Filippatos ora dominus della boxe europea, fedelissimo di Kremlev. Dopo la squalifica di Imane, a combattere contro Liu Yang venne promossa la tailandese Suwannapheng, battuta dall’algerina in semifinale ma pupilla del presidente del board suo connazionale, che la cinese sconfisse con un secco 5 a 0.
Khelif provò a ricorrere al Tas di Losanna ma quando capì che per fronteggiare la federazione avrebbe dovuto farsi rappresentare da avvocati svizzeri che le sarebbero costati un occhio della testa, gettò la spugna e tornò ad Algeri ad allenarsi.
La sua fortuna (se così si può dire) fu l’espulsione dell’Iba per ruberie assortite dal consesso di quel Cio che le garantì le visite e gli esami che l’avrebbero riabilitata come donna e come atleta.
Adesso l’oro olimpico è suo e nessuno potrà portarglielo via: seguiranno polemiche, altri veleni, altro fango. Ma Imane ormai è immune e felice.
(da Il Corriere della Sera)
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Agosto 10th, 2024 Riccardo Fucile
INCITAVA AD ATTACCARE UN HOTEL CHE OSPITA RICHIEDENTI ASILO… SEMPRE MEGLIO DI DUE ANNI DI RICOVERO A TRAUMATOLOGIA
È arrivata la prima condanna per istigazione all’odio razziale via social nell’ambito delle proteste anti migranti che stanno scuotendo l’Inghilterra da più di una settimana. Jordan Parlour, 28enne di Leeds, è stato condannato a 20 mesi di carcere dal tribunale della città per i post pubblicati nel corso dei disordini dell’ultradestra.
Le manifestazioni sono scoppiate in seguito alla pubblicazione e alla diffusione della notizia falsa che a uccidere a coltellate tre bambine in una scuola di danza di Southport fosse stato un immigrato clandestino.
In realtà, il colpevole era un 17enne originario di Cardiff. Parlour come molti altri online ha però soffiato sul fuoco delle polemiche e ha aizzato la comunità social ad attaccare un hotel di Leeds che ospita richiedenti asilo e rifugiati.
(da agenzie).
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Agosto 10th, 2024 Riccardo Fucile
A SORPRESA, LA TERZA REGIONE PER NUMERO DI FIRMATARI (52 MILA) È LA LOMBARDIA, OGGI FEUDO DI FRATELLI D’ITALIA STRAPPATO AL CARROCCIO
Arrivati a 475 mila firme online per il referendum contro l’Autonomia in neanche 15 giorni, più un altro numero non ancora del tutto definito di adesioni raccolte ai banchetti – una stima spannometrica parla di altre 200 mila –, i promotori stanno cominciando ad analizzare le prime scomposizioni territoriali utili a capire dove il tema è più sentito e dove meno. Ma il fatto di maggior interesse, e in qualche modo non previsto, è che l’argomento non monopolizza l’interesse del solo sud.
Segno che la battaglia referendaria contro uno dei provvedimenti simbolo del governo, imposto agli alleati dalla Lega, è già di per sé un fattore unificante per quei mondi che a vario titolo rappresentano l’opposizione al governo.
Ma venendo ai numeri, la suddivisione davvero precisa la si può fare sin da ora solo rispetto alle firme online sulla piattaforma ministeriale, dove basta la certificazione della propria identità, in genere attraverso la Spid, per registrare la firma. In cima alla classifica c’è la Campania con 94 mila firme, al secondo posto il Lazio con 55 mila e terza la Lombardia, 52 mila.
Il dato lombardo è particolarmente significativo: in teoria dovrebbe essere un territorio che ha tutto da guadagnare dall’Autonomia. Nel 2017 la Lega Nord con il sostegno di tutto il centrodestra organizzò dei referendum regionali proprio in Lombardia e Veneto, dove i cittadini chiesero per l’appunto maggiore autonomia; la quale in realtà, alla fine, si traduce più che altro nella battaglia leghista di trattenere il grosso del residuo fiscale — una cinquantina di miliardi di euro, secondo le stime — entro i confini regionali.
