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CON IL GRANO FERMO NEI PORTI UCRAINI, LA RUSSIA IN UN SOLO MESE HA AUMENTATO DEL 60% LE VENDITE VERSO MEDIO ORIENTE E AFRICA (TURCHIA, EGITTO, IRAN E LIBIA)

IL PREZZO DEI TRASPORTI È SCHIZZATO FINO ALL’80% E I PAESI PIÙ POVERI NON RIESCONO A PAGARE… CON MILIONI DI PERSONE GIÀ SULL’ORLO DELLA FAME IL CRIMINALE PUTIN SOFFIA SUL FUOCO DELLE RIVOLTE

La Russia, con 10,1 miliardi di dollari di valore all’anno, è il primo esportatore di grano al mondo, e da essa dipende la maggior parte dell’apporto calorico e del foraggio da animali da allevamento in molti Paesi poveri.
Si tratta di grano tenero, quello per fare il pane, che ha un peso importante sui panieri dei prezzi di tutti i Paesi: come per l’energia, chi controlla il grano controlla il carovita.
Una lista dei Paesi che dipendono per più del 50 per cento delle proprie importazioni dal grano russo fornisce un’idea accurata del peso di Vladimir Putin nella geopolitica della fame: secondo la Fao, Kazakhstan, Mongolia, Armenia, Azerbaijan e Georgia dipendono quasi al 100 per cento dal grano russo, mentre hanno una dipendenza tra il 50 e il 100 per cento Bielorussia, Turchia, Finlandia, Libano, Pakistan e molti Paesi africani.
La prima vittima: l’Africa
L’Egitto comprava dall’Ucraina il 22% del proprio fabbisogno, la Tunisia il 49%, la Libia il 48%, la Somalia il 60%, il Senegal il 20%, la RDC il 14%, la Tanzania il 4%, il Sudan il 5%.
Come è noto questo grano è bloccato.
Ma cosa sta accadendo nei porti russi? I numeri ci svelano che il granaio del mondo non ha mai smesso di mandare grano verso Turchia, Medio Oriente e i clienti africani: l’Egitto continua a ricevere da Mosca il 60% del proprio grano importato, la RDC il 55%, la Tanzania il 60%, il Senegal il 46%, il Sudan il 70%, la Somalia il 40%, il Benin il 100%, e di poco si discosta l’Eritrea.
Numeri che fanno comprendere bene alcune solide alleanze che si sono venute a creare in questi mesi. In primis la Turchia, un Paese che ha un’importanza strategica visto lo sbocco del Mar Nero: la Convenzione di Montreux del 1936 stabilisce che, quando c’è una guerra nell’area, spetta ad Ankara l’ultima parola su chi può navigare attraverso i Dardanelli e il Bosforo. Solo Bulgaria e Romania, altri due Paesi rivieraschi e membri della Nato, avrebbero il diritto di scortare i convogli navali.
Gli altri maggiori esportatori di grano (Canada, Argentina, Stati Uniti e Australia) si trovano tutti distanti dal Mediterraneo. In tutto il mondo, la produzione negli ultimi dieci anni è aumentata. Ma, di pari passo, sono cresciuti anche gli stock, e la conservazione del grano può superare i due anni.
Le vie alternative: impraticabili
Ricapitolando: il grano ucraino è fermo. Prima della guerra, l’Ucraina utilizzava per il 95% delle esportazioni i porti di Mariupol, Berdiansk, Kherson e Odessa. Impossibile usare altre vie: i quattro porti fluviali sono vecchi e piccoli, non possono esportare più di 300 mila tonnellate al mese; sulle tredici autostrade che portano in Polonia, Slovacchia, Ungheria, Moldova e Romania, possono marciare non più di 20 mila tonnellate al giorno, con alti costi di carburante e dogane; i treni sono impraticabili, perché i binari ucraini hanno un sistema di scartamento diverso da quelli europei.
Il grano russo viaggia più di prima
Il blocco dei cereali ucraini apre la porta a nuovi acquirenti di grano russo fuori dall’Europa. Lo scorso marzo, a guerra già iniziata, la Russia ha incrementato del 60% le esportazioni di grano secondo ProZerno, la «borsa» agricola russa: 1,7 milioni di tonnellate, contro l’1,1 milione di tonnellate del marzo 2021.
SovEcon, istituto che monitora i transiti di grano sul Mar Nero, conferma che la Russia ha aumentato queste esportazioni soprattutto verso il Medio Oriente e l’Africa (Turchia, Egitto, Iran e Libia), rimpiazzando le esportazioni ucraine bloccate nei porti.
