Gennaio 13th, 2025 Riccardo Fucile
SINTESI ESTREMA DEL “GRANDE SUCCESSO” DIPLOMATICO DI GIORGIA MELONI: ABBIAMO CEDUTO AL RICATTO DI UN REGIME… MOHAMMAD ABEDINI È UN PEZZO MOLTO GROSSO E LO DIMOSTRA LA TENACIA CON CUI GLI AYATOLLAH HANNO CHIESTO LA SUA LIBERAZIONE
Quando intorno all’una del pomeriggio gli aprono la cella del carcere di Opera per
anticipargli che non verrà estradato negli Stati Uniti ma scarcerato, pochi minuti prima che il ministro della Giustizia Carlo Nordio renda nota la notizia in un comunicato, il detenuto resta sorpreso, come se non comprendesse subito, poi accenna un sorriso quasi incredulo, e quindi giù a piangere
Mohammad Abedini-Najafabani è un uomo libero. Lo raggiunge poco dopo in carcere il suo avvocato Alfredo De Francesco, i due parlano brevemente, poi si lasciano con la richiesta di Abedini-Najafabani al legale di «mantenere riservatezza» anche su quelle poche frasi, «spero di risentirlo già domani». Dall’Iran.
Perché, intanto, il 38enne ingegnere iraniano accusato dagli Usa di aver aggirato l’embargo per commercializzare ai pasdaran iraniani componenti elettronici a duplice uso civile e militare, montati anche su droni (come quello che il 28 gennaio 2024 aveva ucciso in un avamposto giordano tre soldati americani) nel primo pomeriggio a Linate si imbarca subito su un aereo messo a disposizione dagli 007 italiani dell’Aise e diretto a Teheran, appena rilasciato.
(da agenzie)
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Gennaio 13th, 2025 Riccardo Fucile
LE “RIVELAZIONI” DI BAIARDO COSTARONO A GILETTI IL POSTO A LA7, E AL “PENTITO” LA LIBERTÀ… L’INCONTRO DI GILETTI CON LA MELONI: “LO DEVO FARE PER FORZA”
Il primo a vaticinare l’arresto imminente di Matteo Messina Denaro fu Salvatore Baiardo, il gelataio amico dei mafiosi. Lo aveva fatto in un’intervista al giornalista Massimo Giletti che, rivela Report, rilasciava a pagamento.
Baiardo oggi è in carcere. Proprio per una delle sue rivelazioni in tv. Aveva infatti raccontato a Giletti dell’esistenza di una fotografia che ritraeva nel 1992 Berlusconi, Il generale Delfino e il boss Graviano, e aveva parlato del tentato ricatto a Silvio e Paolo Berlusconi. Poi ha negato tutto.
Una storia che ieri ha ricostruito Report su Rai 3 in un lungo e dettagliato servizio di Paolo Mondani, nel quale si rivelano alcuni documenti esclusivi dell’inchiesta della procura di Firenze sui via dei Georgofili a Firenze e di via Palestro a Milano. Report ha mostrato anche alcune intercettazioni telefoniche nelle quali Giletti racconta al suo amico Giovanni Minoli, lo storico giornalista e dirigente Rai, che Baiardo era stato pagato per rilasciare le interviste che la sua trasmissione di La7 aveva mandato in onda.
«Il signor Baiardo — diceva Giletti — è stato pagato…». «Sì, sì, due fatture da 15mila euro, due volte» gli risponde Minoli. Giletti si stava lamentando della “censura” che raccontava di aver subito e che aveva portato alla chiusura del suo programma di successo.
«Paolo Berlusconi chiama l’editore di La7 Urbano Cairo per protestare contro le rivelazioni di Baiardo. Cairo chiede a Giletti di incontrare Berlusconi ma Giletti rifiuta» ricostruisce Report. «E Giammarco Mazzi, procuratore di Giletti e oggi sottosegretario alla Cultura, interrogato a Firenze racconta che Cairo voleva rinnovare il contratto al conduttore. Invece l’11 aprile chiude la trasmissione e scoppia il putiferio».
Giletti racconta infatti che, oltre alle foto di Baiardo, in piedi c’era una trasmissione su Dell’Utri che non andrà mai in onda. «Certo, se riuscissi ad avere adesso quell’incontro con la premier» consiglia Minoli a Giletti, facendo riferimento a Giorgia Meloni, «sarebbe molto importante ». E Giletti gli risponde: «Lo devo fare per forza».