Quarto posto per Sicilia (43 mila firme) e Puglia (42 mila). In una regione del Sud, seppur piccola, come la Basilicata (7 mila firme) le adesioni sono state meno che in Veneto (17 mila).
I dati sono diversi per le sottoscrizioni in carne e ossa. In testa c’è la Sicilia, con 22 mila firme; al secondo posto con numeri praticamente identici ci sono Emilia-Romagna, Piemonte e Puglia con 12 mila e rotte firme. Il dato emiliano e piemontese è spiegato anche dal buon radicamento sindacale, unita a un’ottima capacità organizzativa, nelle rispettive strutture produttive
Rimane comunque l’obiettivo di arrivare a un milione di firme entro la fine di settembre. Il quorum necessario delle 500 mila è raggiunto da diversi giorni ma la mobilitazione va al di là dell’obiettivo minimo.
E mette sotto pressione l’esecutivo, dove non ci si aspettava una risposta così forte alla legge Calderoli. Il presidente veneto e leghista Luca Zaia lo va ripetendo ormai da giorni, cioè che se il referendum per l’abrogazione passasse per il governo potrebbe essere il capolinea.
Intanto tra gennaio e febbraio la Consulta dovrà dare il via libera (o meno) al referendum, che in caso positivo si terrebbe nella primavera del 2025. Di certo, come detto, i primi numeri ribadiscono che il movimento contro l’Autonomia differenziata non è un fatto che tocca solo chi vive da Roma in giù.
(da agenzie)
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Agosto 10th, 2024 Riccardo Fucile
IL COLPO DI SPUGNA AI REATI DEI COLLETTI BIANCHI E L’ADDIO ALLA DESTRA DELLA LEGALITA’
“Ha firmato, ha firmato”, esulta la tronfia Trimurti delle destre italiane. Sergio Mattarella ha aspettato l’ultimo giorno utile, il ventinovesimo, per promulgare la legge sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Ma infine l’ha fatto, non senza aver palesato i suoi dubbi. Carlo Nordio fa festa: già in viaggio verso le sudate vacanze, può finalmente godersi un altro meritatissimo spritz.
Alla faccia di chi gli vuol male, dei giacobini dell’opposizione e anche dei poveri cristi che schiumano e crepano nelle patrie galere. Il ministro dell’evanescenza giudiziaria — prigioniero di un complesso d’inferiorità pari solo al suo spirito di rivalsa verso gli ex colleghi — ha finalmente portato a casa l’unico provvedimento che è riuscito a sfornare in ventuno mesi.
Non è “la grande riforma della giustizia”, sulla quale sproloquia inutilmente dal giorno in cui ha messo piede a Palazzo Piacentini, nel dicastero di Via Arenula. Per lui è comunque “uno storico passo avanti”. Ma per la democrazia e per lo stato di diritto è invece una giornata nera. Da segnare nel calendario degli orrori e degli errori compiuti da questo governo.
Questa non è una misura di pulizia giuridica o di “deflazione penale”, utile ad alleggerire e a sveltire il lavoro degli amministratori pubblici, liberandoli dal famoso “incubo della firma”. Questo, molto più banalmente, è un colpo di spugna su uno dei reati tipici dei colletti bianchi, che cancella in un amen 3.623 condanne definitive e apre un buco enorme nella rete predisposta dalle direttive europee contro il malaffare.
È vergognoso che ad autorizzare questo scempio sia stata Giorgia Meloni. Proprio lei, figlia di una destra radicale che aveva avuto almeno il principio di legalità come unica dote civile da spendere nell’agorà repubblicana.
Proprio lei, giovane militante del Fronte della Gioventù che aveva iniziato a fare politica attiva dopo la mattanza di Via D’Amelio in cui furono massacrati Paolo Borsellino e la sua scorta.
Proprio lei, da donna del popolo diventata donna sola al comando, oggi fa questo regalo indebito alla casta, ai potenti della terra di mezzo, ai manovali della criminalità organizzata.
