Agosto 11th, 2024 Riccardo Fucile
SALVATO L’OSPEDALE CHE FA GOLA AGLI ANGELUCCI… TREMILA ASSUNZIONI PER IL GIUBILEO
Soldi per gli impianti sciistici, un milione per Napoli, l’Iva sui cavalli, il salvataggio in extremis di una clinica privata ambita dagli Angelucci. Un’infornata agostana di ristori, finanziamenti, mance, compare nel decreto Omnibus, licenziato prima della pausa estiva dal Consiglio dei ministri e pubblicato venerdì in Gazzetta ufficiale.
Come spesso accade con i decreti misti, zeppi di misure che spaziano dal fisco allo sport, bisogna saper leggere tra le righe. Lì si nascondono norme dall’urgenza dubbia o destinate a far discutere. Di certo non passa inosservato il salvataggio da 11 milioni di euro per la fondazione Santa Lucia di Roma. L’Irccs, gravato dai debiti, rischiava la svendita e aveva già ricevuto un’offerta da circa 50 milioni dalla Tosinvest, gruppo di Antonio Angelucci. La holding di proprietà del deputato leghista, editore di Libero e del Giornale, avrebbe voluto acquistare l’ospedale privato senza dover sostenere il peso dei debiti. Fonti di Palazzo Chigi avevano anticipato l’intervento pubblico per aggiustare i conti in rosso dell’istituto per la neuroriabilitazione, ora c’è l’ufficialità.
C’è anche un capitolo dedicato ai beni culturali. Per il comune di Gorizia, capitale europea della cultura nel 2025, è in arrivo un contributo da tre milioni. Per il venticinquesimo centenario della fondazione dell’antica Napoli, il prossimo anno, viene istituito il comitato “Neapolis 2500”: costo dell’operazione, fortemente voluta dal ministro Gennaro Sangiuliano, è di un milione di euro, ma non si escludono altre donazioni pubbliche o private. I membri del board invece non riceveranno alcun compenso, solo un rimborso spese.
Sono infinite le vie di esenzioni, sgravi, agevolazioni. Come quelle sull’Iva prorogate per le associazioni sportive dilettantistiche. Di più: quest’anno, per sostenere gli operatori del settore sportivo, è previsto un investimento pubblicitario da massimo 7 milioni di euro. Il governo poi si dà “all’ippica” e nel decreto multiforme torna a disciplinare anche il mercato dei puledri. La riduzione dell’Iva al 5% viene estesa ai cavalli “entro i 18 mesi dalla nascita”.
E poi ristori. Tra i vari sostegni distribuiti dallo Stato ci sono quelli per i comprensori sciistici della dorsale appenninica, che quest’anno riceveranno a fondo perduto 13 milioni di euro. La neve caduta era troppo poca, i soldi arrivano dal ministero dell’Economia e da quello del Turismo: il governatore dell’Abruzzo Marco Marsilio, fedelissimo della premier dai tempi di Colle Oppio, esulta.
Una edizione estiva delle micronorme che in genere affollano la manovra e affliggono gli uffici del ministero dell’Economia, sommersi dalle richieste di sottosegretari e parlamentari. Il decreto Omnibus d’inizio agosto è stata occasione ghiotta: nelle bozze arrivate in Consiglio dei ministri comparivano anche fondi per circhi e carnevali storici, poi cassati dalla versione finale del testo. Ma anche il Parlamento fa la sua parte. Mentre il Consiglio dei ministri si riuniva, mercoledì scorso, in commissione Cultura alla Camera veniva approvato un finanziamento da quasi sette milioni di euro per Latina, che disporrà di un suo ente per celebrare, nel 2032, il centenario della città dell’Agro pontino fondata durante il fascismo. E non è passato inosservato, sempre a Montecitorio, il via libera a un ordine del giorno per un’infornata di assunzioni in occasione del Giubileo del 2025. Saranno tremila i nuovi posti di lavoro in Campidoglio. Il comune di Roma, per realizzarle, sarà autorizzato a sfondare il proprio tetto di spesa: un’enormità in tempi di casse vuote, un’eccezione ai tagli agli enti locali che più volte negli ultimi mesi municipi e regioni hanno lamentato da parte del governo.
