Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
“FRASI DI ODIO E RAZZISMO, SONO SCOPPIATA A PIANGERE”… PRIMA O POI QUALCUNO REAGIRA’ A QUESTA FECCIA
Riceviamo e pubblichiamo la denuncia di Anna (nome di fantasia), una giovane donna
che si è rivolta a Fanpage.it per raccontare cosa le è accaduto qualche giorno fa in un supermercato del suo paese.
Siamo in un piccolo comune del Sud-Italia dove Anna vive e dove, da molti anni e perfettamente integrata, vive anche una sua amica romena, suo malgrado protagonista insieme a lei di quanto accaduto. Le due donne sono state aggredite verbalmente, con insulti razzisti, mentre facevano la spesa: “Sono scoppiata a piangere, in 35 anni non avevo mai vissuto una cosa simile. E piangevo vedendo la mia amica rimasta impassibile, come abituata all’atteggiamento ostile delle persone. Mi ha chiesto tante volte scusa, come se la ‘colpa’ delle mie lacrime fosse sua e non di quell’uomo violento”.
Il racconto di Anna
Stamattina ero al supermercato insieme a una mia amica romena ed eravamo in fila al banco macelleria: dopo che lei ha preso le sue cose anche io ho chiesto della carne, ma proprio in quel momento si è intromesso un signore – avrà avuto circa 60 anni – che con aria prepotente mi si è rivolto contro con occhi sprezzanti chiedendomi “tu sei straniera?” e poi asserendo testualmente “chi vi pensate di essere? Imparate l’educazione prima di venire in Italia, dovete stare al vostro posto”.
Sono sinceramente rimasta senza parole, ma ho provato a capire cosa volesse. Mi ha parlato senza rispetto, come “straniera” secondo lui meritavo quel trattamento. Forse lui si è sentito “scavalcato” nel suo turno e, additandomi come “una straniera approfittatrice”, ha pensato che volessi passargli davanti (cosa tra l’altro non vera in quanto ero prima io in fila). Io ero in silenzio, lui invece continuava a ripetere frasi piene di odio e di razzismo. Non voleva avere un dialogo, un confronto con me, io e la mia amica ci siamo anche offerte di farlo passare avanti ma a lui interessava solo aggredirmi.
Sono andata via da lì con la mia carne, ma dopo pochi passi sono crollata. In 35 anni di vita non avevo mai vissuto una cosa simile, non ero mai stata trattata così né guardata in quel modo. Quello sguardo ha fatto anche più male delle sue parole.
Sono scoppiata a piangere davanti alle casse e piangevo anche perché ho notato che la mia amica era rimasta impassibile, come abituata a quell’atteggiamento ostile delle persone. A quell’uomo che mi aggrediva lei, di istinto, ha risposto dicendo “sono io la straniera”, come se avesse voluto proteggermi, come se avesse voluto prendersi responsabilità che non aveva. Ha le spalle larghe e ne ha subite tante. Mi ha chiesto tante volte scusa, come se la “colpa” delle mie lacrime fosse sua e non di quell’uomo violento. Eppure lei non aveva fatto nulla.
Tutto questo è successo davanti a diverse persone, tra dipendenti del supermercato ed altri clienti, compresa la moglie di quell’uomo che non ha
detto una parola. Si è avvicinata a me, che continuavo a piangere, solo dopo l’intervento in mia difesa della titolare del supermercato. Lei si è scusata per le parole del marito, da lui invece non è arrivato alcun gesto.
(da Fanpage)
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL PREZZO E’ CRESCIUTO DEL 133%, IL BILANCIO STATALE IMPEGNATO PER IL 40% NELLE SPESE MILITARI
L’economia russa non riesce a produrre abbastanza alimenti. E dall’aprile 2024 i prezzi di ortaggi e tuberi sono praticamente raddoppiati. Tra questi ci sono le patate, il cui prezzo è cresciuto del 133%. Ovvero cento rubli (un euro) al chilo. In un paese in cui un pensionato prende ventimila rubli
mensili, ovvero 200 euro. «Alla fine abbiamo scoperto di non avere abbastanza patate», è l’ammissione che il Corriere della Sera attribuisce a Vladimir Putin. Mentre il governatore della regione di Kaliningrad, tra Polonia e paesi baltici, ha vietato per decreto proprio l’esportazione dei tuberi.