Per la premier è uno stigma, un destino, una maledizione. Nell’autunno del 2022, durante la velenosa trattativa sulla lista dei ministri, fu capace di mettere in riga Berlusconi dicendogli “Io non sono ricattabile”. Solo due anni dopo, si piega al ricatto politico — e postumo — del fantasma del Cavaliere, che credevamo estinto ma non lo è. Silvio c’è, è il morto che afferra la viva, e attraverso i suoi eredi la inchioda alla “parola che tutto squadra”: la Giustizia, la guerra santa contro le toghe, i “Lodi Alfani&Schifani”, le norme-vestitino cucite a misura degli eletti e il garantismo di Palazzo usato come foglia di fico per nascondere la pretesa di impunità. L’alfa e l’omega del berlusconismo, che diventa alfabeto apocrifo del melonismo.
È un paradosso che sia proprio l’Underdog della Garbatella a portare avanti le crociate dell’Unto del Signore di Arcore. Ma è esattamente quello che sta succedendo, in questo eterno ritorno dell’uguale in cui la nuova destra, proprio come la vecchia, non combatte solo contro le procure, ma un po’ anche contro se stessa e contro i suoi fantasmi, contro i suoi totem e contro i suoi tabù. L’attuale Guardasigilli, con rispetto parlando, è suo malgrado l’utile idiota di questa specie di “esecuzione testamentaria”. Una specie di Golem Berlusconiano, incaricato di completarne il disegno. Il “pacchetto Nordio” — già spacciato infinite volte all’opinione pubblica e ai media — contempla l’intero catalogo delle diavolerie giudiziarie concepite a suo tempo nel laboratorio di Palazzo Grazioli dai Dottor Stranamore del Cav, Niccolò Ghedini e Gaetano Pecorella. Dalla separazione delle carriere tra giudici e pm all’istituzione di un secondo Csm di estrazione partitica per giudicare i magistrati, dalla tagliola sull’utilizzo delle intercettazioni al bavaglio alla stampa nel pubblicarle. La depenalizzazione dell’abuso d’ufficio è in teoria solo l’inizio di questo viaggio negli inferi, al quale adesso — nella migliore tradizione delle leggi <CF2002>ad personam</CF> — potrebbe aggiungersi addirittura un altro ambìto “golpetto”: l’immunità preventiva per i sindaci e i presidenti di Regione. La potremmo chiamare “norma-Toti”, visto che non solo il partito azzurro di Tajani, ma anche il Carroccio verde di Salvini ha pensato bene di sfruttare l’inchiesta sul presidente della Liguria, per proporre una specie di scudo penale per tutti i governatori.
L’obiettivo è sempre lo stesso: proteggere il Potere, con tanti saluti al Popolo, in nome del quale si pronunciano le sentenze. Nulla a che vedere con la fame di vera giustizia della gente comune. Nulla che migliori l’efficienza della macchina giudiziaria. Nulla che velocizzi i procedimenti penali. Nulla che snellisca il contenzioso e le cause arretrate. Per giustificare la cancellazione di uno dei più importanti reati-spia — attraverso i quali si arriva spesso ai reati più gravi di corruzione, peculato e associazione mafiosa — i “patrioti” usano a sproposito il partigiano Giuliano Vassalli e abusano del ricordo dell’eroe Giovanni Falcone. Una vera e propria impostura, etica e politica. E se il presidente della Repubblica ha firmato la legge — per dovere istituzionale e per “non manifesta incostituzionalità” — questo non significa che la medesima non sia in contrasto con le sentenze della Consulta e con le raccomandazioni formulate nel 2000 dal Consiglio d’Europa. Lo ha fatto capire alla presidente del Consiglio, il Capo dello Stato, e lo spiegherà anche al ministro della Giustizia, se e quando deciderà di riceverlo al Quirinale. Lo dice con chiarezza l’Anm: d’ora in poi i cittadini sono più soli. È proprio così: quel reato — previsto dall’articolo 323 del Codice, corretto e opportunamente “tipizzato” con ben quattro revisioni tra il 1990 e il 2020 — era stato introdotto proprio per tutelarli dai comportamenti scorretti dei pubblici ufficiali
