Destra di Popolo.net

ELLY SCHLEIN: “LA DESTRA HA PERSO PER I TAGLI ALLA SANITA'”

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

“UN BALZO IMPRESSIONANTE OVUNQUE”

Elly Schlein dice che quella del Campo Largo in Emilia-Romagna e Umbria è «una vittoria plurale e collettiva a cui hanno contribuito tutte le forze progressiste: ci indica la direzione per costruire l’alternativa alle destre». Mentre il governo Meloni è uscito sconfitto per i tagli alla sanità. «Penso che sia stata innanzitutto una vittoria degli emiliano-romagnoli e degli umbri. Mai mi avete sentito caricare di valenze nazionali le elezioni regionali e non lo farò neanche ora. Anche se credo che il calo vistoso dei partiti di governo dovrebbe spingerli a interrogarsi sulle politiche sbagliate che stanno portando avanti: la sanità pubblica è diventata la prima preoccupazione dei cittadini a prescindere da ciò che votano. E non mi stupirei se una parte di quegli elettori che hanno votato per Stefania e Michele l’abbiano fatto proprio in virtù delle nostre battaglie a difesa degli ospedali e dei salari», dice in un’intervista a Repubblica.
Il balzo impressionante
Nel colloquio con Giovanna Vitale la segretaria del Partito Democratico dice che «ovunque c’è stato un balzo impressionante. Se guardiamo i dati, il Pd è al 43% in Emilia-Romagna, con 8 punti in più rispetto alle regionali di cinque anni fa e oltre 7 rispetto alle Europee di giugno. A confronto con le Politiche del 2022, stiamo parlando di 15 punti in più in due anni. Stando così le cose, abbiamo un Pd che da solo, in Emilia-Romagna, prende più voti dell’intera coalizione di centrodestra. Una roba clamorosa. Come pure in Umbria, dove si sta ancora contando: a metà spoglio il Pd è al 31%, 9 punti in più delle precedenti regionali. Ed era già successo in Sardegna, dove abbiamo vinto, ma pure in Liguria dove invece abbiamo perso di poco».
I risultati della destra
FdI in Umbria invece ha perso 14-15 punti rispetto alle Europee, in soli cinque mesi. «Non mi pare un caso che avvenga proprio mentre il governo annuncia altri tagli alla scuola e alla sanità pubblica, tradisce le promesse sulle pensioni che aumentano di 10 centesimi al giorno e in un momento in cui a fronte di un calo della produzione industriale che dura da 20 mesi si decide di sottrarre 4,6 miliardi all’automotive. Scelte che regalano solo delusione e incertezza a famiglie e imprese», sostiene Schlein. Mentre il Pd «è il perno della costruzione dell’alternativa alle destre. E ci consegna una grande responsabilità, che infatti abbiamo sempre esercitato all’insegna della massima unità. Noi continueremo a perseguirla. I risultati ci dicono che siamo sulla strada giusta: non abbiamo nessuna presunzione di autosufficienza».
E il m5s?
C’è però un problema: gli scarsi risultati del Movimento 5 Stelle. Che potrebbero portare Giuseppe Conte a smarcarsi dalla coalizione: «Quelle di oggi sono le vittorie di tutte le forze progressiste che hanno contribuito a costruire l’alternativa. C’è un Pd che ha rialzato la testa, ritrovato un’anima, un profilo chiaro e una connessione con la nostra gente che sa da che parte trovarci. La parte di chi interpreta la sinistra come uno strumento nelle mani dell’Italia che fa più fatica e lotta per migliorare le sue condizioni di vita», dice Schlein.
(da agenzie)

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DALLE URNE ESCONO A PEZZI CONTE, SALVINI E BANDECCHI, IL CAMPO LARGO VINCE NONOSTANTE GLI STRAPPI DI CONTE CHE PORTA IL M5S A PERCENTUALI HORROR (3,55 IN EMILIA, 4,7 IN UMBRIA)

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

LA LEGA PASSA DAL 32-37% DI CINQUE ANNI FA AL 5-8%, E VIENE SUPERATA IN ENTRAMBE LE REGIONI DA FORZA ITALIA. PER IL “CAPITONE”, IMPEGNATO AD ALZARE SEMPRE PIÙ IL TIRO IN CAMPAGNA ELETTORALE, È UNA SCONFITTA SU TUTTA LA LINEA