L’ipotermia
Il problema è che l’economia russia è in ipotermia. I centri studi delle banche d’affari prevedono che entro un anno l’attuale sistema collasserà. E parlano di necessità di cessate il fuoco in Ucraina prima della fine del secondo trimestre 2025. Si tratta di previsioni che da quando Mosca ha invaso Kiev si susseguono. Invece l’economia russia ha avuto capacità di resistenza superiori a quelle che le attribuiva l’Occidente. Ma con il prezzo del petrolio e quello del gas in questa situazione i nodi potrebbero giungere al pettine. Il ministro dello Sviluppo economico Maksim Reshetnikov ha ammesso la previsione di crescita dell’inflazione fino al 7,6% nel 2025 è realistica. Otto mesi fa le previsioni parlavano del 4,5%.
La Banca Centrale
Per questo il governo ha auspicato un innalzamento del costo del denaro da parte della Banca Centrale russa. Tre anni di crescita e il 4% del 2024, dovuti all’economia militare, ora sono come l’ultima fase della salita prima della discesa. E il governo pensa di spendere in difesa e sicurezza il 40% delle entrate dell’erario. Il dato più alto dai tempi dell’Urss. La governatrice Elvira Nabiullina aveva messo in evidenza una tendenza al ribasso nell’edilizia, nell’estrazione del carbone e nella siderurgia. E parlando invece di un possibile «surriscaldamento» dell’economia, aveva cercato di temperarlo fissando e mantenendo il costo del rublo al livello record dell’attuale 21%.
(da agenzie)
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
ALLA FINE E’ ARRIVATO L’ANNUNCIO: ADDIO AL DOGE E CRITICHE ALLA LEGGE DI BILANCIO
«Con il finire del mio periodo come funzionario speciale del governo, vorrei
ringraziare il presidente Trump per l’opportunità di ridurre gli sprechi. La missione del Doge si rafforzerà nel tempo, diventando uno stile di vita per tutto il governo». Non poteva che scegliere il suo social network X Elon Musk per ufficializzare l’addio che era nell’aria da giorni. Ma in un’intervista alla Cbs è stato molto più chiaro: «Sono rimasto deluso dalla legge di bilancio, che francamente finirà per aumentare il deficit». Si conclude così la collaborazione tra il tycoon e il “First Buddy“, come lo chiamava prima del voto Trump. E che alcuni vedevano addirittura come suo erede.
Una facile previsione
Quella di una rottura tra Musk e Trump invece era una facile previsione, considerando le condizioni di partenza. Il capo di Tesla e SpaceX è diventato un sostenitore del tycoon per reazione, come ha detto lui stesso, alla politica dei democratici considerata troppo “Woke”. Ma le scelte dell’attuale presidente hanno finito per mettere in pericolo quello a cui tiene di più: il suo impero commerciale. Le tariffe hanno aumentato i prezzi delle Tesla e reso più complicato seguire il suo programma spaziale. Contemporaneamente, il presidente ha dato il via a una politica in deficit che è l’esatto contrario delle idee di Musk. Il quale al Washington Post ha anche detto che il “suo” Doge è «sul punto di diventare il capro espiatorio di tutto».
La legge di bilancio
L’agenzia di stampa Afp spiega che secondo un’analisi di un’agenzia del Congresso senza affiliazione politica, il testo, nella sua forma attuale, aumenterebbe il deficit federale di 3,8 trilioni di dollari nel prossimo decennio. «Penso che una legge possa essere fantastica o bella. Ma non so se possa essere entrambe le cose», ha detto Musk. La sua intervista sarà
trasmessa integralmente domenica. La battuta costituisce la prima crepa pubblica su un’alleanza nata durante la campagna di Trump, che Musk ha generosamente finanziato. L’imprenditore sudafricano e il tycoon sono stati inseparabili nei giorni e nelle settimane successivi all’insediamento del 20 gennaio. Con Trump nello Studio Ovale, sull’aereo presidenziale, alle riunioni di gabinetto e sul prato della Casa Bianca per un incredibile evento promozionale di Tesla.