Gli ultimi dati ufficiali disponibili successivi all’inizio della guerra, riguardano la prima metà di aprile. Nonostante le sanzioni e nonostante la crescita del costo di trasporto, circa 900 mila tonnellate di grano sono state caricate nei porti russi, in linea con i dati di marzo (fonte AgFlow). I maggiori acquirenti rimangono la Turchia (602 mila tonnellate solo nelle prime due settimane di aprile) e l’Egitto (231).
Dal rapporto del «Russian grain Union», nell’ultima settimana di maggio verso l’Africa stanno andando maggiori quantitativi: l’Egitto ha importato un po’ di più (62.000 ton), la Libia è tornata fra gli acquirenti (60.000 ton) e in Nigeria sono state spedite 40.000 ton.
Anche il prezzo di vendita ha avuto una leggera flessione: 399 $ a tonnellata. Solo la settimana prima il prezzo era di 410 dollari a tonnellata (Fonte FOB).
Il grano rubato a Kiev
I russi si stanno appropriando anche del grano ucraino: secondo Kiev tra le 400 e le 600 mila tonnellate sono state «rubate dai silos» e portate via mare dal porto di Sebastopoli prima in Egitto (che però ha rifiutato il carico) e poi in Siria. Un altro quantitativo da 1,4 milioni di tonnellate è stato portato in Russia, via Rostov.
I satelliti di Planet Labs hanno fotografato due navi russe (la Matros Pozynich e la Matros Koshka) nella zona di carico del porto di Mariupol, mentre imbarcavano il grano da un silos, oltre ai trenta camion con rimorchi che sono stati ripresi sull’autostrada di Melitopol.
I prezzi e la geopolitica della fame
Qual è l’effetto reale invece sui prezzi? Questa è la domanda chiave per comprendere l’affermazione della Fao secondo cui, anche a causa della guerra, le persone nel mondo che rischiano di soffrire la fame saliranno a 440 milioni. Il grano tenero è aumentato del 4,8% dall’inizio della guerra, ma del 57% negli ultimi 12 mesi.
Incidono i futures sul grano (prodotti finanziari che ne permettono l’acquisto a un prezzo atteso in una data futura) sulla Borsa di Chicago, ma a pesare sono soprattutto i costi di trasporto (aumentati già per effetto del Covid), e quelli sul Mar Nero che sono saliti dal 50 all’80% per la crescita dei costi assicurativi. Questo è il vero problema per quei Paesi che importavano il 50% del proprio fabbisogno esclusivamente da Russia e Ucraina.
Per il momento la Tunisia sostiene di avere scorte per tre mesi. Ma per evitare rivolte del cibo via Twitter, come accadde nelle Primavere arabe, i prodotti di base sono calmierati dal governo: il prezzo della baguette è bloccato a 6 centesimi da 10 anni.
Anche l’Algeria e il Marocco hanno imposto prezzi calmierati, ma siccome entrambi non importano grano tenero né
L’Egitto invece, per fronteggiare i rincari, ha dovuto indebitarsi per tre miliardi di dollari con l’Itfc, International Islamic Trade Finance Corporation, strumento di finanza islamica che sta in Arabia Saudita.
In tutto il Maghreb, i prezzi agricoli stavano già aumentando molto prima dell’invasione russa dell’Ucraina a causa di siccità, costi del carburante e carenza di concimi.
La leva dell’emigrazione
Lo scenario drammatico in Africa non si è ancora verificato, ma presentarlo già come esploso rischia di innescare l’emigrazione di massa come è già accaduto nel 2011. Uno spostamento che si andrà ad aggiungere a quello ucraino e che l’Europa non sarà in grado di reggere.
Lo scenario migliore per Putin, forse parte della sua strategia: utilizzare la leva alimentare per destabilizzare.
Ci aveva già provato ammassando migranti al confine con la Bielorussia. Gli era andata male. Di certo non ha nessuna pietà per quei 41 milioni di persone già sull’orlo della fame, che non contano niente perché non avendo i soldi per pagare lo scafista o il trafficante, non potranno mai spostarsi.
A loro non manda nemmeno un chicco del suo raccolto. Sono le popolazioni dello Yemen, del Chad, dell’Etiopia, dell’Afghanistan, del Bangladesh, assistite dal programma alimentare delle Nazioni Unite: il 45% del grano a loro destinato il World Food Program lo prendeva dall’Ucraina.
(da il Corriere della Sera)

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