Fratelli d’Italia stabilmente e di gran lunga primo partito della coalizione anche se in leggero calo rispetto a giugno, Forza Italia che invece rispetto alle europee stacca la Lega e sia in Emilia- Romagna che in Umbria gli si pone davanti con agio.
La sconfitta 2-0 della coalizione di centrodestra (2-1, se si considera la Liguria) per Matteo Salvini è ancor più pesante del risultato in sé, anche considerando che la candidata umbra Donatella Tesei era presidente uscente ed espressione del Carroccio, riconfermata a tutti i costi a caccia del bis proprio dal “Capitano”. A destra, insomma, gli equilibri cambiano e rischiano di acuire le fibrillazioni.
Quando nel 2020 si votò in Emilia- Romagna la Lega era ancora capofila della coalizione e prese il 32 per cento, diventato il 5,4 per cento cinque anni dopo. Proporzioni simili all’Umbria, dove rispetto al 2019 il partito di Salvini passa dal 37 per cento all’8. Gli alleati e assieme “avversari” azzurri, invece, fanno il contrario: a livello emiliano dal 2,6 salgono al 5,8, in quello umbro dal 5,5 al 9,3.
Per il vicepremier leghista, in campagna elettorale perenne e impegnato ad alzare sempre più il tiro nel discorso pubblico […] è un boccone amaro. E così il commento a fine giornata è sibillino: «Gli elettori hanno sempre ragione. Già da domani sono a disposizione dei nuovi amministratori per portare avanti tutte le opere pubbliche che servono a cittadini e territori». Fine, non una parola in più.
Il collega vicepremier Antonio Tajani invece rimarca che FI «ha raddoppiato i consensi in entrambe le regioni, farà un’opposizione costruttiva». Dove quel “costruttiva” non è un aggettivo casuale. In casa forzista, dispiacere a parte per la sconfitta, si ricordano infatti ancora gli insulti dei giovani leghisti a Pontida nei confronti di Tajani, pronunciati davanti ai big lumbard silenti: «Quel tipo di attacchi, quel modo di differenziarsi a tutti i costi sparandola grossa, non sta pagando, anzi semmai il contrario», è il ragionamento degli azzurri.
Poi ecco la nota finale: «Forza Italia si conferma il secondo partito della coalizione di centrodestra e la terza forza politica in assoluto. Questo risultato conferma che l’obiettivo che ci siamo prefissati per le prossime elezioni Politiche, quello del 20%, è assolutamente alla nostra portata». Ambizioni certamente legittime ma che contemplano una corsa interna senza esclusioni di colpi e che mira anche a quel pezzo di elettorato oggi appannaggio di Fratelli d’Italia.
Il dato politico complessivo è che, al netto dei sondaggi che danno avanti la coalizione di governo, il centrosinistra o fronte progressista rimane competitivo. Sullo sfondo ci sono le regionali del 2025, ed è probabile che a questo punto il peso negoziale interno della Lega cali di parecchio. In Campania, Veneto, Marche, Puglia e Valle d’Aosta i giochi sono ancora tutti aperti e soprattutto nella regione governata dal “doge” Luca Zaia si preannunciano le tensioni maggiori, vista l’ambizione di FdI di sfilarla al Carroccio. E visto anche l’interesse forzista con l’ex sindaco di Verona Flavio Tosi, impegnato a drenare consensi nordisti alla Lega con la sua corrente “Forza Nord”.
(da agenzie)

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BONACCINI: “HANNO SFRUTTATO L’ALLUVIONE E ADESSO NE PAGANO IL CONTO”

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

L’EX GOVERNATORE, BONACCINI: “HANNO TENTATO DI STRUMENTALIZZARE LE ALLUVIONI. GUARDANDO IL RISULTATO GLI È ANDATA PROPRIO MALE…”