Il lungo addio
La figura di Musk, sempre vestito di nero e con un berretto, ha finito per ritagliarsi su quella del presidente. Ricevendo il plauso ogni volta che tagliava aiuti internazionali, agenzie federali e dipendenti pubblici. Poi sono cominciati i contrasti. Prima sussurrati sui giornali e poi diventati palesi con le liti tra Musk e i ministri. La sua missione doveva durare 130 giorni. Ma già alla fine di aprile, preoccupato per i crolli delle azioni delle sue aziende, Musk aveva annunciato il ritorno alle sue attività. Anche perché nel frattempo le vendite delle Tesla sono crollate. Il suo coinvolgimento negli affari del governo federale ha sollevato numerose domande su potenziali conflitti di interesse, dovuti agli ingenti contratti che l’amministrazione ha stipulato con le sue aziende, nonché a possibili normative che potrebbero influenzare i suoi settori di attività. Fino all’addio di oggi.
(da agenzie)
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
“LI PUO’ IMPORRE SOLO IL CONGRESSO”…. ORA SI RISCHIA IL RICORSO ALLA CORTE SUPREMA
C’è un giudice anche in America. La Us Court of International Trade ha bloccato temporaneamente i dazi di Donald Trump. Secondo i giudici sono illegali perché il presidente non ha l’autorità di imporre tariffe globali, ma per farlo deve necessariamente passare attraverso il Congresso. L’amministrazione ha annunciato già appello contro i «giudici non eletti». Il presidente si è anche irritato per il soprannome affibbiatogli da un giornalista del Financial Times, che lo ha chiamato “Taco Trade“, ovver
“Trump always chickens out“: Trump torna sempre in dietro. Il riferimento è al tira e molla con Cina e Unione Europea. Il tycoon ha risposto bruscamente: «Si chiamano trattative».
C’è un giudice in America
Lo scontro giudiziario potrebbe arrivare fino alla Corte Suprema. E il caso potrebbe avere un impatto di migliaia di miliardi sull’economia mondiale. La Corte federale del commercio Usa ha dichiarato illegittimo il piano di Trump a sensi dell’IEEPA, ovvero l’International Emergency Economic Powers Act. Si tratta di una legge del 1977 che conferisce al presidente il potere di identificare qualunque minaccia abbia origine al di fuori degli Stati Uniti, e che non èmai stata invocata prima sulle tariffe. Il presidente non ha l’autorità di applicare tariffe in modo unilaterale, sostiene la Corte, che si è pronunciata su due casi distinti. Alcune aziende e diversi stati americani hanno fatto causa alle tariffe del tycoon, sostenendo che gli ordini del presidente violassero il potere del Congresso.
L’International Emergency Economic Powers Act del 1997
«Nei due casi presentati la questione sottoposta alla corte è se l’International Emergency Economic Powers Act del 1997 delega al presidente sotto forma di autorità il potere di imporre dazi illimitati sulle merci provenienti da quasi tutti i paesi del mondo», sil legge nel provvedimento secondo quanto riportato da Axios. La Corte non interpreta la legge del 1977 «come un atto che conferisce tale autorità illimitata e annulla i dazi contestati imposti sulla sua base», concludono i giudici. L’amministrazione può presentare appello contro la decisione dei tre giudici della Us Court of International Trade, che si è schierata con alcuni stati democratici e un gruppo di piccole imprese che avevano fatto causa.
Il Liberation Day
Il 2 aprile scorso, nel cosiddetto “Liberation Day”, Trump aveva annunciato l’introduzione di dazi doganali su gran parte dei partner commerciali, con un’aliquota base del 10% e dazi piu’ elevati per la Cina e l’Unione Europea. Successivamente ha sospeso alcuni dei dazi più elevati in attesa dei negoziati con i singoli paesi e blocchi commerciali. Dopo l’annuncio della sentenza i future sui listini di Wall Strett sono saliti di oltre l’1%. Quelli sullo S&P 500 sono cresciuti dell’1,2%, quelli sul Nasdaq dell’1,6%.