(da repubblica.it)
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Agosto 11th, 2024 Riccardo Fucile
NEI CENTRI SOTTO I 15.000 ABITANTI HANNO CHIUSO 26.000 ATTIVITA’ NEGLI ULTIMI 10 ANNI… MANCANO ALIMENTARI, BANCHE, BAR ED E’ DIFFICILE PERSINO TELEFONARE… IL MODELLO FRANCESE
Gli sportelli bancari che continuano a chiudere, i telefonini che non prendono e la banda larga che resta un miraggio, la tv (di Stato e non) che non è mai arrivata (anche se per fortuna adesso ci sono le nuove tecnologie, dove arrivano però), i bar, i negozi e le edicole che spariscono e pure le pompe di benzina tirano giù la serranda creando seri problemi a residenti e turisti. Poi ci si stupisce se i piccoli comuni si spopolano.
Il drammatico racconto dei numeri
La desertificazione dei piccoli comuni avanza veloce e sempre più centri si stanno avvitando in una spirale che prende sempre più velocità. Ogni tassello che si sfila contribuisce ad accelerarne il crollo. «In base ai dati Istat ci sono 200 Comuni in Italia senza un negozio e un bar, di cui 90 in Piemonte e ben 500 comuni a rischio desertificazione commerciale», denuncia il presidente dell’Unione delle comunità montane (Uncem) Marco Bussone. Secondo le stime di Confesercenti dal 2014 a oggi nei piccoli e piccolissimi comuni sono sparite quasi 26 mila attività commerciali di base, dai negozi alimentari ai bar. Si tratta di oltre un’impresa su dieci (-10,6%), con un calo che sfiora il 14% nelle località sotto i 5 mila abitanti.
Il processo di desertificazione dei piccoli centri, che rischia di limitare gravemente l’accesso ai servizi essenziali di ben 23,6 milioni di italiani – stima Confesercenti – si è intensificato drammaticamente negli ultimi cinque anni: dal 2019 sono scomparse dalle località esaminate 16.582 imprese commerciali di base, circa i due terzi del totale di quante “morte” nell’intero decennio, col calo demografico va di pari passo: negli ultimi 10 anni i piccoli comuni hanno perso circa 800 mila residenti (-7,15%).
A ridursi, proporzionalmente, sono soprattutto i negozi di elettronica ed elettrodomestici (-30,9% dal 2014), «anche a causa dello spostamento delle vendite di questo tipo di prodotti verso l’e-commerce» segnala l’associazione, secondo cui il cambiamento dei consumi innescato dalle tecnologie digitali è visibile anche per la rete di edicole che diminuiscono del 30,3% in dieci anni.
Il tema carburanti
Crolla anche il numero dei distributori di carburanti, che in deci anni lasciano sul campo quasi un quarto dei punti vendita (-22,6%). La scomparsa di ben 4.500 punti vendita, concentrata soprattutto nelle località più piccole (in 10 anni ben 246 comuni sotto i 15 mila abitanti hanno visto chiudere l’ultima pompa di benzina) costringe gli oltre 527 mila residenti – e gli eventuali turisti a recarsi in un altro comune per fare rifornimento.