(da La Repubblica)
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Gennaio 13th, 2025 Riccardo Fucile
L’UOMO PIÙ RICCO DEL MONDO AVREBBE ASSOLDATO L’EX “RASPUTIN” DI BORIS JOHNSON, DOMINIC CUMMINGS, PER ROVESCIARE IL GOVERNO LABURISTA DI KEIR STARMER
I timori per la stabilità dell’economica del Regno Unito continuano ad affossare la
sterlina. Sulla valuta inglese pesano il livello di indebitamento, l’inflazione ancora alta ed i rischi sulla mancata crescita economica. Gli analisti ritengono necessario un taglio dei tassi più incisivo da parte della Banca d’Inghilterra. La sterlina è in calo dello 0,45% e passa di mano a 1,2150 sul dollaro. I trader, secondo quanto riporta Bloomberg, scommettono su una flessione della valuta inglese sotto 1,20 sul dollaro.
Hanno molte cose in comune: l’amore per le nuove tecnologie, l’ideologia ultraconservatrice, l’odio per la burocrazia statale. La differenza è che uno è l’uomo più ricco della Terra.
Ma Elon Musk e Dominic Cummings hanno buoni motivi per intendersi e ora si sarebbero alleati con lo stesso progetto politico: rovesciare il governo laburista di Keir Starmer nel Regno Unito e innescare una rivoluzione globale anti-regolamentazioni, portando la tecnodestra dall’America all’Europa.
Secondo fonti governative britanniche citate dal Mail on Sunday , l’ex-consigliere di Boris Johnson avrebbe stretto contatti con il fondatore della Tesla e imminente membro dell’amministrazione Trump. Sarebbe stato Cummings, soprannominato “il Rasputin di Downing Street” quando il leader conservatore lo portò con sé al governo, ad avere ispirato a Musk gli attacchi al vetriolo sui social media contro Starmer e altri esponenti dell’esecutivo britannico.
Non solo: Cummings starebbe dando suggerimenti a Musk anche su come tagliare miliardi di dollari dal budget americano nel ruolo di capo del nuovo ministero dell’Efficienza governativa assegnatogli da Trump, missione simile a quella da lui intrapresa nel periodo trascorso accanto a Boris Johnson, quando voleva licenziare migliaia di funzionari pubblici in tutti i ministeri per sostituirli con giovani cervelloni dell’economia digitale.
I due interessati non confermano di avere avviato una collaborazione. Ma a Londra vari commentatori si erano chiesti come fosse possibile che il multimiliardario americano si interessasse così tanto alla politica del Regno Unito e che la conoscesse così bene da attaccare Starmer su questioni specifiche del passato.
Davanti ai post di Musk sui social media, inoltre, qualcuno si è meravigliato notando l’uso di espressioni del politichese britannico come “il Keir dai due volti”, nomignolo appioppato a Starmer (peraltro impropriamente) dall’opposizione conservatrice. C’era dietro lo zampino di Cummings? Terzo elemento sospetto: Musk postava i suoi messaggi contro il leader laburista quando negli Usa era notte fonda, ma era pieno giorno in Inghilterra.
Di certo i due politicamente si somigliano. Cummings non riuscì a portare a termine in patria la sua rivoluzione tecnocratica perché costretto a dimettersi sull’onda delle polemiche per il mancato rispetto delle norme anti- Covid (era andato a trovare i suoceri durante il lockdown, nonostante al resto della popolazione fossero vietati i contatti perfino con familiari in fin di vita in ospedale).
Ora avrebbe l’opportunità di rilanciare il progetto, importando il vangelo digitale, antistatalista e pro-deregulation di Musk nel Regno Unito, con l’appoggio dei Tories, del partito populista del brexitiano Nigel Farage o addirittura del nuovo partito che lui stesso si ripromette di creare.
Coincidenza o meno, il Financial Times ha appena pubblicato un lungo articolo di Peter Thiel, fondatore di Payl Pal e (come Musk) uno dei paladini della tecnodestra Usa, in cui il miliardario americano preannuncia «l’apocalisse per l’ ancien regime » , come definisce l’establishment politico occidentale: una resa dei conti. La battaglia per proteggere la democrazia è iniziata.