C’è da indignarsi, ma in fondo non c’è da meravigliarsi. Il cinismo è di casa, tra le tre destre. Mentre i politici si scambiano doni tra “pari” e combattono la calura d’agosto con gli aperitivi, i detenuti muoiono come e più di prima. La legge salva-colletti bianchi in Gazzetta Ufficiale, il decreto-carceri in Consiglio dei ministri: sarà pure una casualità temporale, ma fa veramente paura questo “uno-due” normativo, consumato in appena quarantott’ore. Chi ci governa ha davvero un sasso nel cuore, se ha potuto servire al Paese questa mostruosa “doppia morale”, che si cura dei forti e se ne frega dei deboli. Le “disposizioni urgenti” varate per fronteggiare l’emergenza carceraria gridano vendetta perché non fronteggiano niente. Dopo 65 suicidi in cella in sette mesi, e con 14.537 derelitti in eccesso rispetto alla disponibilità di posti, l’unico rimedio che questa “Coalizione degli Ignavi” riesce a immaginare è l’assunzione di mille guardie penitenziarie in due anni. Nient’altro che questo, a parte un codicillo che rende ancora più pelosa l’anima del legislatore: le telefonate che i detenuti possono fare ai familiari in un mese passano da quattro a sei. Di fronte all’immensa disperazione dei ragazzi che si impiccano alle sbarre o si soffocano con le buste di plastica, quei geni di Meloni e Nordio non hanno chiesto consiglio sul da farsi al Garante dei detenuti o ai cappellani delle carceri. Hanno pensato alla vecchia pubblicità della Sip: “Una telefonata ti allunga la vita”. Figuriamoci due.
“Fanno pena”, come ha titolato giustamente il Manifesto. Sul sovraffollamento disumano delle nostre prigioni non ci si deve aspettare proprio niente da un esecutivo che in meno di due anni, tra decreti sicurezza e altri deliri sparsi, ha introdotto 23 reati nuovi e 10 inasprimenti di reati già esistenti. Dai rave-party alla gestazione per altri, dalle rivolte carcerarie alle proteste dei minori nei centri di accoglienza, dai blocchi stradali all’occupazione di immobili, dalla cannabis light alla resistenza a pubblico ufficiale per fermare opere pubbliche o infrastrutture strategiche. Un Codice Penale parallelo, ispirato da isteria securitaria e ideologia carceraria. Ma soprattutto codificato sui “nemici appositi”: individuati e selezionati con precisione chirurgica, da una capocrazia sempre più reazionaria e sempre più autoritaria.
Massimo Giannini
(da repubblica.it)
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Agosto 10th, 2024 Riccardo Fucile
CARCERI, UN DISASTRO CONTINUO NATO DA LEGGI E RIFORME CLASSISTE
La questione carceraria nel nostro paese è un’emergenza cronica che si ripropone nel tempo negli stessi termini. I provvedimenti tampone si susseguono, ma il carcere resta incivile e degradante. Come si spiega questa cronica irredimibilità? La risposta si trova nelle statistiche del Dap sulla composizione sociale della popolazione detenuta. La percentuale di colletti bianchi condannati con sentenza definitiva, è statisticamente così irrisoria che in alcuni anni non viene nemmeno quotata. Nel 2014 su 60.000 detenuti, i condannati per corruzione e reati economici erano 86. Significativa è la comparazione con altri paesi europei. Da una ricerca condotta dall’Università di Losanna risulta che nel 2013 i condannati in carcere per reati economici e fiscali in Italia costituivano soltanto lo 0.4%, a fronte di una media europea del 4.1% . Questi dati attestano il carattere classista del sistema penitenziario italiano e spiegano l’irredimibilità della questione in Italia. Il variegato mondo dei ceti superiori ha risolto da tempo il problema del carcere, riservandolo solo ai ceti inferiori con accorte e selettive ingegnerie normative.