Confesercenti segnala poi una forte contrazione anche per minimarket (-19%), ma spariscono velocemente anche le imprese del commercio al dettaglio di latte e prodotti caseari (-18,9%), macellerie (-18,4%), panetterie (-17,3%) e ferramenta (-15,3%). Cali un po’ meno veloci, invece, per empori (-3,1%) e librerie (-7,5%). Nemmeno i bar, un tempo punti centrali nei centri minori, si salvano dalla desertificazione sparendo sempre più rapidamente soprattutto dai piccoli comuni: dal 2014 la flessione è del -12%, pari a 7.616 imprese in meno, in larga parte (-6.374) perse dal 2019 ad oggi. «Le piccole e medie imprese del commercio al dettaglio sono fondamentali per le località urbane, anche piccolissime – commenta la presidente di Confesercenti Patrizia De Luise -. Fanno parte del tessuto sociale e contribuiscono direttamente alla prosperità, all’inclusione e al benessere dei cittadini e alla vita culturale locale. L’assenza di commercio locale contribuisce invece al degrado sociale, economico e fisico di centri e distretti urbani. E non lo dice solo Confesercenti: questi sono i motivi per cui anche il Parlamento Europeo, a gennaio 2023, ha adottato una risoluzione per tutelare il commercio di vicinato. L’importanza di questa rete di negozi è ancora più rilevante nel nostro Paese – aggiunge De Luise -. In Italia ci sono migliaia di piccole località, dove il commercio di vicinato gioca un ruolo cruciale anche nel mantenere vivi e attrattivi gli stessi centri abitati».
Se si fa la conta degli sportelli bancari che chiudono la situazione non è migliore. Secondo l’Uncem il 7% della popolazione italiana vive in territori dove non ci sono più agenzie bancarie: record in Piemonte (13,8%), ma il fenomeno è particolarmente marcato nel Mezzogiorno e nelle isole, dove l’11% degli abitanti non ha uno sportello bancario “sotto casa”. La Campania è la prima regione per numero di abitanti senza banca: 700 mila. Secondo l’osservatorio sulla desertificazione bancaria della Fist, il sindacato bancari della Cisl, nei primi sei mesi dell’amo in Italia hanno chiuso altri 163 sportelli e così alti 14 comuni sono rimasti senza servizi bancari. Il record spetta al Molise con l’82,4% di comuni senza sportelli, a seguire Calabria (73,3%) e Valle d’Aosta (67,6%).
Il miraggio del digitale
Nelle zone di montagna innanzitutto, ma non solo, si fatica anche a vedere la tv (sia i canali Rai che Mediaset) ed è difficile pure telefonare. Finora l’Uncem, che da mesi ha avviato un monitoraggio della situazione, ha raccolto 450 segnalazioni da frazioni e paesi dove la tv non arriva ed altre 4400 sui telefoni cellulari che se non vanno a singhiozzo proprio non prendono. E il digitale? «I lavori del piano nazionale Banda ultralarga partito nel 2016 e destinato ai piccoli e alla montagna vanno a rilento – dice Bussone – e per ora abbiamo soprattutto strade danneggiate dalle trincee realizzate».
Modello Francia
Soluzioni? Per Bussone dovremmo fare come la Francia «che col piano “France ruralités” ha messo in campo 8 miliardi di investimenti sino al 2027 per garantire centri multiservizio nei piccoli comuni e varato il piano “Mille Cafè” per creare mille/bar in spazi pubblici pagati dallo Stato come presidi territoriali ed erogatori di servizi oltre che luoghi di somministrazione. Bisogna trovare delle formule nuove: la cornice legislativa è chiara su tutto, peccato che nessuno la voglia seguire».
Per De Luise servono «leggi speciali per sostenere le imprese che offrono questi presidi fondamentali nei piccoli comuni. Un passo necessario per valorizzare, anche a fini turistici, il nostro patrimonio di borghi e paesi e per fermarne la desertificazione. È infatti chiaro che si è innescato un circolo vizioso: il calo della popolazione rende meno sostenibili le imprese di vicinato, ma a sua volta la chiusura di negozi e bar diminuisce la vivibilità dei centri minori e spinge gli abitanti a trasferirsi».
(da lastampa.it)
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Agosto 11th, 2024 Riccardo Fucile
SUPERATO ANCHE IN TRE STATI CHIAVE, TRUMP NON SA PIU’ COSA FARE
Non sono passate neppure tre settimane da quando Joe Biden si è ritirato dalla corsa per la Casa Bianca e ha lanciato quella della sua vice Kamala Harris, ma sembra già passata un’era geologica. Almeno stando al clima d’opinione Usa che restituiscono i sondaggi.