(da La Repubblica)
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Gennaio 13th, 2025 Riccardo Fucile
IN SERIE B LA PARTITA TRA REGGIANA E BARI È STATA SOSPESA PER 7 MINUTI A CAUSA DEGLI INSULTI RAZZISTI AL BARESE MEHDI DORVAL… CORI SESSISTI CONTRO LA GUARDALINEE FRANCESCA DI MONTE… A BRESCIA, IL NIGERIANO DELLA SAMPDORIA, EBENEZER AKINSANMIRO, È STATO BERSAGLIATO CON INSULTI RAZZISTI
Il razzismo è tornato protagonista in serie B, tra Reggio Emilia e Brescia, vittime il barese Dorval e il doriano Akinsanmiro. Reggiana-Bari è stata sospesa per 7’, sul finire del primo tempo, per gli insulti razzisti al barese Mehdi Dorval, francese di madre algerina e padre di Reunion, che s’è poi sfogato sui social: «Purtroppo esistono ancora delle persone stupide. Questo sport è troppo bello per essere rovinato da queste persone. Vergognatevi».
A Reggio dagli spalti è piovuto di tutto, pare anche una scarpa: «C’era tanta confusione », ha testimoniato Longo, allenatore del Bari. «A un certo punto è sembrato di sentire anche cori sessisti contro l’assistente», ovvero la guardalinee Francesca Di Monte.
«Le cose che ho visto oggi le ho viste pochissime altre volte, gente di 50-60 anni venuta allo stadio per sfogarsi», ha raccontato Benali, centrocampista libico anche lui del Bari. Per il vicepresidente della Reggiana, Cattani, «Reggio non è una citta razzista». Secondo lui c’è stato solamente «qualche insulto all’arbitro. E ce l’avevano soprattutto con un giocatore che doveva essere ammonito per simulazione».
A Brescia è andata anche peggio, perché Ebenezer Akinsanmiro, nigeriano di vent’anni, s’è sfogato dopo il gol del compagno Coda andando a mimare un gorilla di fronte la curva del Brescia, dalla quale gli erano piovuti addosso dei buu poco prima: lo speaker aveva dovuto leggere l’annuncio di prammatica sul divieto di cori razzisti e le conseguenze che comportano. L’arbitro Massa, da regolamento, ha ammonito Akinsanmiro.
L’allenatore Semplici ha saggiamente deciso di sostituirlo: al suo posto è entrato Vieira, Akinsanmiro è uscito applaudendo ironicamente il pubblico ma in quei minuti ha dominato il caos, con altri tre giocatori e i due tecnici ammoniti. Quello del Brescia, Bisoli, l’ha chiusa nel modo peggiore: «Akinsanmiro? Non si può provocare così il pubblico».
Il nostro commento
Ribadiamo il nostro punto di vista: in caso di cori razzisti, dopo un solo avvertimento, la partita va dichiarata conclusa e tutti a casa, salvo gli spettatori della curva da cui sono giunti gli insulti. Cancelli chiusi e identificazione uno per uno di tutti i presnti anche se la cosa dovesse durare tutta la notte. Sulla base delle prove video i sospetti trasferiti in carcere per un processo per direttissima, con relativa diffusione delle generalità dei condannati in modo che vicini di casa, parenti e colleghi di lavoro possano sapere con chi hanno a che fare. Nessuna concessione dei domiciliari, pena scontata in carcere.
(da agenzie)
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Gennaio 13th, 2025 Riccardo Fucile
LA META’ DEI MEMBRI (DUE MAGISTRATI E UN COMMERCIALISTA) NON ERA PER LA DECADENZA, C’E’ STATO UNO SCONTRO MOLTO DURO
È stata la presidente della Corte d’Appello Gemma Cucca a condannare Alessandra
Todde: il Collegio di garanzia era spaccato, c’erano 3 voti a favore della decadenza per la mancata rendicontazione delle spese elettorali e 3 contro, 2 magistrati su 3 e uno dei commercialisti l’avrebbero chiusa con una sanzione pecuniaria confermando l’esito delle elezioni regionali.
Davanti a un confronto che sembra aver sfiorato lo scontro, la presidente Cucca ha votato per la richiesta di mandare a casa l’esponente M5s.
A leggere il verbale uscito in queste ore il disaccordo fra i 7 componenti del collegio e la differenza di valutazioni sui fatti appaiono abissali. Nessuna applicazione automatica della legge del 1993, al contrario opinioni distanti su quasi tutte le violazioni contestate.
Battuta con una maggioranza di 5 a 2 sul presunto superamento del tetto di spesa, la presidente Cucca ha trovato l’appoggio di 3 componenti il collegio quando si è trattato di esaminare la rendicontazione e si è fatta strada l’ipotesi che tra le due comunicazioni trasmesse da Alessandra Todde all’organismo di vigilanza sia emerso un falso.