Il ricorso e la Corte Suprema
La Casa Bianca ha annunciato ricorso e potrebbe portare il caso fino alla Corte Suprema. Ma la decisione ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai mercati. «Si è a lungo sostenuto che i poteri di emergenza utilizzati da Trump per imporre i dazi fossero incostituzionali e che il potere di emanarli spettasse al Congresso», ha detto a Reuters Kyle Rodda, analista finanziario senior di Capital.com. «Se i mercati dovessero ottenere ciò che vogliono, i tribunali potrebbero ritardare e poi negare questi dazi, eliminando un rischio enorme e alimentando senza dubbio la propensione al rischio», ha concluso. La decisione potrebbe anche incoraggiare i partner commerciali statunitensi (segnatamente Ue e Cina) a rinviare qualsiasi trattativa commerciale in corso con la Casa Bianca, in attesa di vedere come finirà il caso.
La sentenza
«La sentenza ovviamente scombussolerà la spinta dell’amministrazione a siglare rapidamente ‘accordi’ commerciali durante la pausa di 90 giorni dall’applicazione dei dazi, ora dichiarati illegali», ha spiegato Paul Ashworth, capo economista per il Nord America di Capital Economics. «Altri paesi aspetteranno e vedranno se un tribunale superiore sarà disposto a ribaltare questa sentenza». Intanto secondo il Financial Times la Casa Bianca ha ordinato alle aziende Usa che vendono software per semiconduttori di interrompere le vendite ai gruppi cinesi. Gli Usa hanno anche sospeso la vendita di tecnologie considerate critiche, tra cui quelle relative ai motori a reazione e ad alcuni prodotti chimici.
La Fed
Intanto i rendimenti dei titoli del Tesoro decennali sono aumentati di 3 punti base al 4,51% e i mercati hanno ulteriormente ridotto la possibilità di un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve a breve. I verbali dell’ultima riunione della Fed hanno mostrato che «quasi tutti i partecipanti hanno commentato il rischio che l’inflazione potesse rivelarsi più persistente del previsto» a causa dei dazi di Trump. Un taglio dei tassi a luglio è ora considerato con una probabilità del 22%, mentre settembre è arrivato a circa il 60%.
(da agenzie)
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL RITARDO CULTURALE E POLITICO IN TEMA DI DIRITTI
Non possiamo fare una colpa ai Paesi dell’Europa dell’Est per il ritardo culturale e
politico con il quale stanno elaborando, faticosamente, una cultura dei diritti all’altezza della democrazia. La tradizione democratica, specie per quanto riguarda i diritti umani e il rispetto dell’individuo, non si improvvisa, ed essere stati per mezzo secolo sottomessi al blocco sovietico non ha certo aiutato in questo senso.
Possiamo invece fare una colpa al governo italiano di ritrovarsi in quel gruppetto (Bulgaria, Croazia, Polonia, Romania, Slovacchia, Ungheria) che non ha aderito al documento dell’Unione Europea, firmato dagli altri venti Paesi membri, nel quale si ammonisce il governo Orbán — che ha appena vietato il Pride e l’attivismo politico delle comunità Lgbtq, come nella Russia di Putin — a non violare così platealmente le regole dell’Unione.
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Si dubita che il governo Meloni capisca che molti milioni di italiani provano vergogna per questa prova definitiva di slealtà politica dell’Italia sovranista all’Unione Europea e ai suoi princìpi. Ma si spera che almeno quegli elettori che dicono di richiamarsi alla destra liberale — potremmo anche chiamarla: destra costituzionale — aprano gli occhi sulla natura di questo governo, così tenacemente reazionario da ritrovarsi, unico tra i Paesi fondatori dell’Unione, a condividere gli umori omofobi dei governi dell’Est.