L’ultimo, pubblicato oggi dal New York Times, dà Harris nettamente in testa in tre degli Stati più delicati del voto presidenziale: Wisconsin, Pennsylvania e Michigan. In tutti e tre i territori, la vicepresidente uscente è accreditata di un 50% di cittadini che preferirebbero lei alla guida del Paese, contro il 46% a favore di Donald Trump.
Harris è considerata dagli elettori «più intelligente» e «caratterialmente più adatta», in particolare. È in Stati come questi che si potrebbe giocare la sfida tra gli indecisi con Donald Trump a novembre. Ed entrambi lo sanno bene. Così come sanno bene, i candidati e i loro staff, che i sondaggi di questi giorni risentono fisiologicamente della spinta del fattore-novità rappresentato dall’ex procuratrice californiana, e forse ancor più dal suo vice Tim Walz, che pare aver fatto breccia nel cuore di molti americani.
Numeri da trattare con i guanti, dunque. Eppure sognare non costa, specie per un partito che fino a poche settimane fa aveva negli occhi il terrore di una sconfitta su tutta la linea nella sfida Biden-Trump, e ora torna a sorridere. E lo stesso Trump, come racconta lo stesso quotidiano Usa in un retroscena, saprebbe in questi giorni livido di rabbia per le difficoltà che la sua campagna sta avendo nel contrastare la tonicità del nuovo team Democratico. Mancano ormai meno di tre mesi al voto, e nessuno dei due contendenti può più permettersi di sbagliare una sola mossa, se vuole la Casa Bianca.
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2024 Riccardo Fucile
LA NOTA DEL SUO LEGALE: “AVVIATA UNA BATTAGLIA DELLA GIUSTIZIA, DIGNITA’ E ONORE”
Imane Khelif, pugile algerina, medaglia d’oro ai Giochi olimpici di Parigi 2024, ha presentato una denuncia a Parigi per cyberbullismo aggravato, in seguito alle polemiche, amplificate on line, su questioni riguardanti il suo genere.
Ad annunciare l’esposto l’avvocato della campionessa, Nabil Boudi. «Appena premiata con la medaglia d’oro, la pugile ha deciso di avviare una nuova battaglia – ha scritto in un comunicato – quella della giustizia, della dignità e dell’onore».
Il legale annuncia di aver «depositato oggi una denuncia per fatti di cybermolestie aggravate alla procura incaricata della lotta contro l’incitamento all’odio on line presso la procura di Parigi».
Ieri, in una intervista diffusa dalla Bbc, l’atleta aveva dichiarato: «Mi sono qualificata a pieno diritto per partecipare a questi Giochi. Sono una donna come tutte le altre. Sono nata donna. Ho vissuto come donna. Ho gareggiato come donna, e su questo non ci sono dubbi».
(da agenzie)
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Agosto 11th, 2024 Riccardo Fucile
LE FORZE UCRAINE HANNO STUDIATO LA MARCIA DI PRIGOZHIN VERSO MOSCA: “I SISTEMI DI SICUREZZA INTERNI SONO DEBOLI”
Piccole unità agili e veloci di veterani ben addestrati: a loro il compito di penetrare nel profondo il territorio russo, creare scompiglio, colpire e andare avanti il più possibile. E, appena dietro di loro, battaglioni più strutturati, ben protetti da sciami di droni, accompagnati dalle artiglierie, con l’obiettivo di creare una fascia di sicurezza a ridosso del confine internazionale e occupare aree che possano poi, al momento dei negoziati, funzionare come merce di scambio per ottenere indietro le regioni dell’Ucraina invasa. Ancora non abbiamo un quadro preciso dell’invasione ucraina della regione russa di Kursk. Le autorità di Kiev civili e militari rimangono abbottonate, non forniscono alcun dettaglio. E la propaganda di Mosca aiuta poco. Il loro continuo ripetere che «l’avanzata nemica è stata fermata e sconfitta» sembra comunque smentito dai fatti, almeno sino ad ora.