In altre parole, se nella prima nota venivano indicate uscite ed entrate pari a 90 mila euro, nella memoria consegnata il 3 dicembre a seguito delle osservazioni del Collegio Todde ha dichiarato “sul suo onore di non aver sostenuto spese, assunto obbligazioni né ricevuto contributi e/o servizi, nonché di essersi avvalsa di materiali e mezzi propagandistici messi a disposizione del partito dalla formazione politica”.
È su questo punto che il Collegio ha deciso di avviare qualcosa di molto simile a un’indagine tributaria e con un accesso al cassetto fiscale di Alessandra Todde ha scoperto una bolletta Enel di 153 euro che pur facendo parte delle spese elettorali non era stata dichiarata.
Sembrerà strano ma è su questo punto che, sempre a maggioranza, il Collegio ha deciso di trasmettere alla Procura della Repubblica gli atti che hanno condotto all’ordinanza, ipotizzando un’accusa di falso.
Per cercare di capire: la contestazione che ha condotto alla richiesta di decadenza è riferita alla rendicontazione insoddisfacente, quella fornita in seconda battuta da Todde ma intestata al Comitato elettorale. Le cifre indicate – sostiene il Collegio – non sarebbero quelle individuali della candidata presidente ma rappresenterebbero l’insieme (90 mila euro) delle spese per la campagna M5s. Una differenza tale da determinare la richiesta di decadenza per il commercialista Tullio Conti, per il giudice Salomè Bene e per il docente Riccardo Fercia. Mentre hanno votato per una sanzione minore, relativa all’uso di un conto paypal, i magistrati della Corte d’Appello Francesco Alterio e Dario De Luca insieme alla commercialista Roberta Asuni.
Per i 3 membri innocentisti, poiché “la candidata non ha percepito direttamente finanziamenti e sostenuto spese ma si è avvalsa di mezzi e servizi messi a disposizione dal comitato elettorale”, sarebbe bastata una sanzione minore, probabilmente un’ammenda. Il voto colpevolista della presidente Cucca ha messo nei guai Todde, che ora dovrà attendere l’esito del ricorso al tribunale civile, affidato allo studio Ballero.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 13th, 2025 Riccardo Fucile
COMPETE ALLA MAGISTRATURA FARE CHIAREZZA, NON CI SI PUO’ SCHIERARE “A PRESCINDERE”
L’incazzatura è comprensibile. Le immagini dell’inseguimento in cui è rimasto ucciso il 19enne Ramy Elgaml, il 24 novembre scorso a Milano, mostrano chiaramente che i carabinieri hanno esagerato, al di là dell’esatta ricostruzione della dinamica e degli eventuali reati commessi dai militari, su cui decideranno i giudici.
Se poi fosse confermato che hanno costretto un testimone a cancellare un altro filmato, realizzato col telefonino, sarebbe tutto ancora più grave. Ma certo non giustifica il tentativo di assaltare più o meno simbolicamente una stazione dei carabinieri, peraltro blindatissima, tirando bombe carta dietro uno striscione che invocava la “vendetta”, come hanno fatto duecento giovani sabato nel quartiere San Lorenzo a Roma. Era già accaduto a Torino. Colpire gli agenti è inaccettabile, oltre che velleitario e pericoloso anche per chi lo fa.
È però molto più inquietante che la tragedia di Ramy susciti pubbliche perplessità solo in Franco Gabrielli, l’ex capo della polizia oggi consulente per la sicurezza a Milano, nell’indifferenza di un’opposizione in parte distratta, in parte intimidita, in parte convinta come la destra che le forze dell’ordine abbiano ragione anche quando sbagliano, un’idea stupida come quella, speculare, che abbiano sempre torto.
La destra ha le idee chiarissime, vuole il Far West: inseguimenti folli e pistole sguainate, poco meno della licenza di uccidere per chi indossa la divisa. Tant’è vero che i giornali vicini al governo, in testa La Verità di Maurizio Belpietro, attaccano a testa bassa Gabrielli, reo di aver dichiarato quello che dicono, in privato, molti responsabili delle stesse forze dell’ordine: che quel tipo di inseguimento “non è la modalità corretta”, che “c’è un principio di proporzionalità” da rispettare.