Nel 2006 nonostante la situazione carceraria fosse sul punto di esplodere a causa del sovraffollamento, l’indulto fu emanato dopo una estenuante e laboriosa contrattazione politica, solo a condizione che venisse esteso anche ai condannati per reati di corruzione, economici e persino per il reato di scambio elettorale politico mafioso, ossia a poche decine di imputati eccellenti che non erano in carcere, ma rischiavano solo di finirci. A Palermo, un detenuto scarcerato dichiarò: “Siamo grati ai grandi ladri di Stato perché solo grazie a loro anche ai piccoli ladri di strada come me è stata data la possibilità di evitare il carcere”. All’indulto del 2006 fece seguito una sistematica riscrittura in chiave classista del sistema penale. Niente carcere per i reati di corruzione, economici, fiscali, societari, risultato ottenuto con la depenalizzazione di alcuni reati, la diminuzione delle pene, la riforma della prescrizione, l’allargamento di benefici penitenziari ad hoc per salvare dal carcere i (pochi) condannati eccellenti. Esempio emblematico di questo modo di legiferare fu la modifica dell’art. 47 ter ordinamento penitenziario, introdotta con la legge ex Cirielli per evitare a Cesare Previti di espiare in carcere una condanna per corruzione a sei anni. Negli stessi anni venivano emanate una serie di norme che aumentavano le pene per i reati della criminalità comune, che imponevano automatici aumenti di pena per i casi di recidiva, che vietavano sia di determinare la pena valutando in concreto la gravità del reato e la personalità del reo, sia di effettuare un bilanciamento tra aggravanti e attenuanti.
Fu grazie a tali politiche classiste che le carceri tornarono a riempirsi solo di esponenti di immigrati e di tossici, abbandonate al degrado e all’invivibilità di sempre. Fino al 2013, quando la sentenza Torreggiani espose l’Italia al rischio di una procedura di infrazione per evitare la quale si fece ricorso a una soluzione tampone per sfollare le carceri. Con il decreto legge n. 146/2013 si elevò a 75 giorni lo sconto annuo di pena per la liberazione anticipata, spacciando una misura last minute puramente deflattiva, come una scarcerazione dovuta all’accertato e positivo completamento di un processo di rieducazione e riabilitazione sociale.
Ed eccoci all’attualità, che altro non è che una triste riedizione del passato, con l’aggravante di una maggioranza di governo che sin dall’inizio della legislatura si è attivamente e incessantemente impegnata a portare alle estreme conseguenze il classismo del sistema penale italiano, inserendo il turbo al doppio binario già sperimentato ai tempi dei governi Berlusconi. Da una parte si destruttura metodicamente la normativa anticorruzione del 2019 che aveva tentato di riequilibrare in senso interclassista la risposta penale, si aboliscono i reati dei colletti bianchi e si limitano i poteri d’indagine; dall’altra si introducono nuovi reati e si elevano le pene per la gente comune. In questo tripudio classista, si colloca anche il combinato disposto del decreto Carceri e del Pacchetto sicurezza. Nel decreto prevale una logica di gestione securitaria delle carceri senza soluzioni immediate per il sovraffollamento. Contemporaneamente il Pacchetto sicurezza lancia un messaggio intimidatorio ai detenuti che osano protestare in modo pacifico per le condizioni nelle quali sono costretti a vivere, con la previsione di due nuove fattispecie di reato, applicabili ai fatti commessi in carcere e nei centri di trattenimento migranti che qualificano come rivolta anche la resistenza passiva e il rifiuto di obbedire agli ordini impartiti come quello di fare rientro in cella, con pene sino a otto anni. Ordine e disciplina solo per gli ultimi e per i penultimi, libertà di arricchirsi a spese della comunità e di abusare del loro potere per i signori dei ceti superiori.
Roberto Scarpinato
(da ilfattoquotidiano.it)
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Agosto 10th, 2024 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO DI NESSUNO TOCCHI CAINO: “L’APPROCCIO DEL GOVERNO E’ DEMENZIALE”
“L’approccio del governo alla situazione delle carceri in Italia è demenziale”. A dirlo, intervistato da Fanpage.it, è Sergio D’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino, l’organizzazione che si occupa dei diritti dei detenuti e della lotta contro la pena di morte.
“Se non si inverte la rotta fra qualche mese, dopo dieci anni, la Corte europea dei diritti dell’uomo condannerà nuovamente l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti”, dice. La prima condanna arrivò nel 2013, con la sentenza Torreggiani. “Al tempo c’erano 65 mila detenuti”, ricorda. “Stiamo arrivando agli stessi livelli”.
