A “COCCIA DI MORTO” TRA BAR AZUR, MELONIANI E COTTON FIOC A MOLLO
SULLA COSTA DEL CETO MEDIO MELONIANO, DOVE UNA VOLTA ANDAVA AL MARE LA MELONI
Non è facile scovare la spiaggia più diffamata della penisola. Sulla costa del ceto medio meloniano. Quelli che hanno vinto le elezioni e controllano sobriamente il potere sbirciando dai villini disegnati dal geometra unico dell’architettura bifamiliare fronte mare, da Sabaudia a Capalbio.
Sì, uffa, la “piccola Atene della Maremma” che, caro ceto riflessivo chic, fattene una ragione, sopravvive ormai solo nelle stazzonate pagine estive (tipo questa). Dei quotidiani impigriti (non questo) dalla millesima molestia, sotto forma d’intervista, alla dolce e paziente Dacia Maraini, quando lei con Alberto, Pierpaolo, Enzo e, chissà, i Vianella si tiravano i gavettoni e la sabbia negli occhi perché a furia di trascorrere le vacanze intelligenti tutti insieme alla fine puoi starti sulle palle.
Per non sbagliare si percorra l’autostrada Roma-Fiumicino fino alla rotonda per poi girare a sinistra verso Ostia perché a destra c’è l’aeroporto, e qui una sosta è d’obbligo.
Poiché intendiamo rispettosamente dissentire dalla critica dei cosiddetti non luoghi sfoderata dall’antropologia della surmodernità e dal sommo Marc Augé (purtroppo da poco venuto a mancare) al quale avremmo tanto voluto dire che l’aerostazione Leonardo da Vinci è un non luogo meraviglioso, colmo di ogni comodità, modernità e prelibatezza.
A tal punto che candideremmo con entusiasmo i vertici di tale prodigio contemporaneo al posto dell’attuale giunta capitolina, che possiede il luogo ma non il logos (buona questa).
Si proceda lungo la fettuccia che costeggia le piste (con i jet che morbidamente decollano nel cielo sempre più blu) in attesa di svoltare verso il mare. Se girate troppo presto potreste ritrovarvi a Fiumaretta che, sentenziò un tellinaro stanziale a quelli della Rai alla ricerca delle Maldive dietro l’angolo, “ci sono posti come Ostia che ce l’hanno fatta, questo nun iela farà mai”.
Così ci ritroviamo a Focene, una Fregene che non ce l’ha fatta, però allo Youth bar della Baia servono un gustoso Frozen e un’indicazione in merito a quel chissà dove, impronunciabile, verso cui saremmo diretti. Un gesto vago eppure risoluto agitato nell’aria nell’evocare orizzonti sconosciuti, in forma non proprio dissuasiva ma perplessa questo sì. Un “vada dritto di là” che ci costringe al termine di questo vile preambolo a pronunciarla per forza ’sta Coccia di Morto (de morto) per confutare il generico ritrovamento antico sul litorale di ossa e teschi di imprecisata origine. Quando invece va riconosciuta l’esattezza etimologica del termine “coccia” che, duole dirlo, è il ventre rigonfio di acque fetide dei poveretti finiti nel Tevere, in genere suicidi (er barcarolo va), trascinati dalle correnti fino al delta del fiume e che a quel punto trapassati sicuramente saranno. “Prenda la terza a destra e poi di nuovo a destra troverà uno stabilimento”, ci viene indicato.
Facciamola breve. Non troverete mai il cartello Coccia di Morto, quello per capirci con il limite di velocità e il divieto di clacson (però il vialone si chiama così ma è fuori contesto). Entriamo infatti in un non luogo che si è fatto luogo per esigenze cinematografiche.
Toponomastica di aggraziato contesto marino: via del Pesce Luna che sbocca sui via dei Saraghi e da qui, finalmente, in una piccola baia con ai lati i massi frangiflutti. Sabbia meno sabbia di quella di Ostia, acqua non più sporca di quella di Ladispoli. Uno stabilimento sul mare, Azur, come si deve, ombrelloni, lettini e cocktail bar, molto apprezzato su Tripadvisor. Riguardo al litorale recensioni che vanno da “che schifo” a “che posto incantevole”. Dove Legambiente segnala di avere raccolto, in una sola battuta di caccia, ben 3.761 cotton fioc. Con l’idea di un museo dei reperti nel quale sistemare il modernariato ripescato dal fiume tra cui un dispenser di Felce Azzurra Paglieri e l’intera collezione di lattine Coca Cola degli anni 70.
Non c’inventeremo certo giudizi anonimi sulla premier (che ai tempi della sezione Garbatella sarebbe stata vista con mamma e sorella). Autentica la frase udita in conversazioni saltuarie su Giorgia: è tanto caruccia. Ora non occorrono certo Pagnoncelli o la Ghisleri per assodare che l’espressione “tanto caruccia” sulle labbra delle signore del ceto medio estivo fotografa una popolarità in solida e costante ascesa.
I mariti o quello che sono non parlano e neppure annuiscono, tanto non serve. Del resto, nessuno sa o finge di sapere cosa abbia detto il negazionista De Angelis o quali casini abbia combinato la Santanchè. Se percepita da qui la sinistra è un asteroide che trasmette segnali che provengono dal secolo scorso. Come sentenziò il generale De Gaulle “l’intendance suivrà”, per dire che le ragioni dell’economia seguono quelle della politica che poi, in ogni nucleo che si rispetti, è il pensiero femminile dominante.
Potrò dunque rientrare, sconfitto ma più consapevole (e lieto per non avere mai citato la nota pellicola che su Google è avvinta alla Coccia come l’edera al muro). Torniamo dunque nella Maremma dei casali dei pietra, protesa nell’Argentario delle ville imbiancate. Alla nostra conclamata minorità e irrilevanza. A sfogliare Proust (mentre qui spopolano le corna sabaude sputtanate in diretta video). Sì, caro Alain, ha vinto Coccia de Morto.
(da Il Fatto Quotidiano)
Leave a Reply