Non ha accusato i carabinieri di aver ucciso il ragazzo, Gabrielli ha detto solo cose di buon senso e in linea con i regolamenti, anzi ha sottolineato che le forze di polizia sono “sane” come dimostra la stessa provenienza dell’Arma del filmato che evidenzia il comportamento discutibile dei militari. Nel video, diffuso dal Tg3 e spiegato bene in un podcast di Luca Bizzarri, si vede la gazzella lanciata anche contromano dietro lo scooter; c’è almeno un primo tentativo di far cadere i due ragazzi, che non erano pericolosi boss mafiosi e nemmeno terroristi pronti a uccidere. Ha senso? No, non ce l’ha. Fuggire all’alt dei carabinieri è un reato ma la pena di morte non è prevista, nemmeno “eventuale”.
È naturalmente diverso il caso del maresciallo Luciano Masini, che avrà un encomio solenne sollecitato da Giorgia Meloni in persona. Il sottufficiale ha sparato, uccidendolo, al 23enne egiziano Muhammad Abdallah Abd Hamid Sitta, un malato psichiatrico che aveva accoltellato quattro persone nel Riminese la notte di Capodanno e avanzava minaccioso brandendo l’arma verso i carabinieri. Il pericolo c’era ed era attuale. Molti addetti ai lavori ricordano, però, che i militari avrebbero potuto sparare alle gambe del 23enne e poi disarmarlo, come aveva fatto a Padova a dicembre un ispettore di polizia, neutralizzando un nigeriano che si era scagliato su due agenti con un’ascia. Per lui nessun encomio. Meloni non l’ha chiesto. Si premia chi uccide.
La Procura ipotizza l’eccesso di legittima difesa per Masini, un atto dovuto. A Meloni però non va bene: pur di ingraziarsi agenti e militari, traditi da un contratto che non recupera neanche l’inflazione, minaccia una riforma per evitare anche le indagini. Non bastano il Ddl Sicurezza che ripropone il carcere per un picchetto di operai, l’avventura coloniale per rinchiudere i migranti in Albania, le piazze blindate, i manganelli facili, le zone rosse e mille altre forzature? È molto pericoloso. Questo è sempre il Paese della mattanza al G8 di Genova del 2001 e degli omicidi di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi. E ogni 2/3 mesi c’è un’indagine per tortura nelle carceri.
(da il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 13th, 2025 Riccardo Fucile
IL NUOVO CUNEO FISCALE A PARTIRE DA GENNAIO
Nel 2025 la busta paga degli italiani sarà più leggera. Nonostante la trasformazione del
cuneo da contributivo o fiscale nella Legge di Bilancio. Salvo che per i redditi sotto gli 8.500 euro e per quelli tra i 35 e i 50 mila. Nel cedolino di gennaio tutti gli altri troveranno qualche euro in meno. A causa del doppio regime contributivo e fiscale. Che complica la gestione degli sconti e taglia lo stipendio rispetto all’anno scorso. Le perdite calcolate nella simulazione di Italia Oggi vanno da 5 a 96 euro. E a perderci sarà chi ha una retribuzione annua lorda dai 10 mila ai 35 mila euro.
Le buste paga più leggere
Il dipendente che guadagna 25 mila euro di stipendio lordo annuo subirà un taglio di 96 euro, ovvero 7 euro al mese su 13 mensilità. Chi ne prende 10 mila avrà 16 euro in meno, mentre ne perderà 24 chi ne guadagna 15 mila. Nello scaglione dei 23 mila si perdono 5 euro, mentre le buste paga di chi ne porta a casa 27 mila avranno in totale 15 euro in meno. Che diventano 42 per chi ne prende 30 mila e 27 per chi ne porta a casa 35 mila.
Ci guadagna invece 460 euro annui chi già porta a casa 45 mila euro lordi. Il nuovo cuneo fiscale, spiega il quotidiano, attualmente interessa i titolari di lavoro dipendenti ed esclude i pensionati. Per sapere se ha diritto al nuovo cuneo il lavoratore deve calcolare sia il reddito da lavoro dipendente che quello complessivo, che viene calcolato con la dichiarazione dei redditi ed è pari alla somma dei redditi dichiarati: il quadro Rn del 730.
Il nuovo cuneo fiscale
Il nuovo cuneo fiscale si applica con due distinti criteri. Quello per i titolari di reddito complessivo fino a 20 mila euro e quello con reddito superiore a 20 mila e fino a 40 mila euro. Lo sconto è paria 1000 euro, da riproporzionare per i redditi oltre i 32 mila. Nel primo caso si calcola una di queste tre aliquote:
7,1% se il reddito di lavoro dipendente non supera 8.500 euro;
5,3% se il reddito di lavoro dipendente supera 8.500 euro ma non 15mila euro;
4,8% se il reddito di lavoro dipendente supera 15.000 euro ma non 20mila euro.