Della congiunzione tra ex comunisti ed ex fascisti ove si tratti di disprezzare la democrazia si potrebbe parlare a lungo. Per ora chiamiamolo: Fronte Macho, rende abbastanza l’idea
(da La Repubblica)
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
LE VITTORIE CHE HANNO SPIAZZATO I SOVRANISTI PORTANO TUTTE UNA FIRMA ROSA
Ma guarda tu. Donne che votano le donne, uomini che votano le donne, e Silvia Salis che vince insieme ad altre tredici signore (sui 24 consiglieri eletti nelle liste della maggioranza a Genova). E mica solo lei. Dall’altra parte la più votata è Ilaria Cavo, Noi Moderati, un partito assai piccolo che però aveva la faccia giusta nel momento giusto: la faccia di una donna. Vai a vedere che l’effetto Giorgia Meloni c’è davvero, ma si manifesta nel più imprevedibile dei modi. Da un lato punisce la destra titolare di molti primati in materia di donne – prima premier, prima presidentessa del Senato, prima capa di questo e quello – ma avara di nomination femminili quando sceglie le candidature di territorio. Dall’altro, premia il mondo di sinistra, per molti anni scavalcato dai conservatori nella gara dell’enpowerment politico femminile e adesso, quasi casualmente, diventato agente del contropotere rosa.
Sono tutte donne le protagoniste delle sfide elettorali che hanno fatto più male al centrodestra di governo, a cominciare da Virginia Todde, assai sottovalutata dalla maggioranza di Palazzo Chigi che si sentiva sicura di vincere in Sardegna, con i suoi campioni di lungo corso contro una
ragazza: figuriamoci chi la vota, figuriamoci chi la vuole, pure mezzo Pd preferisce Renato Soru. Calcolo sbagliatissimo. Todde prevalse alla grande e regalò ai progressisti un’insperata boccata d’ossigeno dopo la debacle delle Politiche.
Pochi mesi dopo, nel novembre 2024, Stefania Proietti riconquistava ai progressisti l’Umbria, sull’onda della vittoria di un’altra donna di sinistra, la sindaca di Perugia Vittoria Ferdinandi: tutte e due partite svantaggiate, in un quadro nazionale che raccontava le destre come invincibili.
E adesso Salis, un’altra sottostimata dalla maggioranza, convinta che i genovesi avrebbero preferito a una debuttante l’usato sicuro di un uomo di mezza età, con un lungo percorso amministrativo, un “uscente full optional” che però non ha scaldato neanche i cuori della sua parte.
Forse è arrivato il momento di aggiornare certi stereotipi. Il principale è la resistenza dell’elettorato a votare le donne, che secondo una vecchia narrazione non piacciono alle altre donne per il fattore “Eva contro Eva” e agli uomini vabbè, perché obbedire a una signora non è nel dna nazionale. E tuttavia, i dati di partecipazione parlano chiaro: a Genova per la prima volta dopo molto tempo le elettrici femmine sono state di più degli elettori maschi (52 per cento contro 51) ed è anche merito loro se la galoppata dell’astensionismo si è arrestata. Sono andate ai seggi così massicciamente perché c’era una di loro candidata a sindaco, perché molte di loro erano nelle liste? Ponetevi la domanda, signori, e cominciate a chiedervi se le vecchie resistenze a dare spazio alle donne («Ma chi le conosce, chi le vota?») non risultino autolesioniste in questi tempi nuovi e strani.
L’altro standard demolito dal voto di domenica riguarda il modo di fronteggiare questo contropotere rosa emergente, queste signore con carriere da brivido, atlete olimpiche super-medagliate (Salis), imprenditrici cosmopolite (Todde), ingegnere e accademiche di lungo corso (Proietti) e tutte le altre. Giocare sul maschilismo, che si ritiene innato nell’elettore medio italiano, non funziona più. Dire «Le elezioni non sono un concorso di bellezza» non serve. Dire «Non basta il trucco e il bell’aspetto» è irrilevante. Chiedersi retoricamente «Volete dare a Genova una persona graziosa, ma che non sa niente di politica?» porta qualche applauso nei comizi ma non aiuta a vincere. Sono frasi tratte dall’ultima campagna in Liguria, ma sono state pronunciate praticamente ovunque ci fosse una donna candidata (anche di destra, intendiamoci). Il massimo si è raggiunto in Umbria dove il centrodestra, pensandolo determinante per la vittoria, si associò al partitino dell’ultra-maschilista Stefano Bandecchi, uno che paragonava la candidatura di una donna a quella di un cammello («Se è bravo, metto in lista pure lui»). Si sa come è finita. Bisognerà trovare un altro registro oltre il copione dell’insinuazione sessista.