Il sistema carcerario italiano, infatti, è ormai al collasso. “Siamo già a oltre 61 mila detenuti, ovvero persone che sono ammassate, tumulate, sotterrate in spazi che potrebbero consentire la presenza di non più di 47.000 individui”, spiega D’Elia. “I numeri ci parlano di un sovraffollamento del 130%. In altre parole, ci sono 14.000 detenuti in più rispetto allo spazio di esecuzione di una pena ritenuto legale”.
Se Strasburgo dovesse tornare a condannare l’Italia come in passato, ci troveremo di fronte a “un vero e proprio Stato criminale, recidivo, delinquente abituale e professionale”, avverte l’ex deputato. “Tutte quelle categorie che di solito si usano per gli individui che compiono più di una volta lo stesso reato. Solo che qui si sta configurando a carico di una Repubblica”.
“In questo contesto pianificare qualsiasi opera non solo di rieducazione e di reinserimento sociale, come prevede il nostro ordinamento penitenziario, non è possibile”, prosegue. “Così come l’obiettivo minimo di proteggere la vita e la salute. Questa situazione rende il carcere un luogo di privazione della libertà, della vita, della salute, del senno, dei sentimenti, dei dei diritti umani fondamentali”.
E non è un caso, infatti, che dall’inizio di quest’anno siano più di 60 i detenuti che si sono tolti la vita. “Se facciamo i conti negli ultimi 10 anni, 615 persone si sono suicidate in carcere. Se poi consideriamo anche quelle morte per cause naturali – nulla che avviene in carcere può essere considerato naturale, essendo un luogo di per sé contro natura – ci sono altre 904 persone che sono morte nelle mani dello Stato”, dice il segretario. E così i numeri salgono a più di 1500. “Questa è la cifra della civiltà del nostro paese”, commenta.
Com’è il confronto con l’Europa? “Sulla tutela dei diritti umani, il Consiglio d’Europa è stato chiaro: se il tasso di occupazione penale supera il 90% della sua capacità, allora si è davanti a una situazione di imminente di sovraffollamento. Qualcosa di altamente rischioso rispetto al quale le autorità dovrebbero immediatamente prendere delle misure. Bene, noi in Italia siamo al 130%”, risponde.
Il segretario poi, prende l’esempio del Regno Unito. “Fino maggio scorso in Uk risultava un sovraffollamento del 98%, ma sono corsi subito ai ripari. Già i conservatori di Sunak avevano avanzato proposte come forme di rilascio anticipato. In questo modo nel giro di 5-6 mesi sono usciti 10.000 detenuti dal Regno Unito”, spiega. “In Italia sotto i conservatori non è uscito nessuno. C’è una mentalità volta a governare il carcere con misure tendenti a mantenere l’ordine e la sicurezza. Un carcere non sicuro è un carcere ingovernabile”.
Per cercare di risolvere il problema delle carceri italiane, tra sovraffollamento, suicidi e rivolte, il Consiglio dei Ministri ha varato il Decreto Carceri, che oggi ha ricevuto il via libera del Senato prima di passare alla Camera. Tra le norme volute dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, c’è l’incremento del personale penitenziario, con l’assunzione di mille agenti. “Ridicolo”, commenta D’Elia.
“Sulla pianta organica prevista degli agenti della polizia penitenziaria ne mancano 18.000. Questo significa che al momento in carcere ci sono 14.000 detenuti in più rispetto al numero legale e 18.000 agenti in meno. Cosa propone Nordio allora? Di assumerne mille, 500 nel 2025 e 500 nel 2026. È una presa in giro”, dice ancora.
Tra le misure, anche l’aumento dei colloqui telefonici per i detenuti. “In molti Paesi nel resto d’Europa i detenuti hanno il telefono in cella, possono chiamare quando sono disperati e hanno bisogno di una voce amica. Telefonare significa mantenere vivi i rapporti con i propri cari. Questo è consentito ai fini non soltanto del diritto fondamentale all’affettività e ai rapporti familiari, ma anche per scongiurare eventi drammatici e tragici, come i suicidi”, spiega.
“In questo caso l’aumento delle telefonate esclude tutti coloro che si sono macchiati di reati gravi. Peraltro, propongono qualcosa che già esiste perché i direttori degli istituti penitenziari possono esercitare la loro discrezionalità e concedere un numero maggiore di telefonate ai detenuti meritevoli”, osserva.