L’importo che ne deriva non è soggetto a tasse e contributi. Per il reddito complessivo oltre i 20 mila e sotto i 40 mila lo sconto è fisso e viene riconosciuto come detrazione d’imposta Irpef. L’intero importo (1.000 euro) spetterà soltanto in presenza di 365 giorni di lavoro; altrimenti, spetteranno 2,74 euro per ogni giorno di effettivo lavoro. Con le seguenti regole:
a prescindere dall’importo del reddito di lavoro dipendente, se il lavoratore ha un reddito complessivo oltre 20mila e fino a 32mila euro ha diritto all’ulteriore detrazione di 1.000 euro;
a prescindere dall’importo del reddito di lavoro dipendente, se il lavoratore ha un reddito complessivo oltre 32mila e fino a 40mila euro ha diritto all’ulteriore detrazione di 1.000 euro ridotta in proporzione all’incremento del reddito complessivo oltre i 32mila euro;
se il lavoratore ha un reddito complessivo oltre 40mila euro non ha diritto al cuneo fiscale.
(da Open)
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Gennaio 13th, 2025 Riccardo Fucile
NORDIO HA SPECIFICATO ANCHE CHE NON CI SONO ELEMENTI A SUPPORTO DELLE ACCUSE: PERCHÉ LO DICE SOLO ORA? E COME MAI LUI E TAJANI HANNO CONTINUATO A DIRE CHE IL CASO SALA ERA SCOLLEGATO, QUANDO ERA EVIDENTE A TUTTI CHE È STATO UNO SCAMBIO?
Ci avevano detto tempi lunghi e invece no, Mohammad Abedini Najafabadi prima dell’ora di pranzo di ieri è uscito dal carcere di Opera, quattro giorni dopo la liberazione di Cecilia Sala a Teheran. Nel tardo pomeriggio l’ingegnere iraniano 38enne, considerato dagli Stati Uniti un uomo chiave nella costruzione dei droni dei pasdaran e arrestato dalla polizia a Malpensa il 16 dicembre scorso, era già nella capitale del suo Paese.
Se l’Italia non voleva dare al mondo l’immagine di uno scambio di prigionieri con un regime indicato come nemico dell’Occidente, l’obiettivo è fallito. Se non contestuale, lo scambio è stato rapidissimo.
Il collegio della V sezione della Corte d’appello di Milano si è riunito ieri mattina per un provvedimento vincolato. A chiedere la revoca della carcerazione di Abedini è stato infatti il Guardasigilli Carlo Nordio.
“La revoca è sempre disposta se il ministro della Giustizia ne fa richiesta”, dice l’articolo 718 del Codice di procedura penale. Tanto Nordio quanto il ministro degli Esteri Antonio Tajani avevano detto che il governo non sarebbe intervenuto prima dell’udienza fissata per il 15 gennaio sulla richiesta di arresti domiciliari avanzata per l’iraniano dall’avvocato Alfredo De Francesco. Non si terrà mai.
La procedura di estradizione si chiude ancora prima che gli Stati Uniti abbiano depositato l’intero dossier, per il quale avevano tempo fino a fine mese.
Forse il governo ha accelerato per evitare di intervenire all’indomani di un eventuale “no” dei giudici. Oppure è intervenuto un fatto nuovo che ha spinto a fare subito quanto promesso agli iraniani per ottenere la liberazione di Sala, la giornalista 29enne di Chora Media e del Foglio che è stata detenuta dal 19 dicembre all’8 gennaio.
Così la spiega il ministero della Giustizia: “In forza dell’art. 2 del trattato di estradizione tra il Governo degli Stati Uniti d’America e il Governo della Repubblica italiana – si legge in una nota – possono dar luogo all’estradizione solo reati punibili secondo le leggi di entrambe le parti contraenti, condizione che, allo stato degli atti, non può ritenersi sussistente.
La prima condotta ascritta al cittadino iraniano di ‘associazione a delinquere per violare l’Ieepa’ (International Emergency Economic Powers Act ovvero le leggi Usa sull’embargo a vari Paesi tra cui l’Iran, ndr) non trova corrispondenza nelle fattispecie previste e punite dall’ordinamento penale italiano; quanto alla seconda e terza condotta, rispettivamente di ‘associazione a delinquere per fornire supporto materiale ad una organizzazione terroristica con conseguente morte’ e di ‘fornitura e tentativo di fornitura di sostegno materiale ad una organizzazione terroristica straniera con conseguente morte’ – osserva ancora il ministero della Giustizia –, nessun elemento risulta ad oggi addotto a fondamento delle accuse rivolte emergendo con certezza unicamente lo svolgimento, attraverso società a lui riconducibili, di attività di produzione e commercio con il proprio Paese di strumenti tecnologici avente potenziali, ma non esclusive, applicazioni militari”.