Stefano Bonaccini sta festeggiando, quando risponde al telefono per un intervista. Il presidente Pd è fiero di avere contribuito a scegliere Michele De Pascale come candidato: «Avere candidato un ragazzo di 39 anni mi dà un grande orgoglio, vuol dire che abbiamo seminato bene. E sono sicuro che farà meglio di me. E ringrazio Elly per parole generose nei miei confronti», dice. Poi, guardando all’Umbria, fa «grandi complimenti» a Stefania Proietti.
La vittoria in Emilia la vive come una rivincita dopo le accuse di Meloni sull’alluvione?
«Mi spiace dirlo, ma hanno tentato di strumentalizzare le alluvioni. Guardando il risultato gli è andata proprio male. Le persone se ne accorgono! E devo dire che De Pascale ha fatto bene quando, già settimane fa, ha proposto che il ruolo di commissario venga affidato al nuovo presidente.
Un anno fa non hanno voluto darlo a me pensando che questo li avrebbe facilitati alle regionali. Gli è andata male, mi auguro che adesso il governo rifletta e dia l’incarico a De Pascale. Qui chi ha subito i danni non ha visto nulla. Il problema non è il generale Figliuolo, che è persona capace, ma il sistema, che non sta funzionando»
(da La Stampa)

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LA PROPAGANDA NON SERVE: GLI ELETTORI NON SONO IDIOTI, IL PD HA VINTO ANCHE NELLE AREE ALLUVIONATE DELL’EMILIA ROMAGNA, NONOSTANTE IL BATTAGE DI SALVINI E MELONI SULLE PRESUNTE RESPONSABILITÀ DELL’AMMINISTRAZIONE REGIONALE

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

A BIBBIANO, OGGETTO DELLO SCANDALO SUGLI AFFIDI CINQUE ANNI FA CAVALCATO DAL CENTRODESTRA, LA LISTA DEM HA RAGGIUNTO IL 53,8%

Il «fattore alluvione» irrompe solo nelle urne di Traversara, frazione di Bagnacavallo nel Ravennate, devastata dalle acque del Lamone, evacuata tre volte tra settembre e ottobre e molto lontana dalla ricostruzione.
Qui — poco più di 450 abitanti — l’ha spuntata la candidata del centrodestra Elena Ugolini con il 57,4% dei voti e il 16,6% dei consensi alla lista civica che porta il suo nome. Michele de Pascale si è invece fermato al 39,5% anche se il Pd resta il primo partito con un 32,7% di preferenze, cui segue Fratelli d’Italia (25,8%).
Anche l’affluenza al 62,1% è un record. Per il resto, soprattutto nella profonda Romagna, dove ancora il voto resta un rito da consumare con il vestito buono, gli eventi estremi del maggio 2023, dell’autunno 2024 e i risarcimenti rimasti al palo non hanno scalfito la tradizione del voto a sinistra.
L’affluenza è calata, certo, come un po’ dappertutto, ma nelle Province di Bologna e Ravenna in misura minore rispetto al dato regionale complessivo.
A Bologna ha votato il 51,7% (contro però il 70,9% della tornata precedente) e a Ravenna — per quanto il traino sia stato il sindaco del capoluogo de Pascale — il 49,7% contro il 69,7%).
«La minore affluenza non è stata dove abbiamo avuto le alluvioni — ha dichiarato Irene Priolo, candidata nella lista del Pd e presidente ad interim della Regione — quindi anche il risultato, che è trainato dai territori, è positivo. Credo che stia vincendo chi ha dimostrato di amare di più la propria terra».
Piccole conquiste personali, Ugolini però le ha raccolte a Monterenzio, e pure Pianoro (Bologna) dove a ottobre è morto il giovane Farinelli trascinato dalla piena del torrente Zena: per quanto la vittoria sia andata all’avversario con una media del 60%, la sua lista civica ha incassato rispettivamente il 12% e il 10%.
De Pascale si attesta sul 60% anche a Faenza, e Forlì (59%), le due città tra le più colpite dagli eventi di maggio 2023 (Faenza anche il 18 ottobre di quest’anno) e a Conselice, nel Ravennate, uno dei Comuni simbolo degli allagamenti del 2023, rimasto sotto l’acqua stagnante per settimane.
(da il Corriere della Sera)

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MELONI E L’AVVERTIMENTO A SALVINI “ABBIAMO SBAGLIATO CANDIDATURA”

