MELONI E L’AVVERTIMENTO A SALVINI “ABBIAMO SBAGLIATO CANDIDATURA”
E ORA SI APRE LA LOTTA PER IL VENETO
L’aveva detto a Matteo Salvini, in privato: «Con la Tesei perdiamo, non insistere. Non ha fatto bene in questi anni. Cambiamo candidato, ascoltami». L’aveva anche lasciato trapelare pochi giorni fa, affidando alla sorella Arianna il compito di svelare il malessere registrato con gli ultimi sondaggi: «Abbiamo sbagliato il nome».
Giorgia Meloni già preparava la ritirata tattica dalla battaglia umbra. Ma adesso deve in ogni caso farci i conti, anche perché i numeri nella regione sono peggiori del previsto. E perché la batosta in Emilia Romagna rendeil passo falso ancora più fastidioso.
Come se non bastasse, il leghista comunque scalpita, sbraccia, si agita. E si prepara a riaprire il duello per la candidatura nel 2025 in Veneto, che invece Palazzo Chigi pensa debba toccare a Fratelli d’Italia.
La premier si sveglia quando a Rio de Janeiro è ancora l’alba. […] La notizia della sconfitta arriva a metà mattina e non coglie di sorpresa Meloni. La reazione ufficiale è: non drammatizziamo.
Resta il fatto che la presidente di FdI è comunque preoccupata dal passo falso interno. Per almeno tre ragioni. Non voleva Tesei, questo è inconfutabile. E aveva spiegato ai leghisti, senza troppo girarci intorno, che quel nome non avrebbe funzionato.
Ma Salvini si era impuntato, nonostante i pessimi sondaggi. Ricordando l’impuntatura meloniana, perdente, su Paolo Truzzu in Sardegna. E mettendo sul tavolo il nodo della successione a Luca Zaia
A quel punto, da via della Scrofa avevano lasciato fare. Come a dire: se vuoi schiantarti, accomodati, noi puntiamo al presidente del Veneto. Il fatto è che adesso, dopo la sconfitta in Umbria, il vicepremier pensa comunque di dover ottenere una compensazione in quella regione.
È un problema di percezione. Di sensazioni. Meloni, ad esempio, ritiene che il leghista non si fermerà, anche perché di recente ha colto in lui una scintilla diversa: forse la vittoria di Trump, o anche il processo di Palermo che gli consente di cavalcare il dossier migratorio, fatto sta che Salvini si muove convinto di essere presto destinato a sondaggi migliori.
Ma è esattamente questa la ragione per cui la premier non ha intenzione di discutere con lui della presidenza del Veneto. Anche se dopo la sconfitta in Umbria la Lega non ha neanche un governatore sotto il confine lombardo.
C’è un altro problema da maneggiare, però. Nelle elezioni regionali del 2025 si voterà anche in tre grandi regioni già governate da centrosinistra: Puglia, Campania e Toscana. Dovesse riconfermarsi il campo largo, si registrerebbe una inversione di tendenza significativa dopo le vittorie progressiste in Umbria ed Emilia Romagna: ammesso che il centrodestra ottenga il Veneto, si conterebbero cinque regioni su sei al centrosinistra. Più le Marche, che adesso appaiono contendibili.
Il risultato di ieri manda anche un altro segnale alla destra, però: la coalizione progressista può vincere, se non si divide. È uno scenario che Meloni teme, quello dell’unità degli avversari. Anche perché mette in discussione alcune granitiche certezze. Ad esempio, quelle legate a un ineluttabile destino di trionfi. «Se vanno avanti a litigare così – aveva scherzato la premier poche settimane fa con un amico governatore, secondo quanto si apprende – mi costringeranno a governare per dieci anni…». Ieri si rideva un po’ meno, a Palazzo Chigi.
(da la Repubblica)
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