Nordio ci dice insomma che gli Usa ci hanno chiesto di arrestare un innocente, che la polizia italiana evidentemente ha sbagliato a farlo, che i giudici di Milano non avrebbero dovuto tenerlo in galera e che Nordio medesimo ha preso una cantonata, il 20 dicembre, quando ha chiesto la conferma dell’ordine di carcerazione che egli stesso, ieri, ha fatto revocare.
Così, secondo diversi giuristi, sconfina nel campo della Corte d’appello alla quale spetterebbe valutare la sussistenza della doppia incriminazione (reati punibili in astratto in entrambi i Paesi) e perfino nel merito degli elementi di prova, il cui esame toccherebbe ai giudici Usa e non all’Italia. Insomma, […] il ministro avrebbe potuto invocare esigenze umanitarie o l’interesse nazionale, come pure è previsto dal codice in materia di estradizione. Ma forse gli accordi con l’Iran erano altri.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Gennaio 13th, 2025 Riccardo Fucile
LA LEZIONE DI WARHOL, LA GENIALE CAMPAGNA PER I JEANS “JESUS”, NEL 1983, CHE VALSE A TOSCANI L’ACCUSA DI BLASFEMIA: GLI SHORTS SUL CULO DELLA MODELLA DONNA JORDAN E LA SCRITTA “CHI MI AMA MI SEGUA”
Nel 1973 Oliviero Toscani firma, nel suo stile che diverrà iconico e inconfondibile, le
pubblicità dei jeans a marchio italiano Jesus assieme ai copywriter Emanuele Pirella e Michael Goettsche. La campagna si compone di due immagini con relativo claim.
La prima riprende il busto androgino di un modello con i jeans sbottonati che lasciano intravedere in penombra il pube senza biancheria e recita: “Non avrai alcun jeans all’infuori di me”.
La seconda pubblicità, mostra il lato B della modella Donna Jordan con un paio di pantaloncini cortissimi e lo slogan “Chi mi ama, mi segua”. Il 17 maggio 1973 il Vaticano, tramite il quotidiano “L’Osservatore Romano”, accusa gli ideatori della pubblicità di blasfemia.
Il giorno seguente, alla sede dell’agenzia pubblicitaria si presenta un maresciallo della Buoncostume, su mandato di un pretore, per sequestrare i manifesti e le fotografie relative ai jeans Jesus.. L’immagine fu letta come l’emblema di una rivoluzione giovanile e sessuale in atto in quegli anni, ma non fu esente da polemiche.
Lo scrittore e poeta Pier Paolo Pasolini scrisse un articolo sul “Corriere della Sera”, definendo profeticamente questa pubblicità come “il nuovo spirito della seconda rivoluzione industriale” anticipatore dei valori che andavano mutando.
L’immagine orizzontale mostra un gruppo di ragazzi e ragazze di etnie diverse, sorridenti. Lo sfondo è completamente bianco. Uno slogan recita: “Tutti i colori del mondo”.
Agli inizi degli anni ”80 è la prima campagna Benetton firmata dal fotografo Oliviero Toscani, in collaborazione con l’agenzia pubblicitaria francese Eldorado.
Vince numerosi premi in tutto il mondo, oltre a ricevere qualche critica, “segno che la strada percorsa è quella giusta”, diranno poi Toscani e Luciano Benetton
Negli anni successivi, Benetton con Toscani lancia una serie di campagne controverse. Un bambino russo e una bambina americana che si abbracciano. Un ragazzo palestinese e un ragazzo arabo che reggono insieme un mappamondo. Una nativa americana e un giovane punk con capigliature molto simili. Ritratti su sfondo bianco. Diversità e provocazione. Contrasto e globalizzazione.
Questi ingredienti diventano un marchio inconfondibile della comunicazione United Colors of Benetton. E “Tutti i colori del mondo” – lo slogan della prima campagna di Toscani – si trasforma nel nuovo nome del marchio: United Colors of Benetton.
Nemmeno un decennio dopo è un collage fatta di tante piccole fototessere, che insieme compongono la parola Aids, a creare dibattito.