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

E ORA SI APRE LA LOTTA PER IL VENETO

L’aveva detto a Matteo Salvini, in privato: «Con la Tesei perdiamo, non insistere. Non ha fatto bene in questi anni. Cambiamo candidato, ascoltami». L’aveva anche lasciato trapelare pochi giorni fa, affidando alla sorella Arianna il compito di svelare il malessere registrato con gli ultimi sondaggi: «Abbiamo sbagliato il nome».
Giorgia Meloni già preparava la ritirata tattica dalla battaglia umbra. Ma adesso deve in ogni caso farci i conti, anche perché i numeri nella regione sono peggiori del previsto. E perché la batosta in Emilia Romagna rendeil passo falso ancora più fastidioso.
Come se non bastasse, il leghista comunque scalpita, sbraccia, si agita. E si prepara a riaprire il duello per la candidatura nel 2025 in Veneto, che invece Palazzo Chigi pensa debba toccare a Fratelli d’Italia.
La premier si sveglia quando a Rio de Janeiro è ancora l’alba. […] La notizia della sconfitta arriva a metà mattina e non coglie di sorpresa Meloni. La reazione ufficiale è: non drammatizziamo.
Resta il fatto che la presidente di FdI è comunque preoccupata dal passo falso interno. Per almeno tre ragioni. Non voleva Tesei, questo è inconfutabile. E aveva spiegato ai leghisti, senza troppo girarci intorno, che quel nome non avrebbe funzionato.
Ma Salvini si era impuntato, nonostante i pessimi sondaggi. Ricordando l’impuntatura meloniana, perdente, su Paolo Truzzu in Sardegna. E mettendo sul tavolo il nodo della successione a Luca Zaia
A quel punto, da via della Scrofa avevano lasciato fare. Come a dire: se vuoi schiantarti, accomodati, noi puntiamo al presidente del Veneto. Il fatto è che adesso, dopo la sconfitta in Umbria, il vicepremier pensa comunque di dover ottenere una compensazione in quella regione.
È un problema di percezione. Di sensazioni. Meloni, ad esempio, ritiene che il leghista non si fermerà, anche perché di recente ha colto in lui una scintilla diversa: forse la vittoria di Trump, o anche il processo di Palermo che gli consente di cavalcare il dossier migratorio, fatto sta che Salvini si muove convinto di essere presto destinato a sondaggi migliori.
Ma è esattamente questa la ragione per cui la premier non ha intenzione di discutere con lui della presidenza del Veneto. Anche se dopo la sconfitta in Umbria la Lega non ha neanche un governatore sotto il confine lombardo.
C’è un altro problema da maneggiare, però. Nelle elezioni regionali del 2025 si voterà anche in tre grandi regioni già governate da centrosinistra: Puglia, Campania e Toscana. Dovesse riconfermarsi il campo largo, si registrerebbe una inversione di tendenza significativa dopo le vittorie progressiste in Umbria ed Emilia Romagna: ammesso che il centrodestra ottenga il Veneto, si conterebbero cinque regioni su sei al centrosinistra. Più le Marche, che adesso appaiono contendibili.
Il risultato di ieri manda anche un altro segnale alla destra, però: la coalizione progressista può vincere, se non si divide. È uno scenario che Meloni teme, quello dell’unità degli avversari. Anche perché mette in discussione alcune granitiche certezze. Ad esempio, quelle legate a un ineluttabile destino di trionfi. «Se vanno avanti a litigare così – aveva scherzato la premier poche settimane fa con un amico governatore, secondo quanto si apprende – mi costringeranno a governare per dieci anni…». Ieri si rideva un po’ meno, a Palazzo Chigi.
(da la Repubblica)

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LA SOLITA STRATEGIA DI GIORGIA MELONI: QUANDO SI VINCE, È MERITO SUO, QUANDO PERDE, È COLPA DEGLI ALTRI, LA DUCETTA SCARICA LA RESPONSABILITÀ DELLA DISFATTA IN UMBRIA SU MATTEO SALVINI, REO DI AVER INSISTITO SULLA CANDIDATURA DI DONATELLA TESEI

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

LA FALLIMENTARE IDEA DI DONZELLI DI APRIRE A BANDECCHI, GLI 80MILA VOTI PERSI DA FDI DALLE EUROPEE E LE TENSIONI PER LE REGIONALI DEL PROSSIMO ANNO IN PUGLIA, VENETO, TOSCANA E CAMPANIA