Ciò che sappiamo per certo ad oggi resta che martedì mattina all’alba il fior fiore dell’esercito ucraino ha attaccato le sguarnite posizioni russe sul confine internazionale a Nord di Sumy ed è entrato in più punti nella regione di Kursk.
Si tratta dell’operazione più importante mai compiuta nel territorio russo dal 24 febbraio 2022 e si caratterizza per il fatto che viene condotta da soldati regolari ucraini. Quelle precedenti erano invece state architettate e combattute da volontari russi nemici del regime di Putin fuggiti in Ucraina, sebbene in pieno coordinamento con lo Stato maggiore di Kiev.
La preparazione dell’attacco su Kursk parte da lontano. E precisamente nelle giornate concitate del 23 e 24 giugno 2023, quando migliaia di mercenari della milizia Wagner guidati dal loro capo, Yevgeny Prigozhin, si ribellarono al regime di Vladimir Putin e iniziarono una inaspettata quanto travolgente marcia verso Mosca lunga oltre 400 chilometri in poche ore.
«Abbiamo osservato con attenzione la dinamica della rivolta e abbiamo visto che i sistemi di sicurezza interni russi sono molto deboli, se non inesistenti. Superate le linee di difesa attorno al confine ucraino, poi muoversi nel Paese è relativamente facile. Mosca è un colabrodo. Persino la capitale appare indifesa», commentavano allora gli ufficiali legati al capo dell’intelligence militare ucraina, Kyrylo Budanov.
Il golpe della Wagner venne fermato a un centinaio di chilometri da Mosca non dai soldati russi, ma dal negoziato diretto tra Putin e Prigozhin. Quest’ultimo fu poi assassinato dagli agenti del regime il 23 agosto.
Oggi gli ucraini sono abbastanza convinti di poter resistere relativamente a lungo. Le unità russe mandate a bloccarli paiono impreparate. La loro speranza è costringere lo Stato maggiore di Mosca a bloccare l’offensiva nel Donbass per ridispiegare il meglio del loro corpo di spedizione a Kursk. A quel punto, garantito il Donbass, contano di ritirarsi sulle posizioni trincerate a 10-15 chilometri dal confine e resistere a difesa delle zone occupate ai russi.
Tra le teste di cuoio ucraine, che adesso stanno avanzando in ordine sparso verso la centrale nucleare di Kursk, ci sono ufficiali e soldati che nel marzo 2022 con la stessa tattica del «mordi e fuggi» si rivelarono in grado di sbaragliare l’attacco russo verso Kiev. Allora le pesanti e lente colonne russe furono decimate dai blitz nemici ai fianchi: sparavano, tiravano missili, droni suicidi e si dileguavano per ripetere i raid a decine di chilometri di distanza.
Forza e debolezza
Lo «Institute for the Study of War» di Washington scrive nel suo rapporto quotidiano che «le forze ucraine sembrano in grado di usare piccoli gruppi armati per condurre assalti limitati e superare le linee di difesa russe». Si spiegano così anche i video e le immagini diffuse dai blogger militari russi, che addirittura riportano di avere monitorato scontri armati e spostamenti di truppe a quasi 50 chilometri dal confine.
Per gli ucraini il rischio resta di consumare le loro truppe migliori, che sono poche e in molti casi stanche da 30 mesi di guerra. Ma l’osservazione tra i comandi a Kiev resta che anche i russi sono stanchi e le loro riserve scarseggiano. Il blitz su Kursk rappresenta un’importante iniezione d’ottimismo in un Paese e nel suo esercito che senza dubbio sono oggi logorati e intimoriti dal proseguire di un conflitto che pare non avere fine.