È solo una delle iniziative di comunicazione che United Colors of Benetton ha dedicato al tema dell’Aids nei primi anni Novanta. Altre erano la foto di un malato terminale sul letto di morte, alcune immagini di parti del corpo segnate dal tatuaggio “Hiv Positive”, un numero speciale della rivista “Colors” dedicato alla pandemia e un condom gigante che fu srotolato di notte sull’obelisco di Place de la Concorde a Parigi.
In tutti i casi, una parte dell’opinione pubblica criticò Benetton, dicendo che un’azienda di maglieria non aveva nessun diritto di sfruttare il dolore delle persone a fini commerciali.
Altri videro nelle campagne un mezzo potentissimo per far parlare la gente e i media di una malattia tabù e obbligare politici e decision makers ad impegnarsi per sconfiggerla.
Nel frattempo, nel 1991, Oliviero Toscani, già avvezzo alle provocazioni, ne pensò un’altra per Benetton: è l’immagine di un prete che sfiora le labbra di una suora. Una nuova pubblicità di rottura con il doppio scopo di far parlare e muovere le coscienze .
Fu uno scandalo: in Italia l’immagine viene censurata per le pressioni del Vaticano, in Francia per quelle di alcune associazioni religiose
“Un bacio, evento di per sé nell’ordine naturale delle cose, se è fuori contesto, accende gli animi e mette in moto la reazione”, spiegò Toscani. La nudità ricorre spesso nelle campagne per Benetton, “Nudi come San Francesco, che si spogliò degli abiti e delle ricchezze del demonio, e nudi come tutte le creature del suo Cantico delle Creature ‘Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra”, raccontò Toscani. Infine l’integrazione, con la foto di una classe di ventotto bambini, di tredici nazionalità diverse, provenienti da quattro continenti.
Il malato di Aids circondato dai suoi parenti, negli ultimi momenti della sua vita, come un Cristo contemporaneo, magrissimo e dolente. Il palestinese e l’israeliano, l’uno con il tradizionale copricapo arabo, l’altro con la kippà che si abbracciano come fratelli.
E ancora: il prete e la suora che si baciano, i preservativi colorati che fluttuano nello spazio, la maglietta intrisa di sangue di un soldato ucciso nei Balcani, un cimitero di croci, pieno di vittime di quella stessa guerra. Chi non ha visto queste immagini?
Chi non potrebbe riconoscere anche ora, a molti anni di distanza da quando furono concepite e in un mondo completamente diverso, in cui i social ci inondano di fotografie di ogni tipo, che il lavoro di Oliviero Toscani (in primis in collaborazione con il marchio Benetton) ha cambiato la comunicazione pubblicitaria?
Toscani aveva fatto sua la lezione di Andy Warhol, secondo la quale “tutta la fotografia è Pop”. Aveva capito, lui che Warhol l’aveva ritratto nei Settanta, ciò che l’artista americano aveva fatto con l’immagine fotografica e aveva intuito come applicarlo alla pubblicità per rivoluzionarla: non serve più, non basta più una bella immagine per vendere.
In un mondo sempre più affollato di foto patinate e inutili, Oliviero scelse di fotografare ciò che è scomodo, sovversivo, addirittura non fotografabile come la morte, e di usare il risultato per comunicare un brand, ma anche un messaggio sociale più vasto legato alle nuove generazioni, al mondo che cambiava, alle sfide dell’attualità: fossero l’Aids, la guerra dei Balcani, l’instabilità del Medioriente.
Quello che Oliviero Toscani ha inventato nel campo della fotografia pubblicitaria viene talvolta definito shock advertising o shockvertising: usare un contenuto controverso per catturare l’attenzione; eppure il suo scopo non era soltanto ammaliarci per vendere; era convincerci, attraverso i codici della fotografia, che eravamo capaci di creare una società diversa. Dove non ci fosse stigma per i malati, e dove a fare scandalo fosse l’oscenità della guerra, non quella di un bacio proibito.
Nei quasi vent’anni della sua collaborazione con Benetton (1982-2000) grazie alla fiducia concessagli da Luciano Benetton in un momento in cui il marchio veneto di abbigliamento diventava un marchio globale, si spinse sempre più in là, e ancor di più fece con Fabrica, l’hub creativo del gruppo Benetton creato tra il 1993 e il 1994 che nei suoi trent’anni di vita (da poco è stato annunciato dall’azienda uno stop, si spera temporaneo, delle attività) ha cresciuto tre generazioni di designer, fotografi, artisti e pubblicato a lungo il periodico Colors
(da agenzie)
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