L’umore nel centrodestra di governo, come spesso accade, si capisce dalle chat: tutti muti. Silenzio assoluto. Lo stesso hanno fatto gli alleati di maggioranza. La linea consegnata da Matteo Salvini e Antonio Tajani ai parlamentari è chiara: tacere.
Solo a tarda sera arrivano le congratulazioni della premier Giorgia Meloni ai due nuovi presidenti di Regione, insieme a quelli di Tajani che gongola per aver “raddoppiato i voti” (dal 2 al 4% dal 2019), mentre Salvini dice che “i cittadini hanno sempre ragione”.
Eppure se la sconfitta in Emilia-Romagna era data per scontata, è quella in Umbria a bruciare di più nella coalizione di centrodestra. Al netto della propaganda di governo (“il Pd era pronto al 3 a 0, è finita 2 a 1”), l’analisi che viene fatta ai vertici di Fratelli d’Italia è semplice: la candidata Donatella Tesei era debole in partenza e la sconfitta è dovuta al crollo della Lega che in Umbria tiene rispetto alle elezioni europee di giugno ma perde oltre 30 punti percentuali rispetto alle Regionali del 2019. Anche in Emilia-Romagna il Carroccio crolla dal 31 al 5% in cinque anni
Che i meloniani si fidassero poco della capacità di Tesei di vincere lo ha dimostrato una campagna piuttosto debole del partito di Meloni. Non è un caso che, come ha raccontato Il Fatto, a maggio l’assessora meloniana Paola Agabiti Urbani avesse preconizzato la sconfitta elettorale: “Tesei ha governato male, così perdiamo”, aveva rivelato in un incontro segreto ad Arianna Meloni.
Giovedì, invece, la premier non ha quasi mai nominato l’Umbria e la governatrice uscente Tesei nel suo comizio di chiusura a Perugia. Ma nemmeno Fratelli d’Italia può attribuire le responsabilità della sconfitta a Salvini: ieri ai vertici del partito si guardava con grossa preoccupazione il voto di lista.
In quattro mesi, in Umbria, il partito di Meloni è passato dal 32% al 19%, perdendo circa 80 mila voti. E se è vero che è difficile paragonare due elezioni così diverse, è anche vero che rispetto alla Liguria stavolta la colpa non può essere attribuita al ruolo delle liste civiche perché quella di Tesei casomai ha contribuito a togliere più voti alla Lega e perché la lista di Stefano Bandecchi ha preso solo il 3%.
Ed è proprio il “caso Bandecchi” che ieri teneva banco dentro Fratelli d’Italia: la scelta di portare dentro la coalizione il sindaco di Terni è stata voluta dal responsabile organizzazione Giovanni Donzelli nonostante molti fossero contrari. Alla fine il risultato della lista di Bandecchi è stato un flop e in FdI ieri si commentava al veleno: “Bandecchi ci ha fatto perdere più voti che guadagnarne…”, era il senso delle riflessioni di diversi dirigenti.
(da Il Fatto Quotidiano)

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CON I CANDIDATI CIVICI LEGATI AL TERRITORIO COME STEFANIA PROIETTI SI VINCE

