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PUTIN ANCORA NON SA SE PARTECIPARE ALL’INCONTRO IN TURCHIA PER ARRIVARE AL CESSATE IL FUOCO IN UCRAINA: “MAD VLAD” È COMBATTUTO TRA IL DESIDERIO DI OCCUPARE PIÙ TERRENO POSSIBILE E QUELLO DI LEGALIZZARE ALMENO IN PARTE QUANTO FINORA OTTENUTO

Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile

A METTERE PUTIN IN DIFFICOLTÀ È LA POSSIBILITÀ CHE TRUMP VOLI A ISTANBUL: NON ANDARE, DIVENTEREBBE UN AFFRONTO AL TYCOON

Aleksandr Baunov, politologo bollato come “agente straniero”, autore del bestseller La fine del regime, ha ben spiegato perché davanti all’ultimatum di Kiev e dei suoi alleati — cessate il fuoco di 30 giorni a partire da ieri o sanzioni — domenica Putin abbia risposto con un duplice balzo
Primo, respingendo tacitamente la proposta di cessate-il-fuoco e proponendo invece di avviare negoziati diretti, anzi di riprendere i negoziati interrotti a Istanbul nella primavera del 2022, come a dire “non è nulla di nuovo, riprendiamo da dove eravamo rimasti, non proponiamo negoziati soltanto perché lo vuole qualcuno”.
Secondo, fissando come data di inizio dei colloqui giovedì 15 maggio e non il 12, ieri, scadere dell’ultimatum, «per dimostrare che l’iniziativa russa non era una risposta alla proposta ucraina o il prodotto della pressione di qualcuno, ma qualcosa di separato e indipendente».
E ieri Peskov ha detto che l’approccio di Putin godrebbe del sostegno non solo di Trump, ma anche del presidente turco e dei leader dei Paesi Brics e dell’ex Urss. Un altro modo di sottolineare che la controproposta di Putin non è la risposta alle pressioni di Usa o Paesi Ue, ma un tentativo di «trovare una vera soluzione diplomatica alla crisi ucraina, eliminando le cause profonde del conflitto».
A Putin non piace essere messo alle strette. Non vuole agire sotto pressione. È anche una questione d’orgoglio. Vale anche per la controproposta del presidente ucraino Volodymyr Zelensky di tenere sì negoziati diretti giovedì a Istanbul, ma loro due, a tu per tu. Né Putin, né il suo portavoce hanno commentato. Ma il politologo vicino al Cremlino Ivan Timofeev ha osservato che «è improbabile che Putin partecipi» perché «un incontro tra capi di Stato richiederebbe un’attenta preparazione, i diplomatici dovrebbero prima tenere delle discussioni per gettare le basi per i colloqui ad alto livello, perciò».
E ieri, ad esempio, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha parlato al telefono con l’omologo turco Hakan Fidan. Intanto i propagandisti già accampano le scuse più improbabili per l’eventuale assenza di Putin, dal divieto di dialogare con lui sancito nella Costituzione ucraina alla presunta «instabilità psicologica » di Zelensky.
Putin non ha ancora preso una decisione. Per Baunov si trova in una posizione non dissimile da quella di Iosif Stalin alla fine della Seconda Guerra Mondiale. È «combattuto tra il desiderio di catturare il più possibile e quello di legalizzare almeno una parte di quanto catturato, anche a costo di qualche concessione », approfittando della disponibilità del presidente statunitense Donald Trump di riconoscere la sovranità russa sulla Crimea e congelare il conflitto lungo la linea del fronte.
A mettere Putin ancora più in difficoltà è la possibilità che Trump stesso voli a Istanbul giovedì. Non andare e lasciare la sua sedia vuota a quel punto diventerebbe un affronto allo stesso leader della Casa Bianca. Andare, invece, vorrebbe dire far più che «qualche concessione » perché di certo Trump non si accontenterebbe di testimoniare una banale stretta di mano tra Putin e Zelensky, benché sarebbe la prima dal dicembre 2019.
(da “la Repubblica”

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SIAMO ALLE SOLITE: PER COPRIRSI A DESTRA E NEUTRALIZZARE IL “PACIFISTA” SALVINI, GIORGIA MELONI SI AUTO-ESCLUDE DALLA STANZA DEI BOTTONI EUROPEA

Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile

DOPO IL FORFAIT DELLA DUCETTA AL VIAGGIO DEI “VOLENTEROSI” A KIEV, MACRON LA ESCLUDE PER IL TERZO GIORNO DI FILA DAI CONTATTI DI MASSIMO LIVELLO SULL’UCRAINA… IL COSTO POLITICO È ALTO. E ANCHE QUELLO ECONOMICO: IL 2% DEL PIL IN DIFESA, ANNUNCIATO DALL’ITALIA, NON BASTERÀ A TRUMP, CHE CHIEDE ALMENO IL 4%

Alle 22, il centralino di Palazzo Chigi ancora tace: nessuna chiamata in entrata dall’Eliseo. Per la terza volta in tre giorni, Emmanuel Macron sceglie di escludere Giorgia Meloni dai suoi contatti di massimo livello sull’Ucraina.
La linea del presidente francese è netta, al limite della brutalità: se non partecipi al gruppo dei “volenterosi”, non c’è ragione di coinvolgerti.
Non le ha chiesto di aggregarsi al treno per Kiev (la premier avrebbe potuto andarci comunque, ha preferito videocollegarsi). E per due volte in 48 ore non ha incluso l’italiana nelle previste consultazioni della pattuglia di Weimar, quello aperte a Polonia, Germania e Regno Unito.
È una sfida diretta a Meloni. Ed è il frutto di un conflitto che si trascina da mesi. Decidendo di tirarsi fuori dall’iniziativa anglo-francese, la leader ha puntato tutto sul canale alternativo con Donald Trump. Ma dal punto di vista diplomatico, il sostegno occidentale a Volodymyr Zelensky prende forma dietro la regia di due attori: Washington e i “volenterosi” di Macron
A spiegare le ultime mosse della premier, però, non è solo il grande freddo con Parigi. C’è la politica interna, riferiscono diverse fonti. Dire no ai “volenterosi”, […] significava mostrarsi ostile all’eventuale invio di truppe europee sul terreno. In questo modo, Meloni ha bloccato la campagna di Matteo Salvini contro il “bellicismo” di Macron e di von der Leyen.
Il prezzo politico è però apparso subito alto. Ufficialmente, comunque, la linea che trapela da Palazzo Chigi non cambia. E però, a scavare, si colgono segnali di una difficoltà crescente.
Il primo è un dettaglio: la leader ha cancellato un incontro con il premier slovacco Robert Fico, reduce dalla parata nella piazza rossa di Mosca, riprogrammandolo per inizio giugno. Ma non basta. Cruciale — e scivoloso — sta diventando il percorso di riarmo. Oltre a sfilarsi dal gruppo dei volenterosi, Roma rischia infatti di dover frenare anche su questo terreno.
Al vertice Nato di fine giugno Meloni annuncerà il traguardo del 2% nel 2025, ma Trump rilancerà pretendendo in tempi rapidi non meno del 4%. Ed è qui che nasce il problema. Politico e diplomatico.
L’esecutivo, infatti, non sembra disponibile ad accedere alla clausola di flessibilità del ReArm offerta da Bruxelles (che va attivata entro inizio giugno). Qualche giorno fa, durante l’ultimo consiglio supremo di difesa, Giancarlo Giorgetti ha spiegato che non ha senso scorporare le spese militari dal deficit, perché la misura fornisce garanzie solo transitorie: dopo quattro anni, inizia il percorso di “rientro”. Anche in questo caso, pesa il fattore Salvini, il “nemico a destra” ostile al riarmo.
Se questi sono gli ostacoli, come rientrare allora nei giochi? Venerdì, a Tirana per un summit Ue, vedrà Zelensky. Domenica, il canadese Carney. Cerca inoltre una sponda con Friedrich Merz. Il neo cancelliere sarà domenica a Roma per l’intronizzazione di Leone XIV. A margine, proverà ad incontrare la premier.
Il rapporto tra i due, sottolineava ieri il suo portavoce, Stefan Kornelius, «è molto buono da anni». E si è nutrito ultimamente anche degli apprezzamenti al “modello” sui migranti. Ora il gelo di Meloni con Macron costringe il tedesco alla prudenza nel rapporto con l’italiana: mai negli ultimi decenni — neanche ai tempi di Merkel — si era assistito a un riavvicinamento così fulmineo tra Parigi e Berlino, suggellato da un accordo sulla difesa
L’altro fattore che invita Berlino alla cautela è il progetto dei “volenterosi”. Merz si è inserito con un tale entusiasmo nel gruppo, che si starebbe già preparando un’altra intesa bilaterale con gli inglesi. Nessuno sembra disposto a delegare alla premier il ruolo da mediatrice Ue-Usa.
Meloni ha deciso di non andare al vertice dei cosiddetti “volenterosi” per non far irritare il presidente Donald Trump e anche perché non convinta del format. Anche se l’assenza ha pesato, soprattutto alla luce del fatto che siamo in una fase diversa da un mese fa: i cosiddetti “volenterosi” non promuovono più l’idea dei soldati sul campo ma si stanno misurando con le trattative di pace della Casa Bianca.
L’esclusione dell’Italia dai tavoli sulla pace in Ucraina rischia di essere un autogol per la premier che si è sempre vantata di aver riportato l’Italia a contare a livello internazionale. Tant’è che in queste ore a Palazzo Chigi si sta ragionando su come diventare centrali domenica a San Pietro, quando ci sarà la messa di intronizzazione di Papa Leone XIV.
In Vaticano, dopo il funerale di Papa Francesco, tornerà il vicepresidente americano J.D. Vance, ma anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il premier canadese Mark Carney e il presidente argentino Javier Milei. Ma, dopo la telefonata di ieri con il pontefice, a San Pietro arriverà anche il presidente ucraino Zelensky.
E quindi Meloni, che dopo essere finita fuori dalla foto in occasione del funerale di Bergoglio, stavolta vuole apparire. A questo proposito è probabile che domenica sarà l’occasione per un nuovo bilaterale tra Meloni e Zelensky.
(da Il Fatto Quotidiano)