A destra si impone anche qualche ragionamento più largo. Finora, la maggioranza ha certificato la sua amicizia con le donne dicendo: abbiamo eletto la prima premier d’Italia, siamo a posto così. È un argomento solido e poco contestabile perché mai il mondo progressista ha incoronato una possibile premier donna pur avendo nelle sue fila signore molto popolari e competenti. Ma alla prova dei fatti “l’effetto Meloni” sembra aver agito più sul fronte progressista che su quello conservatore: per paradosso ha incoraggiato i passi avanti delle donne di sinistra, prima con l’investitura popolare ad Elly Schlein e poi con l’affermazione sui territori di donne capaci di gestire campagne elettorali complicate, accordi, liste, strategie, e missioni quasi impossibili di riconquista su territori persi da tempo. Riconoscere che quell’effetto c’è davvero, e tenerlo in considerazione oltre le vanterie da talk show, potrebbe essere un punto di ripartenza per la coalizione di governo mentre la sfida delle prossime Regionali incombe, e non si sa bene con chi affrontarla
(da lastampa.it)
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
DOPO AVER LASCIATO PER OLTRE 30 GIORNI 26 MIGRANTI A BORDO DI UN MERCANTILE ETIENNE MAERSK, OMETTENDO IL DOVERE DI PORTARLI A POZZALLO, ORA ACCUSANO LA ONG DI AVER FATTO QUELLO CHE AVREBBE DOVUTO FARE LO STATO ITALIANO… L’ARMATORE E’ LIBERO DI FARE UNA DONAZIONE A CHI CAZZO GLI PARE
Il Gup del Tribunale di Ragusa Schininnà ha rinviato a giudizio tutti gli imputati del
caso Mare Jonio. Gli imputati devono rispondere del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravato appunto dal trarne profitto. Oltre al comandante della nave della Ong Mediterranea Saving Humans, Pietro Marrone, vanno a processo Alessandra Metz, legale rappresentante della società armatrice Idra Social Shipping, Giuseppe Caccia vicepresidente Cda della Idra e capo spedizione, Luca Casarini, fondatore di Mediterranea Saving Humans, e tre componenti dell’equipaggio, il medico Agnese Colpani, il soccorritore Fabrizio Gatti e il tecnico a bordo, Geogios Apostolopoulos.
L’indagine scattò nel settembre del 2020 in seguito al trasbordo di 27 naufraghi dalla nave cargo danese Etienne Maersk alla nave umanitaria Mare Jonio, che li fece poi sbarcare a Pozzallo (Ragusa).
Due mesi dopo la società armatrice della Maersk versò 125mila euro all’armatrice della Mare Jonio, ossia la Idra Social Shipping. Di qui l’aggravante di avere tratto profitto dal favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La prima udienza del processo si terrà il 21 ottobre prossimo davanti al tribunale di Ragusa.
Immediata la reazione di Luca Casarini, che prova a ribaltare le accuse. “Non ci faremo spaventare da nessuno. Sappiamo benissimo cosa abbiamo fatto: abbiamo aiutato 27 persone, lasciate in mezzo al mare per 38 giorni. Questo processo diventerà l’occasione per chiedere conto a ministri, governi e autorità, sul perché queste persone sono state abbandonate. Diventerà un processo all’omissione di soccorso”.
Una linea ribadita anche da uno difensori della Ong, l’avvocato Serena Romano. “Sentiremo in aula anche i vertici della Maersk che ci diranno che non c’è stato nessun accordo economico con la Mare Jonio, poi porteremo in aula anche i naufraghi per raccogliere la loro. Questo è un processo ai soccorsi”.
Maersk smentisce: “Nessun accordo con Mare Jonio. Sosteniamo le Ong”
La compagnia danese, che non è indagata, nega che vi sia stato un accordo economico per il trasbordo dei migranti. “Pronti a spiegare agli inquirenti, ma non ci hanno contattati”
La petroliera Maersk Etienne, bloccata per 38 giorni con 27 migranti
L’inchiesta della procura di Ragusa sul trasbordo di 27 migranti dalla petroliera “Maersk Etienne” alla nave umanitaria “Mare Jonio” dovrà adesso affrontare una ricostruzione alternativa. Fornita direttamente dal gigante della navigazione commerciale danese.