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

LA MELONI E I MINISTRI NON HANNO MOSSO UN VOTO… IL FLOP DI BANDECCHI

La vittoria del centrosinistra e della sua candidata Stefania Proietti è cresciuta piano, lenta come un presentimento, mezzo punto di proiezione dietro l’altro.
Con quelli che qui, al comitato elettorale, non vogliono crederci e fanno le corna, ti ripetono che è meglio aspettare, ma s’intuisce che stanno stretti dentro una ostinata incredulità, tra speranza, scaramanzia e paura.
Comprensibile che, adesso, tutti trovino molto più gusto a spiegarti come e perché a diventare governatrice sarà proprio l’«indipendente» Stefy, l’antiabortista Stefy, l’ultracattolica Stefy, una che ha il Cantico delle creature nel programma elettorale, si telefona regolarmente con il cardinal Zuppi e si scrive con papa Francesco: e in effetti è davvero oggettivamente piuttosto clamoroso e paradossale che è grazie a una candidata così se l’Umbria, dopo cinque anni, torna a essere di un rosso antico, addirittura vintage, come direbbe l’armocromista di Elly.
Sono già ripartiti con il mantra. Ci daranno, ci daremo il cordoglio per le prossime settimane. Senza capire che l’Umbria non è il nostro Ohio: ci piace scriverlo e dirlo alla tv, ma è una sciocchezza. L’Umbria non è un laboratorio di alleanze: il tessuto politico è sempre stato, e resta, fortemente sinistrorso. C’è una cultura politica radicata, c’è una storia.
Poi sì, certo: per evitare che anche qui, come in Liguria, quel furbastro di Giuseppe Conte s’inventasse qualcuno dei suoi capriccetti, quelli di Italia viva li hanno nascosti nella lista personale della Proietti. Ma a parte che i 5 Stelle sembrano essere andati malissimo, il dato plastico, inequivocabile, è che il corpaccione dem ha votato per una signora a lungo sembrata, nei comizi e nelle interviste, la candidata perfetta per il centrodestra: eppure sono usciti di casa, certo pochi, certo il problema dell’affluenza c’è forte anche da queste parti, e sono andati a votare per la persona (sindaca di Assisi), che gli avrebbe permesso di riprendersi la Regione. Punto. Avventurarsi in analisi più sofisticate, che possano avere valore su campo nazionale, è tempo sottratto al cinema, al calcetto, a pilates, alla rilettura di Guerra e pace .
D’altra parte, no, scusate: la foto di gruppo con cui Schlein e Conte, più Fratoianni&Bonelli della premiata ditta Avs, hanno chiuso la campagna elettorale davanti all’ospedale di Terni, resta tragicamente memorabile.
Provate a riguardarla: sorrisi forzati, finti, e poi quello di Conte era piuttosto un ghigno, diciamolo. D’altra parte, sono gli stessi volti dei protagonisti del fallimento ligure.
Gli stessi. Solo che qui gli elettori del centrosinistra, con poco centro e molta sinistra, avevano un progetto che prescindeva da chiacchiere e propaganda, dalle debolezze delle leadership, dagli intrighi: dovevano vincere per la memoria dei nonni che giocavano a carte alla Casa del popolo, e per le nonne che cucinavano alla Festa dell’Unità.
Cinque anni fa, Donatella Tesei trionfò cavalcando qualche scandalo nell’ambito della sanità e, soprattutto, godendo della forza attrattiva di Matteo Salvini: all’epoca era gonfio di appeal e, tra fette di pane e salame e il repertorio delle sue promesse più classiche, raggiunse il 37%.
La Tesei raccolse, è chiaro, anche e soprattutto un voto di protesta.
La partita, stavolta, è stata molto più complicata. I viaggi di quasi tutti i ministri non hanno scatenato alcuna emozione. Un giorno, ad Assisi, si presenta Giancarlo Giorgetti: ma poi si scopre che è lì per inaugurare una sede della Lega (frati costernati, per usare un eufemismo). Anche il comizio finale di Giorgia Meloni, a Perugia: tutto piegato sulle questioni nazionali.
Una faccenda locale ha invece pesato sulla candidata del centrodestra, sempre accigliata, nervosa, tutt’altro che sollevata dallo scampato pericolo, dall’essere uscita indenne — perché l’abuso d’ufficio, come deciso dal Parlamento, non è più reato — dal cosiddetto «Tartufo gate»: brutta storia scoperta dalla Procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone, con 10 milioni di euro assegnati alla filiera del tartufo, dove — casualmente, as usual — spadroneggia l’azienda del marito di Paola Agabiti Urbani, assessore al Bilancio, e dove è stato assunto anche il figlio della ormai ex governatrice.
Colpevolmente, a un certo punto, ci siamo convinti che potesse aiutarla un vecchio parà della Folgore, Stefano Bandecchi, il sindaco di Terni, un maciste riccastro, inseguito dalla Guardia di Finanza, che fa risse e urla: «Io i voti me li compro! Io ho sempre elemosinato solo la f…»
Abbiamo preso una cantonata. Bisogna ammetterlo.
Vabbé. A che ora arriva Elly?
(da Il Corriere della Sera)