(da Open)
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Agosto 11th, 2024 Riccardo Fucile
A GARANTIRE LA SUA SOPRAVVIVENZA È UN PRESTITO INFRUTTIFERO DI QUASI 3 MILIONI DI EURO CONCESSO DA BERLUSCONI NEL 2013… ORA IL PRESTITO DOVREBBE GRAVARE SULLE SPALLE DEGLI EREDI, OVVERO DEI FIGLI
Da undici anni non esiste più politicamente, ma ha solo una vita giuridica. Pur avendo chiuso i battenti nel 2013 per lasciare il posto alla «nuova» Forza Italia, il Popolo della libertà è un partito fantasma, ma non proprio invisibile. Spulciando l’ultimo bilancio si legge infatti che i suoi conti continuano ad essere in rosso: il «disavanzo patrimoniale complessivo», come si dice nel gergo tecnico, è di oltre 11 milioni di euro.
Ma quel che colpisce è che a garantire la sopravvivenza della formazione politica ormai «estinta», con un «prestito infruttifero» di quasi 3 milioni di euro concesso nel 2013, ci pensa ancora uno dei suoi fondatori, Silvio Berlusconi, che è scomparso il 12 giugno di un anno fa. Il «contributo» dell’ex premier è contenuto nella voce «debiti verso altri finanziatori» per un valore pari 2 milioni 800mila euro.
Nei documenti contabili non c’è nessun accenno in proposito, ma morto il leader azzurro ora il «prestito» dovrebbe gravare sulle spalle degli eredi, ovvero dei figli. Allo stato, il Pdl, carte alla mano, di fatto, è debitore non solo nei confronti dell’ex premier ma anche di Forza Italia per oltre 1 milione e mezzo di euro e An per poco meno di 700mila euro.
(da “La Stampa”)
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Agosto 11th, 2024 Riccardo Fucile
“LA DESTRA AL POTERE NON MI HA OFFERTO NULLA. IO MINISTRO DELLA CULTURA? NON SONO ORGANICO”
Giordano Bruno Guerri, 73 anni, dove andrà in vacanza?
«Sono in partenza per Londra, con i miei due figli, Nicola Giordano, 18 anni, e Pietro Tancredi, 13 anni. Il nostro primo viaggio senza la mamma. Avventura da scapoli. Tre Guerri che si potranno concedere dei disordini».
Li ha fatti tardi.
«E sono contento così, perché prima non ero pronto»
Cosa fa sua moglie?
«Paola Veneto, barese, è fotografa e autrice, cura festival di poesia. Vive con i ragazzi a Lanzarote, in Spagna».
E lei vive qui nella dimora del Vate al Vittoriale?
«A Villa Mirabella, dove D’Annunzio faceva alloggiare la moglie, Maria Hardouin, mentre teneva in casa le amanti: una circostanza che mi è sempre piaciuta».
Lei aveva fama di viveur. Ha avuto tante donne?
«Centinaia».
Perché è poi capitolato?
«Mia moglie mi telefonò per propormi un’intervista, decidemmo di farla a casa mia e visto l’aura che mi circondava pensò bene di farsi scortare da un amico».
Che anno era?
«Il 2005. Io avevo cinquantacinque anni, lei ventinove. Voleva parlare di Pasolini».
Lei che c’entra con Pasolini?
«Nulla. Infatti sulle prime le avevo detto di no, che non ne avevo voglia. Quel giorno diluviava su Roma. Paola entrò in casa mia bagnata fradicia, biondissima. Rimasi fulminato».
La corteggiò subito?
«Sì, la invitai a cena, da Tonino, una trattoria in via del Governo Vecchio. E poi, siccome amava il cinema, provai a portarla alla Casa del cinema, a vedere un film giapponese.
Volevo fare colpo. “Guarda che è un cartone animato”, mi gelò».
Lei era già il Guerri, storico affermato, uomo tv, intellettuale di successo.
«Ma a lei piacque il modo con cui coccolavo il cane, colse un lato affettuoso, protettivo. Paola ha saputo tirare fuori il meglio di me, togliendomi dalla depressione, dalla scontentezza».
Era in crisi?
«Passavo le giornate a letto. Una vita di bagordi, a palazzo Taverna, in via di Monte Giordano, la mia dimora di allora, con i portieri agghindati con le polpe, come nel Settecento».