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LE MILIZIE LIBICHE ALLA RESA DEI CONTI: NELLA NOTTE È STATO UCCISO ABDEL GHANI AL-KIKLI, NOTO COME GHENIWA. CAPO DELLA MILIZIA “APPARATO DI SUPPORTO ALLA STABILITÀ”, AVVISTATO IN ITALIA QUALCHE SETTIMANA FA

Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile

AL-KIKLI È STATO AMMAZZATO NEL CAMPO MILITARE TEKBAL, A SUD DI TRIPOLI: L’ORDINE DI ESECUZIONE SAREBBE STATO EMESSO DA MAHMOUD HAMZA, COMANDANTE DELLA 444ESIMA BRIGATA COMBATTENTE. PER L’OCCASIONE SAREBBERO ARRIVATE 700 MACCHINE DA MISURATA A TRIPOLI

Abdel Ghani Al-Kikli, noto come Gheniwa, capo della milizia Apparato di Supporto alla Stabilità (Ssa), è stato ucciso oggi nel campo militare Tekbali, a sud di Tripoli.
Lo riportano i media libici, tra cui il The Libya Update secondo cui il suo corpo sarebbe arrivato all’ospedale Abu Salim di Tripoli.
Al Wasat Gate riferisce inoltre di colpi di arma da fuoco a Ain Zara a seguito della diffusione della notizia.
Poche settimane fa Gheniwa era stato avvistato in Italia, sollevando polemiche. Il ministero dell’Interno ha invitato i cittadini delle zone occidentali di Tripoli a rimanere nelle proprie case per la loro sicurezza.
Secondo Refugees in Libya, “Gheniwa era uno dei comandanti di milizia più temuti nell’ovest della Libia ed è stato a lungo accusato da organizzazioni locali e internazionali per i diritti umani, tra cui Amnesty International, di gravi abusi, tra cui torture, sparizioni forzate ed esecuzioni extragiudiziali”.
Refugees in Libya, su X, afferma che “poche settimane fa Gheniwa era stato avvistato in Italia, scatenando indignazione dopo le rivelazioni secondo cui era entrato in Europa con un visto Schengen rilasciato da Malta, nonostante fosse implicato in reati che potrebbero essere considerati crimini contro l’umanità”.
Proprio oggi La Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) aveva espresso “profonda preoccupazione” per l’escalation militare e le crescenti tensioni a Tripoli e nell’area occidentale del Paese, lanciando un appello urgente a tutte le parti coinvolte affinché “si astengano da ogni azione provocatoria e risolvano le controversie attraverso il dialogo”
L’ordine di esecuzione per l’assassino di Abdul Ghani Al-Kakli, noto come ‘Ghaniwa’ e leader della milizia Stability Support Apparatus (SSA), una delle più importanti della Libia, sarebbe stato emesso da Mahmoud Hamza, comandante della 444esima brigata combattente ed eseguito sul campo sotto la supervisione del capitano Musaab Zariq, uno degli ufficiali della brigata.
Lo riporta il profilo X di Refugees in Libya che sottolinea come l’operazione sia stata condotta in un momento “molto delicato”, e in un contesto di “instabilità e movimenti militari senza precedenti”, nelle vicinanze della capitale Tripoli.
Ghaniwa è stato ucciso insieme a tutte le guardie del corpo che lo accompagnavano.
Dopo una notte di scontri e colpi di arma da fuoco nella periferia sud di Tripoli il ministero della Difesa del governo di unità nazionale libico ha annunciato il pieno controllo dell’area di Abu Salim, roccaforte di Abdel Ghani Al-Kikli, leader dell’apparato di supporto alla stabilità (Ssa), ucciso ieri.
Lo ha reso noto su X The Libya Observer, aggiungendo che il premier Abdelhamid Dbeibah si è congratulato per la vittoria con i ministeri dell’Interno e della Difesa.
Secondo Al Wasat gli scontri sarebbero scoppiati tra la 444/a Brigata da combattimento e l’apparato di supporto alla stabilità dopo che si era diffusa la notizia dell’uccisione di Al-Kikli.
(da agenzie)