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BOOMERANG BANDECCHI, IL DUCETTO SVUOTA-URNE

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

HA FATTO PERDERE AL CENTRODESTRA PIU’ VOTI DI QUANTI NE HA PORTATI

Il celebrato effetto Bandecchi non c’è stato, anzi forse ha lavorato al contrario vista la sconfitta di Donatella Tesei e i modesti risultati di Alternativa Popolare sia a Terni sia nel resto dell’Umbria.
Bandecchi-boomerang? C’è da chiederselo, la destra se lo sta chiedendo. Chissà se le performance di campagna elettorale – il sollevamento di un’Apecar, l’acqua sputata addosso a un contestatore, eccetera – hanno portato voti o li hanno fatti scappare. Chissà se il personaggismo funziona ancora. Di sicuro può premiare in elezioni più esotiche, quando si spediscono in Europa soggetti estremi come Roberto Vannacci o Ilaria Salis, ma sul territorio, dove si decide delle nostre vite quotidiane, anche no. Gli elettori preferiscono farne a meno. Lo conferma l’analogo insuccesso, dall’altra parte della barricata, di Marco Rizzo: era l’uomo del messaggio rosso-bruno, che voleva (poteva) far perdere il centrosinistra, magari intercettando il pacifismo grillino o l’astensionismo arrabbiato. Si è fermato nei dintorni dell’un per cento.
L’aspirante Trump italiano, insomma, non ce l’ha fatta. La sua battaglia contro il politicamente corretto non lo ha premiato e ha dovuto constatare di persona la distanza tra like e consenso elettorale (a proposito del quale aveva detto: “io i voti li compro o me li prendo di prepotenza”). L’Umbria magari ha riso delle sue performance e i suoi alleati lo hanno pure difeso – è Bandecchi, lui parla così – ma al momento di decidere gli elettori hanno saputo distinguere tra politica e bullismo, tra show e requisiti di governo. E tuttavia sarebbe meschino sparare sulla croce rossa perché il tonante sindaco di Terni è il prodotto di un circuito che si ripete elezione dopo elezione, e c’è sempre un nuovo Berlusconi, un nuovo Blair, un nuovo questo e quello che riesce a conquistare visibilità sgomitando ed estremizzando il suo disprezzo per gli avversari. A Roma c’è stato pure un nuovo Marco Aurelio, e pure lui è finito malissimo.
Stefano Bandecchi ha costruito il suo personaggio ben prima di diventare sindaco, quando si è comprato la Ternana e ha cominciato a dare in escandescenze in ogni occasione, dalle conferenze stampa al corpo a corpo con la tifoseria dopo le sconfitte, talvolta con scambio di manate e sputi. E’ diventato personaggissimo da talk show. Si è divertito. Dopo l’elezione a sindaco ha calcato la mano sulla figura dell’uomo verace, impavido, “di una volta”, che dice pane al pane e culo al culo, vendicatore di ogni maschio che si vede scavalcato da una donna, perché queste donne hanno stufato, “hanno più diritti di me, hanno troppa sensibilità, e gli uomini non possono più aprire bocca”.
Si è fatto campione della cosiddetta battaglia contro il politicamente corretto, ci ha costruito sopra l’immagine del Trump italiano, e ha convinto pure la destra di FdI – sua acerrima nemica in consiglio comunale e sul territorio – che sarebbe stato decisivo per la vittoria. E adesso quelli gli fanno i conti in tasca e chiedono conto del cinque per cento che aveva promesso e non è arrivato.
Ma ora che le urne hanno parlato c’è anche una lezione più generale da imparare. Vale per chi ha favoleggiato di improponibili paragoni tra l’Umbria e gli Appalachi, tra Terni e Springfield, perché magari è vero che gli Usa determinano tendenze planetarie ma forse, nella regione di San Francesco, si poteva prevedere che certe esuberanze trumpiane non fossero così determinanti. Allo stesso modo, si dovrebbe archiviare l’idea che una robusta minoranza di italiani
(da lastampa.it)

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GRATTERI NON LE MANDA A DIRE: “ELON MUSK ATTACCA L’ITALIA SOTTO VITAMINE. NORDIO HA FATTO IL MAGISTRATO? SI’ A VENEZIA…”