Da Copenaghen un portavoce della compagnia ha inviato una lunga nota per ricostruire i fatti. Un racconto che pone a questo punto nuovi interrogativi. Già ieri Maersk in una dichiarazione ad “Avvenire” aveva precisato di non essere stata mai contattata dagli investigatori, nonostante il bonifico da 125mila euro in favore dell’armatore di “Mediterranea Saving Humans” provenisse proprio dalla compagnia, un colosso che fattura oltre 36 miliardi di euro all’anno.
Ecco cosa scrive Maersk: “Il 5 agosto 2020 l’equipaggio della Maersk Etienne (la nave petroliera di proprietà del gruppo danese, ndr) ha salvato 27 persone in difficoltà in mare su richiesta delle autorità maltesi. Una volta salvati, loro e l’equipaggio sono stati lasciati bloccati per 38 giorni, senza che nessuna autorità fosse disposta a permettere alla nave di fare scalo e consentire lo sbarco in sicurezza delle persone salvate”.
Si è trattato del più lungo stop mai registrato in epoca recente nel Canale di Sicilia.
“Dopo diverse richieste di assistenza rimaste senza risposta, la situazione – si ricorda nella nota – è diventata terribile dal punto di vista umanitario. Abbiamo concordato con Mediterranea che avrebbero condotto una valutazione sanitaria utilizzando il team medico a bordo della Mare Jonio”.
A questo punto il comandante della petroliera, in accordo con l’armatore, ha dato l’ok al trasbordo. “Il trasferimento sulla nave è avvenuto in seguito alla loro valutazione che le condizioni delle persone salvate richiedevano cure immediate in strutture mediche adeguate. Era una situazione umanitaria – insiste Maersk – vogliamo chiarire che in nessun momento prima o durante l’operazione è stata discussa o concordata una compensazione o un sostegno finanziario”.
.Il bonifico, come indicato dagli inquirenti, è stato incassato da “Idra”, proprietaria di Mare Jonio, due mesi dopo l’arrivo dei migranti in Sicilia. “Mesi dopo l’operazione di salvataggio, Maersk Tankers – si legge ancora nella dichiarazione del gruppo navale – ha incontrato i rappresentanti di Mediterranena per ringraziarli della loro assistenza umanitaria. In seguito a questo incontro, abbiamo deciso di dare un contributo a Mediterranea per coprire alcuni dei costi sostenuti a causa dell’operazione. Questo è stato effettuato per un importo di 125.000 euro e con il pieno sostegno della
direzione di Maersk Tankers”.
Prima di chiudere la nota Maersk tiene a precisare che il sostegno a Mediterranea non è una scelta dettata da un singolo episodio ed anzi fa parte di un impegno più ampio: “Continuiamo a spingere per un’azione politica decisiva per evitare il ripetersi dell’incidente della Maersk Etienne. Il lavoro maggiore sulla questione avviene attraverso Danish Shipping (l’associazione degli armatori della Danimarca, ndr) che sta dialogando con le autorità danesi, l’Unione europea, l’Organizzazione marittima internazionale e altre parti interessate”.
(da agenzie)
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
VIOLENZE NEI CONFRONTI DI PERSONE VULNERABILI, IMMIGRATI E SENZATETTO CHE NON AVREBBERO MAI SPORTO DENUNCIA PER TIMORE DI RITORSIONI
Si avvia alle battute finali l’inchiesta sui presunti abusi e torture commessi da alcuni agenti delle Volanti della Questura di Verona: dopo aver concluso le indagini preliminari la Procura ha richiesto il rinvio a giudizio per 16 poliziotti. Di questi, nove dovranno rispondere delle accuse più gravi: torture e violenze nei confronti di fermati, spesso persone vulnerabili come immigrati, senzatetto e tossicodipendenti, che non avrebbero mai sporto denuncia per timore di ritorsioni.