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ANCHE LA BASE “MAGA” ATTACCA IL SUO IDOLO: “NON POSSIAMO ACCETTARE UN ‘REGALO’ DA 400 MILIONI DI DOLLARI DA JIHADISTI IN GIACCA E CRAVATTA” … L’OSSESSIONE DI TRUMP NASCE NEL 2017, QUANDO RIMASE COLPITO DALL’AEREO DELL’EMIRO DEL KUWAIT: “È PIÙ LUNGO DEL MIO, FORSE ANCHE DI 30 METRI”

Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile

TUTTI ODIANO IL PRESUNTO REGALO DEL QATAR A TRUMP, ANCHE I FEDELI DEL MAGA

Il regalo è stato criticato da frequenti oppositori di Trump come il leader della minoranza democratica al Senato Chuck Schumer, di New York, e il senatore indipendente Bernie Sanders, del Vermont. Ma, in una rottura degna di nota, anche alcuni dei più ferventi sostenitori di Trump all’interno del movimento MAGA hanno espresso critiche sull’accordo relativo all’aereo.
«Amo il presidente Trump. Mi prenderei una pallottola per lui», ha scritto domenica su X (ex Twitter) la militante conservatrice e alleata di lunga data di Trump, Laura Loomer. «Ma bisogna chiamare le cose con il loro nome. Non possiamo accettare un ‘regalo’ da 400 milioni di dollari da jihadisti in giacca e cravatta». «Se è vero, sarà una macchia enorme sull’amministrazione. Sono così delusa», ha aggiunto.
Il conduttore radiofonico Mark Levin, sostenitore di Trump, ha scritto su X accusando il Qatar di diffondere propaganda «antiamericana». «Il loro jet e tutte le altre cose che stanno comprando nel nostro paese non gli danno la copertura che cercano», ha scritto sulla piattaforma social. Ha poi scritto «Idem» in risposta al post di Loomer.
L’Attorney General Pam Bondi e il consigliere legale della Casa Bianca David Warrington hanno stabilito che la donazione del jet sarebbe «legalmente ammissibile» se trasferita alla biblioteca presidenziale di Trump prima della fine del suo secondo mandato.
Nel 2019, durante il primo mandato di Trump, Bondi ha fatto attività di lobbying per conto del governo del Qatar.
In una dichiarazione a Business Insider, la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha affermato: «Qualsiasi regalo ricevuto da un governo straniero viene sempre accettato nel pieno rispetto di tutte le leggi applicabili. L’amministrazione del presidente Trump è impegnata nella massima trasparenza».
(da agenzie)

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DOHA UT DES: COME POTRÀ TRUMP NON ESSERE BENEVOLENTE VERSO IL QATAR, DOPO AVER RICEVUTO COME “REGALO” UN JUMBO JET BOEING DA 400 MILIONI DI DOLLARI?

Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile

LA COSTITUZIONE VIETA AI PRESIDENTI DI ACCETTARE CADEAUX DEL GENERE, E SI POTREBBE APRIRE UN CONTENZIOSO LEGALE. OLTRE CHE POSSIBILI ACCUSE DI IMPEACHMENT

Il presidente Trump ha confermato lunedì di avere l’intenzione di accettare un lussuoso jet jumbo come regalo dai reali del Qatar, sostenendo che solo una
“persona stupida” rifiuterebbe
Quando gli emiri del Medio Oriente offrono al Presidente un regalo a nove cifre, la prima cosa che viene in mente non è certo il risparmio. Trump è irritato dai ritardi di Boeing nella consegna del nuovo Air Force One, e vuole convertire l’aereo qatariota per l’uso nei viaggi ufficiali. Il Pentagono gestirebbe il velivolo come aereo ufficiale degli Stati Uniti. Poi, al termine del suo secondo mandato, Trump prevede di trasferire il 747 alla fondazione della sua biblioteca presidenziale.
Lunedì Trump ha dichiarato che “non lo userebbe” dopo aver lasciato l’incarico, citando come esempio la biblioteca Reagan, che espone un Air Force One in pensione. Ma non è difficile immaginare Trump che nel 2029 decida di utilizzarlo ancora per qualche anno. E i risparmi di cui Trump si vanta sono una cifra irrisoria rispetto al bilancio federale.
Accettare il regalo del Qatar potrebbe anche rivelarsi un pantano legale. La Costituzione vieta a chi ricopre una “carica di profitto o fiducia” federale di accettare “qualsiasi dono” o “emolumento” da uno Stato straniero, a meno che il Congresso non dia la propria approvazione.
Durante il primo mandato di Trump ci fu un contenzioso irrisolto sul fatto che questa clausola fosse attivata quando altri governi prenotavano camere d’albergo e simili presso proprietà di Trump. All’epoca eravamo scettici su quelle argomentazioni, ma un 747 donato dai reali del Qatar è tutta un’altra storia.
Secondo i media, gli avvocati della Casa Bianca ritengono che accettare il jet non costituirebbe una forma di corruzione, poiché l’offerta non è subordinata ad alcuna azione ufficiale da parte di Trump. Forse è così, ma “a volte lo scandalo non è ciò che è illegale, ma ciò che è legale,” come hanno osservato i nostri amici del New York Sun.
Il Qatar potrebbe ritenere di meritare almeno la benevolenza di Trump. Se l’emiro chiama la Casa Bianca per condividere le sue opinioni su Iran, Israele e la regione, non si aspetterà forse che il Presidente risponda?
Gli elettori dovrebbero porsi questa domanda? È degradante per la Presidenza che un governo straniero possa consegnare un regalo di tale valore al leader eletto degli Stati Uniti.
Non si tratta della Francia che offre la Statua della Libertà per l’esposizione pubblica e la fruizione collettiva. A proposito, nel 1877 il Congresso approvò una risoluzione congiunta per autorizzare e incaricare il Presidente di accettare quella statua, in segno di amicizia francese e in onore del centenario dell’America.
Il piano di Trump per accettare il jet del Qatar è un regalo politico ai Democratici. Il Partito Repubblicano ha giustamente protestato a gran voce per il traffico d’influenze di Hunter Biden all’estero mentre suo padre ricopriva alte cariche, e per la vendita delle sue opere d’arte a prezzi gonfiati mentre Joe Biden era alla Casa Bianca.
Ora la famiglia Trump sta guadagnando somme considerevoli con la vendita opaca di criptovalute, mentre Trump afferma che accettare un jet jumbo gratuito da parte di qatarioti carichi di doni sia semplicemente buon senso.
(da Wall Street Journal)

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MELENCHON: “IL CAPITALISMO HA FALLITO, LA SOCIALDEMOCRAZIA NON FUNZIONA. ORA CI VUOLE UNA RIVOLUZIONE POPOLARE”

Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile

IL LEADER DI FRANCE INSOUMISE: “SARO’ L’ULTIMO PRESIDENTE DELLA V REPUBBLICA AUTORITARIA E MI PREPARO A GETTARE LE CHIAVI DELL’ELISEO NELLA SENNA”