Nessun riferimento invece, all’ampliamento dell’organico di medici, psicologi e psichiatri a supporto dei detenuti che vivono condizioni di disagio psichico. “Ormai il 30% e il 40% della popolazione detenuta è colpita da gravi patologie. Quasi un terzo dei casi sono psichiatrici”, racconta. “Queste persone non dovrebbero stare in carcere. Ma ormai le carceri sono diventati campi di concentramento, manicomi e tutti quei luoghi che abbiamo abolito. L’organico dei medici in generale, degli specialisti, psicologi e psichiatri, è fortemente carente in un luogo che invece è diventato manicomio”.
Allora come dovrebbe agire il governo Meloni? “Il loro approccio è demenziale. La nostra proposta di far passare il termine per la liberazione anticipata dai 45 giorni ai 60 per coloro che si sono comportati correttamente viene considerato uno svuota carceri”, dice. “Negli ultimi anni il nostro Paese ha viaggiato a un ritmo di 4500-4.700 risarcimenti per aver subito maltrattamenti in carcere e per le condizioni strutturali di degradazione. Sono 20.000 le persone che i magistrati hanno risarcito perché vivevano in carceri fatiscenti e sovraffollate. Eppure si pensa ancora alla liberazione anticipata come a una resa dello Stato”, continua.
Negli scorsi giorni però, Forza Italia sembrava volersi smarcare dagli alleati con timide proposte come quelle sulla semilibertà per chi è stato condannato a una pena inferiore a 4 anni di reclusione. “Propaganda, propongono cose che già esistono già esistono”, commenta l’ex parlamentare. “La proposta di FI di una dell’affidamento in prova per chi sconta una pena fino a quattro anni esiste già. Sono i magistrati che la devono concedere”.
Un’altra proposta è quella di concedere i domiciliari ai detenuti con più di 70 anni che abbiano da scontare ancora dai 2 ai 4 anni. “Anche qui i magistrati possono decidere per chi ha superato i 70 anni di età di accordare la detenzione domiciliare al posto di quella in carcere”, prosegue D’Elia che si dice “deluso da questa uscita di Forza Italia, dopo che nei giorni scorsi aveva manifestato un aperto sostegno alla nostra proposta di liberazione anticipata. Ma poi ha fatto marcia indietro allineandosi al ministro della giustizia Nordio. Così fanno la maggioranza dei forcaioli e dei giustizialisti”, attacca.
Secondo D’Elia, al governo “manca la mentalità dell’emergenza, mentre si affida alla cultura della certezza della pena. Si tratta di un’idiozia”, prosegue. “Se c’è qualcosa di sicuro nella nostra Costituzione è proprio l’incertezza e la flessibilità della pena. Nel corso dell’estensione la pena si riduce per effetto del buon comportamento, delle misure alternative, dei benefici”, spiega.
Per il segretario sono due le misure più urgenti che il governo dovrebbe adottare. In primo luogo, “la liberazione anticipata speciale per dare un ristoro a detenuti e detenenti che durante la pandemia non hanno potuto incontrare in presenza i loro familiari né partecipare ad attività e corsi scolastici”, dice. In secondo, “la liberazione anticipata ordinaria. Ad esempio, far passare da 45 a 75 giorni per il rilascio anticipato negli ultimi due anni e mezzo avrebbe consentito di far uscire 5000-6000 persone rispetto alle 14 mila di troppo di ora”, osserva. “La proposta di legge di Roberto Giachetti (Italia Viva, ndr) e Rita Bernardini (presidente di Nessuno Tocchi Caino, ndr) prevede proprio questo”, dice. “Chiediamo di elevare da 45 a 60 giorni la detrazione di pena per il rilascio anticipato al fine di governare le carceri, mantenere l’ordine ed evitare il collasso del sistema penale”.
“Della situazione carceraria attuale – conclude il segretario – non è responsabile il capo del Dap, tantomeno gli agenti ma il ministro della Giustizia. Se chi ha il potere di decidere per via politica e legislativa non fa nulla per scongiurare fenomeni come il trattamento inumano e degradante o la tortura, è responsabile di quei fatti”, chiude.
(da Fanpage)
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