L’indagine ha portato inizialmente sotto la lente dei magistrati 28 agenti. Gli episodi contestati risalgono al periodo compreso tra agosto e novembre del 2022 e sarebbero avvenuti principalmente nella cosiddetta “sala acquario” della Questura, ma anche nei corridoi e nella sala di redazione atti.
A fare emergere lo scandalo era stato, nel giugno 2023, Roberto Da Rold, 45 anni, uno degli agenti più esperti. Dopo un anno di indagini, Da Rold aveva deciso di rompere il silenzio e rilasciare parziali ammissioni davanti al giudice per le indagini preliminari, raccontando di una sua reazione violenta contro un fermato che gli aveva sputato. Altri quattro agenti, finiti come lui agli arresti, avevano invece scelto di non collaborare. Tra questi, Alessandro Migliore, considerato il capo del gruppo, per il quale è stato disposto il giudizio immediato.
Secondo l’accusa, le violenze sarebbero state sistematiche e coperte da una rete di omertà. Altri 17 agenti sarebbero stati coinvolti in qualità di testimoni silenziosi, colpevoli – secondo l’ipotesi dei pm – di non aver denunciato i fatti pur essendone a conoscenza. Otto posizioni, tuttavia, sono già state archiviate nel corso delle indagini.
La Questura di Verona, guidata all’epoca dal Questore Roberto Massucci, non aveva ignorato le segnalazioni: fu proprio la squadra mobile a ricevere l’incarico di condurre gli accertamenti interni. Massucci, inoltre, aveva preso posizione con una lettera indirizzata ai suoi uomini, sottolineando la gravità dell’accaduto.
Due dei 16 agenti indagati hanno scelto di patteggiare la pena, mentre per altri due è stato già definito il giudizio immediato. Per i restanti, la prossima tappa sarà l’udienza preliminare fissata per il 22 settembre davanti alla giudice Arianna Busato, momento cruciale per capire chi sarà effettivamente rinviato a giudizio per fatti che scuotono l’immagine e la fiducia nelle forze dell’ordine.
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
I SOVRANISTI SI INDIGNANO, MA E’ UN FENOMENO CRESCENTE IN MOLTI PAESI EUROPEI, BASTA LEGGERE LA CRONACA
“La nostra raccomandazione verso il governo italiano è che conduca al più presto uno
studio indipendente sul fenomeno della profilazione razziale nelle sue forze di polizia, per poter valutare la situazione”. La richiesta è arrivata da Bertil Cottier, il presidente della commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa (Ecri). “È un fenomeno
crescente in molti Paesi europei, agenti di polizia fermano le persone basandosi sulla base del colore della pelle, o sulla loro presunta identità o religione, tutto ciò viola i valori europei”, ha aggiunto in conferenza stampa Tena Simonovic Einwalter, vicepresidente dell’Ecri.
“Nel nostro report annuale 2024 non citiamo Paesi nello specifico, ma basandoci sui report paese già pubblicati in passato, tra cui quello sull’Italia, possiamo certamente dire che il problema della profilazione razziale nell’operato delle forze dell’ordine è un problema che si riscontra frequentemente in Italia e Francia”, ha continuato Tena Simonovic Einwalter parlando durante la presentazione del rapporto annuale 2024 dell’Ecri.
“Si sono osservati invece margini di miglioramento nelle forze di polizia britanniche sul fenomeno della profilazione razziale. Uno dei mezzi che ha aiutato molto a migliorare l’operato delle forze dell’ordine, e aiutato la raccolta dati per effettuare studi a riguardo, è l’utilizzo di bodycam da parte degli agenti di polizia”, ha spiegato Els Katsman, esperta dell’Ecri.
Dopo le richieste avanzate dal Consiglio d’Europa al governo italiano, è intervenuto il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che ha espresso la sua “solidarietà, stima e gratitudine” agli agenti “che tutti i giorni con grandi sacrifici e mettendo a rischio la propria vita, garantiscono la sicurezza e la salvaguardia dei diritti di tutti”.
Anche la premier Giorgia Meloni difende le forze dell’ordine e commenta: “Le parole pronunciate dalla commissione contro il razzismo e l’intolleranza del consiglio d’Europa, che accusano le forze di polizia italiane di razzismo, sono semplicemente vergognose”.
(da agenzie)
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