Jean-Luc Mélenchon dice che il capitalismo ha fallito e la socialdemocrazia non funzione. Per il leader di France Insoumise ora ci vuole una ribellione. O meglio: una rivoluzione popolare. Lo scrive in «Ribellatevi!» (Meltemi editore) e ne parla oggi in un’intervista con il Corriere della Sera: «La ribellione, o l’ insoumission, è la grande tradizione italiana e francese del rifiuto dell’evidenza,
della scelta del conflitto intellettuale. È un punto di vista fecondo, creativo. Non è disordine». Mentre essere di sinistra «significa prima di tutto affermare che non c’è potere al di sopra della sovranità del popolo. Noi siamo fuori da qualsiasi idea di avanguardismo rivoluzionario. Prima l’opposizione era borghesi contro proletari. Oggi è oligarchia contro popolo».
Oligarchia contro popolo
Mélenchon spiega la differenza tra la France Insoumise e il Rassemblement National: «La nostra definizione di popolo deriva dalle relazioni sociali. Per Marine Le Pen invece il popolo deriva da una filiazione genetica e tradizionale. Il popolo di cui parla lei è una costruzione ideologica il cui scopo è dividere: da una parte i francesi “originari”, i bianchi, i cristiani; dall’altra i neri, i musulmani, gli universalisti. Il nostro obiettivo è l’unità per soddisfare i bisogni comuni. Noi uniamo, loro discriminano». Mentre dopo la rivoluzione «serve una pianificazione ecologica e un altro potere politico, fondato su una maggiore partecipazione popolare e più potere a livello comunale. È per questo che i nostri avversari hanno tanto interesse a spostare il dibattito».
L’armonizzazione dei rapporti tra uomo e natura
«Gli Insoumis hanno un programma, si occupano di ecosistema? Meglio parlare di Mélenchon, del mio carattere, dei miei gusti, del mio entourage. La nostra lotta propone un’armonizzazione dei rapporti tra gli esseri umani e la natura, impossibile in un sistema capitalistico», aggiunge. Opponendosi al ReArm Europe: «Non esiste. “Faremo l’Europa della difesa”, dicono. Ma chi comincia? Nessuno. La von der Leyen ha fatto approvare un bilancio per le armi da 850 miliardi, che equivalgono esattamente al 5% del Pil richiesto da Trump».
Quindi, la Russia: «Verrà a Parigi per rubarci la Torre Eiffel? Già durante la Guerra fredda si parlava dei carri armati russi sugli Champs-Élysées. È grottesco. Bisogna uscire dalla Nato, per tappe. Non c’è più l’Urss ma c’è ancora la Nato! Occorre invece una diplomazia alterglobalista fatta della difesa delle cause comuni dell’umanità: l’acqua, la lotta alla fame e alle epidemie».
Se vince Mélenchon
Infine, Mélenchon spiega cosa farà in caso di conquista dell’Eliseo nel 2027: «Supponiamo che un Insoumis o una Insoumise vinca le presidenziali. Una volta ho usato una formula un po’ provocatoria: “Sarò l’ultimo presidente della V Repubblica autoritaria e mi preparo a gettare le chiavi dell’Eliseo nella Senna”. Era per dire che bisogna passare a una VI Repubblica, quella di un potere popolare allargato, dotato di strumenti come un referendum che possa revocare gli eletti, presidente della Repubblica compreso».
E l’Europa? «La mia priorità è l’Europa latina, quella che produce di più nel continente, mentre i nostri amici tedeschi ci disprezzano e ci impongono le ricette mortifere del neoliberismo. Ma il primo a rompere la menzogna del discorso collettivo è stato Trump quando ha detto: non è la libera concorrenza ma sono io, lo Stato, a decidere i prezzi con i dazi. Ridiamoci su: parla come Breznev».
(da agenzie)

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BERLINO, STRETTA SULL’ESTREMA DESTRA: ARRESTATI I LEADER DELL’ORGANIZZAZIONE “REGNO DI GERMANIA”

Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile

PERQUISITE LE PROPRIETA’ DELL’ASSOCIAZIONE CHE CONTA 6.000 SOSTENITORI ED E’ STATA MESSA AL BANDO

Il governo tedesco ha annunciato di aver arrestato quattro leader di «Regno di Germania», un’organizzazione estremista di estrema destra che cercava di minare l’ordine democratico del Paese. Centinaia di agenti delle forze di sicurezza, in sette diverse regioni della Germania, hanno perquisito le proprietà dell’associazione e le abitazioni dei suoi membri più importanti. Regno di Germania, che conta circa 6mila sostenitori, è accusata di «attaccare l’ordine liberale democratico», negare «l’esistenza della Repubblica Federale tedesca» e
rifiutarne «l’ordinamento giuridico». Per tutti questi motivi, scrive la stampa di Berlino, l’organizzazione è stata messa al bando.
Il report dell’intelligence su AfD
L’annuncio del governo tedesco arriva pochi giorni dopo il discusso report dell’intelligence di Berlino, secondo cui Alternative für Deutschland – partito di estrema destra dato al primo posto nei sondaggi nazionali – sarebbe incompatibile «con il libero ordine democratico». Il giudizio non comporta alcuna azione automatica da parte del governo, ma apre di fatto alla possibilità di una messa al bando di AfD, seppur improbabile.
(da agenzie)

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DAZI, COSA C’E’ DIETRO L’ACCORDO TRA CINA A USA: “VI SPIEGO PERCHE’ DONALD TRUMP SI E’ ARRESO”

Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile

XI NON SI E’ PIEGATO E WASHINGTON NON HA AVUTO NULLA, PER QUESTO L’EUROPA DEVE TENERE DURO… MENTRE I MERCATI HANNON PIEGATO LA CASA BIANCA

Donald Trump si è arreso alla Cina. Xi Jinping non si è piegato e gli Stati Uniti non hanno ottenuto nulla. E ora l’Europa deve tenere duro. Ma il problema sono gli Usa. Kenneth Rogoff di Harvard, ex capoeconomista del Fmi, autore di L’impero del dollaro (Egea), con il Corriere della Sera spiega oggi la tregua tra Washington e Pechino. Ovvero la sospensione per 90 giorni della maggior parte dei dazi per trovare un accordo più ampio. Il tycoon ha festeggiato e ha detto che l’Europa è «più cattiva» della Cina sul fronte commerciale. Ma la verità è che la grande guerra dei dazi annunciata come la “liberazione” dell’America (dal deficit commerciale) per ora non ha portato risultati. E il presidente già rischia.
Dazi, l’accordo tra Cina e Usa
L’accordo che ha fatto festeggiare le Borse al termine di 48 intense ore di trattative a Ginevra prevede che gli Stati Uniti e la Cina taglino le loro tariffe reciproche del 115%, riducendo in modo significativo l’embargo che di fatto si erano imposte. Gli Stati Uniti porteranno a partire da mercoledì quelle sul made in China al 30% dal 145% attuale, mentre la Cina le porterà al 10% dal 125%. «Una vittoria per gli Stati Uniti», ha detto Trump che ha annunciato un colloquio con Xi prima del viaggio in Medio Oriente. I dazi su auto, acciaio e alluminio restano in vigore e la Cina si è impegnata a fermare il fentanyl. Ma l’accordo non rimuove l’incertezza. A oggi la rimanda di 90 giorni. E al termine dei tre mesi le trattative potrebbero comunque saltare. Una tregua temporanea, che di per sé non mette fine alla guerra commerciale.
Le concessioni
Anche perché al di là dei proclami, gli Stati Uniti non hanno spuntato concessioni dalla Cina. Anzi l’accordo appare, secondo i critici, come una resa di Trump. Il presidente – a loro avviso – è stato costretto a cedere alle pressioni dei mercati e allo spettro di scaffali vuoti aleggiato da molte grandi aziende. E oggi il mondo ha un segnale chiaro da valutare: tutti gli aspetti delle politiche
del presidente sono negoziabili.
«Be’, l’amministrazione di Donald Trump fondamentalmente ha capitolato. Non ha ottenuto nulla. Trump, visto dai mercati, cerca un modo di ritirarsi dalle stupide politiche che aveva messo in atto. Per gli Stati Uniti è positivo: le probabilità di recessione calano ed è buono per il dollaro. Ma il valore del biglietto verde è ancora molto alto ed è probabile che scenda. Mi sorprenderebbe se non vedessimo 1,20 o magari anche 1,30 sull’euro. Altre volte in passato il dollaro è già stato sopravvalutato, ora l’amministrazione Trump ne ha accelerato il declino», spiega oggi Rogoff al Corriere.
L’euro e il dollaro
Nel colloquio con Federico Fubini Rogoff nota che ora tutto si sposterà sulla valuta: «I cinesi non hanno bisogno di farsi dire due volte che devono allontanarsi dalla valuta americana. Gli europei ora sono costretti a militarizzarsi, il che è probabilmente il punto di maggiore debolezza dell’euro come valuta internazionale. Trump accelera queste tendenze, che erano già in atto. Kamala Harris magari avrebbe ottenuto lo stesso risultato in modo diverso. Penso fosse una candidata molto debole».
Trump ha capitolato con Pechino perché «è pragmatico. Quando qualcosa non va, cerca una via d’uscita. L’ha fatto nel primo mandato e ora di nuovo. Il problema ora, visto dall’Europa, è che non ci si può fidare. Con il Canada e il Messico era stato lui a concludere un accordo quattro anni fa e ora lo ha fatto saltare. Ma non penso il problema sia solo Trump, sono gli Stati Uniti. Lo abbiamo eletto e possiamo eleggerne un altro. Questa arroganza è molto americana, non andrà via».
Il favoritismo al potere
Secondo l’economista il vento negli Usa è cambiato: «Con il modello di governo forte e del favoritismo al potere, non sei più sicuro. Non sai se sarai tassato o penalizzato in modo speciale perché sei italiano o altro. Questa incertezza mina alla base una delle grandi forze degli Stati Uniti». E Rogoff pronostica anche una crescita dei rendimenti dei titoli del Tesoro americano:
«Quelli a dieci anni sono attorno al 4,4%, ma penso che nei prossimi anni sia più probabile vederli al 5% o al 6% che al 3% o al 3,5%». Quando? «Nel mio libro scrivo fra cinque o sette anni, ma ora credo due. Avverrà con Trump alla Casa Bianca. Vedremo inflazione, repressione finanziaria. Non è difficile immaginare che Trump cercherà di controllare i prezzi o i flussi di capitali. E le persone che credono che l’indipendenza della Federal Reserve sia protetta dalla Costituzione potrebbero doversi ricredere».
L’Europa
Infine, Rogoff consiglia all’Europa «Di mantenere la calma e non inchinarsi a Trump. Lui rispetta la forza. È come uno scacchista da caffè, bravo e aggressivo contro i deboli. Ma gli avversari forti che sanno difendersi e colpire contro di lui vincono. La Cina non si è piegata e dalla Cina non ha ottenuto nulla. Anche dall’Europa otterrà poco».
(da agenzie)