La Roma godona?
«Ogni tanto c’è qualcuno che mi chiede: “Ti ricordi quella festa?” Non ricordo niente invece».
Faceva uso di droghe?
«La cocaina la prima volta l’ho provata a New York, è diventata un’abitudine con la tv. Avevo il terrore della lucina rossa che dà il via alla diretta: conducevo Italia mia benché. Gli incubi mi svegliavano di notte».
Ne circolava molta in tv?
«Una volta mi venne l’idea di fare entrare i cani antidroga negli studi, mi serviva per un servizio sul tema. I cani impazzirono, correndo di qua e di là».
Quando ha smesso?
«Nel 2003».
Oggi come guarda alla dipendenza?
«Come a uno spreco, di energie, tempo, soldi. Non ho esagerato, niente cose da ricovero, ma l’ho usata anche come propellente sessuale».
Ne aveva bisogno?
«No. Ma dava i fuochi di artificio».
Lei passa per una delle intelligenze della destra al potere.
«Non direi proprio. Infatti non mi hanno mai offerto nulla in questi due anni».
Non è un conservatore?
«Io sono per una destra radicale e libertaria e antifascista che oggi è minoritaria».
Si parlava di lei come ministro della cultura.
«Non sono organico, su troppe cose mi sarei trovato in disaccordo».
Come si definirebbe?
«Su aborto, eutanasia, droghe leggere, utero in affitto sono in sintonia con la sinistra, sulla difesa dell’individuo sto con la destra. Radicale inclassificabile».
Per chi ha votato alle ultime Europee?
«Per Forza Italia».
Lei ha ancora un grande seguito.
«In crescita. A ottobre esco con una biografia intima su Mussolini, per Rizzoli. Me l’avevano chiesto in tanti, per anni, e a tutti avevo detto di no».
Cosa si può dire di nuovo sul Duce?
«Che c’è differenza tra mussolinismo e fascismo. Gli italiani erano mussoliniani, non fascisti. Un libro che non piacerà né alla destra né alla sinistra».
Però lei, a sinistra, passa per revisionista sul fascismo.
«Il revisionismo è la base di qualsiasi base culturale, e anche nella scienza: se i medici non lo fossero stati non ci sarebbe mai stata la pennicillina».
Cosa pensa dei giovani che inneggiano al Ventennio?
«Nessuno di loro andrebbe volentieri in guerra o sarebbe felice di vivere in uno Stato etico. Non sono fascisti, ma mussoliniani. Hanno il culto della personalità, che è tipico delle dittature».
Scioglierebbe CasaPound?
«Se intendono ricostruire il partito fascista sì. Intanto li farei sloggiare dalle sedi che occupano abusivamente».
Il Vittoriale, la casa di D’Annunzio, con lei presidente è diventato un grande teatro culturale.
«Facciamo concerti, dibattiti, teatro. Biagio Antonacci ha rinunciato all’Arena di Verona per fare dieci concerti nel nostro anfiteatro a settembre».
Che ricordi ha del libro con il brigatista pentito Patrizio Peci?
«Leonardo Mondadori l’aveva proposto a Biagi e Bocca, ma dissero di no. Peci era il primo della lista, i suoi ex compagni lo volevano fare fuori come avevano fatto col fratello».
Perché accettò?
«Era una storia potente. Ci vedemmo a Milano, ogni volta in un posto diverso. Una volta registrammo a casa mia, un poliziotto della scorta lasciò la pistola sul comodino e andò in bagno, Peci la prese e se la mise dietro la schiena».
E lei?
«Io fui percorso da un brivido gelido. Poi il poliziotto tornò e disse: “Ridammi quell’arnese”. “No, non te lo do”, insisteva Peci. Giocavano».
Lo sente ancora?
«Ogni tanto si fa vivo, chiama sempre da un numero diverso, recita ancora a fare il ricercato».
E cosa le dice?
«Guerri, abbiamo messo la testa a posto?».
(da Repubblica)
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