Novembre 19th, 2024 Riccardo Fucile

IL PROCURATORE CAPO DI NAPOLI ACCUSA IL GOVERNO DI VOLER ASSOGETTARE I GIUDICI E NE HA ANCHE PER IL MINISTRO: “NON AVEVO PAURA DA RAGAZZO, FIGURIAMOCI ORA CHE NE HO 66”

Non ha peli sulla lingua, Nicola Gratteri. E come potrebbe averne, si lascia andare il procuratore capo di Napoli in chiusura della puntata di Otto e mezzo: «Non avevo paura da ragazzo, figuriamoci ora che ho 66 anni e mi mancano tre anni alla pensione. Non ho paura di procedimenti disciplinari, e anche fosse ho altri tre mestieri da fare».
Da settimane soffia alto il fuoco della polemica tra governo e magistrati – come mai s’era visto dai tempi dello scontro con Silvio Berlusconi. Al centro della bufera, le decisioni dei tribunali di non convalidare i trattenimenti di richiedenti asilo nei Cpr in Albania, di fatto picconando il progetto-simbolo di questo governo per “svoltare” sul tema immigrazione. Vicenda che arriva proprio nelle settimane in cui giunge a conclusione il processo a Matteo Salvini per aver bloccato la nave Open Arms al largo di Lampedusa nell’agosto 2019. I magistrati da giorni denunciano il clima irrespirabile e che gli attacchi della maggioranza abbiano passato il segno. E Gratteri ospite di Lilli Gruber sposa in toto quella tesi: «Se c’è un disegno per assoggettare la magistratura al potere politico? Chiunque pensa alla separazione delle carriere, poi è chiaro che l’obiettivo è quello».
Gratteri considera esiziali i progetti di riforma attuati da questo governo, ivi compresa pure la stretta sull’uso delle intercettazioni. A farsi portatore di quelle misure è pure un ministro, Carlo Nordio, che viene proprio dalle fila della magistratura. «Possibile che non sappia cosa serve ai giudici? Anche lui lo era fino a poco tempo fa…», ricorda a Gratteri la conduttrice. «Sì, a Venezia», replica gelido Gratteri.
Come a dire che un conto è operare alla procura di Laguna, un altro in quelle di frontiera del Sud Italia. «Io combatto da anni le mafie internazionali, vado in ufficio tutti i giorni prima delle 8 e esco non prima delle 21.30 da più di 35 anni, capirò qualcosa di ciò che serve?».
La replica a Elon Musk e l’autocritica sulla magistratura
Gratteri è imbufalito pure con Elon Musk, il magnate di origini sudafricane in procinto di diventare “super-consulente” dell’amministrazione Usa guidata da Donald Trump. Il patron di X è intervenuto sul suo social per chiedere che i giudici anti-Meloni se ne vadano, e ad arginare le sue scorribande è dovuto intervenire niente meno che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
«Ma come si è permesso di interferire in affari di altro Paese?», sbotta Gratteri. «L’ho visto saltare sul palco di Donald Trump come una cavalletta. Evidentemente ha preso delle vitamine. Deve averne prese un po’ troppe per scrivere cose del genere. È una interferenza inaccettabile, tutti i cittadini si devono indignare», chiosa il capo della procura di Napoli.
Difesa d’ufficio su tutta la linea dei magistrati, dunque? Fino a un certo punto. Perché Gratteri riconosce che i togati devono non solo essere, ma anche apparire inattaccabili, distanti da ogni appartenenza politica. «Dobbiamo preoccuparci della nostra credibilità, la gente deve fidarsi di noi nel momento in cui ne ha bisogno per sporgere una denuncia: non dobbiamo apparire né di destra né di sinistra». Lui comunque tira dritto, con la “sua” ricetta personale, perfino in tema di infrastrutture digitali. «Il pc che mi ha fornito il ministero della Giustizia non lo uso, sta lì su una mensola da tre anni. Uso un altro pc che costa il triplo che mi sono comprato io, così come il telefonino dove non ho una sola app. Ci vuole una svolta sulla sicurezza dei dispositivi che con Consip non è possibile assicurare». Lui a Napoli comunque ci sta benissimo: «È la procura più grande d’Europa, è molto stimolante, faccio riunioni di continuo, anche mentre mangio», dice con un sorriso a Lilli Gruber.
(da agenzie)

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