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IL REGALINO

Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile

A CERTI LIVELLI I REGALI SI CHIAMANO FAVORI

In un mondo con tutti i fondamentali della democrazia al loro posto, la notizia che l’emiro del Qatar si accinge a regalare un jet da centinaia di milioni di dollari al presidente degli Stati Uniti affinché ne faccia il nuovo Air Force One sarebbe allucinante, oltre che imbarazzante.
A certi livelli i regali si chiamano favori. Da restituire sotto forma di trattamenti
privilegiati. Un presidente omaggiato è un presidente condizionato. Con quale serenità potrà mai giudicare un dossier riguardante il Paese che gli ha confezionato un dono simile?
Esiste l’ingratitudine, certo, ma si esercita ai danni di chi non serve più, mentre un emiro servirà sempre moltissimo. Non è tutto: in un mondo con tutti i fondamentali della democrazia eccetera eccetera, sarebbe impensabile che il capo della Casa Bianca annunciasse orgogliosamente che al termine del mandato presidenziale l’aereo diventerà di sua proprietà, con una confusione tra patrimonio pubblico e privato che è tipica delle monarchie assolute e dei regimi personali, aggravata dal fatto che il velivolo qatarino, per assurgere al ruolo di Air Force One, necessita di una serie di costosi aggiustamenti che saranno finanziati dai cittadini americani.
Se un regalino del genere avesse avuto per destinatario un qualunque presidente democratico o repubblicano del passato, sarebbe scoppiato il finimondo. Trattandosi di Trump, invece, non succederà niente e anche solo parlarne passerà per accanimento nei suoi confronti.
(da corriere.it)

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